sabato 21 maggio 2016

Da G. Colli, “La ragione errabonda”, 二 - “twi-”, Old English prefix





“Venerare uno scritto, un uomo del passato è il sentimento più nobile dell’uomo: con esso si vuol superare l’urto volgare del presente, e si cerca di trarre da questo mondo umano dei valori permanenti. Questo è il senso della ‘cultura’ di Nietzsche - uno dei suoi pensieri centrali - e questo è il senso del nostro parlare di Nietzsche. Già con i Greci - Platone verso Socrate ed Empedocle verso Parmenide - e così gli Indiani. Considerare Nietzsche a questa maniera lo fa diventare più grande di quello che fu: ma è proprio quello che dobbiamo fare: tenendo alto il piedistallo della grandezza, sarà vivo l’ erôs tês athanasìas” (*).

“Quello che Nietzsche profetizzava si è avverato anche troppo presto. Il cristianesimo è oggi - come religione - un relitto che non dà più noia a nessuno. L’età delle grandi violenze è venuta, forse è già dietro di noi [su questo Colli vide giusto, considerata l’epoca in cui scriveva; nota mia]. L’immoralismo cosciente, nella politica e nella cultura, è stato acquisito in massa [e su questo, il successo è stato pieno, tutta la débacle “morale” di cui tanto si parla nasce precisamente da questo punto, come nasce di qui un ritorno al Cristianesimo che, però, rimane debole, come ogni “critica” che rimanga sul solo piano “morale”; nota mia], è diventato un segno distintivo della plebe. Cosa direbbe oggi Nietzsche [e ce lo chiediamo in tanti]? Che non è questo ciò che voleva, di questo possiamo esser sicuri.
Molti atteggiamenti estremisti di Nietzsche derivavano dall’urto contro la realtà contingente che lo circondava. In un’altra realtà, ad esempio quella odierna, il suo temperamento eccessivo avrebbe aggredito in altre direzioni. Per questo la natura più vera - e più profonda - di Nietzsche si appare quand’egli si occupa di un passato assai remoto [corsivo in originale], ossia negli anni di gioventù. […]
D’altra parte, se i beni che profetizzava non si sono rivelati beni, i mali che profetizzava si sono rivelati sempre più come mali. […] Qui invece Nietzsche si mostra attuale,  al punto da sembrare l’unica forza rivoluzionaria in mezzo a noi. I mali erano per lui ‘il maggior benessere per tutti’, l’uguaglianza tra gli uomini, e i beni da lui raccomandati per combatterli - le guerre - si sono rivelati mali, perché, anziché impedirli, hanno aiutato lo sviluppo del ‘maggior benessere per tutti’ e dell’uguaglianza. Dunque, Nietzsche ha sbagliato la diagnosi ‘positiva’, il rimedio costruttivo contro certi mali. […] Ma il configurarsi odierno delle cose, soprattutto nei costumi e nella cultura, sembra dimostrare che quelli che erano - secondo il suo giudizio - dei mali sono veramente tali” (**). Probabilmente, anche in questo suo centrare i “mali” compì degli eccessi e produsse, volens aut nolens, dei malintesi. 

Preme qui, però, esser chiari: questo genere di affermazioni (contro l’uguaglianza, ecc.), di solito, è stato fatto proprio dalle “destre storiche” le quali, solo apparentemente o stranamente, sono state, e continuano ad essere, le più “populiste” e le più attaccate alla “plebs”, le più volgari in tal senso. 

Qui va aperto un inciso sul fatto che si sente dire che Nietzsche non avrebbe gradito l’abbraccio dissolutore delle varie destre perché queste ultime “sarebbero troppo volgari per lui”. 

Forse. Anche, ma decisivo è, invece, che qui siamo in presenza di due sistemi di valori non congruenti fra loro.
Per le destre contano la “nazione”, il “popolo”, l’ “Occidente”, le “radici e l’ “identità”. 

Per Nietzsche contavano i valori “antichi”, l’aristocrazia dello spirito, che non necessariamente coincide con quella del censo, anzi spesso non coincide affatto, il valore unico del “grandeindividuo ecc., ecc. Per Nietzsche, gli individui non sono uguali fra loro non per il censo, ma per una qualità loro intrinseca, ed irriducibile ad altro

Quindi siamo in presenza di due insiemi di valori che non sono congruenti. 

Nietzsche era tendenzialmente anti-cristiano perché vedeva nel mito dell’uguaglianza la radice nel Cristianesimo stesso, idea poi mutuata da un Evola, per fare un esempio. 

Per esempio, tuttavia, qui Colli si distaccò da Nietzsche: Colli rivalutava il Cristianesimo come qualcosa di “antico”, contro il “segno distintivo della plebe”, ovvero l’immoralismo corrente oggi. Ma è solo e soltanto un Cristianesimo “antico” che può avere questo “bonus” di promozione e non la sola “moralità”: il Cristianesimo ridotto a morale non convince, non è “alternativo” a sufficienza, così come tutte le critiche basate sulla legge o sul comportamento scorretto degli eletti alle varie cariche amministrative. 

Non sufficit

Quel che ci vuole oggi è chi parli “alto” e, ancor più importante, parli “Altro” e di “Altro”. 

E sappia “andar oltre”. 

Decisivo comunque, per Colli, e questo è uno spunto largamente da condividersi, è saper “andar oltre” il livello “morale” della critica, che rende quest’ultima spuntata e nient’affatto una “spuntatella” o uno spuntino, ma di quelli che lasciano la fame intatta … 

Insomma è centrale, in Nietzsche, la “questione della ‘grandezza’”, che cos’è, come si “misura” ed esprime. In questo è profondamente, sostanzialmente, fortemente, radicalmente, irriducibilmente anti-moderno, nessun dubbio al riguardo (***). 

Il “moderno” è ciò che non tollera la grandezza e predilige la piccineria. Non può accettare la grandezza nell’uomo ma per ragioni radicalmente opposte a quelle del Cristianesimo. Proprio nel comprendere, con esattezza e con precisione, senz’ambagi o devianze, che le ragioni per cui si detesta la grandezza sono radicalmente opposte fra il Cristianesimo ed il moderno, sta la “chiave di volta” d’inchiodare il “ ‘che cos’è’ (tì estì) (****) il ‘moderno’”.

Ricordo a tal proposito una lapidaria frase di Sri Aurobindo, che cito a memoria, dove diceva che la conquista della democrazia era la sicurezza rispetto ai capricci dei tiranni nella proprietà e in altri ambiti, ma il suo male era “la fine della grandezza nell’umanità”. Esattamente così. E, se lo stesso Colli esalta il “grande individuo” della fase della Rivoluzione francese e dell’epoca napoleonica, ciò nacque per un riflesso della passata grandezza che si poteva esercitare quando si combatteva quello stesso ordine-dis-ordine che permetteva alla grandezza umana di poter esprimersi. 

Questo ricorda qualcosa? 

Su questo blog? Sì, il post La Rovina del “cash”, quando l’ordine antico, quando gli uomini mimavano-mimetizzavano-pantomimavano l’ordine “delle stelle” sulla Terra. E quell’ordine finì quando il primo Re non fu più sacrificato ma si mostrò liberamente. 

E i sacerdoti dell’antico ordine furono spazzati via in un grandioso “finale”. La grandezza dell’antico ordine passò anche alla fase di passaggio dall’antico al nuovo. Ma quando questo “nuovo ordine” finì, non vi furono epifanie o grandiose manifestazioni: ci si dice che i vicini, invidiosi dei successi materiali di Kasch, semplicemente la invasero. Ed è tutto (*****). 

E così è stato anche nel mondo moderno

Dunque non ci si attenda grandezza da esso, forse solo l’inserzione di “altro” proveniente da “altra” fonte gli darà una qualche luce, riflessa senz’alcun dubbio. 

Non stupisce questo mondo si decomponga, ma senza grandezza di sorta.






NOTE

(*) G. Colli, La ragione errabonda. Quaderni postumi, Adelphi Edizioni, Milano 1982, p. 115.

(**) Ivi, pp. 121-122, corsivi miei.

(***) Cfr. ivi, pp. 143-148. “Questo discorso sulla grandezza introduce alla comprensione di Nietzsche. Non solo Nietzsche è l’ ultima voce della grandezza nel mondo moderno, ma tutta la sua attività e la sua opera non sono altro che un’esegesi di questo concetto. Egli l’ha attinto dall’antichità classica, e ha voluto affermarlo come una componente essenziale dell’umanità, di oggi e di domani. Il suo discorso sembra essersi fermato sulla potenza, ma ciò non deve ingannare: la potenza è soltanto il sostrato elementare, che egli ha saputo mettere in chiaro, ma dalla potenza si distacca la grandezza, e questo Nietzsche l’ha mostrato con il suo destino terreno” (ivi, pp. 147-148, corsivi miei).
Un frammento poetico di Colli, per l’anniversario della morte di Nietzsche, scritto da Colli il 25 agosto del 1964:
Per un anniversario
Sei morto sulla collina
dolce, e sui faggi
crosciò la pioggia,
nell’estate tenue
di questa città velata
da incanti senza nome.
Dalla fermezza degli occhi
serrati nelle orbite buie
si ritrasse senza lotta
il flusso estenuato
della tua vita, e nessuno
conobbe l’attimo
di quella dipartita.
Rimangono le tue parole,
rondini folli
che garriscono nere
nell’ebbro cielo di giugno;
dardi appuntiti a ferire
la mente errabonda dell’uomo;
un canto che raggela
come il peana degli Spartiati
e atterrisce il nemico
prima che le spade risuonino.
Ora tu dormi all’ombra della chiesa,
<là> dove morì tuo padre,
vicino è lo stagno
che rimase nei tuoi occhi di fanciullo,
e più lontano verso Lipsia s’allarga la pianura
dove cavalcò vittorioso
incontro alla grigia morte
il biondo re svedese” (ivi, pp. 194-195).
Subito dopo, così commentava: “I luoghi dove è vissuto o è morto un uomo grande hanno lo stesso potere evocativo della musica. C’è un contatto immediato, la presenza a noi di qualcosa che era identico per quegli uomini. Vivere a lungo nei luoghi della grandezza può forse dare di più delle opere dei grandi, e comunque ha un notevole valore per l’interpretazione di tali opere. Così il giardino e la casa di Goethe a Weimar, la sua casetta di campagna, la sua casa natale, la casa dove morì Nietzsche, la Schöne Aussicht di Frankfurt (ma mano perché le case non ci sono più), e più genericamente l’acropoli di Atene, il Ceramico, il tempio di Eleusi, l’acropoli di Sparta, e anche Firenze e Roma. O per il senso della potenza, il Palatino e Parigi (rue St. Honoré, Comédie-Française, riva sinistra vicino a rue Bonaparte). ” (ivi, p. 195).
Diciamo però che l’ “aura” di questi posti, con i “tempi ultimi”, si è molto, ma molto ma molto intaccata

(****) Per dirla con Aristotele.

(*****) “Quanto è grandiosa la fine dei sacerdoti uccisi nell’ordalia, tanto è cruda e laconica la rovina di Naphta [capitale di Kasch] dopo Far-li-mas [che, narrando, come Shehrazàd, cambia l’antico ordine]. Vicini invidiosi sopraffanno e distruggono Naphta, che è divenuto nel frattempo ricco luogo di commerci. Altro non c’è da dire. L’ordine antico era finito invece fra visioni che gonfiavano come il Nilo il cuore degli uomini” (R. Calasso, La Rovina di Kasch, Adelphi Edizioni, Milano 1983, p. 174, corsivi miei).
Anche cfr. i link: http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/06/scampoli-del-monto-antico-i-cavalieri.html, http://theredlist.com/media/database/muses/icon/cinematic_men/1960/omar-sharif/035-omar-sharif-theredlist.jpg, https://esbilla.files.wordpress.com/2011/10/vlcsnap2011100214h03m122.png.





3 commenti:

  1. È assodato che questo mondo finisce "not with a bang but a whimper". A questo punto mi parrebbe che la "grande individualità" – del tipo di San Benedetto secondo l'esempio che facevamo, che si paleserà a seguito di tentativi – opererà comunque in un clima per niente "grandioso"...
    Infatti questo è un elemento che genera molta confusione e non fa discernere: l'altro giorno, dopo aver letto proprio le tue risposte tra l'altro, parlavo con un amico sulla situazione attuale, e lui preso emotivamente dallo sdegno mi disse proprio: "ci sarà il ragnarök!"
    Peccato che ci siamo proprio dentro... immaginarselo pieno di "fuochi d'artificio", grandioso, mozzafiato e con battaglie epiche, non fa accorgere della situazione presente.

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  2. ‘È assodato che questo mondo finisce “not with a bang but a whimper”’: Ooooh yessss.

    ‘A questo punto mi parrebbe che la “grande individualità” – del tipo di San Benedetto secondo l’esempio che facevamo, che si paleserà a seguito di tentativi – opererà comunque in un clima per niente “grandioso”...’: direi di sì.

    ‘Infatti questo è un elemento che genera molta confusione e non fa discernere: l’altro giorno, dopo aver letto proprio le tue risposte tra l’altro, parlavo con un amico sulla situazione attuale, e lui preso emotivamente dallo sdegno mi disse proprio: “ci sarà il ragnarök!” Peccato che ci siamo proprio dentro... immaginarselo pieno di “fuochi d’artificio”, grandioso, mozzafiato e con battaglie epiche, non fa accorgere della situazione presente.’
    ESATTAMENTE COSÌ.

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  3. Non ci saranno cose grandiose, né individui di quelli che Herr (ma **non** Herr Professor, questo **mai**) Friedrich Nietzsche avrebbe apprezzato, nulla di grandioso, ma un’oscura discesa e senza fine. “Meglio una fine orrenda che un orrore senza fine”, ma il “mondo” ha scelto l’orrore senza fine, se non capiamo questo, non capiremo mai e poi mai. Tutto pur di “non passare la mano”.

    Il “mondo” non ha la benché minima intenzione di tornare all’ “Età dell’Oro” in cui tutto ha “symbolicamente” il suo Centro nel Principio il quale, a sua volta, “Si” manifesta **apertamente**, il che pone degli **evidenti vincoli** all’individuo umano ed alle società umane, ma **NON CERTO** in forma “legale”! Qual è il bisogno di una “legge” se il Principio “Si” mostra apertamente??

    Ma il mondo non ha scelto l’Età dell’oro, ha scelto l’età dell’orrore senza fine, che è anche l’età dell’errore.

    I “vaguli et blanduli”, i “laudatore temporis acti”, si pongano l’animo - e definitivamente, una vota per tutte - in pace: quelle cose che bramavano i “nichilisti russi”, Nietzsche e compagnia “en chantant” (“café chantant”, ovviamente) **NON CI SARANNO MAI**, **NON SI VERIFICHERANNO MAI E POI MAI**.
    Il mondo **si decompone**, ma **non** esplode, piuttosto “implode”, come prevedeva J. BAUDRILLARD in “Oublier Foucault” del 1 9 7 8 … 1 9 7 8 …

    Il Novecento ha ancora dei “gradi individui”, la cui luce è solo il riflesso di ciò cui si opponevano, e tuttavia dei riverberi luminosi, per quanto rossastri e crepuscolari, vi sono stati: nessun dubbio. Ma oggi, il Novecento è **finito**, stra finito, **sfinito**.
    E NON V’È PIÙ ALCUN “LUME”, **né nel bene né nel male** eh.

    Il liquido non fa resistenza. Se tu eserciti una pressione su di un liquido, le molecole che lo compongono si spostano dalla pressione, e tu vi eserciti su solo una debole pressione. Se manca la resistenza, manca la manifestazione. Questa è una nota “legge ‘ermetica’”, ma poco serve citare questo o quello - il “Kybalion” ecc., ecc. -, se, poi, non si sa applicarla qui ed ora, intorno a noi, “hic et nunc”.

    A che serve ripeter cose che non si comprendono …
    Domanda retorica …

    Se non vi è resistenza, il mondo va avanti, ma sghembo, caotico, non ti puoi aspettare chissà quali reazioni: se non vi è resistenza, non vi è reazione né manifestazione, qualcosa avviene, ma è come un terreno che s’inzuppa sempre di più d’acqua.

    Se il terreno non esercita alcuna resistenza sullo pneumatico, come sul ghiaccio, o su fango inzuppato, quest’ultimo non farà andare avanti la macchina, che si affosserà. Andrà pure un po’ avanti, ma che distanza tra la forza impiegata e gli effetti!


    Si legge ne “Il Regno della Quantità” di Monsieur Guénon, nel primo risvolto della “sovraccoperta”, si legge: “Guénon è l’unico ad aver rescisso dall’inizio tutti quei legami e ad aver descritto il mondo occidentale come contemplando, da uno remota distanza, la terra dove ‘il frutto maturo cade ai piedi dell’albero’”. Questo è l’ultima linea mutevole dell’esagramma n°23 dell’ “I-Ching [“Yijing”]. Occorre che “Si” decida di farlo cadere, tuttavia.
    Tra l’altro, in relazione al link http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/05/un-passo-dal-libro-del-te-di-okakura.html, Guénon cita il “mythos” di Nüwa ne “Il Regno” alle pp. 168-169, edizione Adelphi 1982 (cap. 25, “Le fenditure della Grande MUraglia”), recentemente ripubblicato nei Tascabili “Gli Adelphi” (numeri di pagina identici).

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