venerdì 28 giugno 2013

I frammenti di manoscritti ebraici scoperti nelle legature di libri della Biblioteca del Dottorato dell'Università di Perugia



“Il Documento di Damasco” e la Cairo “Genizah”




Scopritore della Cairo Genizah fu Solomon Schechter, fonte orig.: Schechter, S.: Documents of Jewish sectaries/ edited from Hebrew MSS. in the Cairo Genizah collection, now in the possession of the University Library, Cambridge (Cambridge: University Press, 1910) 2 v 

Da tale “Genizah” proviene il Documento di Damasco, che non si capì mai bene cosa fosse, finché ne fu ritrovato un documento assai simile a Qumràn... 
Ecco un qualcosa, tal similarità, che poco si nota... 

“Soncino Babylonian Talmud”, link utile online




Interessante recente scoperta




“28 giugno 1228, ‘Vigilia Sancti Petri”, Federico II partiva per la VI Crociata”




giovedì 27 giugno 2013

Pietro d'Abano, “Noterelle”, su di lui


Tra le migliori edizioni delle Opere di Pietro d’Abano: “Opere di Pietro d’Abano / a cura di G. I. Ludwig F. C. H. - Padova : Il glifo, copyr. 1982. - 2 v. (181 p.; 59 c.) ; 30 cm. 
Nome reale del curatore: Ludovico Montaldo. 

Su questo stesso autore, Ludovico Montaldo (G. I. Ludwig FCH), vi è un link molto interessante: “Il Grande Atanòr della Creazione”
Qui Ludwig FCH considera vicine Cabala ed Alchimia, ma non nel senso cui spesso si è tentato di avvicinarle, in ambienti occultistici. 
Da rivalutare. 

Chi volesse considerare l’alchimia fuori del mondo filosofico, ed anche religioso, del Medioevo, commetterebbe un errore di valutazione molto grosso, per quanto la questione sia, come semre, controversa. In linea generale: non conosco una questione che sia fondamentale che non sia allo stesso tempo controversa
Sembra impossibile che esista una questione fondamentale che non sia pure controversa...

Sulla contiguità fra l’alchimia e la filosofia medioevale, ma pure con la religione di quei tempi, si può citare l’Aquinate stesso. Non che le due cose fossero uguali o poste sullo stesso livello, e tuttavia di certo avevano un punto di tangenza, di contatto, dove operava una certa vicinanza e contatto, in altre parole: di contiguità, di prossimità e di adiacenza. Ovvero: si toccavano in un punto, pur rimanendo appartenenti a due insiemi differenti.

“Anche il discepolo di Alberto Magno, Tommaso d’Aquino famoso quasi quanto il primo, credeva che fosse possibile produrre alchimisticamente l’oro e l’argento, sebbene affermasse che quell’arte fosse difficile come nessun’altra. Tommaso si rifà infatti ad Aristotele sostenendo che i metalli sono, in definitiva, il prodotto di un’esalazione secca o fumosa, umida o acquosa della terra, quantunque queste esalazioni si mutino, alla prima, rispettivamente in zolfo e mercurio. Ritiene tuttavia che la formazione dei metalli richieda anche i misteriosi interventi di una celestiale potenza non sempre in potere degli alchimisti, per cui costoro avrebbero divuto proporsi anzitutto di stabilire le condizioni nelle quali tale potenza potesse convenientemente operare” (1). 

La teoria alchemica, infatti, sosteneva che tutti i metalli derivassero da una stessa causa, e solo la maggior o minor purezza delle matrici dove questa stessa causa sarebbe venuta ad intervenire faceva sì che si avesse ferro o stagno, per fare un esempio.
Se la causa è la stessa, ergo i metalla si potevano trasmutare l’uno nell’altro fino alla perfezioene dei metalli: l’oro. Similmente si ragionava per l’alchimia interiore.

(1)  Eric J. Holmyard, Storia dell’alchimia, Odoya editrice Bologna, 2009, p. 122. 


Link utili 2


Professor John P. Meier - Fields - Biblical Studies/Christianity and Judaism in Antiquity

http://theology.nd.edu/people/faculty/john-p-meier/

Link validi sul Professor J. P. Meier







Link utili 1

“Professor Francesca Stavrakopoulou - Professor of Hebrew Bible and Ancient Religion / Director of Liberal Arts”

http://humanities.exeter.ac.uk/theology/staff/stavrakopoulou/

Un utile link, soprattutto sulla questione Asherah, per quanto la questione sia decisamente controversa




Per il Solstizio (d’estate), Considerazioni

1.

Riguardo alle “Porte solstiziali”: quella di giugno è la “Porta degli uomini”, che segna l’inizio della parte discensiva del ciclo annuale.





2.

Le due Porte solstiziali han due significati differenti. La Festa dei “Fuochi di San Giovanni (Battista)” è sempre stata festeggiata, al contrario la Festa del solstizio d’inverno è stata assorbita dal Natale.



Mi ha sempre più interessato il solstizio invernale piuttosto che quello estivo, ovvero i “Fuochi di S. Giovanni”, che sono ancor oggi una festa popolare, tra l’altro spesse volte oggi considerata “tipica del mondo celtico”, cosa inesatta, visto che nel Sud d’Italia, ancora negli anni Trenta del secolo scorso, li si vedevano ben diffusi. La Seconda Guerra Mondiale, anche per ovvi motivi, ne segnò il declino. Oggi, al contrario, stanno riprendendo l’usanza, ma con senso ben diverso, non più “popolare”/folkloristico, ma su imitazione del mondo anglosassone, imitazione spesso viziata da motivi politici “neopagani” e/o “di destra” del tutto estranei al significato della festa, sul cui significato “pagano” c’è ben poco da sottolineare o aggiungere. 

Spesso tale senso si acuiva con il “bagno di S. Giovanni”, tra l’altro occasione coloratasi di simbolismo erotico, che fa parte dell’elaborazione tardiva delle varie “leggende sul Battista”, famose soprattutto nel decadentismo. Difatti, è una giovane donna che ne chiede la testa (una “prostituta”, una “donna scarlatta”, per fare un inciso sulla questione di A. Crowley, scarlatto: colore della passione e del delitto passionale, non del delitto a “freddo”); e sul significato anche erotico di questa richiesta molti hanno sin troppo facilmente speculato. Non è che non vi sia, ma il senso più antico non aveva niente a che spartire con il lato erotico, che vi si è aggiunto: il senso più antico, infatti, alludeva al sacrificio annuale del sole per poter rigenerarsi. Il passaggio al simbolismo erotico nasce dal legame fra il sole e la vitalità, che ci sta, chiaro, ma la degenerescenza nasce sempre dal ridurre il tutto alla parte, ad una parte di significato chiaramente che si ritrova all’interno del simbolo in se stesso sin dall’inizio, ma che è e rimane parte.



La degenerescenza s’inaugura sempre dalla riduzione del tutto ad una sua parte, da una riduzione dell’amplitudine del significato dei simboli. Questa è legge sicura, questo è un segno certo.



Il significato delle due feste, quindi, è opposto. Va, infatti, ricordato questo: che il solstizio d’estate segna il punto più alto del corso apparente del sole. Da quel punto preciso a seguire, il sole non può che scendere. L’altra porta solstiziale, al contrario, segna l’inversione positiva del cammino del sole nel cielo. “L’ora più oscura è quella che precede l’alba”, dice un adagio popolare. “Quando la luna è piena non può che cominciare a calare”, dice un adagio cinese che parafrasa l’Yijing [I-Ching].



Tale senso si chiarisce ancor più qualora si pensi al “demone meridiano”. Si reputava che a mezzogiorno (solare, ovviamente, non “legale”), con il sole che martella, come Thor, ma non i giganti, bensì le teste della gente - e ne fa impazzire taluni ... - si liberasse, in quell’aria immota e silente dove nessuna creatura della natura osava fiatare e si poteva soltanto stare sotto un albero, si pensava, dunque, che un demone si liberasse: il demone “del mezzogiorno”, del metà del giorno, “meridiano” appunto.



Era un demone “panico”, affine a Pan. E quindi era cosa buona e giusta togliersi di torno, perché il suo corteggio di satiri e ninfe non era quanto di più salubre. Ma, in tal caso, dal simbolismo anche erotico - che si denuncia dal corteggio “panico” di satiri e ninfe -, si è passati poi ad un senso più sottile. Il demone meridiano è il demone tîs akedhìas, accidiæ, dell’accidia “mediterranea”, così diffusa nel Mediterraneo, e che colorò delle sue scure pennellate l’autunno del mondo antico.



Il legame fra S. Giovanni Battista > Salomè ci riporta alla questione “donna scarlatta” > Grande Babilonia.





3.

Venendo al nostro tema, la “donna scarlatta” - nome che Crowley dava alle sue medium, quelle che si distinguevano per ricettività - è la “prostituta famosa” dell’Apocalisse di Giovanni, capitolo 17.



Molti siti web riprendono la vecchia idea che si tratti di Roma, la Roma pagana, ma attribuiscono tale caratteristica alla Roma papalina e vaticana. Che “la lupa perda il pelo ma non il vizio” non ci piove. Da qui a farne la “prostituta”, la “donna scarlatta” con la quale “tutti i re si sono prostituiti” (allusioni dell’Apocalisse di Giovanni ad Ezechiele 16), però ce ne corre.



La “prostituta” è una potenza precedente al Cristianesimo – su questo l’ Apocalisse di Giovanni è chiara -, ed è chiara l’allusione di Giovanni Evangelista ai culti orgiastici, propri di Babilonia (di qui la qualifica della Prostituta con “babilonese”). Un legame c’era pure con i culti del Vicino Oriente, soprattutto Adone (il “Signore”, alla lettera, l’ “amato dalle donne”). Diciamo che l’“erotizzazione” del simbolismo del taglio della testa di Giovanni il Battista nasce da una “contaminazione” con culti come quello di Adone, che avveniva in Siria, vicino alla Palestina, e quest’ultima poté facilmente esserne influenzata per mezzo del Libano, con il quale la Palestina sempre intratteneva rapporti. E’ una contaminazione di significato: è vano cercare legami “materiali”. Le idee non si possono rinchiudere.



Ora, la Prostituta siede su di una bestia, dalle dieci corna e dalle sette teste, che sono anche colli, e qui l’allusione a Roma è chiara, ma non se ne può dedurre né che l’Impero Romano “in se stesso” fosse sempre male, come fanno taluni, né che la Roma cristiana sia tale Prostituta. Roma potrà essere anche un ibrido fra Israele spirituale e le Genti (Kittìm [dai Kittìm, ed altri popoli, vengono le “genti”: “Testo ebraico e traduzione italiana della “Parashàt’ di Noah”, articolo online]), ma rimane che essa non è necessariamente ipso facto la “prostituta di Babilonia”. 

Infine, Giovanni Apostolo parla di un “ottavo re” - si legga con attenzione il testo - “diverso da tutti quanti gli altri”. Quest’“Impero” che è “diverso da tutti quelli che l’hanno preceduto” si caratterizza da dieci corna: “12  Le dieci corna che hai viste sono dieci re, i quali non hanno ancora ricevuto un regno, ma riceveranno potere regale, per un’ora soltanto insieme con la bestia.  13  Questi hanno un unico intento: consegnare la loro forza e il loro potere alla bestia” (Ap. 17). 



Ed arriviamo al punto, poco notato, ma che è un “segno”: “15  Poi l’angelo mi disse: ‘Le acque che hai viste, presso le quali siede la prostituta, simboleggiano popoli, moltitudini, genti e lingue.  16  Le dieci corna che hai viste e la bestia odieranno la prostituta, la spoglieranno e la lasceranno nuda, ne mangeranno le carni e la bruceranno col fuoco’” (ibid., sottolineature mie).



Che le “acque” siano i popoli (le “Genti”, sì, quelle), è anche cosa comprensibilissima (Populus, in Geomanzia, khatt ar-raml, affine agli esagrammi dell’I-Ching, appartiene all’elemento Acqua). Ora ecco il punto vero: i “dieci re”, mandati dalla Bestia, che hanno potere “per un’ora sola” - cioè solo e soltanto per mandare la Bestia direttamente, e non più indirettamente, al comando dell’intero globo – “dieci re” che, a rigor di logica, dovrebbero sostenere, amare la prostituta di Babilonia, invece la odiano, la divorano dopo averla “denudata” (spogliata degli ornamenti, di ciò che la rendeva “attraente”), e i suoi resti “duri”, non eduli, saranno semplicemente bruciati.



La cosa non quadra con la logica. Come stanno, allora, le cose?





4.

Qualche sito - numericamente assolutamente minoritario - si chiede, quasi sottovoce, se davvero sia l’America la “Grande Prostituta”. Qualcuno si risponde: nooooooo! Ma qualcun altro si risponde un po’ impaurito: e se fosse così?



Diciamo chiaramente che la prostituta di Babilonia non è, non è stata né può essere una nazione qualsivoglia, perché è unapotenza cosmica”, ma che essa è, piuttosto, ciò che sta dietro l’attuale sistema ormai in crisi gravissima ed irreversibile. Ed è proprio questa potenza cosmica la “Prostituta”, che seduce con le sue attrattive cioè gli “ornamenti”, dei quali i “dieci re” spogliano la prostituta stessa. Quest’ultimo fatto vuol dire che essi (“dieci re”) monopolizzeranno tutto ciò, e lo sotrarranno alla Prostituta. Ora dunque poiché nelle vene della prostituta, nonostante i suoi belletti, scorre nero petrolio, verde denaro e giallo oro, è possibile che la questione di ciò che nel Medioevo si chiamava “aqua diaboli” (olio di pietra ovvero petrolio) vi sia connessa, come - d’altro canto - vi è sicuramente direttamente connessa la questione dell’oro e delle riserve auree. 
Ora l’oro è simbolo del sole, ma pure del sole meramente vitale, ovvero che “soddisfa i desideri”, soddisfacimento del quale l’oro è facilmente simbolo. Infatti, nello Shrîmad-Bhâgavatam al Kali-Yuga si connettono il gioco d’azzardo, la macellazione incontrollata d’animali e – non certo per caso - la prostituzione, ma soprattutto l’oro e la sua brama, che genera questi ed altri mali.



Ciò che sta dietro all’attuale sistema ha attualmente ancora il suo centro negli Usa, questo è certo. Ma è molto ma molto indebolitosi.

Quindi c’è sì, davvero, un legame, ma non certo diretto.



Ora quel che sta succedendo lo si può riassumere come segue. 
La “Bestia”, per assumere direttamente il potere, deve in qualche modo “togliere di mezzo”, ma dall’interno, la Prostituta. Il che spiegherebbe questo loro comportamento.

  

Combattere la prostituta per noi, che siamo nati nel suo mondo, alla fin fine non è difficile: basta che non apri la porta. E sei solo tu che puoi aprirla. Tale potenza cosmica ti può sedurre acciocché tu l’apra, ma non può costringerti. Che poi molti amino aprire quella porta è indubbio, ma è altro discorso...



E se viene una tigre che abbatte la porta? Tal eventualità ovviamente non balena nel modo più assoluto in certi cervelli, le cui idee sono ferme a cinquant’anni e più fa.



Se queste considerazioni posseggono una parte di verità, si spiega la tendenza sempre più pronunciata a chiudere le decisioni in àmbiti sempre più ristrette, ad intaccare le “libertà civili” e via dicendo. 
E il web? E’ il necessario, temporaneo sfogo.





5.

Un’ultima notazione va fatta riguardo al linguaggio delle Sacre Scritture. In esse si chiama “re” il potere temporale, qualunque sia la forma per mezzo della quale funziona.



E’ importante sottolinearlo. Di solito la democrazia vien vista come “femminile” - di qui l’evidente legame fra gli Usa e la “Prostituta babilonese” - mentre la monarchia è “maschile”. Tali caratterizzazioni non devono farci cadere nella trappole: monarchia = bene, democrazia = male. O viceversa.

Per esempio, l’oligarchia, la degenerescenza della democrazia, è femminile anch’essa, mentre la tirannide, la degenerescenza della monarchia, è anch’essa maschile. In altre parole: la distinzione “maschile/femminile” non è in se stessa un “giudizio di valore”: c’è la forma buona e quella cattiva di ambedue. Essa si riferisce solo e soltanto al modo di esercizio del potere: più indiretto (= “femminile”) o al contrario diretto (= “maschile”).

IN ALTRE PAROLE, QUESTA CATEGORIE NON SONO “POLITICHE” IN NESSUN SENSO, SON FUNZIONALI, PRENDONO NOTA DELLA FUNZIONE, ATTIVA O PASSIVA. 



Il passaggio dall’epoca “prostituta” a quella “bestia” è precisamente il cambiamento di modalità - non di finalità - nell’esercizio della dominazione globale.



Un’ultima considerazione, doverosa. Anch’io penso che la “prostituta” non può durare per sempre, ed anch’io sostengo che ad un certo punto è meglio che le cose si chiariscano piuttosto che continuare confuse. Ma non è che la prostituta crolli perché si vada verso un “ritorno alla Tradizione”!



Sta in questo punto preciso l’opera di seduzione, dove la lotta esteriore alla POTENZA della “PROSTITUTA” di fatto viene inevitabilmente a saldarsi con l’opera della Bestia. Ed è precisamente qui che la cecità di troppi è un errore molto grosso.



Poiché è chiaro: cadere in questa trappola significa di fatto favorire la Bestia. E a poco servono le giustificazioni a posteriori. Ciò che si è fatto si è fatto.






P.S.

E’ interessante sottolineare il simbolo dell’O.T.O. (almeno nella versione della Loggia “scarlet woman”, cioè la “prostituta di Babilonia”, perché la “donna scarlatta” non è altro che questa potenza cosmica (non è un individuo, ovviamente)).



Tale simbolo è una stella invertita, ma non il ben noto Pentagramma, stella “a cinque punte”, ma l’Eptagramma, stella “a sette punte”.



Ovviamente sempre invertita.

 


“IL BUON (BEL) PASTORE ”

IL BUON (BEL) PASTORE

(2013)



Introduzione
Il Cristianesimo non è una mera dottrina, lo è anche, ma non in modo sostanziale, il Cristianesimo è una Persona, Cristo. E Cristo è il Buon Pastore par excellence, dunque lo scopo del Cristianesimo è “pastorale” in una dimensione sostanziale per cui: non si tratta di accessorio né di mere aggiunte strumentali. Lo scopo del Cristianesimo è la sequela Christi, la sequela del Pastore: pastori che diventano pastori. La conoscenza fondamentale non è mera ripetizione, ma piuttosto imitazione (imitatio Christi), non sola conoscenza “mentale”, ma esperienza di vita. La conoscenza del Cristianesimo è la salvezza.
In effetti, prima che il nome “Xristianòs” fosse udito per la prima volta ad Antiochia, i (futuri) “cristiani” erano detti: coloro i quali seguivano il Cammino, la Strada, la Via, che in greco è odòs (At., cap. XVIII). Non certo per caso o senza una ragione precisa che, dunque, Cristo stesso disse di Sé: Ego sum Via Veritas Vita, dove, solitamente, si sottolinea le ultima due parola, ma non certamente la prima… Il senso del Cristianesimo come cammino si è, in linea generale parlando, alquanto perduto negli ultimi tempi. Certo: “La Verità vi farà liberi”, recita la nota affermazione dell’Evangelo, ma se la Verità non sarà un concreto cammino, una “Via”, la Verità rimarrà sterile e non potrà, piaccia o non, andar oltre le affermazioni di principio.
Proprio partendo da tali assunti, non si può fare a meno di sottolineare la grande differenza tra l’insegnamento di Cristo e quello dei coevi Rabbini, nel novero dei quali, nonostante l’autorevolezza e la “potenza” con la quale Cristo insegnava e dava “segni” (i “miracula”, le cose degne di ammirazione), Cristo non fu mai posto né mai si pose, salvo il titolo onorifico di “Maestro”, che, però, ci dobbiamo guardar bene d’interpretare nel senso del coevo Giudaismo.
Il “rabbi” si poneva sul mercato, per così dire, ed accettava discepoli, i quali stavano con lui allo scopo d’apprendere la Legge rivelata giudaica. Terminato l’insegnamento, terminava la relazione. Vi era una concorrenza nel seguire i “rabbìm” più autorevoli o famosi. Paolo sì che seguì l’insegnamento regolare e comune giudaico della sua epoca: fu, com’è noto, discepolo dell’importante rabbi Gamaliele. Per Cristo, non solo lo scopo dell’insegnamento non era quello di ben conoscere i meandri della Legge giudaica in se stessa, ma piuttosto era quello d’imitare Lui, ma lo stesso Gesù sceglieva i suoi discepoli. Non solo questo, ma Gesù distingueva tra l’insegnamento per la folla, e quello per i discepoli. All’interno di questo novero, si segnalano gli Apostoli. Di nuovo, si sottolinea la disparità e la differenza rispetto al coevo insegnamento rabbinico.
Sicuramente oltre alla Via ed alla Verità, la Vita (“eterna”) è il nocciolo dell’insegnamento di Gesù, la Vita “in se stessa” (zoè), e non la vita come manifestazioni biologiche (bìos). Qui l’insegnamento di Gesù opera una paradossale inversione: la Crux, in Giovanni - a differenza di Paolo – non è il luogo della “kènosis”, ma della “dôxa”, della Potenza-Gloria (kavòd) di Dio che “vince il mondo”, nella prospettiva giovannea.
Questa scena “finale”, sotto la Croce, ha la sua rilevanza, perché Gesù di nuovo inverte le prospettive: Egli prega per coloro i quali lo crocifiggono. Questa stessa inversione “apocalittica”, ovvero “rivelativa” e “rivelante”, si è però già mostrata quando Gesù aveva pregato per i suoi discepoli. Ora, all’epoca era totalmente impossibile che i discepoli pregassero per il loro maestro, era una cosa impossibile a concepirsi. Il contrario, al contrario, accadeva spesso.
Altra cosa da sottolinearsi è che l’ insegnamento di Gesù, il suo “stile”, ben lungi dall’essere “istituzionale” come all’epoca lo era quello dei rabbini, e come lo è oggi quello della Chiesa (come lo è quello di ogni chiesa religiosa), era di tipo che “chetonico”, cioè occasionale, non formale. Si nota, tuttavia, come Gesù ben conoscesse la Scrittura, che citava come un Libro materno, e su questo, da più parti, gli si riconosceva una grande autorità: questo è davvero molto importante da sottolinearsi.
Per sintetizzare: Cristo Gesù fu Maestro di Vita. Fu piuttosto Paolo ad introdurre le preoccupazioni dottrinali. Ma di cosa fu Maestro di Vita Cristo? Della “vita buona”? No, questo termine è insufficiente a denotare il Suo Magistero che fu anche l’opera di una vita. Egli fu, piuttosto, Maestro della Vita Nuova, sì, come la Vita Nova di Dante, un rivolgimento totale, un cambiamento completo di prospettive.
Per Lui i discepoli non sono allievi. Egli insegnava alla sequela, alla sequela di Lui stesso. Egli preparava a dare la propria vita per la Vita eterna.


Parola (e Nome). Tra i titoli di Cristo, il Buon (Bel) Pastore
Quello di “Buon (Bel) Pastore” è un Titolo cristico, un appellativo dato a Gesù Cristo, la cui origine è nella Bibbia veterotestametaria - già nella figura di Mosè vi è, in nuce, quella del Buon Pastore -, ma che, come Titolo applicato a Cristo stesso, acquista inevitabilmente una tutt’altra dimensione.
Nella religione giudaica, Dio crea il mondo con la Parola. La Parola si restringe al Nome di Dio, impronunciabile, che, tuttavia, diventa la pietra miliare di tutta una teoria del linguaggio1. Dio dona all’uomo il suo pneuma, la sua ruàch, il suo spirito, per cui è questo che lo rende “a Sua immagine” (tzelèm), e questo si manifesta nella capacità umana di usare il linguaggio, non con la creatività divina, e tuttavia l’uomo “partecipa” parzialmente di tale creatività, in modo riflesso.
Il Nome divino diventò impronunciabile anche per una serie di abusi magistici2, un abuso che vediamo ritornare, in epoca cristiana, nella costruzione del golem, quest’ultimo essendo dotato di sola “vitalità” legata al nephesh, “la” bìos, l’anima “vital-passionale”, non la “vitalità pura” della nishamàt chaym.
Nel Cristianesimo è Cristo che è la Parola di Dio (Lògos, Gv., Prologo). Egli è anche il Nome rivelato, e per questo i Titoli cristici hanno tanta importanza e non son casuali. Essi sono la rivelazione di aspetti dell’Unica Parola, “che creò il Cielo e la Terra”, il Logos-Cristo.
In altre parole: nel Cristianesimo la Parola di Dio, il Suo Nome si può dire, anzi, si deve dire, anzi nel “Suo Nome” ogni cosa fu fatta e si continua a fare, oltre il tempo, perché non vi fu mai un tempo in cui “non fu” o “non sia”.
Questo è il senso profondo del Vangelo di Giovanni, unito al tema di Cristo “che ha sconfitto il mondo”, recalcitrante ad ammettere questa rivelazione, impossibilitato ad accettare il “Nome Nuovo”, cui fa riferimento anche l’ Apocalisse, dello stesso Giovanni (secondo i dati tradizionali, posti in questione oggi, ma che, tuttavia, non son falsi, se si pensa che l’Apocalisse fosse parto della scuola giovannea).
Anche negli Atti è il “Nome” del Cristo che è il Salvatore, che è il Logos, che è la Parola di Dio: “Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (At. 2, 36).
Ancora: “Il Signore Risorto è lo Spirito datore di vita” (1 Cor. 15, 45).
Ogni “Titolo cristico”, allora, è rivelazione di un aspetto della Parola-Logos, la qual è Cristo stesso. Il Buon Pastore rivela l’Amore del Padre, la sollecitudine verso tutte le creature.
Questa centralità della figura cristica è stato il senso, o un senso importante, del Vaticano II3. Diciamo che, negli ultimi tempi, la centralità della figura del Cristo è quasi passata in secondo piano, piuttosto è la Madonna che sta al centro della scena ecclesiale.
In tal senso, potremmo dire, a proposito del Vaticano II, che taluni nodi fondamentali non sono stati recepiti, o non assunti a dovere, o insufficientemente, in particolare proprio la centralità cristica, l’accento essendo stato posto, anche giustamente, di certo inevitabilmente, sulla presentazione al mondo e sulla necessaria revisione di certi aspetti datati. E tuttavia, non ci si può dimenticare di questo fatto:
«La Chiesa del tempo apostolico si valeva delle Scritture in modo cristocentrico. Si trattava di un elemento essenziale del suo modus vivendi, essendo quindi un elemento appartenente al depositum fidei. Nel tempo attuale, la ripresa e l’indagine a fondo – mediante lo studio del tema dell’ispirazione – della centralità del Cristo nella Sacra Scrittura sono requisiti necessari» 4.
Come si è appena detto, però, non sembra che tale tema sia stato sufficientemente recepito. E lo stesso autore appena citato lo afferma con chiarezza: “La ripresa dell’importanza di Cristo per l’insegnamento sul concetto teologico di ispirazione è stata solamente iniziata. C’è ancora tanto da fare in questo senso. Saranno mai sfruttate le prospettive che indicano il ruolo essenziale di Cristo in questo campo teologico? La risposta è ovviamente un’incognita”5.
Probabilmente questa sarà la frontiera appena immediata della ricerca teologica di qui a breve.


I due sensi del Buon Pastore
Si riflette molto poco sul fatto che, in greco, il “buon” Pastore è anche, allo tempo stesso, il “bel” Pastore perché in greco sono la stessa parola. Si dovrebbe sottolineare questo punto, che si perde nelle traduzioni. Qui “bello” non ha evidentemente che ben poco a spartire con le considerazioni estetiche, ma è la bellezza che rivela “il Volto del Padre” e, in tal senso, si fa simile alla bontà che è Amore.
Essa è la bellezza del “Vieni e seguimi” e dell’attività del Missionario6.
Tale bellezza è l’esternarsi, l’esprimersi della Misericordia di Cristo, che rivela il Volto del Padre7.
“Il Buon Pastore deve essere nell’intimità del mistero d’amore di Dio. La sua gioia è data dallo stupore della corrispondenza vitale con il suo Signore. Ma è così che gli uomini vedono la sincerità e la trasparenza della sua testimonianza”8.
Questo porta, tuttavia, una grave difficoltà, che è lo «spirito di autonomia che dirige la coscienza degli uomini, che deve incontrare. Adamo dal primo momento del suo esistere si allontana dalla presenza del suo Signore e afferma la sua qualità di essere libero. Solo l’inventiva di Dio è in grado di rintracciare l’uomo che si nasconde. (…) Eppure soltanto l’amore salva. (…) Si comprende, allora, che il posto del Buon Pastore è ai piedi della Croce. Il Cristo della Croce è il punto centrale in cui tutte le linee del mondo umano confluiscono, il punto su cui tutto precipita. Il punto che tutto raccoglie e che tiene insieme ogni cosa. Questo punto centrale, in quanto estrema profondità del dolore, è comprensione per ogni uomo e per ogni cosa dell’uomo, perché il dolore è purificazione, il dolore è espiazione, il dolore è liberazione. Ogni essere è connesso al Crocifisso, ogni essere è sorretto dal Crocifisso, ogni essere viene riempito di vita dal Crocifisso, ogni essere viene salvato dal Crocifisso: “Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me” (Gv., 12-, 32). Il Buon Pastore è il crocifisso della storia, che rifonda per gli uomini mortali “la speranza piena d’immortalità”, perché egli è colui che ama e l’amore non viene mai crocifisso. Rimane vivo ed assoluto per donare la vita eterna ad ogni uomo»9.
In tal senso, quest’Amore che “non può esser crocifisso” è non solo “buono” di una bontà sovrumana e divina, ma rimane “bello”. Il Buon Pastore, assiso sulla Croce, non perde mai la sua bellezza (con buona pace di M. Gibson e di tutta una visione penitenzialistica…), perché non è un mero uomo posto sul supplizio della Croce, ma ben altro.
Il sacrificio ed il dolore, per il Buon pastore-Cristo, non sono mero dolore ma sono piuttosto l’essere innalzato, sono un evento di vittoria, sono il c capovolgimento della “logica” di questo mondo. In tal senso, la Croce è “buona” e “bella” al tempo stesso. Purtroppo gli uomini hanno troppo spesso visto in tutto ciò un mero fatto di dolore, del quale si son caricati, come se avessero potuto “aggiungere” al dolore di Gesù del proprio. Ogni dolore che l’uomo possa subire tutt’al più è “partecipazione” a quello del cristo, e non vi aggiunge nulla. Ed ogni dolore che diventi salvifico non lo è in quanto tale, ma solo, e soltanto, a misura che il Cristo v’intervenga e lo purifichi e lo assuma su di Sé, come il Buon pastore che va in cerca pure dell’ultima delle pecorelle, il che ha una logica del tutto paradossale. Quale pastore reale, concreto, storico, sacrificherebbe mai l’intero suo gregge per una misera pecorella?


Aspetti. Kènosis e Pax
Parlare di tutti gli aspetti del “Buon Pastore” è davvero difficile. Qui ci si concentrerà solo su due aspetti: la “kènosis” e la “Pax”, la Pax Christi, collegata direttamente alla figura del Buon Pastore.
In altre parole, gli aspetti del Buon pastore sono un’ulteriore specificazione del Titolo di Buon pastore, che, a sua volta, non è altro che la rivelazione di un lato, di una spetto del Logos-Cristo in “Sé Stesso”.
La scelta dei due aspetti nasce dal fatto che mi hanno più colpito, ed inoltre dal fatto che sembrano paradossali (sul lato missionario si è già detto, in estrema sintesi, nel capitolo immediatamente precedente).
La “kènosis” è la dimensione di allontanamento, il “diminuire” e l’allontanarsi che Dio fa per avvicinarsi all’uomo.
La “kènosis” è la Croce, essa è l’apparente “negarsi” di Dio che è la cagione della ricerca stessa, ed è la ragione profonda della vittoria di Cristo sul mondo. Proprio perché si abbassa Cristo è innalzato: paradosso incomprensibile al mondo con le sue logiche inverse, dove abbassare gli altri è al chiave di volta di ogni azione che ha successo.
In tal senso, tale dimensione “kenotica” richiede una libera risposta da parte umana, ed è la fede.
Punto decisivo è il render presente il tempo della salvezza avvenuto, non “da venire” chissà quanto, ma già presente. Certo imperfetta, incompleta, e tuttavia non falsa: è il tempo del già ma non ancora completo, il tempo delle primizie e non del raccolto. Ma le primizie avvengono forse in inverno o non è già primavera? Certo, ripetiamolo, non è il tempo del raccolto finale, il giugno dello spirito, ma è già qualcosa di vero, di attualmente prendete ed operante.
Ecco il senso pieno del Buon (Bel) Pastore, al di là ed alla radice di tanti aspetti e specificazioni ulteriori successive.
E che cosa va predicendo in effetti il Buon pastore?
Qual è l’essenza di ciò che annuncia, al di là dei tanti aspetti, ulteriori?
Il Buon Pastore predica la Pace. Questa è l’essenza vera ed imperitura di tutta la sua predicazione, anzi, l’essenza di ciò che è. Pace fra uomini in base alla Pace tra uomo e Dio, che è la struttura portante della successiva pace umana.
Non vi è, infatti, pace umana possibile senza una Pace con Dio: questo il Buon Pastore lo sa, nella sua stessa carne.
Questo perché “La pace è il Messia10, è la sua natura profonda, sostanziale.
Kènosis et Pax, un binomio inscindibile, come morte e risurrezione.
Proprio perché c’è stata la kènosis vi è la pace, e l’effetto della kènosis è la pace, così come la pace, per poter perdurare, richiamerà sempre la kenosis.
Ben lungi dall’essere un accessorio secondario, o una mera conseguenza incidentale ed accidentale, la Pax è la compagna necessaria della kènosis. La kènosis è la compagna necessaria della Pax.
In altre parole, non vi può essere l’una senza l’altra, in un’ottica autenticamente cristiana. La discesa e l’allontanamento son volti al ritrovamento di una Nuova Alleanza, che è, in se stessa, la Pace che promette, che è, in se stessa e sempre nel rispetto della libertà umana, la Pietra Miliare di tutto l’edificio successivo.



Bibliografia

Fonti
Scritturali
La Bibbia di Gerusalemme, Nuovo Testamento vol. XII, Lettere di San Paolo II Lettere cattoliche - Apocalisse, commento di Gianfranco Ravasi, Corriere della Sera, Milano 2006.

Libri
Andrade Alves C., Ispirazione e Verità. Genesi, sintesi e prospettive della dottrina sull’ispirazione biblica del Vaticano II (DV11), Armando Editore, Roma 2012.
Nogaro R., Il Buon Pastore. Note di spiritualità pastorale, Diocesi di Caserta, 2006-2007.
SCHOLEM G., Il Nome di Dio e la teoria cabalistica del linguaggio, Adelphi, Milano 2010.

NOTE

1 Cf. G. Scholem, Il Nome di Dio e la teoria cabalistica del linguaggio, Adelphi, Milano 2010.
2 Cf. Ibid, p. 35 e sgg.
3 Cf. C. Andrade Alves, Ispirazione e Verità. Genesi, sintesi e prospettive della dottrina sull’ispirazione biblica del Vaticano II (DV11), Armando Editore, Roma 2012.
4 Ibid., p. 388.
5 Ibid..
6 Cf. R. Nogaro, Il Buon Pastore. Note di spiritualità pastorale, Diocesi di Caserta, 2006-2007, p. 42 e sgg.
7 Cf. Ibid, p. 47 e sgg.
8 Ibid, p. 49.
9 Cf. Ibid, pp. 49-50.
10 Ibid, p. 32; corsivo di Nogaro.


[Andrea A. Ianniello]