“Un rito indù
di Federico II”
“E’ nostra
intenzione mostrare le cose che sono, come sono”.
Federico
II di Svevia, De Arte venandi
cum avibus
“Lo Presto Giovanni,
nobilissimo signore indiano, mandoe
ricca e nobile
ambasceria al nobile e potente imperadore
Federigo, a colui che
veramente fue specchio del mondo
in parlare e in costumi,
e amò molto delicato parlare,
e istudiò in dare savi
responsi”.
(Novellino,
II, da: G. Cattaneo, Federico
II di Svevia.
Specchio
del mondo, Tascabili Newton
1995, p. 6)
“… quelle indoli
sovrane che sanno riassumere in sé la forza
verso l’esterno e la
personale sete di sapere, la promozione
delle arti e delle scienze,
senza trascurare l’economia o
lasciare i confini in balia
del nemico. Doti universali
come queste sono rarissime
nei sovrani; nel corso
dei millenni si possono
anzi contare sulle dita, pur se alla
nostra piccola Europa
aggiungiamo l’Asia e se T’ai Tsung,
Ming Huang-ti o il grande
Akbar vengono ad assommarsi
al
secondo Federico degli Hohenstaufen o degli
Hohenzollern, al secondo
Giuseppe
degli Asburgo o al Re
Sole”.
(H.
Schreiber, Gli arabi in
Spagna,
Garzanti 1982, p. 107)
Articolo originario. [Riporto da un mio precedente articolo di giornale, pubblicato su “Il Giornale di Caserta” dell’ottobre del 2006]
Vi è un passo poco
noto, ma molto interessante, riportato nelle Cronache medioevali a
riguardo di Federico II di Svevia, riscoperto durante il Convegno
Nazionale di studi sanscriti (ottobre 1999). Ne parla Vito Salierno
in: “Federico II Hohenstaufen ed un rito indiano” (Atti
del Decimo Convegno Studi Sanscriti, A.I.S.S. Torino 2003, pp.
187-192). Ma che c’entra mai Federico II con l’India?! “Il
rapporto di Federico II con l’India deriva da un lato dalla sua
curiosità e interesse per gli aspetti culturali d’Oriente e
dall’altro dal suo gusto per la magnificenza ed il fasto delle
corti orientali, frutto anche del suo soggiorno in Palestina durante
la quinta crociata, senza parlare dei rapporti diretti o indiretti
con l’emiro Fakr ed-Dîn ed il sultano Malik al-Kâmil. Il suo
interesse non era superficiale, anche se oggi molti dei suoi quesiti
sembrano a noi ovvi: non lo erano per quei tempi che gli avevano dato
il soprannome di ‘stupor mundi’. Federico II era solito porre
domande e problemi ai dotti del suo tempo, in particolare ai dotti
arabi: sono noti i cosiddetti ‘Quesiti siciliani’ ch’egli aveva
proposto (…). I quesiti di Federico II riguardavano l’eternità
del mondo, l’immortalità dell’anima e il valore degli
insegnamenti divini: per una soluzione di questi quesiti il califfo
si rivolse al dotto maghrebino Ibn Sab’în [Murcia, Andalusia 1216
– La Mecca 1271] che redasse le risposte tra il 1237 ed il 1242.
Non sappiamo se questi quesiti fossero più formulati per far sfoggio
di dottrina (…) che per ottenerne una risposta: la realtà è che
Federico II si poneva e poneva al suo entourage problemi d’ogni
genere” (ibid., pp. 187-188). Forse si avrà l’occasione di
tornare su questi “Quesiti Siciliani”, ma veniamo al “quesito
indiano”. Si narra “che un giorno in un colloquio con un dotto
ebreo, l’imperatore gli chiese come mai Maimonide [Cordova,
Andalusia 1135 – Il Cairo 1204], né nella ‘Guida dei
dubbiosi’ [Dalâlat al-Hâ’irîn, tradotto in italiano
per la Utet come Guida ai perplessi, un libro che lascia
perplessi, molto bello, dove il gusto della domanda supera le
possibilità di fornire risposte], né nelle ‘Ragioni dei
precetti’ [Sèfer ha-Mitzvòth, che vuole spiegare le
ragioni dei precetti della Legge mosaica] avesse spiegato l’origine
di un singolare rito mosaico secondo il quale la purificazione
dovesse essere fatta con le ceneri di una vacca rossa.
All’impossibilità di avere una risposta, Federico II propose una
sua spiegazione facendolo derivare da un antichissimo rito
dell’India, l’olocausto del leone fulvo di cui parla un non ben
identificato ‘Libro dei sapienti indiani’” (ibid., pp.
188-189).
Anche Kantorowicz,
nella sua “monumentale biografia” (Salierno) di Federico II, ne
parla, ma Kantorowicz riporta pure una possibile origine egizia
ipotizzata dall’eclettico imperatore (cfr. Kantorowicz: Federico
II Imperatore, Garzanti 1981 (recentemente ripubblicato), p.
309). Salierno suggerisce come “unico spiraglio” per identificare
tale “Libro dei sapienti indiani” i primi due canti del
Raghuvamśa di Kâlidâsa, che narra “dell’offerta del
proprio corpo fatta dal re Dilîpa al leone in cambio della vacca
Nandinî, preda della fiera” (Salierno, cit., pp. 189-190). Questo
per espiare un errore compiuto dal re stesso verso la vacca “che
esaudisce ogni disio”. Dopo aver offerto il suo corpo al leone in
cambio di Nandinî e recuperata la sua forza in precedenza perduta,
il “leone rivela di essere un’illusione creata dalla vacca
stessa” (ibid., p. 191), per cui la cosa si risolve bene. Il leone
non è altri che un “famiglio di Shiva” (ibid.). Si chiede
Salierno: “Che non sia quello del leone un sacrificio sostituito
poi in età vedica dall’ ‘aśvamedha’?” (ibid.).
L’“aśvamedha” è il sacrificio del cavallo, il più
importante della tradizione vedica indù. Tutti problemi aperti, ma
una cosa si può notare. La “purificazione” di cui parla Federico
II in realtà è riferita ai riti del Tempio, il che ne spiega il
disuso e l’incomprensione delle sue motivazioni. Tant’è che c’è
a Gerusalemme il “Temple Institute” che, molto seriamente,
progetta la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme (che sarebbe il
Terzo Tempio). C’è il sito Internet ed hanno già costruito molte
suppellettili (è un “ente morale” cui si possono destinare
donazioni). Oggi ha l’appoggio della maggioranza degli Israeliani,
a differenza di qualche anno fa. Ebbene, essi cercano la “Red
Heifer”, la vacca fulva, la “giovenca rossa”, alla lettera,
le cui ceneri usare per la purificazione e consacrazione del locale
dove riallocare il Tempio. La questione posta da Federico II ai suoi
tempi, così, torna singolarmente d’attualità.
[Andrea A. Ianniello]
Ho appena trovato questo articolo di quasi un anno fa: http://www.associazionelatorre.com/2015/08/terzo-tempio-disraele-e-nata-la-mucca-rossa-iniziano-gli-scontri/
RispondiEliminaInteressante poiché “The Red Heifer” è “il” segno della ricostruzione del Terzo Tempio, si dice.
RispondiEliminaSi notino le date della scoperta della “Joe Venga [da] Rho [a] SA”, e che – l’anno dopo – accade qualcosa di fondamentale, e tuttavia, il cavallo di ricorsa non entra nel Palio: anche l’ultima volta - che sembrava poter entrare in gara, poi s’è fermato sulla soglia, o “sulla sogliola”, come dico per “i” scherzo.
RispondiEliminaIl 1997: il 1998 nasceva l’area Euroa e c’era la crisi asiatica.
Il 2002: l’anno dopo iniziava la terribile “seconda guerra del Golfo”.
Il 2015: l’anno dopo era il punto culminate della crisi siariana.
Ed ora, l’anno scorso, han ritrovato un’altra giovenca rossa: dunque occorre veder bene quest’anno se possa quindi accader qualcosa che, in luogo di far progredire la crisi, dunque allontanandola dal suo “klìmax”, invece lasci maturare la crisi stessa.
Ma occorre sempre veder bene se la giovenca rossa – ritrovata esattamente un anno fa, il febbraio 2017 –, sarà trovata manchevole o non.
E si badi: basta un sol pelo non “regolamentare”, per inficiare **tutto**, assolutamente tutto.
Quest’attenzione al particolare, alla più stretta e letterale osservanza della Legge, poi, è tipica della mentalità giudaica.
Tutto il mondo gironzola attorno a questo parto che, però, non avviene mai: c’è sempre qualcosa che ferma, che rallenta, o, più spesso, da quando fermare o rallentare **non è più** stato possibile, che **devia**, oggi si devia questa forza, più che rallentarla.