lunedì 17 giugno 2013

“Un rito indù di Federico II”



“Un rito indù di Federico II”



E’ nostra intenzione mostrare le cose che sono, come sono”.
Federico II di Svevia, De Arte venandi cum avibus

Lo Presto Giovanni, nobilissimo signore indiano, mandoe
ricca e nobile ambasceria al nobile e potente imperadore
Federigo, a colui che veramente fue specchio del mondo
in parlare e in costumi, e amò molto delicato parlare,
e istudiò in dare savi responsi”.
(Novellino, II, da: G. Cattaneo, Federico II di Svevia.
Specchio del mondo, Tascabili Newton 1995, p. 6)

“… quelle indoli sovrane che sanno riassumere in sé la forza
verso l’esterno e la personale sete di sapere, la promozione
delle arti e delle scienze, senza trascurare l’economia o
lasciare i confini in balia del nemico. Doti universali
come queste sono rarissime nei sovrani; nel corso
dei millenni si possono anzi contare sulle dita, pur se alla
nostra piccola Europa aggiungiamo l’Asia e se T’ai Tsung,
Ming Huang-ti o il grande Akbar vengono ad assommarsi
al secondo Federico degli Hohenstaufen o degli
Hohenzollern, al secondo Giuseppe
degli Asburgo o al Re Sole”.
(H. Schreiber, Gli arabi in Spagna,
Garzanti 1982, p. 107)


Articolo originario. [Riporto da un mio precedente articolo di giornale, pubblicato su “Il Giornale di Caserta” dell’ottobre del 2006] 
 

Vi è un passo poco noto, ma molto interessante, riportato nelle Cronache medioevali a riguardo di Federico II di Svevia, riscoperto durante il Convegno Nazionale di studi sanscriti (ottobre 1999). Ne parla Vito Salierno in: “Federico II Hohenstaufen ed un rito indiano” (Atti del Decimo Convegno Studi Sanscriti, A.I.S.S. Torino 2003, pp. 187-192). Ma che c’entra mai Federico II con l’India?! “Il rapporto di Federico II con l’India deriva da un lato dalla sua curiosità e interesse per gli aspetti culturali d’Oriente e dall’altro dal suo gusto per la magnificenza ed il fasto delle corti orientali, frutto anche del suo soggiorno in Palestina durante la quinta crociata, senza parlare dei rapporti diretti o indiretti con l’emiro Fakr ed-Dîn ed il sultano Malik al-Kâmil. Il suo interesse non era superficiale, anche se oggi molti dei suoi quesiti sembrano a noi ovvi: non lo erano per quei tempi che gli avevano dato il soprannome di ‘stupor mundi’. Federico II era solito porre domande e problemi ai dotti del suo tempo, in particolare ai dotti arabi: sono noti i cosiddetti ‘Quesiti siciliani’ ch’egli aveva proposto (…). I quesiti di Federico II riguardavano l’eternità del mondo, l’immortalità dell’anima e il valore degli insegnamenti divini: per una soluzione di questi quesiti il califfo si rivolse al dotto maghrebino Ibn Sab’în [Murcia, Andalusia 1216 – La Mecca 1271] che redasse le risposte tra il 1237 ed il 1242. Non sappiamo se questi quesiti fossero più formulati per far sfoggio di dottrina (…) che per ottenerne una risposta: la realtà è che Federico II si poneva e poneva al suo entourage problemi d’ogni genere” (ibid., pp. 187-188). Forse si avrà l’occasione di tornare su questi “Quesiti Siciliani”, ma veniamo al “quesito indiano”. Si narra “che un giorno in un colloquio con un dotto ebreo, l’imperatore gli chiese come mai Maimonide [Cordova, Andalusia 1135 – Il Cairo 1204], né nella ‘Guida dei dubbiosi’ [Dalâlat al-Hâ’irîn, tradotto in italiano per la Utet come Guida ai perplessi, un libro che lascia perplessi, molto bello, dove il gusto della domanda supera le possibilità di fornire risposte], né nelle ‘Ragioni dei precetti’ [Sèfer ha-Mitzvòth, che vuole spiegare le ragioni dei precetti della Legge mosaica] avesse spiegato l’origine di un singolare rito mosaico secondo il quale la purificazione dovesse essere fatta con le ceneri di una vacca rossa. All’impossibilità di avere una risposta, Federico II propose una sua spiegazione facendolo derivare da un antichissimo rito dell’India, l’olocausto del leone fulvo di cui parla un non ben identificato ‘Libro dei sapienti indiani’” (ibid., pp. 188-189).
Anche Kantorowicz, nella sua “monumentale biografia” (Salierno) di Federico II, ne parla, ma Kantorowicz riporta pure una possibile origine egizia ipotizzata dall’eclettico imperatore (cfr. Kantorowicz: Federico II Imperatore, Garzanti 1981 (recentemente ripubblicato), p. 309). Salierno suggerisce come “unico spiraglio” per identificare tale “Libro dei sapienti indiani” i primi due canti del Raghuvamśa di Kâlidâsa, che narra “dell’offerta del proprio corpo fatta dal re Dilîpa al leone in cambio della vacca Nandinî, preda della fiera” (Salierno, cit., pp. 189-190). Questo per espiare un errore compiuto dal re stesso verso la vacca “che esaudisce ogni disio”. Dopo aver offerto il suo corpo al leone in cambio di Nandinî e recuperata la sua forza in precedenza perduta, il “leone rivela di essere un’illusione creata dalla vacca stessa” (ibid., p. 191), per cui la cosa si risolve bene. Il leone non è altri che un “famiglio di Shiva” (ibid.). Si chiede Salierno: “Che non sia quello del leone un sacrificio sostituito poi in età vedica dall’ ‘aśvamedha’?” (ibid.). L’“aśvamedha” è il sacrificio del cavallo, il più importante della tradizione vedica indù. Tutti problemi aperti, ma una cosa si può notare. La “purificazione” di cui parla Federico II in realtà è riferita ai riti del Tempio, il che ne spiega il disuso e l’incomprensione delle sue motivazioni. Tant’è che c’è a Gerusalemme il “Temple Institute” che, molto seriamente, progetta la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme (che sarebbe il Terzo Tempio). C’è il sito Internet ed hanno già costruito molte suppellettili (è un “ente morale” cui si possono destinare donazioni). Oggi ha l’appoggio della maggioranza degli Israeliani, a differenza di qualche anno fa. Ebbene, essi cercano la “Red Heifer”, la vacca fulva, la “giovenca rossa”, alla lettera, le cui ceneri usare per la purificazione e consacrazione del locale dove riallocare il Tempio. La questione posta da Federico II ai suoi tempi, così, torna singolarmente d’attualità.

[Andrea A. Ianniello]
 

3 commenti:

  1. Ho appena trovato questo articolo di quasi un anno fa: http://www.associazionelatorre.com/2015/08/terzo-tempio-disraele-e-nata-la-mucca-rossa-iniziano-gli-scontri/

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  2. Interessante poiché “The Red Heifer” è “il” segno della ricostruzione del Terzo Tempio, si dice.

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  3. Si notino le date della scoperta della “Joe Venga [da] Rho [a] SA”, e che – l’anno dopo – accade qualcosa di fondamentale, e tuttavia, il cavallo di ricorsa non entra nel Palio: anche l’ultima volta - che sembrava poter entrare in gara, poi s’è fermato sulla soglia, o “sulla sogliola”, come dico per “i” scherzo.

    Il 1997: il 1998 nasceva l’area Euroa e c’era la crisi asiatica.
    Il 2002: l’anno dopo iniziava la terribile “seconda guerra del Golfo”.
    Il 2015: l’anno dopo era il punto culminate della crisi siariana.
    Ed ora, l’anno scorso, han ritrovato un’altra giovenca rossa: dunque occorre veder bene quest’anno se possa quindi accader qualcosa che, in luogo di far progredire la crisi, dunque allontanandola dal suo “klìmax”, invece lasci maturare la crisi stessa.
    Ma occorre sempre veder bene se la giovenca rossa – ritrovata esattamente un anno fa, il febbraio 2017 –, sarà trovata manchevole o non.
    E si badi: basta un sol pelo non “regolamentare”, per inficiare **tutto**, assolutamente tutto.
    Quest’attenzione al particolare, alla più stretta e letterale osservanza della Legge, poi, è tipica della mentalità giudaica.
    Tutto il mondo gironzola attorno a questo parto che, però, non avviene mai: c’è sempre qualcosa che ferma, che rallenta, o, più spesso, da quando fermare o rallentare **non è più** stato possibile, che **devia**, oggi si devia questa forza, più che rallentarla.




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