giovedì 29 giugno 2023

30 [Trenta]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

24. Vi si narrano molte notevoli cose circa i trenta denari che Melchiàr [Melchiorre, Melchiòr] offrì al Signore, e in che modo, nel corso del tempo, capitarono in diversi luoghi

In quanto ai trenta denari che Melchiar offrì al Signore, secondo quanto si legge nei libri degli Indiani, son quelli stessi che Abramo, uscendo da Ur in Caldea tenne seco nella sua peregrinazione, e li portò in Hebron, e con essi comprò un campo per sepoltura sua e della moglie e dei figli. E si dice che Tare, padre di Abramo, coniò questi trenta denari per il re di Mesopotamia. E per gli stessi denari, Giuseppe fu venduto dai  fratelli agli Ismaeliti. Ed essi ancora furono portati dai fratelli in Egitto, proprio a Giuseppe, per comprarne frumento. Dopo la morte di Giacobbe, furono mandati nel regno di Saba, per acquistarne aromi per la sepoltura di Giacobbe e Giuseppe, e furono poi ivi conservati nel tesori regio. Poi, al tempo di Salomone, furono offerti, insieme con altre cose, dalla regina di saba al tempio di Gerusalemme [si NOTI BENE]. Indi, al tempo di Roboamo, quando Gerusalemme fu presa ed il tempio del Signore depredato, essi [NB i “trenta denari”] pervennero nelle mani del re degli Arabi, che allora era alleato degli Egiziani, e furono riposti, con altri oggetti d’oro presi in bottino, nei tesori del re. Di lì furono, dopo molto tempo, prelevati dal re Melchiar, ed offerti al Signore. Ed erano d’oro purissimo d’Arabia, perché gli antichi usavano conservare nei tesori soltanto l’oro più pregiato”, GIOVANNI da HILDESHEIM, Storia dei Re Magi, a cura di Alfonso M. di Nola, Newton Compton editori, Roma 1980, Introduzione di A. M. di Nola (con data: Roma, aprile 1966), pp. 135-136, cap. 24, corsivi in originale, mie osservazioni fra parentesi quadre.

 

Nel cap. 25, il successivo, si legge: “25. Vi è detto come la beata Maria perdette questi trenta denari nel deserto, e in qual modo capitarono nel tempio e nelle mani di Giuda, e del campo che fu con essi comprato.

La beata Maria, quando, per timore d’Erode, fuggì in Egitto, perdette questi trenta denari, con gli altri doni che gli erano stati offerti dai Magi e che ella aveva legati in un panno di lino. Ora, uno di questi pastori che si chiamano Beduini, li ritrovò e li trattenne presso di sé, fino a poco tempo prima della passione del Signore. Egli cadde […] in una malattia inguaribile e, avendo udito di Gesù per fama, venne a Gerusalemme, e subito fu da Gesù guarito e convertito. Così, di nuovo, egli offrì al Signore i denari,, con le altre cose che erano state al Cristo presentate dai Magi […]. E il Signore comandò che tutto fosse riposto nel Tempio, sopra l’altare: onde il sacerdote […] accese l’incenso sopra l’altare per l’incensamento, e mandò questi trenta denari, con la mirra, nel gazofilacio [“gazophìlax”, IL TESORO del Tempio di Gerusalemme, a sua volta ellenizzazione dell’ebraico ganzak, termine che, in realtà, denotava LA STANZA dove il tesoro stesso veniva custodito]. Ma, poco tempo dopo, nel terzo giorno prima della passione del Signore, i principi dei sacerdoti prelevarono questo denaro dalla cassa comune del gazofilacio del Tempio, e, a mezzo d’essi, istigarono Giuda a tradire il Signore. E della mirra, una parte mescolarono al vino che fu presentato alla bocca del Signore [nella ben nota scena evangelica], e l’altra fu aggiunta da Nicodemo agli altri aromi per il seppellimento del Signore. Di tali denari, quindici furono dati ai soldati, per custodire il sepolcro del Signore [cf. Mt., XXVIII, 12], e con altri quindici fu comprato il campo per la sepoltura degli stranieri, che è presso Gerusalemme, lungo circa mezzo getto di pietra [trattasi del Campo del Vasellaio, che Giuda comprò, più noto come Campo del sangue …]. In questo campo, scavata la terra, fu fatta una profondissima fossa, circondata da mura nelle sue fondamenta, sopra coperta a tettoia, e sulla tettoria vi son fori, attraverso i quali i corpi dei morti son gettati giù. Né ci si meravigli che questi trenta denari, nell’Evangelo, vengono chiamati ‘argentei’, poiché, nel parlar corrente, si dava il nome di argentei alle monete d’ogni specie. E monete analoghe, per conio e per valore, a quei trenta denari, rimasero in quelle regioni dai tempi d’Abramo fino alla distruzione di Gerusalemme ad opera di Tito e Vespasiano, poiché, nelle terre orientali, non si mutano i conii di peso e di valore. Copie di questi trenta denari e la tunica  inconsutile del Signore sono rimaste ereditariamente, fin’oggi, presso molte famiglie nobili. Ed ognuno di quei denari è, in peso e valore, circa tre fiorini. Su un lato porta la testa del re, e sull’altro vi sono lettere caldaiche che i moderni non riescono più a leggere e ad interpretare”, ivi, pp. 137-138, corsivi in originale, grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre.

Si parla, inoltre, del Prete Gianni, nel successivo cap. 30, cf. ivi, pp. 153-155.

 

 

 

 

Andrea A. Ianniello

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

domenica 25 giugno 2023

TITANIC SENZA “IC” = “TITAN”

 

 

 

 

 

 

 

«[…] Aumenterà progressivamente l’influenza e le sue dottrine si diffonderanno usufruendo della macchina propagandistica degli Stati Uniti, il che gioverà alla sua causa in una maniera impensabile. Compirà frequenti viaggi in Nord America a causa della stretta collaborazione che gli sarà offerta dai dirigenti degli Stati Uniti».

C. MARCHIARO, Il nostro futuro secondo le profezie dell’Apocalisse, Casa Editrice MEB, Torino 1980, p. 67.

 

 

 

 

Tra i signa del presente, un “Reminder”, un “ammonimento” sul titanismo becero, quello del “Titan”, Titano. Naturalmente, il signum NON sarà né compreso né, tanto MENO; accettato … ci mancherebbe solo questo …!

(Peraltro “IC” – nei numeri romani – vale 99 …) Dunque il “Titan” = il Titanic – 99, meno il secolo scorso, “al netto” del secolo scorso, per cui è “cosettina” piccola, però ammonisce lo stesso. Ricorda quando nel 2003 lo Space Shuttle Columbia esplose, siamo allo stesso tipo di “segno” …

 

 

Nella celebre visione delle Anime morte, la Russia apparve a Gogol’ come una troica lanciata in una corsa frenetica verso una meta sconosciuta. Quanto al nostro movimento, forse più appropriato è il paragone con un proiettile che attraversa lo spazio con accelerazione crescente. Chi lo ha sparato? E chi potrebbe fermarlo? La stessa localizzazione diventa difficile, quasi impossibile, là dove il movimento non ha più né centro né argini. Un rimedio tuttavia esiste: posare lo sguardo su un oggetto immobile. Così Archimede, in pieno assedio di Siracusa, era assorto nell’osservazione delle circonferenze. L’astrologia ben si presta a far distogliere lo sguardo dalle figure d’una monocultura dinamica, poiché nasce da una visione del mondo in cui il centro è ancor occupato dall’uomo e dalla terra. Da una tale prospettiva essa indica una direzione che travalica i progetti e le intenzioni umane e li trascende. L’astrologia si erge come un masso erratico giungendo fino a noi quale residuo di tempi antichi […]. Ad essa è legato un modo di vedere che è largamente estraneo alla nostra osservazione scientifica; per suo tramite vengono rianimate forze rimaste a lungo sopite”, E. JÜNGER, Al muro del tempo, Adelphi Edizioni, Milano 2000, p. 37, corsivi in originale.

Quell’essere sull’ «altra sponda» del fiume della vita gli preannuncia altresì il proprio declino, la fine dell’età dell’oro. Sul mondo dovette calare un gran cordoglio allorché l’uomo si distaccò, o venne distaccato, da questa parte del proprio essere. Le due cose si condizionano scambievolmente [punto molto importante questo]: nel proprio intimo si deve dire sì al tramonto, accettarlo. L’uomo cerca di completarsi in modo nuovo: diviene semidio e lotta insieme agli dèi contro i figli della Madre Terra [i Titani, appunto]. Il fatto che senza l’aiuto di Eracle mai gli dèi avrebbero potuto vincere i Titani, è saggezza che il miro custodisce. Gli dèi non possono distruggere i Titani ma solo imprigionarli. Ad ogni svolta epocale si ode bussare dal profondo [ed anche OGGI abbiamo chiaramente sentito questo … “BUSSARE” …!!]”, ivi, p. 138, corsivi e grassetti miei, mie osservazioni fra partentesi quadre. Che gli “dèi” – da “soli” – non possano vincere i “Titani” è più che chiaro: ci siamo su questo; ma che succede se l’umanità – de facto – si allea con i “Titani”? Se diviene, quindi, essa stessa un po’ “titanica” e serva della “Madre Terra”, del “tellurico” e “materico” e “corrosivo”, e corrosiva essa stessa? Succede che affonda … Però, prima, ed ecco il punto, ha “liberato i Titani”, ed ora liberi son …

Le rappresentazioni della fine del mondo che accompagnarono l’apparire della cometa di Halley nel 1910 si differenziano, in virtù  del loro carattere razionale ed astronomico, dalle speculazioni che da sempre hanno accompagnato l’osservazione d’inusuali fenomeno celesti. Lo shock prodotto due anni più tardi dal naufragio del Titanic era già di natura diversa, più specifica. Per la prima volta la fine si presenta sotto forme divenute, nel frattempo, consuete  [ecco il punto]. Catastrofi tecniche era già note da lunga data: ce ne fornisce un esempio il crollo del grande anfiteatro ai tempi di Tiberio. L’elemento nuovo è dato, piuttosto, dagli aspetti automatici, i quali vengono ora ad aggiungersi e contribuiscono al fallimento del piano [la tecnica si “autonomizza”, ecco l’essenza della “paura moderna”, che ha mille forme, cambia forma, “emigra” ma non passa]. Che nel caso del Titanic si tratti davvero di un avvenimento di grande portata [il “Titan”, tutto sommato, lo è molto di meno, però riguardando le “personalità modali” dell’epoca – i “milionari” – non va sottovalutato], di un segno o di un omen [soprattutto il nome, quel che ritorna è, appunto, IL NOME] come si sarebbe detto in passato, già lo rivela il denso significato simbolico. Ogni particolare diviene eloquente, e nella storia a noi più vicina solo l’affare Dreyfus possiede un analogo peso specifico. Il naufragio del Titanic è il naufragio per eccellenza, così come l’affare Dreyfus è l’ affare per eccellenza. Sono modelli della nostra tecnica e della nostra politica, e tali resteranno, benché d’allora altre e più grandi navi si sono inabissate e le ingiustizie si siano accumulate come granelli di sabbia in riva al mare. In quell’epoca […] Spengler deve aver concepito la tesi: «Il tramonto dell’Occidente non è nulla di meno che il problema della civiltà». Da allora la minaccia della catastrofe tecnica è sempre più inscindibile dalla coscienza dei popoli e dei singoli individui. Il numero delle vittime così sacrificate ha continuato a crescere ininterrottamente. Anche fenomeni collettivi come le guerre, le guerre civili e gli esperimenti condotti su vasta scala hanno assunto la forma di catastrofi tecniche. Ovvio, allora, che anche la fine del mondo venga concepita in questa forma. La particolarità di tali prospettive risiede nella mancanza d’adeguato contrappeso [importante osservazione]. Nei consessi atei [soprattutto in quelli “NON atei” …], o della sostanza svigorita, manca la conoscenza, o anche il sospetto, che esista l’altra parte. Certo, anche l’aura terrifica che accompagna nelle sue azioni la forma del Lavoratore [il noto libro su tale “figura” di Jünger, Der Arbeiter] vediamo ergersi da ogni incendio sempre più possente [no, cviò fa parte del passato]”, ivi, pp. 150-151, corsivi in originale, grassetti miei, mie osservazioni fra partentesi quadre . [1]

Questa “fine del mondo” in modalità “tecnologica” è ciò che si vede sotto le paure dei vaccini, del “raglio dell’asino” (“I. A.”) eccetera eccetera, però non nel nucleare – interessante miopia –, ma occorre sempre ribadire che la “fine del mondo” è qualcosa di qualitativamente diverso da una catastrofe tecnica, che ce ne sono state, ci sono e se ne annunciano, questo è sicuro, che contribuiscono a “la” fine, però NON SONO “la” fine stessa. Quindi NON stupisce quanto quel ch’è avvenuto al sottomarino – piccolo – dal nome di “Titan” (nomen omen!) abbia tanto ricevuto attenzione, mentre pericoli meno “evidenti”, soprattutto meno “tecnici”, non ne abbiano quasi, e passino, de facto, sotto silenzio.

Anche l’ex “pericolo nucleare” non viene più percepito dalla maggioranza, segnando come lo stato di “processo implosivo e di dissoluzione” sia ormai divenuto uno “stato di fatto”, e la “normalità”, in quanto la gran parte de “laggente” non ha, infatti, alcuna idea reale di cosa possa essere la “normalità”, ed è disposta a tutto accettare senza batter ciglio (la “massa” come “medium freddo” di Baudrillard si dimostra, di nuovo ancora, un semplice statuire un “dato di fatto” e non “un’opinione”).

La “catastrofe-dovuta-alla-tecnica” è oggi uno dato di fatto accettato, come il pericolo di caduta di un aereo, il “quoziente di rischio” lo si diminuisce – senza per questo sparire – cosicché i viaggi con gli aeroplani possano essere un’industria. La natura no esiste: essa è solo un “fatto” tecnico, poiché indefinitamente riproducibile. Al limite, l’ “essere” non esiste, sottoposto com’è all’indefinita manipolabilità, dopo aver fatto corrispondere, però, l’essere alla possibilità di manipolazione, piccolo passo preliminare, quello decisivo, come sempre. Sempre all’inizio è il punto. Questo fatto si può applicare ad eventi correnti e a tutti noti. Qualcosa è cambiato, rispetto a prima: proprio il fatto che la navis mundi sia sempre più incagliata e che la solidità dei metalli dello scafo lasci sempre più a desiderare, unita con la preoccupazione del cosiddetto “riscaldamento globale” – leggi: che la natura si “risvegli” (così dicono, ma in realtà non ha MAI DORMITO!) – ha fatto sì che il pericolo della “catastrofe tecnica” – sempre BEN ATTIVO E VIVO (leggi: vaccini e virus e “I. A.”, ma il nucleare no, perché, com’è noto, “fa bene” …) – abbia, di fatto, perso qualche posizione rispetto alla “catastrofe naturale”, che ne ha recuperate molte. Per esempio: terremoti, pesti, vulcani – i vulcani son ottimi in tal senso – e, last but first, l’ “asteroide”: perché non la cometa?, però quest’ultima “gode” di meno stampa favorevole, pur essendo forse anche più pericolosa, e fermo restando che gli asteroidi SONO un pericolo REALE, ma ecco la “santa tecnica” che ci salverà; un super missile “fermerà” l’ “asteroide”, e siamo tornati a casa (che bello!), siamo tornati al punto: la tecnica “ci salva” dalla “catastrofe naturale”. E però comporta qualche “rischio”, che sarà mai? …

Tu sei l’indefinita manipolabilità che ti salverà dalla tua indefinita labilità, che è “fatto naturale”, così la navis mundi, per quanto incagliata, è l’unica che abbiamo … Certo, certo, c’è qualche rischio, ma infine, suvvia! … Perché, vedi, il nucleare si può combattere, “il terremoto” no, lo tsunami no, il vulcano noGood Volcano, dead Volcano … “L’unico vulcano buono è quello morto”, “l’unica natura buona è quella morta”, o imbalsamata in parchi pubblici, riserve protette, dove inscenare il gioco della “natura” senza che mai quest’ultima sia riconosciuta come tale: un classique de la modernité, n’est-ce-pas?

Ecco perché “laggente” NON crede davvero alla “catastrofe tecnica” – che però si deve pur esorcizzare in tanti modi, con immagini, simulacri ed altri mezzi – e crede che la tecnica la difenderà sempre dalla “catastrofe naturale”, così sarà disposta a non aver paura della “catastrofe tecnica”; in tal modo, dunque torniamo al nostro vecchio amico, al “convitato di pietra” di sempre: il CONSENSO, mantenerlo, sostenerlo, produrlo come una merce – di massa –, ecco al chiave di volta. Ora e sempre.

In fondo, la paura c’è sempre stata … ma sì … Dunque, così’ si mantiene il consenso ad un sistema fragile, in crisi crescente: questo spiega fenomeni come quelli di regimi in crisi, anche “democratici”, che sussistono come tali “sine die”, perché hanno il consenso. In tal modo, il System fallito di oggi mantiene il suo consenso nonostante le cattive “performance”, sempre più cattive, ma la “cattiveria” di una “performance” non cambia lo “status” di “attore” del cattivo “performer” … .

I “complottisti” & C. – la seconda delle due “lobby in lizza” di cui s’è detto (che in realtà fanno capo alla stessa ispirazione di fondo) – mantengon fermo il pericolo – e la centralità del pericolo – della “catastrofe tecnica”, per questo perdono, per questo manca loro il consenso della maggioranza. Giungono fino ad un “certo” punto e poi falliscono: e vengono così usati come strumento di autoregolazione interna sistemica: così ci sono “i cattivi” (inutile far nomi, son ben noti) cui “dare la colpa”, ma il sistema ci salverà, nessun dubbio … Meno male!

 

Ancora sul Titanic: “C’è un errore che bisogna evitare, pensare cioè che grazie ad una rappresentazione simbolica sia possibile mutare il corso delle cose. L’affondamento del Titanic fornisce, persino nel nome e negli innumerevoli dettagli, un equivalente, un’immagine, un simbolo di una certa condizione tecnica, sociale ed economica. La stessa cosa vale per affari famosi, come quello del processo Dreyfus, del processo del collare della regina [“l’affaire du collier”, nel quale fu implicato anche Cagliostro, e ricordo un film sul tema, “L’intrigo della collana”, del 2001], del capitano di Köpenick. Si tratta di simboli, modelli, tratti riassuntivi. Essi possono rendere visibile una situazione, possono anche accelerarne lo svolgimento, ma solo all’interno del sistema e della sua necessità. Se quegli avvenimenti non avessero avuto luogo, ciò che doveva accadere per necessità sarebbe accaduto ugualmente. Sono immagini che avere come conseguenza effetti di cui più che essere la causa, sono l’occasione immediata.  A volte si ha l’impressione che Clio [la quale tesse i destini] lavori servendosi di trucchi illusionistici. Così, la regina [Maria Antonietta, “l’Autriche”] non aveva niente a che fare con la storia del collare, storia che le diede fastidi notevoli. Anche l’incendio del Reichstag è ambiguo. Le acque si agitano con o senza segnali di preavviso. Del simbolo si accontenta l’astrologo, che fa coincidere un certo evento con una costellazione [la quale, però, è, appunto, signum e NON “causa” DIRETTA!]. Si tratta d’immagini adatte all’osservazione, non alla volontà, di opere d’arte. Nelle cose vi è sostanza astrale anche quando la coordinazione resta segreta. Essa è nell’agnello, nella stalla e nella mangiatoia, e proprio per questo la stella è qualcosa di più di un battistrada. La sua azione è necessaria [SI NOTI]. Scorgerla può dipendere dal caso, dal gioco delle nuvole”, ID., Avvicinamenti, Droghe ed ebbrezza, Multhipla Edizioni, Milano 1982, pp. 263-264, corsivi in originale, grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre

 

Andrea A. Ianniello

 

 

[1]

Segue poi un passaggio che si è già citato altrove, cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2013/11/amphitheathrum-brevi-noterelle.html.