domenica 30 giugno 2019

“Masse SENZA ‘politica’”, E **NON** “Massa ‘E’ politica …















“La massa come prodotto finale di ogni socialità, che pone fine di colpo alla socialità, giacché questa massa di cui ci si vuol far credere che è il sociale, è, al contrario, il luogo dell’implosione del sociale. La massa è la sfera sempre più densa in cui implode tutto il sociale, e si distrugge in un processo di simulazione ininterrotto. Di qui lo specchio concavo: le masse saranno tentate di affluire proprio vedendo la massa all’interno. Metodo tipico del marketing: tutta l’ideologia della trasparenza trova qui il suo significato. […] Beaubourg è così, per la prima volta, a livello della cultura, quel che è l’ipermercato a livello della merce: l’operatore circolare perfetto, la dimostrazione di qualsiasi cosa (la merce, la cultura, la folla, l’aria compressa) attraverso la sua circolazione accelerata.”[1] [i].











Che si sia in un’epoca di “transizione” è un’osservazione che han fatto in tanti, credo però che ben pochi si aspettassero una “transizione” tanto lunga, più di cent’anni ormai; il che lascia una sola deduzione possibile: non si può “uscire” dal mondo moderno, dal quale nessuna “transizione” è possibile: non è accaduto in cent’anni e possono passarne anche mille o diecimila: non accadrà mai, semplicemente ci vuole un mondo nuovo, ma l’anarchia e il disordine sostanziali non possono passare da soli, di qui una “transizione senza fine”.

In realtà, tu dal “Chaos” non puoi uscire se non con un principio d’ordine, che non potrà mai nascere dallo stesso “mondo del caos”: questa semplicissima verità (2+2=4) è incomprensibile, semplicemente per i moderni, il che ci aiuta nel dare una definizione della modernità: la modernità è quel tempo in cui capire che l’ordine non possa nascere dal piano stesso in cui si attua il disordine, pare impossibile; in altre parole: i moderni non possono accettare che l’ordine “trascenda” il piano che deve, appunto, “ordinare”, cioè costruire secondo delle priorità. Per favore, non si mal intenda la Cina e la sua cultura, avvicinandole alla cultura occidentale perché non vi sarebbe “trascendenza”: la realtà vera è che in Cina ogni cosa nasce “in re”, “nella” cosa, mai dall’esterno, ma il Cosmo stesso vi ha conservato aspetti di sacralità che, in Occidente, si eran persi, per vari motivi. Il “sacro” è nella Natura, per quanto disceso a livello di “estetica”, che ha valenza quasi “sacra”, come la pittura che, in quel contesto culturale, può sfiorare il “divino” ed è una “via”, non a caso. Questa sopravvivenza del sacro nella Natura nell’estetica conta fra le grandi intuizioni di Marius Schneider.
Le società che succederanno alla nostra non potranno mai essere fondate su idee moderne, questo è certo, e volerle perpetuare – le cosiddette “idee” moderne – non fa che allungare il tempo del caos, tempo allungabile ad libitum, come suol dirsi.
L’emersione della forza sovrana dell’epoca moderna è l’emersione della potenza delle folle. Questo è rimasto vero dalla fine del XIX secolo ad oggi, nessun dubbio al riguardo: che la potenza delle folle sinora rimane quella dominante, e l’attuale voga delle votazioni online e del “chiedere l’opinione” del “pubblico”, che oggi è “il popolo” cosiddetto, non fa che confermare e portare agli estremi una tale tendenza, ma che c’è da un bel po’ di tempo, in realtà.
Chi oggi, sano di mente, metterebbe il discussione il “potere” e il “diritto” delle folle?, certo che si vuol manipolare tale “potere”, ma prima cosa lo si riconosce, e lo si riconosce come diritto “assoluto”, sciolto, cioè, da qualsiasi necessità di auto giustificazione; solo che il diritto basato sulle masse non è “divino”, punto molto ma molto importante, dimenticato dalle “destre” più o meno estreme, ma di certo nazionalistiche, che si basano letteralmente sulla natura supposta “divina” della cosiddetta “volontà” – cioè opinione, cioè “doxa” – delle folle, vale a dire delle masse. Qui vi è l’errore, gravissimo (ed imperdonabile) di J. Evola: il credere – credenza fu – di poter appoggiarsi sulle folle, di “destra”, perché le “maggioranza silenziose” lo sono di natura[2], per puntellare quel che rimane del mondo “tradizionale”, cioè per creder di puntellarlo, in realtà minandolo in modo ancor più profondo di quanto la modernità possa aver fatto: infatti, che le folle siano “divine” è cosa totalmente super inaccettabile dal punto di vista davvero “tradizionale”, il che non vuol dire si debba sognare impossibili “ritorni”, ma nemmeno mescolarsi per seguire l’ ubbia e la nebbia dell’ “azione” ad ogni costo.
Hitler, che di manipolazione di folle pare se n’intendeva un po’, diceva sempre che più sono eterogenee, meglio è, perché sono più “massa”, cioè “folla”, in altre parole si formava un’ “anima collettiva temporanea”, per dirla con G. Le Bon[3].

Due miei commenti. Come prima cosa, il libro di Le Bon sulla psicologia delle folle fu pubblicato nel lontano 1895: son passati ben cento quattordici lunghi anni, e ciò che si diceva in quel tempo – che, cioè, il “vecchio” stava scendendo e il nuovo non ancora sorgendo – ha prodotto questo “nuovo” che sorge?
Oppure l’ eclisse ha continuato a prodursi, senza che nessun nuovo Sole sorgesse? La seconda che ho detto …
Una lunghissima eclisse …
Questo aiuta a misurare la lunghezza di questa “transizione senza fine”.
Altro che asteroidi!
Molto meglio un asteroide[4]! Purtroppo, non ce la caveremo con “un taglio e via”, ma è una lenta marcescenza del mondo. Davvero un tremendum judicium divinum. Il mondo di oggi manco è degno di un asteroide, manco è degno della “punizione” divina, che, alla fin fine, manifesta – anche – una dimensione di amore, seppur nascosta. Basta chiuderli in loro stessi e si auto distruggono, che poi è il “segreto” della “fine dell’Occidente”, probabilmente solo in parte compreso anche da chi dice – sinora solo dice – di opporglisi, poiché finora solo la Cina ha effettivamente messo in crisi l’Occidente, e solo in parte la Russia della sua ritrovata potenza; se attaccheranno visibilmente gli ridaranno forza, una forza mortuaria e mummificata, ma una forza: invece se continueranno nella strategia del “contenimento” dell’Occidente, lo sconfiggeranno, e sarà per sempre[5], poiché l’Europa, per esempio, è un continente morto[6].
Seconda osservazione: rimane verissimo, dal 1895, che l’unica cosa che non ha fatto che crescere, da quel tempo in poi, è stata l’importanza delle folle, della massa, nella società. Lo vedi oggi con le folle “virtuali”, canalizzate temporaneamente su ed in canali digitali, sempre “liquidi” e mutevoli e passeggeri, ma sempre rinnovantisi, per formare la performante ondivaga “opinione pubblica”, il vero “sovrano” – perennemente ubriaco – del “nostro” tempo. E cioè la “manipolabilità totale” a livello sociale.
La folla si suggestiona, si manipola perché manipolabile per sua natura, perché labile per sua natura.
Non vi è un “potere ‘cattivo’” e le “buone masse”, ma la dimensione di massa è manipolabilità, perché labilità, e l’abilità di chi manipola è quella di lasciarle “libere” in un “campo” di suggestioni, di messaggi – evidenti e/o subliminali – che le dirigerà, non con modalità cosiddette “razionali” – e qui giù a risate al riguardo delle risibili illusioni settecentesche “illuministiche” –, ma con modalità “di massa”. Se tu, cosiddetta “sinistra”, rispondi alla’auto assunzione di forza da parte delle destre “populiste” con il riciclare il passato progetto “illuministico”, non hai capito niente. Devi opporre un qualcosa che dia uno spazio politico e dunque azione politica. Oggi è ben più facile che ai tempi del vero fascismo, perché le destrucole di oggi sono tutte parodistiche: il cosiddetto “popolo” contro le cosiddette “élite”. Non vi è alcun popolo, non vi è alcuna élite. Vi son solo simulacri di popolo e simulacri di élite. Quindi una sinistra dovrebbe proporre il mero simulacro, anche parodistico, di un qualche mito, di una qualche riassunzione di centralità di uno scopo effettivamente politico, e non succube della cosiddetta “buona gestione”, per poter ricrearsi uno spazio, chiaramente solo virtuale, sempre ineffettuale, perché la politica in se stessa è morta, è passata. Non vi è più alcun “panottico” possibile oggi, come s’è detto. Lo spazio politico premoderno esisteva, ma era limitato, non pretendeva di “tutto vedere”, a 360° – il “panottico”, appunto – come ha voluto fare il moderno, senza riuscirci se non episodicamente, ma evocando forze che non è in grado di controllare.
Di tutto ciò, di queste passate illusioni illuministiche, il “politico” è la versione sbadata, indebolita.
Quando i flussi massificati, ormai digitalizzati, scorrono ad una tale velocità, la decisione stessa della “politica” diventa un simulacro. “Sovrano è colui che decide nello stato di eccezione”, diceva Schmitt. Ma se tutto diventa stato di “eccezione” o “eccezionalità”? Chi mai deciderà? Nessuno. Nessuno. Nessuno.
Rimangono quelle “agenzie”, quelle lobby, secluse dall’ex corpo sociale – ormai mero simulacro –, che si auto affermano ed auto “decidono”, ma la separazione è la loro bandiera, quindi la decisione che operano non è mai “sociale” – far capir questo ai complott®isti è impossibile, del tutto impossibile –, per cui non è né mai sarà una decisione “politica”; deduzione: non vi è sovrano.
Deduzione due: non vi è sovranità, ma solo auto referenzialità: A = A. Tu sei la decisione, tu sei la base della sovranità, il “popolo” – = il “pubblico”, in realtà – è la sovranità, e la “base” – intoccabile, non questionabile – della sovranità del pubblico, della “dòxa”, è … “il pubblico”, la “doxa” …!!

Qui viene il fantasma del “fascismo”, perché davvero, oggi: “Uno spettro si aggira per l’Europa”[7], ma non è quello del “comunismo” – quest’enorme gigantesco spaventapasseri, la cui scomparsa ci consente di vedere la veramente immonda ipocrisia dell’Occidente moderno (e sottolineo Occidente moderno, quello premoderno non era così ipocrita), perché questo è l’oggi, l’ipocrisia dell’Occidente – ma, invece, è quello del fascismo, sempre come spettro però, quel termine molto particolare che usarono Marx ed Engels nel loro famoso libretto, termine del quale s’è detto in un passato post, seppur di sfuggita, fra delle altre affermazioni.
Viene in mente spontaneamente l’affermazione di Marx ne Il 18 Brumaio di Luigi Napoleone, secondo il quale le cose si ripetono due volte, prima come tragedia e poi come farsa. Siamo di fronte alla farsa del fascismo.
Ma tutto ciò non toglie che il significato del fenomeno che sta dietro al fascismo, e non la sua forma storica – per l’appunto siamo di fronte alla parodia del fascismo e del nazionalismo – si stia ripetendo, in forma parodica, appunto. Perché tutto ciò, ci si può chiedere. Veniamo alla risposta di Baudrillard, che qui c’interessa.
“Il fascismo stesso, il mistero della sua comparsa e della sua energia collettiva, di cui nessuna interpretazione è venuta a capo (né marxista, con la sua manipolazione politica da parte delle classi dominanti, né quella reichiana, con la sua rimozione sessuale ella masse, né la deleuziana, con la paranoia dispotica), può esser inteso come rilancio irrazionale dei referenti mitici e politici [esatto], intensificazione folle del valore collettivo (il sangue, la razza, il popolo ecc.) [ancor più esatto]; riapparizione della morte, di una ‘estetica politica della morte’ in un momento in cui la disillusione del valore e dei valori collettivi [suona familiare? … la disillusione per il liberalismo?, e su questo Putin ha semplicemente ragione; comunque, ah ah], di secolarizzazione razionale e di unidimensionalizzazione di tutta la vita si fa già fortemente sentire in Occidente [ed oggi tal processo domina assolutamente incontrato da decenni!]. Ancora una volta, va bene tutto pur di sfuggire a questa catastrofe del valore [“va bene tutto”, esatto, questo c’è dietro ai vari movimenti sovranisti che, però, prendono il potere nell’Europicina dell’est e nell’italietta, cioè – guarda caso, ma guarda, che caso! – dove l’aspetto “grande borghese” tanto apprezzato da Cacciari (ne convengo, è superiore, ma non lo si può generare a piacimento) latita e prevale il “sentiment” piccolo borghese, invece: la storia non ammette il “caso”, senza, per questo, essere “deterministica” in senso “marxiano”], a questa neutralizzazione e pacificazione della vita. Il fascismo è una resistenza profonda, irrazionale, folle, poco importa; non avrebbe trascinato quest’energia di massa se non fosse stato una resistenza a qualcosa di ancora peggiore. La sua crudeltà, il suo terrore è proporzionale a questo altro terrore dovuto alla confusione del reale e del razionale, che ha messo radici più profonde in Occidente e di fronte a cui il primo costituiva una risposta. Ogni altra ipotesi è moralistica, lenitiva e profondamente reazionaria, perché torna a deplorare il fascismo [e cos’è che si fa oggi?, si “deplora”, ma non si spiega proprio niente] senza volerne capire niente”[8].
Queste frasi possono aiutare a capir meglio il presente, ciò di cui si nutrono i Salvini, le Le Pen, gli Orbán, i Trump, i Farage … Putin! Si tratta comunque di reclamare uno “spazio” politico in nome di valori passati, di solito di “grandezza” – vera o presunta, per l’Italia: presunta – nazionale, per opporsi ad una omologazione. Non ce la fanno, perché di fronte hanno la simulazione, che non capiscono neanche lontanamente cosa sia (forse, tranne Putin!), per questo tanto più son impotenti, tanto più sostituiscono con la propaganda e l’azione “virtuale” sui social. Ma rimane che, detto con zero, se non sottozero simpatia per costoro da parte mia, si deve pur spiegare questi fenomeni. Oggi abbiamo la versione parodistica della rivendicazione che il fascismo era, rivendicazione di uno spazio politico d’azione, perché gli spazi sono virtuali, non realmente “politici”. Ma la “domanda”, dietro, la domanda da parte delle maggioranze silenziose, rimane. Inoltre, dall’altro alto, da parte del fantasma della sinistra, si ha zero spazio di azione, zero rivendicazione di uno spazio d’azione politica, nemmeno “virtuale”: per questo la “sinistra” non funziona. Se, però, accetta lo spazio, solo virtuale oggi, ecco che comincia un po’ a risalire la china. Ma che strano …
Ma ritorniamo alla contemporaneità.
E al discorso sulle masse, sulle folle e sulla loro centralità.
Tutto è “opinione” oggi, cioè doxa. Si conclude, così, la radicale “doxacrazia” dell’Occidente moderno.
E quest’ultima aggettivazione è, di nuovo, decisiva, ma non “s’intostino” i falsi “anti moderni” delle destre “plebiscitarie”, e cosiddette “populiste”, perché nel mondo tradizionale” quel ch’era impossibile era proprio la “doxacrazia”, cioè il potere dell’opinione; sottinteso: “pubblica”. Quindi quel cosiddetto “ritorno” di cui blaterano è una totale incomprensione del mondo cosiddetto “tradizionale”.
Quel che oggi stiamo esperendo è non solo – dal 2011 – la fine dell’ordinamento del mondo come uscito dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ma la fine dello stato specificamente “moderno”. E’ la “fine del panottico[9], dove, appunto, lo stato moderno è nato dal panoptikon, e a partire da esso: il “panottico” è stata la metafora – e sin dall’inizio – del “sogno/delirio” di controllo che lo stato moderno, in definitiva, è. Anzi: è stato.
La “fine del panottico”, dunque, segnala la fine dello stato moderno.






Andrea A. Ianniello












[1] J. Baudrillard, Simulacri e impostura: bestie, Beaubourg, apparenze e altro ancora, Cappelli editore, Bologna 1980, pp. 23-24. Nel saggio finale aggiunto, il suo autore F. di Paola parlava delle varie recensioni su Baudrillard su riviste di “sinistra”, fra cui “Rinascita” (n. 16, aprile ‘79), e dei malintesi che avevano provocato, per dedurne come il modello cui faceva riferimento Baudrillard era incompatibile con quello, pur legittimo, di una “sinistra”, in quel tempo, “in ricerca”, ricerca poi abortita e sostituita dal cedimento al modello dominante. Nella serie di osservazioni – che, però, han senso solamente storico, oggi – vi è una nota su Cacciari, che rimane con degli aspetti interessanti: “Si ha qui presente l’esemplare ‘svolta’, in senso ‘impolitico’, dell’ultimo Cacciari, polemico contro ‘i pazzi per lo stato’ (L’impolitico nietzchiano, in Il libro del filosofo, Roma, Savelli, 1978), infelice per i ‘tre compiti impossibili’ (governare, educare, curare) (Dialettica e critica del Politico, Milano, Feltrinelli, 1978 [effettivamente questi due citati son tra i suoi scritti migliori, prima di una ulteriore svolta]), preso dalla ‘disperata coscienza’ sigismundiana della ‘Vanitas del Politico’ (Intransitabili utopie, in H. von Hofmannstahl, La torre, Milano, Adelphi, 1978 [questa “Vanitas”, pur vera, non è poi mai stata davvero fatta propria da Cacciari a causa del suo senso del “tragico”, sta tutto qui]). Tutto questo strazio, proprio perché espresso dalla più lucida delle intelligenze para-partitiche italiane, è esemplare almeno di tre circostanze: 1) il sostanziale fallimento dell’ipotesi […] dell’epoca di Krisis (quella per cui, per intendersi, il Lenin grande politico polemica a vanvera con Mach aveva ragione perché aveva torto [libro importante anch’esso, attraversato da quest’ impossibile ipotesi, ma interessante lo stesso; ah, su questo “aveva ragione perché aveva torto”, Cacciari … aveva ragione! (che gioco di specchi di rimandi e di ragioni e torti!)]); […] 3) la costitutiva incapacità di concepire il ‘tragico’ contemporaneo se non in senso ‘Grande-borghese’ (‘weberiano’, ‘rathenaueriano’, ecc.), vale a dire caricaturalmente rétro, e involontariamente probante quanto parodistico sia tale ‘tragico’ (come già Nietzsche seppe vedere, e Musil, con la sua deliziosa caricatura di Arnheim-Rathenau) [sul fatto che questa incapacità, che è perdurata, di capire cosa sia il “tragico” contemporaneo, ben diverso da quello “Grande-borghese”, sia alla radice dei suoi errori non certo di analisi, ma di azione politica: il “tragico” contemporaneo è quello della decadenza minima non percepita come decadenza, non è quello “Grande-borghese”, un “tragico” che nasce(va) dalla macerazione per la fine della civiltà borghese e dei suoi ideali, fine percepita come tale; la cosa che non condivido di F. di Paola è, invece, il denotare il tragico “Grande-borghese” come parodistico, quando invece parodistico è il “tragico” contemporaneo]”, ivi, p. 178, corsivi in originale, miei commenti fra parentesi quadre. Il punto 3) è decisivo, e merita che vi si soffermi “suso” un “pauco”. Qui è la causa per la quale Cacciari ha “svoltato” tante volte, senza però mai esser stato ascoltato davvero: lui fondamentalmente è un “grande borghese”; significativa la simpatia per Jünger, che non era episodica o casuale, perché anche Jünger era una grande borghese. Questa categoria mentale (che non è un mero “censo” ma una mentalità), quella di un M. Weber, per esempio, ha molta più cittadinanza in Germania che in Italia, checché ne dicano gli italiani, colmi di pregiudizi sulla Germania per lo meno altrettanto quanto i tedeschi lo sono per l’Italia. L’Italia è fondamentalmente un paese piccolo borghese, per mentalità più che per “censo”. Di conseguenza, quel senso del “tragico” che Cacciari ha indiscutibilmente, non può appartenere all’Italia, e difatti non le appartiene: l’Italia è più tragicomica, e il fascismo, non a caso, è in realtà tragico e parodistico in se stesso. Dice: ma in Germania c’è stato di peggio. Verissimo, a questo rispondo su due piani. Come prima cosa, la Germania è nota per portare tutto all’eccesso, la “moderazione” e la “forma” fan parte più dell’Italia che della Germania, che si spinge sempre ad eccessi riprovevoli. Come seconda osservazione, mica è per caso che Jünger, che pure veniva da degli ambienti affini a quelli dei nazisti, alla fine non ha mai appoggiato il regime, che poi criticò in certi suoi romanzi. Ma perché, ci si può chiedere, quando proveniva da una radice simile. La risposta è questa: che Jünger era un grande borghese, mentre il nazismo, come movimento di massa, era un movimento di piccoli borghesi, un movimento delle maggioranza silenziose. Ecco il perché.
La natura grande borghese di Jünger la si evince da certe sue posizioni, cf.
Interessantissima poi la parte relativa all’etnologia e a Ramses II, dove si parla della crisi dell’etnologia – C. Castaneda, per esempio, che si è fatto prendere da quel mondo che avrebbe dovuto solo studiare dall’ esterno, cf. ivi, p. 55 – e la mummia di Ramses II accolta a Parigi con gli onori di un capo di stato vivente: cf. ivi, pp. 56-57. Discuterne approfonditamente ci porterebbe lontano, ma si tratta di un tema molto interessante; comunque su Ramses II cf.
[3] Cf. G. Le Bon, La psicologia delle folle, Mondadori editore, Milano 1980, pp. 24-25.     
[4] Cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2018/08/in-attesa-di-peste-terremoti-eccetera.html. E certo che ci son pesti e terremoti, è davvero il minimo, ma non è il punctum dolens. Quest’ultimo è la crisi – esiziale – di un modello, che tende (quest’ultimo) a perpetuarsi ad libitum, e cioè, di conseguenza, a negare la sua crisi, dunque ad accrescerla inevitabilmente, per la semplice ragione che la forza negativa non trova degli ostacoli al suo espandersi. Quest’ultima, inoltre, stimola una falsa reazione, reazione che si sviluppa nella direzione della forza negativa, quindi accrescendo la forza negativa. Tutta una “reazione a catena”, il cui esito è che si arriverà ad un momento in cui “i popoli europei e nordamericani non avranno maggior influenza di un pugno di nomadi”, quei pochi nomadi che rimangon oggi. Ecco come si giunge ai cosiddetti “popoli primitivi” che, spesse volte, non son altro che residui di popoli un tempo fiorenti. Ma ci si scava sempre da soli la fossa … 
[7] Marx-Engels, Manifesto del partito comunista, Edizione a cura della Sezione centrale stampe e propaganda per la campagna del proselitismo al PCI 1973, p. 9.  Oggi una completa rarità bibliografica. 
[8] J. Baudrillard, Simulacri e impostura, cit., p. 13, corsivi in originale, miei commenti fra parentesi quadre.      
[9] J. Baudrillard, Simulacri e impostura, cit., p. 76 e sgg., corsivi in originale.      








[i] Che cos’è la “circolarità” di cui parla Baudrillard: “Nell’interpretazione psicanalitica stessa, il ‘potere’ di colui che interpreta non gli deriva da nessuna istanza esterna, ma dall’interpretato stesso. Questo cambia tutto, dal momento che ai detentori tradizionali del potere si può sempre chiedere da dove lo detengano [ecco detta, in poche parole, la differenza – vera – fra Traditio e modernità, cosa che le destre “tradizionaliste” non comprendono quando dicono di andare verso il popolo, che, nella modernità, è il detentore della sovranità, anzi sono i più fermi in tal senso, cioè nell’andare “verso” il popolo che è detentore, assoluto veramente, della sovranità: sono i più moderni, in assoluto; di qui tutte le loro viete, sgradevoli, stantie polemiche sul fatto che i corpi intermedi, essenza della borghesia, della grande” borghesia, avrebbero esautorato il cosiddetto “popolo”]. Chi l’ha fatto duca? Il re. Chi l’ha fatto re? Dio. Solo Dio non risponde più. Ma alla domanda: chi l’ha fatto psicanalista, ha buon gioco rispondere: Tu. […] Impossibile ormai porre la famosa domanda: ‘Da dove parla?’ – ‘Da dove sa?’ – ‘Da dove detiene il suo potere?’, senza sentirsi immediatamente rispondere: ‘Ma è da lei (a partire da lei) che parlo’ – sottinteso, è lei che parla, è lei che sa, è lei che ha il potere [con i social e la democrazia virtuale questa tendenza si è molto ingrandita rispetto ai tempi nei quali scriveva Baudrillard]. Gigantesca circonvoluzione […] che equivale a un ricatto senza uscita, a una dissuasione senz’appello del soggetto”, ivi, pp. 94-95, corsivi in originale, miei commenti fra parentesi quadre.








lunedì 24 giugno 2019

R. GUÉNON, “Tantrismo E ‘magia’”















“Si usa, in Occidente, attribuire al Tantrismo un carattere ‘magico’, o per lo meno credere che la magia vi giochi un ruolo preminente; vi è qui un errore d’interpretazione per ciò che concerne il Tantrismo, e […] anche per ciò che concerne la magia, a proposito della quale noi contemporanei abbiamo generalmente solo idee estremamente vaghe e confuse […], non torneremo qui su quest’ultimo punto; ma, prendendo la magia nel suo senso rigorosamente proprio, e supponendo che sia proprio così come la s’intende, ci chiederemo soltanto se c’è qualcosa, nel Tantrismo, che possa offrire il destro a questa famosa interpretazione, dato che è sempre più interessante spiegare un errore che limitarsi a constatarlo.
Innanzitutto, ricorderemo che la magia, per quanto sia in sé d’ordine inferiore, è tuttavia una scienza tradizionale autentica; come tale, essa può legittimamente ottenere un posto tra le applicazioni d’una dottrina ortodossa, a condizione che si tratti d’un post subordinato e secondarissimo come si conviene al suo carattere contingente. D’altra parte, dato che l’effettivo sviluppo delle scienze tradizionali particolari è di fatto determinato dalle condizioni proprie dell’una o dell’altra epoca, è naturale e in certo qual modo normale che le più contingenti tra esse si sviluppino soprattutto nel periodo in cui l’umanità è più lontana dall’intellettualità pura, cioè nel Kali Yuga, e che vi acquistino, pur restando nei limiti loro assegnati dalla loro stessa natura, un’importanza che non avrebbero mai potuto avere in epoche precedenti. Le scienze tradizionali, quali che siano, possono sempre servire da ‘supporto’ per innalzarsi ad una conoscenza d’ordine superiore, ed è ciò, più che quello che sono in se stesse, a conferire loro un valore propriamente dottrinale; ma, come dicevamo, tali ‘supporti’ divengono sempre più contingenti man mano che si compie la ‘discesa’ ciclica, al fine di adattarsi alle possibilità umane di ciascuna epoca. Lo sviluppo delle scienze tradizionali inferiori, insomma, non è che un caso particolare della necessaria ‘materializzazione’ dei ‘supporti’ di cui abbiam parlato; ma, nello stesso tempo, va da sé che i pericoli di deviazione divengono sempre più forti quanto più si va lontano in questo senso, ed è per questo che una scienza come la magia è palesemente tra quelle che danno più facilmente luogo ad ogni sorta di deformazione e di uso illegittimo; la deviazione, in ogni caso, non è del resto imputabile, in definitiva, che alle stesse condizioni di quel periodo di ‘oscurità’ che è il Kali Yuga.
E’ facile comprendere la relazione diretta che hanno queste considerazioni con il Tantrismo, forma dottrinale specialmente adatta al Kali Yuga; e, se si aggiunge che […] il Tantrismo insiste in modo affatto speciale sulla ‘potenza’ come mezzo e base possibile di ‘realizzazione’, non ci si dovrà meravigliare che esso debba per ciò stesso accordare un’importanza piuttosto considerevole, si potrebbe dire il massimo di importanza compatibile con la loro relatività, alle scienze che, in un modo o nell’altro, sono suscettibili di contribuire allo sviluppo di questa ‘potenza’ in un qualche campo. Dato che la magia è evidentemente uno di questi casi, non è minimamente da contestare ch’essa trovi posto in questo campo; ma ciò che bisogna chiaramente dire è che essa non potrebbe in alcun modo costituire l’elemento essenziale del Tantrismo: coltivare la magia per se stessa come pure porsi come scopo lo studio o la produzione di ‘fenomeni’ non importa di qual genere, significa chiudersi nell’illusione invece che tendere a liberarsene; ciò è solo deviazione e, in conseguenza, non si tratta più di Tantrismo, che è invece l’aspetto di una tradizione ortodossa e una ‘via’ destinata a condurre l’essere alla vera ‘realizzazione’”[1].
Questo tema c’interessa qui perché Michele Scoto (studioso al servizio di Federico II di Svevia) era un noto studioso di “magia”, per questo motivo – tra l’altro – da Dante stesso condannato nella sua Commedia. Ma, in ogni caso, quanto riportato qui sopra può esser d’interesse in generale.
Si ricordi – per tornare a M. Scoto – che la magia era considerata fra le “scienze tradizionali sperimentali” nel Medioevo …






Andrea A. Ianniello


















[1] Articolo “Tantrismo e magia” in R. Guénon, Studi sull’Induismo, Fratelli Melita Editori, La Spezia 1989 (trent’anni fa!!), pp. 77-79, corsivi in originale. Tra l’altro, Studi sull’Induismo è stato già citato una volta, in questo post, cf.