lunedì 27 agosto 2018

Ricorrenze numeriche, un’osservazione










Su certi punti d’orientamento generale si  è detto l’essenziale nei molti post vecchi; eventualmente, ci si ritornerà su per ribadirlo. Nel frattempo, sia tanti piccoli post vari, sia ritornare su alcune cose lasciate per strada, sempre con un occhio all’attualità se vi saran movimenti fondamentali e decisivi.
Detto ciò, si proceda.

Vi è un’interessante osservazione su alcune ricorrenze numeriche , tra l’altro in relazione ad un vecchio post (cf.
Ma veniamo al punto, nella successione dei primi, nella serie dei primi 1000 numeri. Cioè i 100 primi tra i primi 1000 numeri in successione naturale. Si conosce la successione dei primi, per i primi 100 numeri, ma vediamo quella dell’ultima cifra della successione, tipo: 17, cioè 7, ultima cifra di diciassette. Tu vedi un numero primo, tipo il sette, e attendi quanto intervallo c’è perché non si ripresenti un altro primo che termina, con ultima cifra, col sette, nel nostro caso il diciassette.
In tal caso, è interessante vedere a che intervallo di numeri, sempre primi, si ripeta l’ultima cifra, tipo, per i primi 12 primi – sempre fra i primi 1000 numeri naturali – si ha: 2, 3, 5, 7, 1, 3, 7, 9, 3, 9, 1, 7 …. Ecc. ecc.
Altra successione interessante: porre accanto l’ultima cifra dei numeri primi la cui ultima cifra si ripete, tipo, per esempio, 3 e 13, l’ultima cifra essendo il 3. Sempre col criterio di qui sopra: si vede il primo numero primo, successivo a quello precedente “di partenza”, che presenti la stessa ultima cifra.
Si ha così una successione di due numeri con la stessa identica cifra, e sempre dispari, ovviamente, poiché l’unico primo pari è il 2, come ben si sa.
Ecco la successione (sempre per i primi 1000 numeri naturali), 33, 11, 33, 77, 11, 33, 77, 77, 11, 99, 77, 11, 99, 77, 99. Qual è la causa di questa successione, se ne ha una? Perché si ripete così, poi, ed ha qualche regolarità nascosta?

Divertente.










Andrea A. Ianniello











Segnalazione 3








Un’interessante segnalazione: P. Pizzari, Necronomicon. Magia nera in un manoscritto della Biblioteca Vaticana, Atanòr, Roma 2003 (Terza edizione).




Andrea A. Ianniello










domenica 19 agosto 2018

Occorre … “OPORTET UT” …

















Vi è il passo di Guénon: “Vogliamo astenerci da tutto ciò che, in qualche modo, possa somigliare a una ‘profezia’; teniamo a citare tuttavia, per concludere, una frase di Joseph de Maistre, che è ancor più vera oggi che un secolo fa: ‘Bisogna tenersi pronti per un avvenimento immenso nell’ordine divino, verso il quale procediamo a una velocità accelerata che deve colpire tutti gli osservatori. Temibili oracoli annunciano già che i tempi sono giunti”[1]. Era il 1927, data dell’edizione originale francese (anche se ne apparve un “sunto” prima in italiano, sulla rivista “Atanòr”). Nel frattempo, i “temibili oracoli” han portato disastri a volontà, ma nonquell’” evento.
La fonte di tal passo è in de Maistre, dove però ha tutt’altro contesto, ed è davvero molto importante notarlo: “Non c’è più religione sulla terra: il genere umano non può rimanere in questo stato. Temibili oracoli annunciano del resto che i tempi sono arrivati. Numerosi teologi, anche cattolici, hanno creduto che fatti di grande importanza e poco lontani fossero annunciati nella rivelazione di san Giovanni e benché i teologi protestanti non abbiano in genere divulgato che i tristi sogni su questo libro, nel quale mai hanno saputo vedere altro oltre a quello che desideravano, tuttavia, dopo aver pagato questo tributo al fanatismo settario, vedo che alcuni scrittori di questo partito adottano già il principio che diverse profezie contenute nell’Apocalisse si riferivano ai tempi moderni. Uno di questi stessi scrittori è arrivato a dire che l’avvenimento era già cominciato, e che la nazione francese doveva essere il grande strumento della più grande delle rivoluzioni. Non c’è forse un uomo autenticamente religioso in Europa (parlo della classe colta) che non aspetti da questo momento qualcosa di straordinario”[2]. Era il 1821, data dell’edizione originale. Di “qualcosa di straordinario” ve n’è stato a iosa, ma non nel senso in cui de Maistre lo intendeva. E poi, che “il genere umano” non potesse “rimanere in questo stato” si conta fra le più grosse incomprensioni. Vi è rimasto, eccome, finché non sarebbe divenuto la “normalità”. Una tale incomprensione nasce dal confondere la Rivoluzione francese con l’inizio dell’ “Apocalisse”; e magari vi avrà molto contribuito, ma non è l’ Apocalisse”.
Siamo in piena clima di “restaurazione”, e la frase “non c’è più religione” è divenuta quasi di senso comune, senza che alcun cambiamento di corrente fondamentale avvenisse nel frattempo, anzi: è vero il contrario. Anzi, proprio i “battaglioni” legittimisti e “tradizionalisti”, in mille vesti, han contribuito tantissimo a che il mondo andasse dove va. Tutte le “ristrutturazioni” sistemiche sono state compiute con l’appoggio diretto dei “battaglioni” in questione, che non smettono mai di perpetuare il loro errore fondante. Non sono stati i “comunisti” o i “nazisti” a stabilizzare questo cammino, per quanto possano essere stati cattivi nei fatti. Il liberalismo ha prodotto queste cose, non l’inverso, le ha prodotte come falsa risposta, però a dei problemi che ci son davvero, anzi, che si son ingranditi nel tempo, fino a divenire oggi praticamente intrattabili e non maneggiabili. In una parla: irrisolvibili.
In una parola: J. de Maistre non errava nel vedere dietro la Rivoluzione francese – dietro, non davanti, non nel succedersi – una “intenzionalità” malvagia, ma errava, e del tutto, nel credere che fosse la forma presa dalla Rivoluzione francese il punto vero: non è vero. Come errava altrettanto nel vedere solo nella lotta contro la Chiesa cattolica, che pure, incontestabilmente, vi era, lo scopo di tale “intenzionalità” malvagia che, pure, intravedeva, ma si guardava bene dal capire, e i “tradizionalisti” con lui. Il problema non è de Maistre, che, nel suo tempo, è giustificato: all’epoca certe cose erano davvero ancora di là dal palesarsi; il problema invece sono i suoi congeneri oggi, anch’essi degli “inguaribili sognatori” come quelli che hanno, spesso, mal inteso Guénon[3].
Si nota, tuttavia, che il contesto delle affermazioni di de Maistre e quello delle affermazioni di Guénon è ben diverso. I due contesti non si corrispondono.
Forse Guénon avrà voluto “forzare la mano”, come suol dirsi? Oppure davvero sentiva che fosse giunto “il” – o “quel” – momento – ma, poi, la cosa non si dimostrò vera, visto che rivide alcune sue posizioni?
Tutto ciò può aver interesse storico, e, di certo cosa più importante, contribuisce a far capire certe “differenze” di fondo, di base. Tuttavia, questo genere d’interrogativi resta secondario, rispetto al quesito fondamentale: se, cioè, sia il “nostro” quel momento decisivo.

E poiché il “temibili oracoli” non han fatto che annunciare dei disastri molto terreni – magari anche di portata gigantesca e senza precedenti, ma stiamo parlando di differenze quantitative, non qualitative! –, allora proprio perché gli “oracoli” (lato sensu intesi, come de Maistre) son oggi tutt’altro che “temibili”, e molto ma molto “umani (“umani, troppo umani”), si può pensare che “i tempi” siano molto meno lontani di quel che si pensi oggi comunemente. Potremmo quindi chiamarlo: argomento ex absentia, meglio ancora si potrebbe chiamarlo: argomento timendorum ex absentia formidabiliumque oraculorum.
In altre parole: argomento ex absentia di tremendi oracoli ma, invece, per presenza di una pletora di piccoli oracoli di sventura. In tal senso, i peana per la “più lunga eclissi del secolo” (del luglio 27, di quest’anno) sono stati assai significativi: disastri a iosa, proprio l’imbarazzo della scelta, ma niente di sistemico invece. Invece l’eclissi, per di più parziale, dell’11 agosto, seguita alla prima, si è svolta in concomitanza con la crisi della lira turca, che può segnare il classico evento scatenante. Ma rimaniamo nell’ambito “umano, troppo umano”, e cioè: un System ormai sempre più tenuto in vita artificialmente, come s’è detto varie volte su questo blog, inizia a mostrare delle crepe strutturali forti. Ma il punto qui è l’intervento di “altro”, per cui la domanda diverrebbe: quando i due giunti confluirebbero? O, in altro modo: quando i due piani, o livelli, s’intersecherebbero?
Ecco il punto: l’argomento ex absentia suggerirebbe che un tal momento non possa più esser lontano, e tale inferenza si può sostenere propria sulla base dell’assenza di qualcosa di “grosso”, cioè di grossi oracoli, ma per la presenza di tanti sgambettanti demonietti oracolari.






A. A. Ianniello







[1]  R. Guénon, Il Re del mondo, Adelphi Edizioni, Milano 1977, pp. 111-112.
[2]  J. de Maistre, Le serate di San Pietroburgo. Colloqui sul governo temporale della Provvidenza, Conversazione undicesima, Edizioni Fede & Cultura, Verona 2014, pp. 372-373, corsivi in originale.













Segnalazione 2











Ho segnalato ad un amico questo testo: G. Casalino, Il nome segreto di Roma. Metafisica della romanità, Edizioni Mediterranee, Roma 2003, con l’importante riserva che l’autore “evoleggia” non poco, e dunque va preso con le dovute molle in molti suoi passaggi. Tuttavia, nel punto essenziale – la relazione tra Venere e Marte – ha ragione senza dubbio. Tra l’altro, Venere (Espero, a volte con il “digamma” iniziale mantenuto: Vesper, donde i “vespri”) è la fondatrice dell’Occidente in senso tradizionale, però solo dopo il “connubio” con Marte, il Marte italico – aggiungo ancor a Casalino – a sua volta parente di quello etrusco, di quegli Etruschi tanto infaustamente deprecati da Evola (uno dei suoi più grossi errori) e, come detto, in Casalino non vi saranno risparmiate le “tirate” à la Evola sul “sentimentale”,, civiltà “materna” e compagnia “scemeggiando”. Evola si lesse Bachofen e pretese di spiegare per suo mezzo il passato, errore madornale. Per carità, Bachofen è una miniera di dati sui miti classici, ce l’ho e va letto: affascinante, in tal senso; ma l’interpretazione, a dir poco, lascia desiderare, molto. La Grecia sì è all’origine della “divergenza” occidentale, per dirla con Guénon, ma, a differenza dello stesso Guénon – che seguiva schemi interpretativi molti diffusi nella sua epoca, però rivelatisi parziali – G. Colli, reinterpretando Nietzsche, ha dimostrato l’origine asiatica di molte cose greche. Come si sa, Nietzsche (ne La nascita della tragedia) qualifica Dioniso come “asiatico”, mentre per lui Apollo era la “grecità” classica, capolavoro di armonia delle forme, però priva di profondità. Dioniso è la tragedia; Apollo è il sogno, la dimensione onirica, e non certo in senso freudiano! Ora, Colli accetta sì questo, ma va più in là, e scopre che questa visione di Apollo è una riduzione rispetto a quella originaria, presente nell’ Iliade, per fare un esempio: Apollo che, col suo arco, diffonde la peste nel campo greco, il “dio che uccide a distanza”, il dio raffinato nelle vendette, ma sempre distruttore, simbolizzando non il Sole come armonia, ma invece il Sole all’apice della sua potenza, che dissecca e distrugge la vita; insomma, con dei tratti à la Shiva, per fare un’affermazione “forte”, come suol dirsi. Tra l’altro, il distruttore nel’ Apocalisse di Giovanni, non a caso è detto Apollyon.  Per Colli, per tornare al punto, tanto Dioniso che Apollo son “asiatici” nella lor origine vera. Il che ci fa capire quanto la Grecia fosse diversa dall’immagine “classicista” che se n’è voluta dare. Tornando al problema storiografico, la “divergenza” nacque in Grecia, ma la “differenza” occidentale nacque a Roma, piaccia o non.
Tra l’altro, sulla copertina c’è un particolare del Pantheon, tempio dedicato a Roma ed a Venere, non certo a caso, e che, poi, è stato cristianizzato come Santa Maria ad martyres, cristianizzazione che l’ha salvato. Inoltre, la donazione de Pantheon – tempio imperiale – da parte del Basileus della Roma d’Oriente ha segnato il potere temporale dei papi, che è, dunque, del tutto legittimo, in quanto conferito dall’Imperatore al Papa. Noi, in Occidente, e questo va detto, si chiama l’Imperatore “d’Oriente”, in realtà va chiamato Imperatore romano tout court, in quanto la successione dal primo Imperator romano a Costantinopoli si era seguita senza interruzioni.
Come si sa, poi – dopo –, il papa cercò un imperatore in Occidente, in quanto Costantinopoli era sempre più lontana, la “reconquista” giustinianea era ormai un lontano ricordo; e lo trovò in Carlo Magno, il cui potere era anche del tutto legittimo. Iniziava, però, quel “dualismo al vertice”, così caratteristico dell’Occidente, e che ne avrebbe “segnato” il destino (ma non è il caso di tornare qui su problemi che ci han lungamente occupato, in questo blog).
Qui un’ulteriore precisazione va fatta: in che cosa le idee “di destra” e “fasciste” sono lontane dall’idea di Roma, nonostante le esaltazioni à la Julius Evola, cui Casalino si dà senza remore; in questo: che Roma può essere stata tante cose, buone e cattive, mai, però, è stata qualcosa come “nazionalista”. L’idea di Roma è infatti universale. Questa è sempre stata la sua caratteristica principale, nel bene come nel male, piaccia o non. Dunque leggere con le lenti distorcenti del nazionalismo, per di più italiano – cioè un titolo di demerito inespiabile –, la romanità è peggio che un errore di prospettiva, è, invece, un’inversione di prospettiva.
Dire Roma e dire nazione”, in pratica, è un ossimoro, come riconobbe lo stesso Gregorovius nella sua Storia di Roma nel Medioevo, parti finali.

Detto tutto ciò, veniamo ad un’osservazione su di un interessante passo (cf. G. Casalino, Il nome segreto di Roma, cit., pp. 140-143), dove si parla del fatto che Espero, figlio di Giove giunge in Italia e fa sì che si chiami Esperia, uno dei nomi antichi di ciò che, poi, si sarebbe chiamato “Italia”, in osco Viteliù, come vitello, radice di vita e di vite: la terra del Toro. Ma il Toro è governato da Venere … Il legame con la vite sta nell’altro antico nome dell’Italia: Enotria, la terra del Vino.
Dopo aver osservato quest’ascendenza “mythica”, e cioè l’eponimo, Casalino continua, osservando come Venere è l’astro (pianeta) che si vede quando il Sole non c’è più, una volta annunciando la sua prossima venuta (ed è Lucifero, anche nella sua accezione cristiana negativa), ed un’altra volta salutando il Sole passato, ed è Vespero, un altro nome del crepuscolo, il “vespro” appunto.
Casalino non ne trae le debite conclusioni, che sono, nel nostro caso: il “Sole della Traditio” è definitivamente tramontato, il che spiega tante e tante cose; ne rimane solo un vago chiarore. Ma Venere si continua a vedere: essa garantisce la continuità, che non è “formale”, non potrebbe, infatti, esserlo senza generare una palese contraddizione logica, più che cronologica. Essa – Venere – in se stessa non è ciò che assicura la continuità, bensì n’è solo il “pegno”, e il “segno”, il segno che ci sarà. Dunque, ogni tentativo di “ricostruzione” à la Evola è fasullo, inconsistente. E però, attesta che un briciolo di continuità, soltanto potenziale, permane: ma tale segno spinge ad altro, non a “restaurare” il passato.
Questo punto qui è decisivo.





A. A. Ianniello






PS. Cf.