venerdì 27 dicembre 2019

Beh la “disinformatzija” OGGI è un “MUST”
















Beh la “disinformatzija”, oggi, è un “must”
Togliere persone “tossiche” dalla propria vita, qualcuno consiglia in questo periodo: sì, quelle che diffondono paure inutili e senza senso apparente (ve n’è uno, ma meno evidente), queste sì che dovreste scacciarle dalle vostre vite …
Vi è, sì, un legame diretto fra capitalismo e segno del Capricorno, ma non nel senso che il Capricorno “mini” il capitalismo, ma in senso contrario: tutta ‘sta manfrina di “sovranismo” e di neonazionalismo è il tentativo estremo di difendere il capitalismo e non di riformarlo: di nuovo, il contrario di quel che la vulgata sostiene …

Eh ma la paura, oggi, è una cosa ben diversa da quella dell’epoca della guerra fredda, ch’era una paura palpabile, ben precisa e circostanziata. Non vi è, dunque, alcuna “guerra fredda” che ritorna né vi è alcuna guerra “calda” – nel senso di “guerra mondiale” intesa come ripetizione della Seconda Guerra Mondiale – oggi è possibile: proprio l’estrema frammentazione della situazione odierna vi si oppone frontalmente.

Al contrario, la paura è oggi una sorta di simulazione che si riproduce in infinito numero di copie ma che si basa sul niente.
Invece le vere cose che dovrebbero preoccupare continuano, del tutto indisturbate


Beh d’insensibilità ce n’è a iosa, i crolli finora latitano e non credo siano “necessariamente necessari” per la trasformazione che costoro hanno in mente[1]

Dipende molto più dalla reazione il crollo che dall’intenzione di chi vuole la trasformazione.  
Una crisi finanziaria così “paurosa” che il Nasdaq ha raggiunto il massimo e persino la Borsa di Milano sta tornando al pre-2008. Come di “terze” guerre “mondiali” ce ne sono state a iosa, nei cervelli di chi li vede, ovviamente, di crolli spaventosi, uff, a iosa, di meteoriti che son “caduti” lo stesso, “pesti ed altri disastri”[2], e il sistema sta ancora qua. Vivo e vegeto. La sua esistenza è la sua crisi continua, esso – diceva Baudrillard – si è installato “nella sua crisi come suo principio di realtà” …
Come di “anticristi” ce n’è stati a iosa, nessuno di essi capace di fare quel che l’ “anticristo” è deputato a fare, ad espletare la sua funzione: far finire la storia, perché questo è “il” punto decisivo, quello vero.
Tutto sta nei cervelli, gli eventi son spariti: essi vivono nella loro simulazione che può riprodursi ad libitum, senza fine.
Siamo avvolti in un “loop”, un “lupo”, che magari questo sia il vero Fenrir[3] …?? Ci sarebbe di che ridere, per la terrificante glaciale ironia sardonica e beffarda, della storia …

Tornando ai “mercati” – il “visibile dio” (come il Leviatano di Hobbes) – l’anno scorso, sì, che han visto l’anno negativo.

Ma è passato!! e il System è rimasto, sempre più simulato, ma esistente in questo suo “mirror” ….

Mai “crolli in borsa” son stati più annunciati e meno realizzati.
Il  che dovrebbe scuotere l’analisi, e far capire che nel System c’è stato un cambiamento – “strutturale”, di struttura e non “di strutto”, che, però, ha tutto “distrutto” … –, anche rispetto a dinamiche ben note e studiate.
Ma niente da fare: si continua a non capire.



Quali sono gli strumenti analitici che ci spiegano questa realtà?

Che ci parlano della realtà dei fatti, e non della proiezione dei propri “desiderata”?

Come per la storia del “terzo tempio”, che, secondo alcuni, dovrebbero far fuori tutti i palestinesi per poterlo ricostruire … E perché? Perché mai? Mica è necessario. Anzi, che complicazione!!
Ma chi cavolo ha confuso ‘sta gente con la storia dello “sterminio di due terzi dell’umanità” e scemenze simili?
Che senso avrebbe? Nessun senso. Se lo scopo esiste, se lo scopo è reale (quello già detto[4]), quel che costoro sostengono non ha proprio alcun senso, né riguardo a “terze” guerre mondiali[5], né a “crolli”, né a “terzi templi”, né ad “anticristo” (sul qual termine hanno grossissimi malintesi e una grande incomprensione). Tutto ciò, come concepito da costoro, non potrebbe che allontanare da uno scopo sempre più vicino, sempre più possibile.
Obiettano allora: beh Hitler, col che intendono che non si può escludere un intento distruttivo, anche se in parte autodistruttivo da parte di chi avrebbe questo fine di distruzione dei “due terzi dell’umanità”; ma ciò sarebbe sbagliato proprio prendendo, per amor di discussione, il punto di vista di costoro che vorrebbero distruggere i “due terzi dell’umanità”: chi ha già il mondo in mano lo vorrebbe distruggere, che senso ha? E costoro postulano che le classi che dominano il mondo di oggi vorrebbero sempre di più: ma se già ce l’hanno!, ancor più: che senso ha?! …
Allora vi sono da fare due osservazioni, per poter rispondere a queste pseudo obiezioni.
Primo punto: Hitler fece, sì, una follia quando dirottò tante risorse, che poteva usare nella guerra, per sterminare tanti ebrei, nessun dubbio al riguardo; ma chi ci dice che gli “architetti del binario” siano folli come lui? Anzi, è probabile che non lo siano … La cosa più probabile, infatti, è che queste forze non siano come Hitler. Queste forze, infatti, usarono Hitler e fu quest’ultimo, considerandosi ormai capace di dirigersi da se stesso, a compiere un sacco di errori e di cose oggettivamente malefiche, che tanti oggi tendono a negare, o a sminuire, ma che invece fece davvero. Conviene dunque ribadirlo: queste forze usarono Hitler, ma non sono affatto come lui … Pertanto, la premessa dell’obiezione non ha significato poiché si basa su di una profonda incomprensione della vicenda hitleriana e sull’attribuzione a queste forze di un intento distruttivo ed autodistruttivo come l’ebbe Hitler, ma lo si attribuisce, niente ce lo dimostra, anzi, è vero l’opposto: non appena una situazione sta andando in stallo, intervengono delle forze a “rettificare” (dal loro punto di vista, ovvio). Quindi son come degli attenti amministratori del loro dominio, dunque son proprio tutt’altro che gente che vuol suicidarsi e tutto distruggere se non raggiungono il loro scopo.
Indubbiamente poi, esistono molti ricatti nel mondo globale, dove si preferisce la maniera nascosta, nessun dubbio su questo, ma ciò – di nuovo – esclude che tali forze vogliano autodistruggersi. Quest’eventualità è quindi da escludersi per principio.
Anzi è vero l’opposto: che, se non li si spinge agli estremi, è chiaro “al di là di ogni ragionevole dubbio” che tali forze si sono insediate nel dominare l’umanità, e la domineranno per sempre, nelle loro intenzioni e dal loro punto di vista. “Condannati al ‘progresso tecnico’ per l’eternità”, disse qualcuno. Ed è così. Il vero complotto è, infatti, la “tecnica” da un lato, e, dall’altro, ciò che mantiene il sistema in stato di – relativo, sempre più relativo ma ben effettivo – “equilibrio”, cioè il sistema di controllo “cibernetico” del sistema stesso. Il vero complotto è stato quello di costruire questo sistema di autocontrollo cibernetico, metterlo in moto e distruggere l’accesso alla cabina di comando: questo è stato – perché già successo, negli anni Settanta del secolo scorso in risposta alla crisi petrolifera, degli anni 1973 e 1974, ed alla fine della parità aurea del dollaro –.
Secondo punto: Hitler ce l’aveva a morte con gli ebrei, e non con “l’umanità”, termine quest’ultimo che, per lui, non aveva proprio alcun significato, come ci dimostrano tutte le sue parole nonché le sue azioni. Quindi quando dicono certe cose, semplicemente diffondono la paura, diffusione che oggi ha un altro senso, questo sì, un complotto: quello di difendere il capitalismo agli sgoccioli ed in crisi strutturale. Il punto, come s’è appena detto, è ciò che mantiene il sistema in moto, non ciò che lo ferma, che ha una forza – ciò che “ferma” – sempre crescentemente indebolentesi.
Il vero “complotto” è invece quel che ha reso il sistema sempre più “cibernetico”, per niente però etico (ed è mero sogno quello di chi attribuisce un’ “etica” al sistema capitalistico, per definizione funziona o non funziona nel raggiungere i suoi scopi: non ha “etica” intrinseca, e non può averne; che il singolo possa poi averne una, può esser anche vero, ma è un altro discorso …).
Senza dubbio, il sistema possiede le sue tare intrinseche, per cui può entrare in crisi strutturale, il sistema intendo; ma che ciò sia sufficiente a bloccarlo è, però, falso: esso può fermarsi solo e soltanto se intervenga un fattore esterno all’insieme “tutto sommato limitato del ‘Regno della Quantità’” (Guénon). Tutto ci porta senz’altro alle stesse considerazioni, ma in salse diverse.
Il termine “strutturale” significa che è il funzionamento del System che presenta dei problemi dentro se stesso.
Prova ne sia che non appena le banche centrali smettono la loro politica di sostegno ai mercati, questi vanno in crisi, alla faccia del “libero” mercato e del “libero” scambio, ch’è sempre esistito solo nei cervelli mentalmente chiusi dei “liberisti” e “neoliberisti”, ma mai nella realtà! La libertà è un “dreckeffekt” … I “diritti” son costruiti su base pattizia, per cui possono essere sempre revocati, non sono dell’ “uomo”, ma invece son effetto di votazioni fra rappresentanti di qualcosa, rappresentanti sempre crescentemente autoreferenziali per causa della crisi dell’istituto di rappresentanza in se stesso.
Viviamo in un mondo d’effetti simulati.
La riproduzione sostituisce crescentemente la cosa “vera”, che sparisce in questa serie di copie. La riproduzione è simulazione; precedentemente – modernità “old style” – la riproduzione “rappresentava” la “cosa”; dunque: la simulazione è, oggi, la rappresentazione. Se così è, dunque la rappresentazione oggi è simulazione. In altre parole, si fa sempre più fatica a distinguere i due aspetti. Vi è circolarità logica? Certo che vi è, ma il sistema è tutto costruito sulla circolarità logica … “Perché questo è il capitale: il regno senza limite del valore di scambio. Non è vero che all’ordine simbolico e rituale il capitale opponga un ordine razionale dell’interesse, del profitto, della produzione e del lavoro, insomma un ordine di finalità positive. Esso impone piuttosto una deconnessione, una deterritorializzazione di ogni cosa, un’estensione smisurata del valore, un ordine altrettanto irrazionale dell’investimento ad ogni costo (il contrario del calcolo razionale secondo Weber). La razionalità del capitale è una baggianata: il capitale è una sfida all’ordine naturale del valore. Questa sfida non conosce limiti; essa mira al trionfo del valore (di  scambio) ad ogni costo, e il suo assioma è l’investimento, non la produzione. Tutto dev’essere rigiocato, rimesso in gioco […] senza tener conto di bisogni o di fini umani e sociali. Almeno è questo capitalismo, senza morale né misura, che ha dominato dal XVIII secolo agli inizi del XX. Di esso il marxismo non è che la forma degradata. Il socialismo non è la forma dialettica superiore al capitale, è solo la forma degradata, banalizzata, del sociale, la forma moralizzata dall’economia politica (la quale a sua volta è stata ridotta da Marx alla dimensione critica ed ha così perduto la dimensione irrazionale […] su cui ancora insiste Weber nella sua Etica protestante) e l’economia politica stessa integralmente moralizzata dal valore d’uso[6].
Il capitalismo ha, sì, e come nessun sistema sociale prima, una modalità razionale – tecnologica, per l’esattezza – di procedere: la sua modalità è la ricerca del profitto, ma il suo scopo (cioè la finalità) non è il mero profitto. Ma lo è l’investimento, ma lo è l’imposizione del valore di scambio come unico e solo valore.
Eh ma è “sempre” stato così, alcuni – subito – penseranno. Ma non è affatto vero: in altri sistemi sociali ci sono cose sottratte allo scambio, e ad esso sottratte per principio. Non potevi “fare scambio di ‘ogni’cosa”, ma proprio per niente.
Ma torniamo al tema.


Il suo scopo, del capitale intendo, è sommamente irrazionale.
Esso è la diffusione – senza limiti – del valore di scambio, a qualsiasi costo, non perché “voglia” il “a qualsiasi costo”, ma perché ogni altra finalità – finalità, non modalità: si ponga ben chiaramente mente su questo punto specifico qui – per principio non può trovar posto nell’unica finalità: “il regno senza limiti del valore di scambio” (J. Baudrillard). Solo lo scambio ha valore, nessuna cosa ha “valore” intrinsecamente, “di per sé”, cioè. L’acqua – “il valore d’uso” – non ha valore perché tale, cioè acqua, bensì perché viene scambiata. E lo scambio ha sempre un costo, i costi vanno abbattuti per aumentare la modalità: il profitto, che accresce la possibilità della finalità unica di divenire totalizzante, quindi la cosa migliore è scambiarsi dei “bit”, e cioè scambiarsi cose potenzialmente poco materiali, dell’energia elettromagnetica, insomma.
Ma qualcuno ha mai davvero capito la radicalità di una tale cosa, di un tal fenomeno sociale che non può che distruggere le società perché v’impone, come un ospite parassita, le sua – la sua unicafinalità? Per far questo non può che usare la ricerca del profitto, perché solo questa fa potenzialmente cadere i limiti.
Ma questa è, come si diceva, la modalità, e non la finalità …


La differenza con le passate epoche, si diceva, sta nel fatto che – oggi – la “tutela” che gli organismi di natura “globale”, o “internazionale”, svolgono nei confronti dei “mercati” (cosiddetti “liberi”) ha una portata e un’incidenza “strutturali” (mi riferisco ad ambedue i termini: la portata e l’incidenza), appunto, e questo significa che tale “tutela” riguarda non un’opera di correzione dei guasti dei “mercati”, o di loro parziale “armonizzazione”, bensì riguarda il funzionamento stesso del sistema di scambi e di valute internazionale (aggettivo che si riferisce a: sistema, “System”, e non a “scambi” né a “valute”).
Viviamo già, dunque, in un sistema profondamente alterato, anche rispetto al neocapitalismo di post Secondo Conflitto mondiale.
Si tratta, molto semplicemente, di prenderne atto.
Il “cosa ‘si’ può fare” viene dopo, e, preannunciamolo, si riduce a ben poco. Ma la “critica” ai mercati perché non sarebbero “liberi” non è una critica, ma una semplice constatazione di un fatto loro connaturato e strutturale. Diverso sarebbe dire – ma questi qui non ci arriveranno mai – che il controllo, che oggi si opera crescentemente sui mercati, ha un altro scopo, non economico: questo è vero, è proprio così che funziona oggi, ma quelli che criticano il mercato perché, con l’intervento della banche centrali, sarebbero meno “liberi”, son gli ultimi a poter anche solo lontanamente avvicinarsi a comprendere questo fatto.  
Infatti la contraddizione non c’è nella realtà: la contraddizione c’è fra la realtà e la giustificazione della realtà, cioè fra la realtà e l’ “ideologia” – questa costruita sui fatti –, ma non nei fatti.
Se il libero mercato è sempre stato “libero” mercato, dov’è la contraddizione? La contraddizione a questo punto non è altro se non apparente, non corrispondente a niente di reale.
Si tratta di perdere quest’ inutile foglia di fico.
Il capitalismo è sempre stato il dominio di pochi produttori e di poche strutture finanziarie su tutte le altre. La libertà è sempre stata un’apparenza: tu puoi partecipare allo scambio – anzi, ci devi partecipare, in tal senso è “libero” – ma il controllo degli scambi rimane nel centro dello scambio. Tu, in nome della libertà, non puoi, non hai potuto, e non potrai mai, nel sistema capitalistico, mettere in questione uno degli assunti di base del funzionamento autoreferenziale del sistema stesso. Il resto sono chiacchiere.
Qui non si vuol fare alcuna “rivoluzione”, ma solo dirsi le cose il più possibile come stanno.
Niente di più, niente di meno.  
Tutto questo discorso ci fa capire un punto molto importante: il falso scandalo, come lo chiamo. E cioè quando una persona, ch’è stato educata sin da quando era piccolo a suon di “razionalità del capitale”, in pratica sin dal seno materno, poi si ritrova di fronte alle tante emergenze del momento – non ultima, ma invece prima, quella climatica – e si “meraviglia”, come prima cosa, e, seconda cosa, chiede al sistema di seguire qualche “imperativo” etico. Chi al contrario ha compreso la natura di come funziona il capitalismo, non si stupisce dei suoi effetti, sia sull’uomo sia sulla natura. Infatti, l’etica – cioè la distinzione buono/cattivo – non ha proprio alcun senso per il capitale; per esso ha senso un’altra alternativa: funziona/non funziona. Dove “funziona” significa che raggiunge i propri obiettivi, e “non funziona” significa che non li raggiunge. Il capitalismo è una macchina che ha come scopo raggiungere i propri (del capitalismo) scopi. Punto: il resto non lo riguarda. L’interrogazione buono/cattivo non lo riguarda. Come non lo riguarda ogni altra possibile alternativa; lo riguarda solo: funziona/non funziona. Debbono inserire questa molto borghese (in pratica l’unica cosa che può dire la borghesia “contro” il capitale) questione dell’ “etica” nel capitale, che può essere solo una cosa esterna al suo funzionamento, una cosa meramente aggiunta e non strutturale. Solo che tutti i vari “protestanti” che si ponessero nel modo detto qui, prima o poi comincerebbero a chieder qualcosina in più, e di più strutturale: e non va bene, per la ragione del consenso necessario. Il capitale spende tantissimo per il consenso, quasi più che per lo scambio.
Quindi non va bene: non dobbiamo mai porci qualche domandina essenziale … non sia mai …  




Ed dunque, poiché questo genere di temi ha gigantesca difficoltà di venir fuori da quelle che, tutto sommato, sono, e continuano ad essere, delle mere “nicchie”: la “disinformatzija” è dunque, oggi, un “must”










Andrea A. Ianniello










PS. Oggi è il dì della festa di San Giovanni Evangelista, uno dei due San Giovanni (R. Guénon)[i].






















[6] J. Baudrillard, La sinistra divina, Feltrinelli Editore, Milano 1986, p. 13, corsivi in originale, grassetti miei. Attenzione che, per Baudrillard, la rivoluzione come mito, ed anche lo stalinismo (cf. ivi, p. 12), ma quest’ultimo per degli altri motivi, avevano una loro forza che sfidavano il sistema non sull’ “economia politica” ma, invece, sul piano delle finalità, che poi è l’unica – vera – sfida possibile, il resto essendo chiacchiere: il voler fornire una “buona gestione” come tappabuchi all’incapacità del capitale – incapacità strutturale – di gestire la cosa pubblica fu visto – illo tempore!, si noti la data del libro di Baudrillard! – una via che avrebbe portato le “sinistre” solo al disfacimento, Baudrillard è stato buon antivedente, le sinistre  si sono spappolate perché nessuno di loro ha mai capito questo punto: han solo voluto il “buon uso” del sociale, cioè zero sfida all’ordine, ferreo, crudele, spietato, del capitale. Ferreo e crudele e spietato non perché vuole il male dei singoli, e non perché “cattivo”, non per ragioni “morali”, con le quali torneremmo solo al moralismo ottuso delle sinistre; ma crudele, spietato e ferreo perché non ha se non la sua propria finalità, che s’impone alle società senza badare ad altro. Qualsiasi altra finalità, infatti, al capitalismo va imposta dall’esterno: essa gli è lontana ed estranea. Quel che voglion fare gli attuali gruppi (legati alla “serie della ‘b.’”) è precisamente il voler imporre le loro finalità al sistema, il che ha inevitabilmente degli effetti negativi sul sistema stesso, ma pure questi non hanno se non le proprie finalità, ben diverse, però, da quelle del capitalismo.
Per Baudrillard, quando la sinistra ha perso il mito della rivoluzione, ha perso la partita, per quanto si data da fare per sostituirsi alla “cattiva” gestione da parte del capitale, proponendo il proprio “buon uso” del sociale: la partita è persa, per ragioni strutturali, di base, radicali o come ci piace dirlo, il concetto non cambia. Sappiamo che la rivoluzione è solo un mito, vero: non è la “realtà”; ma, forse, che il captale non è un “mito”? Mica è la “verità”!, te l’ha appena spiegato perché! Davvero più chiaro di così è difficile dirlo: “La razionalità del capitale è una baggianata”, si dovrebbe scriverlo a caratteri cubitali, sui muri. Anzi, la rivoluzione hanno scoperto che è un mito, che, dopo, si ha un cambiamento di classe dirigente, ma “nessuna classe dirigente” non è un caso che possa darsi nella storia (questo è, sia detto en passant – ma il discorso ci porterebbe lontano – il punto che Zizek non capisce di Mao, cf. Studio introduttivo di S. Žižek “Mao Tse-tung: signore marxista del disordine” in Žižek presenta Mao. Sulla pratica e Sulla contraddizione, Mimesis Edizioni, Milano - Udine 2009, pp. 17-45; ma proprio perché la pagina di Mao è classica,  e proprio perché era un tipo alquanto intelligente si accorse che quel ch’era successo con la rivoluzione era stata la sostituzione di una classe dirigente con un’altra con la conseguente formazione di una borghesia dentro il Partito Comunista: anche per questo scatenò la rivoluzione culturale, che fallì – su questo Zizek ha ragione – ma, ed ecco la trovata, a questo punto la Cina doveva entrare nel capitalismo e scatenarlo contro il capitalismo stesso, con tutti i rischi del caso eh, con tutti i rischi, perché questo prescrive la dottrina delle contraddizioni: ci sono frasi dove la “vecchia volpe” (“alte fuchs”) rivela il suo gioco, cf. ivi, p. 25 e p. 35 e Žižek non capisce il “nodo”; tutte cose difficili da far capire alle menti occidentali, ci si dovrebbe studiare I Trentasei stratagemmi, da me citati altrove, in un altro post). Ma il mito del capitale tuttavia resiste. Esso è una credenza, una fede laica: non ha niente a che spartire con l’economia, in realtà. Ma tal mito condiziona l’economia capitalistica: le impone una struttura che la fa essere ciò che è. Dunque gli zombie della sinistra – quando ancor esisteva, quando non si riduceva al “buon uso” della società – dovevano, per Baudrillard, solo dire: “Vero, la rivoluzione è un mito, e ce la teniamo così; anche il capitale è un mito”, stop: niente di più. Giusto, ma Baudrillard sottovalutava l’incidenza del mito autodistruttivo dei “lumi”, dell’ illuminismo (pur criticandolo in effetti), e cioè la necessità – che solo le sinistre sentono così fortemente, loro perenne punto debole – di dover “rappresentare”, il che significa che vi “deve” essere un “referente materiale” al quale fare riferimento. Per cui tu il mito della rivoluzione lo devi misurare in base a ciò che hai detto doveva essere (nelle destre ‘sta robbaccia non esiste), mentre la rivalutazione dello stalinismo che faceva Baudrillard nasceva proprio dal fatto che Stalin non si faceva scrupolo nell’uso del potere, in questo era simile al “fascismo” (secondo Baudrillard, ovviamente, che non è il fascismo idealizzato di oggi, che a sua volta ha ben poco a che spartire col fascismo storico).
“Ma la rivoluzione è un mito! Essa ‘dev’essere’ come il modello!”, ma Stalin avrebbe risposto, sempre che avesse parlato (e non era di certo cosa certa): “Va bene, ci teniamo il mito; ora però un viaggetto di sola andata in Siberia”. E tutti in Occidente avevano paura, non del “comunismo”, ma di questa cosa qui, del mito, fasullo senz’alcun dubbio, ma non ha proprio alcuna importanza se sia “vero” o non!!
Ora però, i movimenti comunisti in Occidente, per ottenere legittimazione, han sempre più abbandonato quest’indifferenza verso l’uso del potere fino ad esserne vanificati (diceva, ironicamente, Baudrillard: dall’epoca del Cristianesimo non si è vista un’intrusione di una entità tale fatta dalla moralità nella politica, il che implicava debole forza politica …). La cosa ironica sta nel fatto che, per parafrasare Adorno e il suo detto “l’invidia degli dèi sopravvive agli dèi”, l’anticomunismo doveva venire a predominare in Occidente – con i pessimi risultati delle società fuori sesto in cui si sopravvive – secondo il detto: “La paura di ‘Baffone’ sopravvive a Baffone”, e così i nostri iper conformisti della sinistra si son trovati ad essere accusati di ciò ch’era più extra super lontanissimo dalla loro mentalità illuministica, mentalità della quale Stalin rideva. Ma, se uno è solo conformista, può venir usato dal sistema al quale si conforma per gli scopi di tal sistema, che aveva bisogno dell’anticomunismo per mantenere il consenso popolare. Il divertimento è venuto dopo, quando il giochetto dell’anticomunismo non doveva più funzionare, e le classi dirigenti dell’Occidente han cominciato a perdere consenso, soprattutto nelle classi “meno abbienti”, come suol dirsi oggi, con i vari eufemismi di volta in volta in voga.
Tutto deriva dallo pseudo rinnovamento del 1989: “L’attore rotea la testa e annuncia di parlare con la voce di un antico martire, gioca con combinazioni di lettere e numeri, e nel gioco rientrano anche sgradevoli elucubrazioni sul 1989, che sarebbe fatidico. Finita l’evocazione, egli rifà la voce del piombaio, il quale spiega che le rivelazioni si possono interpretare al contrario”, E. Zolla Aure, i luoghi e i riti, Marsilio Editori, Venezia 1985, p. 147, corsivi miei. Dunque da interpretarsi “al contrario”, per cui: se l’ ’89 fu preso per un “rinnovamento” (e “cosa buona”), la realtà era l’ inverso, come accade spesso nei sogni e nelle visioni, peraltro …  




mercoledì 4 dicembre 2019

Cose di “PICCOLO CABOTAGGIO”, 1 – Della serie: “PARLAR CHIARO”, 2 – Il “paradosso della legittimità”, 2















[Come s’ detto[1], inizia la serie dei post chiamata del “piccolo cabotaggio”, cioè post corti; termina, quindi, la serie di post lunghi per quest’anno: un post “lungo” è quello dove ci son più argomenti trattati, un post “corto” è quello dove ce n’è uno solo, con eventuali “annessi e connessi”]


Infatti la sovrappopolazione sta diminuendo, no? Non sta diminuendo?! Allora lo scopo è un altro, lo scopo è mantenere il controllo da parte d’una ristretta minoranza, che c’è sempre stata (il capitalismo **è** questo, questo controllo da parte di una ristretta minoranza, ma controllo che **non si basa** sullo stato: anzi, lo stato va indebolito (se non abolito, tout court)), e che **non è affatto** solo ebraica, ma proprio per niente.
Sia detto per inciso: se uno dovesse prendere il punto di vista dell’ “eponimo” di questo blog – Federico II – ne dovrebbe dedurre che tutti gli attuali regimi – e dico tutti, tanto i “dittatoriali” che i “democratici” – sono illegittimi, però hanno, chi più chi meno, il consenso, la moneta fondamentale della politica nella modernità.
Chiaro che – sia detto con grande chiarezza – la rivendicazione di non legittimità può essere oggi solo e  soltanto teorica, cioè non se ne può trarre alcuna conseguenza “pratica”, cosa che atterrisce i “tradizionalisti” che vorrebbero chissà che ora, quando il movimento della modernità, finalmente definitivamente entrato nella fase più “critica” della “Crisi del mondo moderno” (secondo il titolo del libro di Guénon, del qual libro prego di leggere la vecchia edizione Mediterranee, non l’ultima, troppo “evolizzata” – e dunque fuorviante a riguardo delle reali posizioni dell’autore del libro in questione –), sta fuoriuscendo da sé stesso e spingendo alla sua “fine”, ch’è anche il suo “fine”, e che gli appelli al “ritorno al nazionalismo” non possono che ritardare.
Stesso discorso vale per i “populismi”, sia di “destra” che di “sinistra” (perché vi è anche un populismo di sinistra, il populismo essendo – su questo M. Tarchi ha ragione – in sostanza una “mentalità”).
Per lo stesso motivo – “le cose devono fare il loro corso”, “non saltar subito sul cavallo”, “dà lo spazio al tempo di operare” (tutte frasi che son solito dire), ecc. ecc. – non si può dare alcun “terrorismo” in nome del quale cercare di “sovvertire” l’attuale illegittimità diffusa dei regimi politici, verità solo e soltanto teorica. Anzi, il terrorismo è tipico dei nostri tempi[2] e ne attesta l’illegittimità, seppur non può curarla in alcun modo, in quanto anche il terrorismo è illegittimo.
E dunque un’illegittimità non può curarne un’altra.
Oggi poi, la ricerca del consenso s’è fatta spasmodica, sotto l’influsso potente della tecnica, ma, ecco, il paradosso: il consenso s’è fatto simulacro, proprio grazie alla tecnica. Non v’è più “il” popolo, ma un pubblico, anzi dei pubblici, che assegnano un rapido, però altrettanto mutevole, cangiante consenso privo, però, di coagulo. I “popoli” sono come “acque”, sempre in movimento.    
Questo dà la possibilità di dare una definizione di modernità nel campo politico, la cui categoria (Schmitt) è quella di “amico/nemico”; ed eccola, dunque: la modernità è quando legittimità e consenso coincidono.
Questa fase inizia con la Rivoluzione francese, il che non significa che il consenso non fosse importante prima, ma, già dalla nascita dello stato moderno tra fine Medioevo ed inizio dell’epoca moderna, già il consenso inizia ad esser importante: non sostituisce, tuttavia, la legittimità. Il senso della Rivoluzione francese sta nel sostituire, de facto, la legittimità col consenso: inizia la ricerca – sempre più spasmodica – del consenso.
Tale ricerca è divenuta, oggi, un simulacro, come s’è detto, quando, grazie alla tecnica, il consenso si può manipolare, produrre.
Su questo tema della legittimità, vi è un post precedente, cf.
Chiaro che la legittimità non proviene dal popolo, come vogliono tutte le destre, senza eccezione, che si auto definiscono “tradizionaliste”, ma che vanno contro il principio della Traditio, id est: Non est potestas nisi a Deo (Paolo di Tarso), e che vi sia un altro nome al posto di “Dio” non cambia il principio, che attesta che l’uomo non può dare a sé stesso la legittimità dell’uso del potere politico ed amministrativo, che è il potere d’imporre le proprie decisioni e i propri deliberati agli “altri”, a tutti gli altri. Il popolo può dare il consenso – anche se “il popolo” non c’è più, oggi, ma solo dei pubblici che assistono al (triste) spettacolo della politica odierna, e votano –, ma il popolo non può dare la legittimità, che non possiede, poiché la legittimità non deriva dal numero, numero ch’è, invece, fondamentale per il consenso.
Per avere il consenso è necessario che la maggioranza ti appoggi. Per avere la legittimità non è necessario che la maggioranza ti appoggi ma che tu possa render conto della tua origine, e l’origine non dipende dal numero. Essa è un fatto qualitativo e non quantitativo. E’, cioè, un “numero primo”, che non può rapportarsi se non a sé stesso o all’ “Uno” stesso.  
Vi è, sì, il paradosso della legittimità, cioè che con la stabilità nel corso del tempo, la legittimità si “guadagna”, per cui un regime, “dittatoriale” o “democratica” che ne sia la forma, con uno o più partiti che sia, se riesce a durare, si “legittima”, per l’appunto.
Questo è vero, per cui, se un regime, “dittatoriale” o “democratica” che sia, riesce a perdurare, acquisisce la legittimità, e, dunque, voler sovvertire quel regime sarebbe un atto illegittimo, stante la situazione in atto.
Ed è così.
Un regime si deve svuotare dal suo interno, e poi potrà essere abbattuto e sostituito, se del caso: questa è la via tradizionale, peraltro conforme alla storia. Ragion di più per la quale degli eventuali terroristi che – folli però, eh – volessero prendere quel che qui s’è detto sul paradosso della legittimità per fare azioni folli, sarebbero fuori legittimità, per il paradosso della legittimità stessa: ciò è perché i regimi attuali, pur avendo origine illegittima, hanno mostrato, perdurando nel tempo – se l’han fatto –, di averla, per così dire, “guadagnata”, e questo vale sia per democrazie sia per dittature, se sanno perdurare, anche cambiando pelle, come i serpenti.
I regimi attuali dovranno perdere il consenso, prima cosa; solo dopo si potrà “fare” qualcosa, con la grossa ed importante precisazione: che non basterà la crisi di consenso, pur necessaria, perché si possa tornare a dei regimi legittimi. Riassunto: il mondo continua sulla via della dissoluzione, però, a questo punto, necessaria, e proprio i “populisti” son quelli che vorrebbero si fermasse – o invertisse – questa marcia, che però è necessaria, poiché, quando consenso e legittimità coincidono, non vi è alcun modo di recuperare la legittimità perduta (salvo bloccar tutto, à la Metternich, ma non può esser fatto per sempre, ed Evola era un ammiratore di Metternich, non a caso); e l’unico e solo modo per un regime di andare in crisi è, oggi, la perdita di consenso, proprio quella che stiamo esperendo nelle democrazia rappresentative in questa fase storica.
Di legittimo ci son solo le monarchie residue, che però hanno un ruolo meramente di riserva, e sono, non a caso, in crisi; in crisi di cosa?, guarda caso: in crisi di consenso, che ricercano, come tutti gli altri regimi.
E questo è una riprova della debolezza, estrema, della legittimità residua, oggi, per cui tutti i sognatori di “ritorni” alla monarchia non han capito il punto. Sono meri “tradizionalisti” che, al massimo, sognano un Metternich, il qual fatto sarebbe del tutto insufficiente, vista la crisi sia della legittimità sia, ed ecco la novità, del consenso, sempre più labile, inconsistente, sempre più mero simulacro. La “Crisi del mondo moderno” ha senza dubbio fatto dei grossi passi in avanti, ma non è terminata. Sogni ad occhi aperti quelli di chi, dalla crisi del consenso ai regimi moderni – ma non tutti, molto più verso le democrazie rappresentative che verso le dittature “rappresentative” (paradossali) –, vorrebbe poi “dedurre” una “possibilità” per ritorni “monarchici” che sarebbero privi di legittimità, per il paradosso della legittimità stessa.
La via s’è detta più volte: andiamo verso un ulteriore momento dissolutivo, ma di “qualità” ben diversa da quelli che abbiamo esperito sin ora, che son di tipo “frammentante” – la frammentazione (sino ad un certo punto) dei grossi stati moderni – piuttosto che davvero dissolutivo. Anche se, in certi paesi, abbiamo davvero visto la dissolutio dello stato moderno tout court. Quindi la direzione resta quella, nessun dubbio al riguardo, però si coniuga in molti modi e si esprime in forme differenti.
Tutto ciò detto non per “ideologizzare”, men che meno per fare opera di propaganda, ma solo per puntualizzare che occorre l’esser ben consapevoli di questi fatti sostanziali per comprender bene l’attuale crisi, ch’è crisi dello stato moderno tout court. Essa era già in nuce tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, e non a caso qui si è citato sia Baudrillard che il Cacciari di quegli anni – ben più “radicale” di come poi è diventato (quanto a Baudrillard, era radicale in quegli anni e, pur con degli “aggiustamenti di tiro”, lo è sempre rimasto) – perché in quella stagione la percezione della crisi dello stato moderno “in ” vi era ben più acuta che oggi. Nacque, però, proprio in quel tempo, ciò che chiamo “il blasfemo pseudo ‘vangelo’ della tecnica come panacea” per la crisi dello stato moderno, poiché il fenomeno di crisi dello stato moderno era ben evidente nella crisi propria degli anni Settanta. Lo pseudo “vangelo” della tecnica coma panacea ne fu l’uscita.
Solo che la tecnica, se in apparenza rafforza il controllo, in realtà esautora lo stato moderno della sua distopia: il controllo, cioè; pertanto essa (tecnica) non può che riportare il controllo sempre più in mani non statali: è lo scopo della tecnica e del capitalismo (sul quale ultimo forse torniamo più in là). Insomma, il 5G scontenterà e la Cina e gli Stati Uniti d’America, in altre parole scontenterà tutt’e due i contendenti della contesa globale in atto, scopo di quest’ultima contesa essendo il controllo dello spazio digitale. Quest’ultimo sarà crescentemente in mano a forze “altre”, che ora non sono ancora manifeste ma che, inevitabilmente, si manifesteranno e che possiamo chiamare come ci pare: il punto è comprendere che l’ottica da XIX secolo con la quale tanti parlano di questi temi (e svegliatevi un po’!!) è del tutto errata perché fuori epoca.
Quando tutto o gran parte sarà “nella rete delle ‘cose’”, per mezzo del 5G, o strumenti similari, basterà un sol comando per bloccare tutto.
Chi potrà far questo – cosa che attualmente sembrerebbe “fantascienza”, ma che, da un punto di vista teorico, è assolutamente possibile – non è detto che sia uno stato moderno, o “quel che rimane” dello stato moderno[4].
Di ciò nessuno stato è oggi consapevole: il punto è che non possono che seguire questa via.
La causa? Che la crisi dello stato moderno, negli anni Settanta, ha ricevuto, come risposta, la tecnica, per cui, per loro, solo la tecnica stessa ne può essere la risposta. Ma la tecnica moderna, qualora vada oltre un certo punto – “dalla quantità continua alla discontinua”, avrebbe detto Guénon = dalla meccanica alla digitalizzazione, quest’ultima essendo basata sulla quantità discontinua alias il numero –, non può che minare lo stato moderno, non può che minare le aggregazioni di “massa” (per esempio i partiti), perché “individualizza” cioè frammenta il corpo sociale in tanti pezzettini.
E lo frammenta con tutte le conseguenze del caso, ivi compresa la crisi – irreversibile – dell’istituto stesso della rappresentanza, della “rappresentatività” in altre parole.  

La puntualizzazione sul “terrorismo” è, qui, d’importanza fondamentale, perché – vista la pazzia e l’isterismo collettivi, così diffusi – si alza storto qualcuno la mattina e dice che “tu” gli hai “detto” qualcosa che non gli hai mai inteso dire. Dunque: la legittimità mina la democrazia, però la rafforza, anche; essa mina le dittature o le “democrature”, però le rafforza, anche. Questo paradosso ti fa capire che c’è, dietro, un elemento – più o meno sfuggente – che provoca l’ apparente paradosso.
Bisogna esserne consapevoli.
Come bisogna esser consapevoli del fatto che la “Crisi del mondo moderno” (Guénon) è, ormai, entrata nella sua parte finale, ma non è ancora finita. Anzi, la sua parte “finale”, in realtà, è quella più radicale di tutto il lungo processo, che pareva non dover avere mai fine: la crisi – finale – dello stato moderno.
Dello stato moderno, tout court.






Andrea A. Ianniello









PS. Questo post è stato scritto in questa fase, dominata dallo stellium in Capricorno, cominciato il 2 dicembre. A parte delle altre considerazioni, ci si avvicina dunque alla Magna Conjunctiodi quelle studiate d’ Albumasar – fra Saturno e Giove, che avverrà in Capricorno, significativamente,  tra inizio marzo – fine giugno del 2020, con (significativamente) l’ “avvisaglia” dell’ “Età dell’Acquario” col passaggio di Saturno in Aquarius, dal 23 marzo (2020) al 1 luglio (stesso anno), considerato moto diretto e retrogrado; per poi esser seguita – immediatamente, cosa particolare, che dà l’idea di un repentino cambio nel “cima mentale” – da una Magna Conjunctio in Aquarius, esatta il 21 dicembre del 2020: lo stesso anno.
La prima, quella in Capricorno, è anche l’ ultima delle Magnae Conjunctiones nei segni di terra.
Essa sarà subito, appunto, seguita dalla Magna Conjunctio in segni d’ aria (nel nostro caso, in Aquarius): ciò segna un cambiamento di “clima sottilemolto netto, come detto in un altro post, e del quale cominciamo a sentire già le avvisaglie[5]. Le Magnae Conjunctiones in sé stesse si ripetono ogni circa vent’anni: dunque nil sub sole novum. Ma quando cambian segno, allora, , che sono significative.  Paradossalmente, nei cicli celesti, prima del cambiamento definitivo di elemento, avviene sempre che il cambiamento definitivo sia, per così dire, “annunciato” da una conjunctio nell’ elemento (ignis, aër, aqua, terra) che dovrà venire: così, nel 1980 ci fu Magna Conjunctio in aria, in Libra, per l’esattezza. Un “annuncio” cui segue la riconferma dell’ ultima Magna Conjunctio nel segno che deve passare: in Taurus nel 2000, e, dopo quest’ultima, vi è il definitivo passaggio all’altro elemento: Aquarius, che apre la serie delle Magnae Conjunctiones in segni d’aria. Di cosa ciò sarà “segno[6]? Della fine del capitalismo – la Magna Prostituta Babyloniae –, della fine del capitalismo come System, non della cancellazione dei suoi effetti, della sua sparizione: sia ben chiaro che non potrà sparire come non ci fosse mai stato; e, assieme a ciò, sarà segno dell’ inizio dell’ “era dell’Aquarius”, che sarà pure dettaRegnum Antichristi”, che sarà ben diverso dalle solite sciocchezze di destra pseudo tradizionali che si sentono in giro. Su quest’ultimo, dal punto di vista della datazione in relazione agli eventi astrali, cf.
Quindi terminerà il System capitalistico, ma non per questo sarà finita. E proprio allora, invece, si avrà la parte finale, la parte più complessa e dura e difficile di tutto quel processo di transformatio mundi che, malgré elle meme, la modernità rappresenta.
Come dicevano gli antichi: In Cauda venenum. Ed evidentemente, si sta qui parlando di Cauda Draconis.  

PPS. Per esattezza, i cicli di congiunzioni di cui si parla nel PS qui sopra, sono alla nota (1) del link seguente: 
https://mountainastrologer.com/tma/on-the-threshold-of-new-beginnings/





NB [del 10/dicembre/2019]. Con l’ “avvisaglia” di Saturno in Aquarius (inizio marzo – primo luglio dell’anno prossimo) e – poi – col definitivo passaggio e la Magna Conjunctio del 21 dicembre 2020, si può dire che l’ “Età dell’ Aquarius” è cominciata: essa, come s’è detto, è – e sarà – ben diversissima da come se la sono immaginata tanto estimatori che detrattori. Un parallelo si può fare al riguardo delle idee davvero sbagliatissime sull’ Antichristus – anche se magari storicamente diffusissime – e cioè dell’Anticristo come “conquistatore invincibile”, tali deviazioni essendo diffusissime nella storia, ma oggi soprattutto in ambito slavo e russo in particolare (od ucraino), comunque dell’Europa dell’est che, non avendo capito molto di “che cos’è la modernità”, continuano nella loro abituale chiusura mentale. Per loro questo link:


Il commento sotto la copertina riportata.

Per quanto possa essere giustificabile storicamente la grave confusione in Europa dell’est, va detto – a chiare lettere – che l’Anticristo non è, mai sarà, un “novello Gengis Khan” … La natura “acquariana” sia della nostra epoca sia delle congiunzioni che stanno per venire – la cui ombra già si proietta oggi – non lasciano, né possono lasciare, alcun dubbio al riguardo.  
  



[Aggiunta del 12/12/c.a.] “L’Età dell’Acquario” – che inizierà il ventun dicembre dell’anno prossimo –, non è il Regnum Antichristi anche se l’ “esserci” dell’ “Età dell’Acquario” è condizione necessaria, ma non sufficiente, perché il R.A. possa darsi.  







 












[3] Sulla legittimità della monarchia, che deriva dalla stabilità dell’istituto monarchico, cioè dal suo effettuare correttamente la “successione”, cf.
[4] Cf.
Così crollano gli imperi, così il mondo si trasforma”, (E. Jünger, Al Muro del Tempo, Adelphi 2000, p. 155, corsivi miei)”, in cf.
Sempre da “Quel che rimane del giorno”, il brano del primo link qui sopra è parte d’un brano più esteso, cf.
https://www.youtube.com/watch?v=sHgdTdup07Q.    
[6] Gli astri non “provocano” proprio un bel niente, non provocano gli eventi, ma “segnano” gli venti, “annunciandoli”, e danno una “colorittura” di sé a ciò che deve avvenire.