lunedì 12 febbraio 2018

Sui Longobardi e i “Vùlgares” (Bulgari), un utile link









 



Reminder - G. Galli -













“Questo libro è uno studio dell’influenza esercitata su Hitler e sul nazionalsocialismo da un particolar aspetto della cultura europea, sviluppatosi negli ultimi decenni del XIX secolo sono allo scoppio del primo conflitto mondiale: si tratta delle derivazioni di una cultura esoterica fortemente presente in Europa sino alla Rivoluzione scientifica del XVII secolo, che questa rivoluzione aveva drasticamente emarginato, ma che sopravvisse e riemerse, parzialmente e paradossalmente [corsivi miei], proprio agli albori di quel XX secolo che sarebbe stato dominato dalla cultura scientifica. Il predominio di questa cultura scientifica ha fatto sì che le principali correnti storiografiche abbiano trascurato il singolare intreccio tra cultura esoterica e cultura politica, quell’intreccio che ha reso possibile il particolare fenomeno del ‘nazismo magico’, preso in considerazione da una letteratura che ha il suo antesignano nel Mattino dei maghi e alla quale l’accademia nega una legittimità, appunto storiografica, che con questo testo mi propongo di ripristinare, applicando i criteri propri della disciplina.
E’ in questo contesto che si colloca la figura di Adolf Hitler, sul quale sono a disposizione bibliografie di tutti i tipi, che però trascurano quest’ aspetto [corsivi miei] della sua formazione culturale, ovviamente influente sui suoi processi decisionali, prima di leader politico e poi di condottiero militare. 
Il libro prende in considerazione questo punto di vista, che caratterizza in modo singolare una figura di assoluto rilievo nella storia del XX secolo, la cui importanza può essere ridimensionata in un quadro che vede il Novecento influenzato non [corsivo mio] da uno scontro tra democrazia e totalitarismi, tra mondo libero e comunismo, ma da una seconda Guerra dei trent’anni (1914-1945), guerra che ha dato avvio a una rivoluzione epocale: non quella comunista, esauritasi nel 1989 con l’abbattimento del Muro di Berlino e con l’implosione dell’impero sovietico, ma quella anticolonialista, che dura tuttora, nel mondo globalizzato del capitalismo delle multinazionali. Il periodo che va dal 1918 al 1939 non è infatti di pace, ma è costellato di conflitti minori, dalla guerra greco-turca del 1920, dalla quale nasce la Turchia moderna di Kamal Atatürk, a quella civile spagnola del 1939, nella quale vengono sperimentare armi e tattiche che saranno impiegare nel conflitto mondiale immediatamente successivo.
Si deve allo scrittore Richard Hillary, un eroe della battaglia d’Inghilterra del 1940 (pilota della Raf che, ferito e abbattuto una prima volta, tornò a combattere, ma non sopravvisse a un secondo attacco), questa frase illuminante: ‘Combattiamo per una mezza verità contro un’intera menzogna’. E’ una sintesi importante, per chi si occupa di Storia […]. Le mezze verità da affrontare nella storia del XX secolo è quella di una democrazia vittoriosa contro i totalitarismi, non è una menzogna, ma, appunto, con Hillary, una mezza verità [corsivi miei]. La seconda Guerra dei trent’anni e la successiva Guerra fredda sono state anche questo [corsivi miei], ma non solo [corsivi miei]. Un’altra mezza verità del XX secolo è che sia stato da imperialismi in conflitto. Lo è stato, ma, ancora una volta, non solo [corsivi miei]. Questo libro racconta la collocazione di Hitler e del nazionalsocialismo in un contesto di ricerca che vuole indagare l’ altra metà della verità [corsivi miei]: le democrazie hanno combattuto la seconda Guerra dei trent’anni e la successiva Guerra fredda in virtù dei diritti individuali e dei valori di autonomia del pensiero. Ma hanno combattuto anche per interessi geopolitici di tipo imperialistico. Tuttavia non si esaurisce tutto nell’espansione dell’impero, espansione che approda all’impero virtuale e immateriale di Antonio Negri e Michael Hardt. Il XX secolo sfocia nel XXI con la trasformazione del capitalismo settoriale in capitalismo globale: quello di circa cinquecento multinazionali che dominano il pianeta, pur coesistendo con gli Stati nazionali e con i ‘Continental States’ come Stati Uniti, Russia, Cina, Brasile, India, forse Sudafrica.
E’ in questo quadro [corsivi miei] che si può pensare a un ridimensionamento della figura di Hitler, anche se rimane ovviamente un protagonista dello scorso secolo”[1].













[1] G. Galli, Hitler e la cultura occulta, RCS Libri Milano 2013, pp. 5-7, i corsivi miei son segnati in parentesi quadre così come i miei commenti.













venerdì 9 febbraio 2018

SUL “CARNABAL”









“[…] il disordine ha fatto irruzione nell’intero corso dell’
esistenza e si è a tal punto generalizzato da far sì
che noi viviamo, in realtà, si potrebbe dire,
in un sinistro ‘carnevale perpetuo’”[1].




Che tale “carnevale perpetuo” sia finito, è stata la ricorrente illusione degli ultimi decenni: non è finito, non è finito per niente. Ma d’altro canto, questo è il momento cosmico che si vive ormai da un bel po’ di tempo. In ogni caso, è interessante, a tal proposito, il Carnabal, simile al Carnevale, ma con delle reminescenze cosiddette “pagane” ben più forti.
Il termine “pagano” è sempre molto ambiguo: a rigor di termini nel Carnabal c’è di più che “semplice” cosiddetto “paganesimo”, quest’ultimo essendo come la “rimanenza” di religioni precristiane, ma in ambito rurale.
Nel Carnabal, invece, vi sono dei “residui” effettivi, reali, di dette religioni, ma in stato di ampia degenerescenza.

Ma veniamo al punto.
In un interessante libro sull’ “affaire” Saunière, assieme a molte cose giuste – come per esempio che Saunière capì alla fine di esser solo uno strumento, che la sua ricchezza non derivasse dall’aver trovato alcun “tesoro”, ma da determinate “relazioni pericolose”, che il libro degli anni Ottanta di Lincoln et alia fosse una spiegazione sbagliata di quel che davvero era in gioco (non vi era ancora stato Dan Brown, ma pure per quest’ultimo vale lo stesso e a fortiori) – e a dei limiti[2], in questo tal libro si parla pure del Carnevale, ma di un Carnevale molto ma molto particolare: il Carnabal.
“Quanto al ‘risveglio del Dio [sic] dormiente’ è questo un tema strettamente riconducibile alla saga di Lug-Cernunnos [antico dio celtico, si ricordi che C = K] efficacemente testimoniata dal Carnevale di Limoux.
Il Carnevale di Limoux – il Carnabal – fa riferimento ad una consuetudine ancora viva presso alcuni paesi del Razès, tra cui Rennes, Esperaza, Montazels e, appunto, Limoux. E’ caratterizzato dalla comparsa di due tipi di maschere – i Fecos e i Goudhill – che, ogni domenica, per dieci settimane, percorrono tre volte al giorno le strade dei paesi. Nell’ultima domenica il fantoccio del Carnabal viene dato alle fiamme [come il “Wicker Man”!!]. Il carnevale (che veniva festeggiato anche il mercoledì delle ceneri prima che ciò venisse proibito) è ‘una festa pagana che non ha mai avuto la benedizione della Chiesa’.
Il Carnabal è infine completato dal ‘Giro dell’Asino’.
L’ultimo sposo dell’anno, con in testa un paio di corna, viene caricato su un asino e trascinato per le vie del paese.
Al di là dell’aspetto goliardico che la farsa può rivestire, c’è da chiedersi chi sia il cornuto, collocandolo nel contesto di quella resipiscenza di antichi culti pagani che impronta di sé il folklore del Razès.
Il cornuto è […] colui che viene lasciato (e disprezzato) dopo essere stato amato.
Chi è il più ‘gran cornuto dell’Umanità’?, si interroga Franck Marie. ‘Colui il cui ricordo è imperituro nel ricordo atavico dell’inconscio collettivo, il Dio cornuto dell’antica religione Fenicia, Celtica e Gallica, colui che porta il nome di Belenos e di Cernunnos’. La tradizionale ‘sortie de l’âne’ è dunque un omaggio deferente che gli vien reso nel momento in cui ‘l’èra dell’Ariete, giungendo al suo termine, conclude il Regno di Belenos … non a caso Mosè distruggendo il Vitello d’Oro prepara l’avvento dell’Era dei Pesci … La “tradizione” legata alle corna del Toro e dell’Ariete non poteva essere tollerata sotto il segno dei Pesci. Apparve allora necessario stornare il simbolismo iniziale (delle corna, ndr) verso un senso diverso, oggetto di ripulsa e di dileggio … ’. Ma la ‘sortie de l’âne’ ripropone anche – come l’olocausto del Carnabal – il mito dell’ Eterno Ritorno: un Dio [sic] – da tutti creduto morto – riposa da qualche parte.
E attende, dormiente, il momento del suo Gran Ritorno.
Della sua Resurrezione[3].

Nelle note finali al capitolo, gli autori ritornano sul tema:
Il Carnabal. I Fecos e i Goudhill (che indossano abiti rovesciati) danzano intorno alla statua di Venere secondo un rituale sacro che si è perpetuato invariato, dall’origine dei tempi.
Scrive al riguardo René Nelli: ‘Il carattere automatico, monotono, allucinante della danza delle maschere, le musiche adottate … apparentano il carnevale di Limoux a quelle manifestazioni coreografiche del Medioevo … dove, per la ripetizione  senza fine dello stesso tema musicale, si creava una sorta di condizionamento ipnotico pseudo mistico o magico … ’ (René Nelli, Le Languedoc e le comté de Foix-Le Roussillon, Paris, Gallimard, 1958). Il fantoccio del Carnabal viene sottoposto a giudizio e quindi bruciato [di nuovo, come in “The Wicker Man”]: c’è in questo rito la commemorazione di un deicidio, relativo ad altri tempi, ad un altro Dio … il simbolo creato dal fuoco distruttore indica che Carnevale – come la Fenice – rinascerà dalle sue ceneri. Carnevale sembra essere per la popolazione dell’Aude espressione del ricordo di una pratica pagana sepolta nell’inconscio collettivo e, a suo tempo, proibita dagli occupanti Romani. Quest’aspetto viene sottolineato da alcune caratteristiche del Carnevale di Esperaza. Qui, l’ultima domenica della festa, un bue viene liberato per le vie del paese ed aizzato contro un fantoccio di paglia sospeso ad un albero. Il manichino viene poi bruciato [di nuovo, come in “The Wicker Man”] e il bue ucciso; chi s’incarica della bisogna riceve, poi, in ricompensa, il sangue e il fegato dell’animale. Questi particolari, unici nella tradizione carnevalesca europea, sono sconcertanti al punto che Franck Marie (La résurrection du Grand Cocu, Ed. VA, 1981) ha potuto commentare che: ‘c’è forse in questo una sopravvivenza dell’antica concezione della trasmissione dell’energia vitale per il tramite del sangue e di alcuni organi’. Ciò che è sorprendente è l’accostamento tra questa usanza e quanto scrive Lucano: ‘Per soddisfare Esus si sospende una vittima ad un albero e la si squarta. Per soddisfare Taranis si brucia una gabbia di paglia e di vimini piena d’uomini [di nuovo, come in “The Wicker Man”]’.
Il Carnabal dell’Aude non è forse una sorprendente simbiosi tra il mito ancestrale ed il presente reale? Il toro carica un suppliziato di paglia e lo squarta; non ricorda questo il sacrificio al dio Esus? Il corpo del suppliziato è quindi bruciato; non è forse così che si onora Taranis? In quanto al bue dobbiamo proprio ricordare che una coppia di tori veniva immolata in onore di Poseidone, nella mitica Atlantide? Ancor più interessante è la variante del Carnevale praticata a Couiza (ai piedi della collina di Rennes Le Château).
Qui abbiamo la ‘Uscita degli Eremiti’, il giovedì delle ceneri. Le maschere indossano vestiti del sesso opposto al proprio, si truccano in modo da realizzare un’evidente difformità dei tratti del viso e brandiscono una croce su cui sono appese numerose vettovaglie. E’ ozioso ricordare che il periodo che va dal mercoledì delle ceneri alla domenica di Pasqua è considerato di ‘astinenza’ e che la presenza della croce ‘decorata’ dal cibo, così come l’ostentazione di capi di vestiario ‘invertiti’, assuma in tal contesto il carattere blasfemo di una rivolta simbolica ed antitradizionale”[4].

In relazione alla “sortie de l’âne”:
Asino. ‘L’Asino è per noi simbolo d’ignoranza, ma questa eccezione è un caso particolare di una concezione che ne fa, quasi universalmente, un emblema dell’oscurità, di tendenze sataniche (Dizionario dei Simboli, op. cit.). Non a caso, nell’antico Egitto, l’Asino veniva associato a Seth (il Dio dalla testa d’asino) e Guénon rivelava al riguardo che ‘uno degli aspetti più tenebrosi dei misteri tifoni ani era il culto del Dio dalla testa d’Asino, al quale si sa che i primi cristiani furono talora falsamente accusati di ricollegarsi; abbiamo qualche ragione di pensare che, sotto una forma o un’altra, esso sia durato sino ai nostri giorni’ (Simboli della scienza sacra, Adelphi, p. 130). L’entrata di Cristo in Gerusalemme sulla groppa di un’asina [genere femminile …], per converso, rappresenta ‘il trionfo sulle forze malefiche, trionfo la cui realizzazione costituisce propriamente la “redenzione”’ (R. Guénon, ibidem, p. 132). Si veda al riguardo anche Matteo, 21, 2-7 e 11-29; nonché Genesi 49, 9-1. Non è altresì casuale che in Apuleio, il devoto della Dea Bianca Iside venga trasformato in asino.
Il simbolismo legato a tale animale è comunque talmente complesso che una trattazione esaustiva esorbita necessariamente dai limiti della presente nota”[5].




Andrea A. Ianniello





[1] R. Guénon, Simboli della scienza sacra, Adelphi Edizioni, Milano 1975, p. 135.
[2] Per esempio, come a riguardo del simbolismo del cavallo, quasi sempre ritenuto solo negativo. Il cavallo è uno “psicopompo”, un essere che fa passare “di là del fiume” – che separa questo mondo dall’altro – ma occorre sempre vedere a quale tipo, a quale genere di “altro mondo” esso faccia giungere, se si tratta dell’ “altro mondo” celtico (lo shidhe, dunque “shee”, come “Banshee”, uno spettro malefico, un “morto che ritorna” = vampiro), un luogo d’ombre, di spettri, molto simile, ma ben peggiore, allo sheol ebraico, oppure ad un luogo “paradisiaco”.
Molto dipende dal colore del cavallo. E non è necessario neppure far riferimento all’ Apocalisse di Giovanni per ritrovare questa differenza. Basta far riferimento a Platone: il cavallo nero sono le passioni, quello bianco la mente che le domina e fa “andare oltre”.
Conta pure il genere dell’animale: la cavalla, di solito, è più negativa del cavallo: si manifesta, così, l’antica relazione con la “dea bianca” celtica, le “janare” che dovevano attorcigliare le code dei cavalli, più anticamente delle cavalle, delle giumente; eccetera, eccetera. Certo, il cavallo rimane un simbolo di “morte”, cioè di fine di un qualcosa e d’ inizio di una qualcos’altro. Ma fine ed inizio di cosa??
Questo è il punto decisivo.
[3] M. Bizzari – F. Scurria, Sulle tracce del Graal. Alla ricerca dell’immortalità. Il mistero di Rennes Le Château, Edizioni Mediterranee, Roma 1996, pp. 214-215, corsivi in originale, miei commenti fra parentesi quadre. La storia del “cornuto” è più diffusa di quel che non si pensi, tant’è che in provincia di Caserta, a Ruviano, c’è la “festa dei cornuti” – goliardica, ovvio – che, tuttavia, corrisponde a San Martino, dove, probabilmente, delle usanze precedenti han preso questa forma.
Siamo però, in tal caso, sotto il segno dello Scorpione, dunque dopo la “festa dei morti”, ed anche il Carnevale, in origine, era un modo di “esorcizzare” i “morti” che ritornavano. Infatti, queste Januae Inferi si aprivano o sotto il segno dello Scorpione oppure tra l’Acquario e i Pesci.
Il “Carnevale cosmico”, non a caso, si situa fra questi due segni.
Si ricorda che le “ère zodiacali” – di 2.160 anni circa –, si effettuano seguendo il percorso detto “precessione degli equinozi”, ovvero il “segno zodiacale” (che non è la costellazione con lo stesso nome!!) – o “casa” zodiacale, termine più esatto – nel quale appare sorgere il Sole nel “punto vernale” = quando vi è l’equinozio di primavera. Il moto di tale “apparizione” è retrogrado, va “all’ indietro”, per intenderci, non è dall’Ariete ai pesci, ma viceversa.
[4] Ivi, pp. 218-219, corsivi in originale, mie note fra parentesi quadre.
[5] Ivi, p. 219, corsivi in originale, mie note fra parentesi quadre.




mercoledì 7 febbraio 2018

“Il racconto della giustizia”, dalla biografia – di Federico II – di Eberhard Horst







“ ‘Ho parlato troppo? La loro cecità provoca la replica’.
‘Che t’importa? Lascia nell’errore chi ama l’errore;
non sai che sta scritto: “Quelli che saranno sulla terra …
tutti gli scribi capaci di mettere a nudo le difficoltà delle scritture,
ed esperti nei geroglifici; coloro che si lanciano alla ricerca della
conoscenza, coloro che gioiscono in beatitudine dei risultati raggiunti”.
Per costoro furono scritti i testi dei Saggi, e per quelli che
con animo nobile sanno rinnegare l’errore comune
per scoprire la verità. Ma per gli altri la verità è stata celata
sotto forme banali. Ecco perché devi misurare le tue parole”[1].




“Federico amava disputare con i copisti e coi dignitari di corte, e molte di queste conversazioni vertevano sul tema della legge e della giustizia. Diritto e giustizia rappresentavano per lui i pilastri sui quali poggiava il suo dominio; ed egli stesso si compiaceva di definirsi non già padrone e servitore dello Stato, bensì padrone e servitore della Giustizia. Queste duplice figura del padre-padrone, artefice della legge, e del figlio-servitore, che onora la Giustizia e la persegue, scaturiva dal diritto di famiglia, così il concetto secondo cui i fini della Giustizia fossero superiori a quelli dello Stato, rientrava nella terminologia medioevale. ‘La Giustizia non serviva affatto a mantenere lo Stato, ma era lo Stato ad esistere in funzione della Giustizia’.
Significativo, in tal senso, l’aneddoto su una contesa intellettuale svoltasi alla mensa di Federico e basata, pare, su un fatto realmente accaduto. A due dotti Federico pone le seguenti domande: ‘Posso io, secondo la vostra legge, togliere senza ragione qualcosa ad uno dei miei sudditi per darla ad un altro? Posso io far quel che m’aggrada essendo Re? e ciò che aggrada al Re è legge per i sudditi?’. Uno dei dotti rispose: ‘Signore, tu puoi agire senza colpa verso i sudditi secondo ciò che a te piace’. L’altro, scuotendo la testa, sentenziò: ‘No, Maestà, non mi sembra giusto … La legge è giusta e giustamente deve essere seguita affinché si possa rendere giustizia. Giusto sarebbe spiegare la ragione per cui ad uno viene tolto per essere dato ad un altro’. Entrambe le risposte concordavano con il diritto allora vigente. ‘E poiché entrambe affermavano il vero – prosegue l’aneddoto – Federico ricompensò entrambi i dotti ma con diversa mercede. Il primo ebbe un cappello scarlatto e un cavallo bianco. Al secondo fu concesso di fare una legge a sua discrezione.
La storia non finisce qui. Sorse infatti un’altra disputa sui motivi che stavano alla base della difformità di quelle ricompense e quale delle due fosse più preziosa. Dopo lungo dissertare, ci si accordò nel modo seguente: colui che aveva parlato per piacere all’Imperatore, ebbe cavallo e cappello. All’altro, che nella Giustizia vedeva il valore più alto, toccò il più alto onore, quello di fare egli stesso una legge.
Per quanto questa storia di grande rilievo alla Giustizia, e benché le leggi fossero improntate ai principi della superiorità di essa, resta il fatto che in pratica Federico si atteneva più alla risposta del primo che a quella del secondo dotto. Ai suoi occhi non esisteva alcun contrasto tra Stato di diritto e Stato assoluto. Non è possibile, comunque, adattare concetti di oggi al tempo di allora. Secondo una concezione squisitamente medioevale Federico faceva discendere la sua nomina e missione direttamente da Dio, il solo verso il quale si sentiva obbligato […] come, del resto, dichiarava anche Roffredo di Benevento, giurista docente all’università di Bologna e poi in quella di Napoli, il quale così formulò l’autorità giuridica di Federico: ‘L’Imperatore fonda il suo diritto sul dono elargitogli dalla grazia celeste’. Per meglio comprendere queste teorie, oggi non più facilmente comprensibili, della personificazione del diritto e dello Stato, occorre esaminarne le conseguenze pratiche: la centralizzazione del potere operata da Federico e la sua nuova legislazione eliminarono l’arbitrarietà del dominio d’innumerevoli feudatari apportando alla popolazione la pace, l’ordine, la sicurezza giuridica, la difesa dei deboli garantita dalla persona dell’Imperatore e l’ uguaglianza di tutti di fronte alla legge […] ma non va dimenticato che l’assolutismo di Federico, comunque fosse motivato, condusse inevitabilmente allo Stato assoluto non lasciando quasi spazio alla libertà individuale […]
Questo massiccio intervento statale in ogni settore della vita sociale determinò più tardi, allorché Federico dovette difendersi da una sotterranea attività di agenti pontifici e di altri, il sorgere di una vasta rete sionistica, che teneva sotto controllo non solo i funzionari ma l’intera popolazione. La questione a soggetto del Diritto e della Giustizia, formulata nel famoso aneddoto, era dunque inevitabilmente legata all’assolutismo di Federico e alla sua sempre più spiccata identificazione con lo Stato”[2].


Andrea A. Ianniello



[1] I. Schwaller de Lubicz, Her-Bak (Cecio), L’Ottava , Milano 198x, p. 274; la citazione nel passo riportato è tratta da un “Appello ai vivi, scolpito all’entrata della stanza interiore della cappella funeraria tebana di Khaemhât” (ibid., in nota).
[2] E. Horst, Federico II di Svevia, Rizzoli Editore, Milano 1981, pp. 102-104, corsivi miei.