mercoledì 22 maggio 2019

Copertina di storia locale 3




























Copertina de: Luigi Vanvitelli, Il Palazzo Reale di Caserta, a cura di Marco Nocca,
Dino Audino Editore, Roma s.d.














Il retro della copertina di Luigi Vanvitelli, Il Palazzo reale di Caserta, cit.

















Copertina di una biografia (di QUARANT’anni FA)





















Copertina di:
Massimo Grillandi, Rasputin, RCS Libri, Milano 2000
(edizione originale: Rusconi Libri, Milano 1979)











NB. Sia detto en passant, ma non è senza motivo: “L’Antimessia non dichiarerà mai ‘i comandi ricevuti dal Padre, Signore degli Inferi’. Non dirà cioè ‘io sono con questo e io sono contro questo’”, R. Baschera, L’Anticristo e le profezie sugli anni 90, Armenia Editore, Milano 1985, p. 173. Quest’autore è stato fra i pochi a capir questo punto, per cui l’immagine dell’Anticristo come “conquistatore invincibile” è del tuttodel tutto – sprovvista di alcuna base. L’inganno è l’anima della guerra, s’è detto in un vecchio post, e quindi la guerra “contro l’umanità” richiede, appunto, l’inganno.
Tra l’altro, la fase precedente alla manifestazione è caratterizzata da questo: “Prima ancora della comparsa dell’Anticristo ‘l’uomo sarà preso dal delirio della parola sterile’. E’ questo uno sei segni della sua venuta”, ivi, p. 122. Oggi ….














Andrea A. Ianniello






















[PS del 13/12/2019, festa di santa Lucia]
Proseguiamo la discussione di qui sopra, sulla “natura” dell’ “Anticristo”, dunque.
Ecco com’essa è: l’antefatto è la relazione tra l’A. e il discepolo “che lo tradì” – passato nel futuro – chiamato “Deva”, nome indù.
Gli “apostoli” – nome improprio, in realtà – dell’A. sarebbero 21.
Quali sarebbero i rapporti tra Deva e l’Anticristo? Quest’Apostolo è forse «colui che avrà meno contatti personali con l’Anticristo». Quest’ultimo «lo accetterà difatti solamente perché inviato per compiere una sua missione». Ci sarà una muta antipatia, un’incomprensione di base tra i due personaggi. L’Anticristo, come abbiamo visto, vedrà in Deva, sin dal primo momento, il traditore. Ma non potrà fare niente, perché «tutti e due sono gli attori della stessa tragedia». Deva vedrà invece nell’Anticristo «un uomo che difficilmente si riesce a capire». «Un uomo che potrebbe riempire i suoi forzieri e che invece perde tempo per parlare di cose strane e per assistere all’incendio dei tempi»”, R. Baschera, L’Anticristo e le profezie sugli anni 90, Armenia Editore, Milano 1985 (citato qui sopra, ma ripeto la fonte, per correttezza), p. 159, corsivi miei.
Si è letto bene? Scopo dell’A. non è quello di “avere potere” o “ricchezza”, questi scopi umani, troppo umani non lo riguardano, ed è anche comprensibile: che senso avrebbe voler avere il mondo in mano se già ce l’hai? Certo, indirettamente, certo in modo parziale, ma comunque reale. No. Lo scopo è altro: vedere o assistere all’ “incendio del mondo”. Ed uno scopo tale, ha senso a livello umano? Non ne ha alcuno, ecco perché è difficilissimo che “laggente” capisca – per davvero – gli “scopi”di tali forze, che pure hanno manipolato il mondo per secoli. E tuttavia, l’han manipolato per degli scopi, e tali scopi non sono stati – né men che meno continuano ad essere – quelli, meramente, di “avere potere” o “ricchezza”, questo ultimi essendo gli scopi di coloro i quali sono stati manipolati, e non dei manipolatori. Di chi è stato – ed è – usato, non di chi usa. Per i vari uomini “pratici”, anche quelli che cianciano di “complotti”, la comprensione di tali “uomini” è impossibile, del tutto impossibile. Per loro, uno come l’A. “perde tempo”, parla di “cose strane”, e, cosa più importante, “assiste all’incendio dei tempi”, e cioè uno scopo, per loro, del tutto inconcepibile, quando, invece, potrebbe “riempire i suoi forzieri” e cioè una cosa che all’A. interessa non zero, ma sottozero. Per questo, il vero complotto è incomprensibile per la gente comune.
Va detto che “Deva”, che tradirebbe l’Anticristo come Giuda ma che non si sarebbe pentito come Giuda invece, è in realtà una costruzione a posteriori, ed il suo nome con evidenza è tratto da quello di Devadatta, che tradì il Buddha. Un’etimologia tale fa capire che siamo nel XIX o poco prima, e quindi siamo non nelle reali, antiche profezie sull’Anticristo.
I cosiddetti “apostoli dell’Anticristo” – che sarebbero 21 come gli Apostoli di Gesù furono 12 (cioè l’evidente inverso) – son quasi tutti di natura leggendaria e costruiti a posteriori. Ma ve n’è uno, “Tipore”, chiaro anagramma di Pietro, che, come dice il nome, verrebbe dagli ambienti diplomatici vaticani (cf. ivi, p, 168, nota n.3 al cap. Tìpore, il consigliere), non sarebbe fra coloro che – come “Deva” – seguirebbero l’Anticristo per interesse, dunque sarebbero alternativamente e non incompatibilmente – per quanto ciò possa sembrare contraddittorio considerato la storia –, tanto cristiani che anticristiani, ciò nell’atmosfera di grande confusione degli “ultimi tempi” (la cosa giungerà ad una confusione per cui la gente seguirà caoticamente sia seguaci del Cristo che dell’Anticristo, insomma chiunque si autoproclami: “E le genti li seguiranno come cani randagi”, ivi, p. 177). Bene, qui, a proposito di “Tìpore”, qualche giusta osservazione la faceva, Baschera: “G. S. Pilljan, della setta dell’Oregon [cioè una “setta dell’Anticristo” con sede nello stato americano dell’Oregon], così scriveva nel 1880: «Tìpore non porterà solamente la luce della sua intelligenza, ma anche il suo seguito. E sarà questa la prima comunità dell’Anticristo. I tempi si ripeteranno dunque, poiché il seme cristiano germogliò nel solco della Roma pagana decadente, mentre il seme dell’Anticristo germoglierà nel solco di un cristianesimo decadente. Bisogna difatti considerare che le chiese cristiane e ogni altra religione che prometta il premio eterno, arriveranno al traguardo del Duemila con il fiato grosso [e così è stato, considerando che le parole qui riportate sono del 1880], poiché non saranno riuscite a mantenersi in parallelo con i tempi». Questa «larga ferita della chiesa» è prevista dalla maggior parte dei messaggi profetici”, ivi, pp. 156-157, corsivi miei, mie osservazione poste fra parentesi quadre.
Venendo a Rasp-ù-tin – accento sulla “ù” – è interessante notare il suo legame con gli “antichi credenti”, cioè i seguaci dell’arciprete Avvakum[1]. Sui seguaci di Avvakum (i “vecchi credenti” o “scismatici”, secondo altri) cf A. Siniavksij, Ivan lo scemo. Paganesimo, magia e religione del popolo russo, Guida editori, Napoli 1990, pp. 313-327. Quest’ultimo testo parla anche dello scritto di Avvakum, cf. ivi, pp. 329-349. Inoltre, del destino dei cosiddetti “vecchi credenti”, fatto interessante, perché, se non si capisce che l’effetto dello scisma del XVII – quello, appunto, dei “vecchi credenti” – contribuì da un lato alla completa sottomissione della Chiesa allo stato, e, dall’altro, all’indebolimento della religione tra il popolo, che prese a guardar con crescente sospetto la religione ufficiale, allora non si può capire la situazione di crisi alla vigilia della Rivoluzione russa, e quest’ultima non può che apparire come un fungo spuntato da chissà dove. Mentre, al contrario, vi erano profonde radici, ancorché semi sepolte[2].
E’ interessante notar questo, in tal contesto: che, fra le sette nate in seguito allo scisma, vi era quella di Raspùtin, i chlysty.
Questa distanza, questa “frattura” – ma parlerei molto di più, oggi, di uno “scisma dell’anima” (A. Toynbee) – poi è, informe assai diverse, l’ “Oggi”, è anche il “nostro” presente, non da ieri, ma da un bel po’ di tempo. Il che, a sua volta, dimostra come “seminare” delle cose è un contro, ch’esse maturino, è altro conto. Una crisi nasce, una crisi matura: due cose ben diverse tra loro, seppur necessariamente collegate. 












[1] A tal proposito, di un tal personaggio, cf. Vita dell’arciprete Avvakum. Scritta da lui stesso, Adelphi Edizioni, Milano 1995.
[2] Un’interessante osservazione fa Siniavskij a proposito della “madre Russia”, perché cioè quest’ultima è così centrale nel percepito e nelle credenze del popolo russo, ed ancor oggi, dopo tanto tempo; insomma, quel qualcosa che li europei han così grandissima difficoltà non dico a capire, dico solo ad accettare, e della quale parlo all’inizio di questo post, intendo la citazione sul “grande fluire” posta proprio all’inizio del post, cf.
Non sono cose da europei, lo so, ma tant’è, piaccia o non. 
Dice dunque Siniavskij sulla “madre Russia”: “L’idea della Santa Russia era integrata dall’antica nozione, che ha radici magiche e pagane, della Madre-umida terra. Quest’elemento costante della coscienza popolare è talvolta cristianizzato, ma può anche manifestarsi in forme più primordiali. […] In Russia, certi pozzi e sorgenti erano considerati santi o curativi proprio perché nascevano direttamente dalle benevole e inesauribili viscere della Madre-umida terra. Grazie alla sua purezza, la terra, secondo le credenze popolari, no contiene niente d’impuro e tanto meno nocivo per l’uomo. Si credeva […] che la terra non accogliesse e rigettasse i cadaveri di streghe e stregoni e che quindi per poterli seppellire occorressero riti particolari. D’altro canto, la terra, che è depositaria del principio morale, soffre molto per i peccati degli esseri umani. Questi peccati l’offendono e gravano su di essa come un fardello insostenibile”, A. Siniavskij, Ivan lo scemo. Paganesimo, magia e religione del popolo russo, cit., p. 227. Ancora: “Le cerimonie legate al culto della Madre-terra entravano in conflitto con la dottrina cristiana, ma potevano anche conciliarsi con essa, se si considerava che la terra russa era una terra giusta perché battezzata. La Madre di Dio (figura venerata sia nella Chiesa che nella vita quotidiana) svolgeva un ruolo assai importante d’intermediazione tra la Madre-umida terra e le forze celesti”, ivi, p. 230, corsivi miei.  









Sulla Rivoluzione russa, un approfondimento in nota finale, del 15/dicembre/c.a. ([i]). 















Ulteriore Commento [del 19/12/2019].

Interessante notare come la “saga” di “Star Wars”, cominciata nel Natale del lontano 1977, termini questo Natale, del 2019 (non ho visto il film e qui non m’interessa l’aspetto “filmico”, quanto il suo valore di “signum”, segno di una mentalità): ben 42 anni fa  … Termina così tutta una lunga fase importante cioè la “quarantena espiatoria” dell’umanità. Un’altra data interessante è quella cui s’è più volte qui alluso: il 1994. Poi il 2011, quella della “Profezia delRe del Mondo’”, che termina nel 2029, il 2030 essendo una data che si può desumere da varie fonti, così come il 2033 (sul 2030 cf.
Ogni data va sempre presacon beneficio d’inventario”, essa, cioè, può esser solo indicativa, segnando un “intorno”, un circa, poiché gli eventi hanno bisogno di una sorta di “zona d’esondazione” per poter incasellarsi fra loro. Importante dunque, non sarà tanto il fissarsi sulle date troppo precise, quanto piuttosto comprenderne i ritmi. Quel che conta davvero è il ritmo degli eventi. Questo conta: e percepirlo, sentirlo, comprenderlo.
In tal senso, il “misurarele mentalità e, dunque, il misurare i cambiamenti di tale mentalità, qui ha un posto rilevante. Ora, nel 1977 uscì un altro importante film: “Incontri ravvicinati del terzo tipo”. E questo ci riporta alle tematiche sugli “UFO” cosiddetti.
Nella “Nota Introduttiva” a J. Robin, UFO, la grande parodia, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1984, il suo estensore (che si firma con una sigla) commenta così l’idea di Robin di una “discesa” dell’Anticristo (“A.”) da un “UFO” cosiddetto: l’ “Autore […] giunge ad ipotizzare una futura ‘discesa’ antichistica presentata agli umani sotto le apparenze di un clamoroso contatto con gli occupanti veicoli extraterrestri. Da parte nostra, riteniamo che su quest’ultimo punto – e su questo solo – sia opportuno avanzare qualche riserva. Se è evidente, infatti, che l’impostura ufologica fa parte del vasto progetto antitradizionale i cui temibili trionfi son ormai sotto gli occhi di tutti, è altrettanto vero […] che questa nuova mistificazione si limita a recitare la sua parte di ‘segno dei tempi’ fra tanti altri, alcuni dei quali ben più preoccupanti proprio perché meno clamorosi e pittoreschi [qui in nota si parla degli allora famosi “arancioni” di Rajneesh com’esempio di queste cose “più temibili”, un classico, notevole, ricorrente abbaglio “tradizionalistico” per cui quel che costoro consideravano “terribile” si è svuotato mentre quel che loro consideravano “pittoresco” è divenuto di grande importanza: non sarà che avete sbagliato qualcosina nelle vostre analisi?? No - oh! – No! Gian Mai!]. Non crediamo che l’Anticristo – sia esso un individuo ben definito, o, com’è più probabile, un’entità collettiva [ipotesi classica ma poco verosimile] – possa instaurare il suo regno visibile sulla Terra in un modo così clamoroso e ‘drammatico’: credere il contrario, sarebbe far torto alla sua infinita astuzia”, in ivi, pp. 7-8, corsivi in originale, miei commenti fra parentesi quadre. Qui l’ unica giusta osservazione è l’ultima, tutte le precedenti sono errate: a distanza di tempo lo si può vedere chiaramente, il che non significa per niente che il loro errore, pur evidente, venga invece accettato o anche soltanto riconosciuto, molto meglio continuare per inerzia – nella nostra età super inerziale che si spaccia per “cambiamento continuo” quando è “affogamento continuo” – in vecchie posizioni, anche se nei fatti esautorate di senso. Così funziona il mondo di oggi; e funziona molto ma molto ma super moltissimo malissimo, perché proprio quest’inerzialità rende impossibile alcun – vero – cambiamento. Prima di giungere alla giusta osservazione – per poi vedere se davvero Robin l’ha intesa come dice l’autore della “Nota” – vediamo gli errori, non per dare risibili “pagelline” ma per rimettere le cose nel loro posto. Come detto varie volte, a me interessa sottozero se Tizio o Caio siano “individualmente” nella “ragione” o nel “torto”: affar loro, non sta certo a me dire queste cose! Quest’orrenda “doxamania” occidentale! Che cosa ridicola e, alla fin fine, stucchevole, noiosa. Chiunque può avere qualsiasi opinione creda, ed dunque? Cosa cambia? Niente!! Quel che conta è, invece, parlare delle posizioni, se queste ultime siano conformi alla situazione reale o non. Questo conta davvero. Il resto non conta.
Dunque l’ “A.” – ben lungi dallo “scendere da un UFO” – scenderà, sì, dal “cielo”, ma da un aereo di linea (come fece qualcun altro) … E non è affatto il movimento degli “arancioni” né il “New Age” che gli sta facendo spazio, bensì il “tradizionalismo”, cf.
Sorpresa, sorpresinaCerto che il “New Age” abbia fatto da “ariete da sfondamento”, nessun dubbio al riguardo, ma, ormai, è parte di una fase passata. Oggi è un’ altra fase. In essa i “dati” tradizionali vengono non parodiati, ma riusati, come tali, in quanto tali, e focalizzati allo scopo – come vide (ma incredibilmenteprofeticamente” – mo’ ce vo’ –) Guénon illo tempore!! – di far tornare ad uno stadio precedente della “deviazione del mondo moderno”, come la chiamava Guénon, allo scopo di fornire una falsa soluzione alla “Crisi del mondo moderno”, nel senso di un ritornoimpossibile – ad uno stadio menoavanzato” della stessa deviazione. Dicendo questo, formalizziamo due assuntimai detti con tanto esplicitezza, ma impliciti – del ragionamento di Guénon: 1) che la modernità, essendo “pura negatività”, cioè fondandosi su di un “no”, su di una negazione, non su di un’ affermazione”, può, come tutte le cose solo negative (cioè basate su di una negazione), finire solo e soltanto se il processo di negazione giunge all’estremo e si rovescia (cosa comprensibile con un mini minimo di conoscenza della dialettica yin-yang, non di quella hegeliana, sia detto per inciso): e, si noti bene, che cos’è che han fatto i centri direttivi sinora è stato di bloccare, deviare, ammorbidire, cercare di controllare (spesso non riuscendoci) la negatività montante, che altro non è se non quel che, sociologicamente, Baudrillard chiama un “processo implosivo”, non esplosivo; 2) che il tentativo di tornare ad una fase precedente della “deviazione moderna” è il “marchio” dell’Anticristo. Quest’ultimo assunto, implicito ne Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi parte finale soprattutto, vi son dei passi dove lui, qua e là, “confidenzialmente”, suggerisce –. al tempo in cui fu scritto il libro (alla fine del Secondo Conflitto Mondiale!!), poteva non esser detto esplicitamente. Oggi non ha più senso questo. Chiaro che tanti di coloro che l’han letto difficilmente penetrano nella “clavis” del testo.   
Ora però, vediamo se, davvero, Robin abbia detto quel che l’autore della Nota Introduttiva precedente citata gli attribuisce. Robin parte (partiva) dall’osservazione, contenuta ne Il Re del Mondo di Guénon, secondo cui il leone è tanto simbolo del Cristo che dell’Anticristo, cf. J. Robin, UFO, la grande parodia, cit., p. 101. “Analogamente, il 666, ‘numero della Bestia’, è anche un numero solare. Metatron – che nella Kabbalah è il paredro della Shekinah, la ‘presenza reale’ della Divinità, in quanto ‘tramite celeste’ – è ‘l’autore delle teofanie nel mondo sensibile’. E’ anche il ‘capo delle milizie celesti’, il che certo lo identifica direttamente con Mikael (il qual è come lui ‘l’angelo della faccia’), vale a dire San Michele. Per di più, Il Pastore di Hermas identifica il Cristo con Mikael, il che, ci dice René Guénon, ‘non deve stupire quanti comprendono il rapporto esistente fra il messia e la Shekinah’ [R. Guénon, Il Re del Mondo, cap. III]. In effetti, Malaki, ‘il mio inviato’, è anagramma di Mikael […] Ma – e questo ci riporta alle nostre considerazioni iniziali sul carattere parodistico e invertito della funzione dell’Anticristo [perché l’Anticristo ha una sua funzione, per cui identificarlo con questo o quel personaggio che simbolizzano il male umano non ha alcun senso] – Mikael rappresenta solo il volto luminoso di Metatron. Poiché ogni simbolo è ambivalente, bisogna anche considerare l’ ‘ombra’ di Metatron, il suo volto oscuro. E questo s’identifica con Samael, ch’è chiamato Sâr ha-ôlam, ‘il genio di questo mondo’, e dunque il Princeps hujus mundi del Vangelo. Ora, anche Mikael è chiamato Sâr ha-ôlam, ma nell’accezione del tutto diversa, ed anzi radicalmente opposta, di ‘Principe del mondo’ – e non più di questo mondo; il mondo di quaggiù … Si può già comprendere tutto il vantaggio che la contro iniziazione può trarre da questa quasi omonimia, affrettandosi, con quel processo d’inversione dei simboli che le è connaturale, ad attribuire al ‘Re del Mondo’ ciò che spettava in realtà al ‘genio di questo mondo’. Si comprende pure perché la funzione propria di San Michele sia di vincere il drago e perché nella tradizione islamica, se il ruolo del Mahdî è di combattere l’Anticristo [si noti questo punto: di combattere], spetta solo al Cristo del Secondo Avvento (Seyyidnâ ‘Isâ) di ucciderlo [e cioè il Cristo che ritorna, sì, ma in spiritu e “dai cieli” … ma non da cieli “materiali” …]”, ivi, pp. 101-102, corsivi in originale, mie osservazioni tra parentesi quadre (seguono considerazioni sulla “deformitàinevitabile dell’ “A.” nel senso d’essere zoppo o cieco, dove non son d’accordo con Robin, che qui, , ha sbagliato, dove prende affermazioni simboliche per cose concrete, anche se vi è la possibilità – ma solo questa – che la deformità dell’ “A.” sia nascosta, nella forma del monorchismo di cui si dice che personaggi particolarmente “malefici” sarebbero stati caratterizzati: ovviamente sono cose, in tal ultimo caso, che nessuno, salvo un medico personale, può testimoniare: rimarrebbe una deformità nascosta, per cui la deformità “pubblica” tanto sbandierata dalle varie leggende sull’Anticristo – che sono, e rimangono, solo leggende e tali vanno considerate, cioè non interpretate “letteralisticamente” – rimarrebbe nascosta, ch’è il punto vero: una deformità pubblica ed esibita sarebbe una sorta di autodenuncia, cioè un autogol, ridicolo pensare che un individuo scaltro come l’ “A.” (per esempio quello dipinto da Luca Signorelli), commetta una tale leggerezza: vero che il diavolo si tradisce sempre, ma sta “nei dettagli”, mica nelle pubbliche dichiarazioni!!).
Inoltre – altro punto di non secondaria importanza – quest’immediata dichiarazione della propria devianza non sola fa torto alla scaltrezza diabolica, ma, di più, postula quel che oggi – per ragioni ontologichenon può esserci, e cioè la piena e diretta manifestazione del senso nei segni esteriori, che cioè questi ultimi – i segni esteriori – fungano immediatamente da supporto al significato simbolico. Al contrario, oggi ciò che può darsi è solo e soltanto una rappresentazione esteriore blanda. Per questo, il segno è oggi sempre nascosto, cioè “occulto” in senso etimologico, segreto cioè, secretum.
Tutte cose molto interessanti (e qui voglio solo dire en passant che la parodia del Sanctum Regnum che l’ “A,” vuol fare non è altro che la parodia del concetto “tradizionale” ma non “tradizionalistico” d’ Imperium, e cioè ciò di cui Federico II era rappresentante e, in questo blog, oh che strano!, parliamo di lui!, no, ma questi sono cose del tutto casuali …), però, in definitiva, Robin afferma quelle cose che gli sono state criticate? Ecco il punto, che si diceva all’inizio di questa nota finale seconda.
Leggiamo il passo: “Non ci resta […] ormai, che far intervenire, nella nostra spiegazione del fenomeno UFO alla luce delle dottrine tradizionali, quel personaggio il cui ruolo è attestato in tutti i testi sacri. La teologia cattolica lo chiama l’Anticristo e l’Islàm il ‘Messia menzognero’ (al-Masîh ad-dajjâl). La ‘funzione’ di quest’ Antecristo [corsivo mio] – che è anche l’Anticristo – è, come indica il suo nome, di precedere [corsivo mio] l’avvento del Cristo glorioso [corsivi miei] che deve instaurare il Regno messianico, è sicuramente di contraffare questo Secondo Avvento [corsivi miei] tentando di attribuirne le caratteristiche essenziali alla sua Grande Parodia [corsivi miei]. E’ per questo […] che è bene fare attenzione all’imitazione particolarmente evidente della ‘Discesasimbolica del Cristo [miei corsivi], di cui si sa, secondo l’ Apocalisse [corsivo mio] (XIV, 14), che appare ‘seduto sulla nube’. Ora, nell’esoterismo discosofico, destinato al grande pubblico, è proprio dal cielo che discende anche il Messia extraterrestre [corsivi miei], ma da un cielo grossolanamente materializzato [corsivi miei]. […] sulla base di tutto quello che abbiamo detto, si può comprendere che, per quanto concerne il suo ‘avvento’, non sarebbe impossibile […] che egli discendesse da un disco volante, se ci è lecito esprimerci in questo modo [corsivi miei]”, ivi, pp. 99-101, miei corsivi indicati fra parentesi quadre. Quindi Robin anche se dice in modo esplicito che “l’Anticristo ‘scenderà’ da un UFO”, ma come metafora del fatto che scenderà in modo “grossolanamente materializzato”. La cosa è chiara proprio per la “riserva” che aggiunge (“se ci è lecito esprimerci in questo modo [miei corsivi]”), che denota una “ellissi”, cioè un paragone che non dev’essere interpretato letteralmente. Ed allora, se così stanno le cose, se quel che conta è in sostanza il “grossolanamente materializzato” e non l’ “UFO”, perché non “discendere” da un normale – oggi – aereo di linea? …
Solo quando le cose si fanno “quotidiane”, solo quando non si vedono, allora si può esser certi del loro far parte definitivamente, ed irreversibilmente, del mondo.
Terminiamo qui queste considerazioni varie aggiunte al presente post, nel quale vi è la copertina di un libro dedicato a Raspùtin, guarda casoanche qui mera casualità eh …












 




 


[i] Interessante come Solzhenitsyn facesse pensare ad Aleksandr Helphand – aliasParvus” – che Lenin, in poche parole, fosse un “raskol’nik”, uno “scismatico”; ma “raskol’niki” eran detti i “vecchi credenti” da parte dei seguaci dell’ortodossia che seguì il patriarca Nikon nelle sue riforme sul rito, quelle riforme che provocarono, per l’appunto, lo scisma stesso. Dire “scismatico” in tal senso è come dire, in italiano, “fanatico” o anche estremista. Solzhenitsyn giustamente non afferma che Lenin fosse “un agente tedesco”, ma solo che, grazie a “Parvus”, poté verificarsi una congiunzione fra interessi diversi ed anche opposti, ma verso un comune nemico. Molto ben scritto è tutto il processo per mezzo del quale Lenin viene avvicinato da Helphand, che ben conosceva ma dal quale lo separavano varie divergenze, e – tendendo conto che Lenin dopo il 1905 era davvero ammuffito in Svizzera e ben sapeva che la sua occasione (la rivoluzione del 1905) era definitivamente passata e svanita per sempre – il vero e proprio duello dove Parvus lo voleva “arruolare” a favore della Germania e Lenin sì che ben capiva l’occasione che gli si offriva, ma voleva poter aderirvi alle sue condizioni. Non alle condizioni di Helphand: e qui si vede il talento politico. Parvus – grasso e ricco e che si era acquistata la cittadinanza tedesca –, pur con quel suo “sangue behemotico” (A. I. Solženicyn, Lenin a Zurigo, Oscar Mondadori Editore, Milano 1990, p. 129, corsivo in originale, “beghemòt” in russo è allusione al behemòt del Libro di Giobbe, ma vale “ippopotamo”, come si dice nella nota aggiunta dal traduttore a pie’ pagina del testo citato), proponendogli l’alleanza  già nel 1916, non si aspettava quel rifiuto: “Parvus non ci capiva niente […]. Nonostante tutto, venendo qui [da Lenin, in Svizzera], non avrebbe mai immaginato una cosa simile. Il grande irriducibile, il più estremista di tutti i rivoluzionari [russi], sollecitato dalle migliori delle congiunture e dalle più devote profferte di servizio, si rifiutava di fare la rivoluzione??”, ivi, p. 183, corsivi miei, mie note fra parentesi quadre. Il fatto si è che Lenin voleva entrarci alle sue condizioni, ed inoltre dubitava della natura effettivamente “socialista” di Parvus, peraltro ne dubitava con reale ragione: “Ma era poi un socialista quello?”, ibid. Parvus allora tentò di costruire dei suoi contatti in Russia, non riuscendoci, perché lui mancava dalla Russia dal 1905, il vero motivo era quello, mentre Lenin, pur in un esilio per niente dorato, vi ha mantenuto comunque dei contatti, delle conoscenze, per quanto scarse. Ma la situazione maturava, così, alla fine, Lenin riuscì a spuntare le migliori – per lui – condizioni: e siamo alla vicenda del treno piombato famoso.
Fuori da ciò che Solzhenitsyn chiamava la “giostra” delle interminabili polemiche fra rivoluzionari al riguarda della rivoluzione detta “permanente”, Parvus è un altro, diverso tipo di rivoluzionario: “Il rivoluzionario di tipo nuovo, il rivoluzionario-milionario, il finanziere-industriale, può permettersi di esprimersi più francamente: «La rivoluzione mondiale è attualmente impossibile, non così un rivolgimento socialista in Russia. Ed è proprio contro lo zarismo che devono coalizzarsi tutti i partiti operai del mondo!»”, ivi, p. 179, corsivo in originale. Ma, oltre ai problemi fondamentali dell’entrare in un’alleanza temporanea il più possibile alle proprie condizioni, Lenin non era neanche d’accordo sull’alleanza di “tutti” contro lo zarismo. Per lui lo zarismo doveva cadere prima che si potesse aprire la porta per un “rivolgimento socialista in Russia”, per dirla con l’appena citato passo. Se, dal punto di vista dell’ “intrigo internazionale” – come si diceva un tempo – Parvus vedeva meglio ed aveva i contatti giusti, dal punto di vista “sul terreno” al contrario la vedeva giusta Lenin: il regime zarista doveva esaurire tutte le sue possibilità, soltanto dopo si poteva aprire una chance effettiva. E questo è vero un po’ per tutte le rivoluzioni coronate da successo, siano quella francese, quella americana, quella russa, quella cinese o quella iraniana. Al contrario, ogni qual volta i rivoluzionari – seppur certi di loro stessi ma senza un’analisi concretamente efficace sul campo – si son mossi prima che il regime avverso avesse esaurito tutte le sue possibilità, sono stati incoronati dall’insuccesso.
Parvus ammoniva Lenin sui suoi “lavori” in Svizzera: “«I vostri, qui in Svizzera, sono giochetti da bambino »”, ivi, p. 195, e nonostante già in quel tempo Lenin avesse “occhi da malato”, ibid., non cedette. Questo perché sapeva una cosa che a Parvus non poteva che sfuggire: “Parvus è forse mostruoso […] nella lontana evidenza tribunesca. Ma i suoi occhi incolori e acquosi son irresistibilmente intelligenti, e questo Lenin sa ben valutarlo. Ma doveva sfuggirli. Perché non sospettassero la verità. Che cioè Lenin non era in grado di agire. Poteva ogni altra cosa. Ma non questo: render più vicino quel momento e realizzarlo. E Parvus, coi suoi milioni, senz’altro con carichi d’armi nei porti, con tutta una cospirazione organizzata, con in mano le officine Putilov (sì, quelle sue bianche mani paffutelle, che ogni tanto batteva l’una contro l’altra, e che tuttavia sapevano agire), Parvus continuava a inquisire: «Ma ditemi una buona volta che cos’aspettate, Vladìmir Il’ič? […] Fino a quando intendete ancor aspettare?» Lenin aspettava che succedesse qualcosa. Che un’onda propizia gettasse concretamente la sua navicella nel già fatto. Come per uno scherzo del destino, le idee nelle quali Lenin aveva basato la sua vita non avevano potuto né mutare il corso della guerra, né trasformarla in guerra civile, né spingere la Russia alla disfatta. La navicella giaceva nella sabbia come il giocattolo d’un bimbo, in attesa di un’onda che non veniva mai … […] allora, Vladìmir Il’ič […] Che cos’avete lassù concretamente, me lo dite una buona volta? Cosa aveva? Era proprio a questo che Lenin non poteva rispondere, e per un semplice motivo: che non aveva niente. La Svizzera era su un pianeta e la Russia su un altro. Cosa aveva? … Un minuscolo gruppo, cosiddetto partito, del quale non si sapeva esattamente chi c’era e chi se n’era andato. Aveva … Il Che-Fare, Un passo-Due passi, Due Tattiche. L’Empirocriticismo. L’Imperialismo. Aveva quella sua testa, per fornire in ogni momento la risoluzione giusta all’organizzazione centrale, dettagliate istruzioni ad ogni rivoluzionario, parole d’ordine esaltanti le masse [era, insomma, un rivoluzionario “di professione”, diversamente da Parvus in questo]”, ivi, pp. 198-199, corsivi in originale, miei commenti fra parentesi quadre. E cioè aspettava che qualcosa facesse crollare – da dentro – il regime zarista, cosa senz’altro tattica, come dice Solzhenitsyn (che vi vede, sbagliando, solo questo e che ammira, pur criticandolo senza problemi, le capacità strettamente politiche di Lenin grande “tattico”), ma pure strategica, cosa che, al contrario, Solzhenitsyn non vede. Il crollo del regime zarista, infatti, era ciò che non poteva invece accadere nell’unica rivoluzione a cui Lenin aveva concretamente partecipato, prima di un’intera esistenza in esilio, in Svizzera in particolare: quella del 1905. In quel tempo, lo zarismo aveva ancora delle energie, residuali, sì, tuttavia ben reali. La storia ci dimostra che le rivoluzioni avvenute con successo l’han potuto realizzare solo quando dall’altra parte avevano un regime “cotto”, o stracotto, che aveva esaurito tutte le sue interne possibilità. Dunque si possono aver tutti i mezzi ed anche una situazione favorevole, se il regime contro il quale ci si oppone – a torto o a ragione che sia, qui non importa – non esaurisce le sue possibilità, non c’è niente da fare: la forza d’inerzia dell’intera storia rema contro, piaccia o non. Ed un regime, qualsiasi, può esaurire le sue interne possibilità solo se, da un lato, è molto debole e, dall’altro, last but not least, non intervenga un fattore dall’esterno. Quest’ultimo punto sembra quello decisivo, sembra il punto più aleatorio. Discutendo della rivoluzione da lui più studiata – non quella cui aveva partecipato (Russia 1905, che sempre commemorava) – e cioè la Comune di Parigi, finalmente in Russia era scoppiata la rivoluzione: non riusciva a dormire, cf. ivi, pp. 239-240, perché sapeva che – ora, sì – era giunto “il” momento , quello giusto. Ed allora i contatti con Parvus potevano ritornare utili, allora, sì, che gli accordi – però il più possibile alle sue condizioni – si potevano fare. Poteva spuntare condizioni assai migliori proprio perché sia Parvus che l’alto comando tedesco anche loro sapevano che il tempo giusto non poteva durare chissà quanto. Qui Trotzky disse giusto: le rivoluzioni hanno fasi, ma il momento giusto dura poco (il qual Trotzky parlò di alcuni aspetti interessanti dell’ “arte dell’insurrezione”, cf. L. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, Oscar Mondadori Editore, Milano 1969, vol. ii, pp. 1072-1073; e cf. ivi, pp. 1081-1084).
Su Trotzky, cf.
La copertina del libro di Walter è postata qui, cf.
“Questa legge immutabile della lotta rivoluzionaria – e forse di ogni progresso umano – che non è mai stata formulata da nessuno e che pur esiste, Lenin l’aveva potuta costatare in diverse occasioni: ogni nuovo periodo fa emergere e ti avvicina uno o due persone, proprio quelle che ti sono più congeniali in quel dato momento, le più interessanti, le più importanti, le più utili proprio adesso, quelle che proprio oggi possono predisporre a […] favorire gli scambi d’opinione e l’azione comune. Ma quasi nessuno è in grado di mantenersi a lungo in questa posizione, poiché le situazioni mutano da un giorno all’altro, e noi dobbiamo mutare dialetticamente insieme a loro: mutare all’istante, o, meglio ancora, precedendolo, proprio in ciò consiste il genio politico! Naturalmente colui che dopo tanti altri capitava nel turbine di Lenin veniva immediatamente trascinato nella sua azione, agiva nel momento indicato e con la prontezza richiesta, non disdegnando alcun mezzo, e sacrificando anche i propri averi. Naturalmente: perché non lo faceva per Vladìmir Il’ič, ma per la forza imperiosa che attraverso di lui si manifestava e della quale Lenin era solo l’infallibile portavoce, colui che conosceva sempre esattamente la verità del giorno, che magari la sera non era più quella del mattino. Ma non appena questi intermediari s’incaponivano a voler fare di testa propria, smettevano di capire l’importanza e l’urgenza del proprio compito, tiravano in ballo contraddizioni intime e destino personale, altrettanto naturalmente venivano tolti dalla strada maestra, allontanati e dimenticati, all’occorrenza insultati e maledetti […] Si manteneva al suo fianco e procedeva insieme a lui soltanto chi intendeva correttamente la causa del partito, e fintanto che l’intendeva. Ma superata l’urgenza di un compito contingente, se ne offuscava di solito anche la comprensione, e tutti quei collaboratori di breve momento restavano irrimediabilmente impiantati come biffe nella stupida gleba inerte ai margini della strada, e si allontanavano, scomparivano alla vista, venivano dimenticati, salvo vederseli talvolta correre incontro a precipizio, ormai fatti nemici, dietro a una nuova svolta [e così funziona il mondo, con questa “legge”, mai da nessuno formulata]. La vicinanza durava talvolta una settimana, un giorno, un’ora, una conversazione, il tempo di una comunicazione, di un incarico: e Lenin sapeva trasmettere sinceramente a ognuno di loro il fervore e l’urgenza di una causa indeclinabile, rivolgendosi a ognuno come all’ uomo più importante del mondo; ma di lì a un’ora erano già tutti lontani ed estranei e di quello che erano e significavano non gli restava neanche il barlume d’un ricordo”, A. I. Solženicyn, Lenin a Zurigo, cit., pp. 23-26, corsivi miei. In realtà, ho anch’io più volte osservato una cosa del genere, un tal fenomeno, nient’affatto solo nell’ambito della “lotta rivoluzionaria” – che oggi praticamente non esiste più ed è un mero rottame – men che meno in “ogni progresso umano”, ma sembra piuttosto una ricorrenza “cosmica”, una “tendenza” cosmica “in quanto tale”, nel senso che fa parte del Cosmo e della sua struttura profonda, non evidente.
Poi qui si vede chi è “capo” non per via di elezione, o ereditaria, ma “sul campo”: è colui che sa trasmettere ad ogni uomo, o donna, come a chi è il più importante del mondo, in quel momento – in quel momento – …