venerdì 8 giugno 2018

Degli Stati Uniti d’America, l’ex unica superpotenza








“Un giorno gli Stati Uniti si trovarono a essere un impero. Ma non sapevano che cos’è un impero. Credettero che fosse la più grande delle corporations”[1]. Per questo, per non aver mai capito cosa fosse un impero, ecco che gli Stati Uniti d’America – facendo un miope calcolo di guadagni e perdite – stan distruggendo il sistema attuale, ma dall’interno, mettendo zizzania con i propri alleati, formalmente ancora tali. Si è che non han mai capito cosa fosse un Impero … un Imperium







Andrea A. Ianniello









[1] R, Calasso, La rovina di Kasch, Adelphi Edizioni, Milano 1983, p. 393.









Un MI-RAGGIO – raggio SÌ, ma solo col “MI”.









Il miraggio dell’annientamento. Quelli che attendono la catastrofe finale, gli ammalati di febbre nichilistica, quelli che s’inebriano con sogni di distruzione dovranno ancor attendere a lungo. Nelle tenebre da cui siamo avvolti è più facile che ladri e assassini spaventino e versino sangue, ma il mondo non finirà tanto presto. La violenza è all’inizio delle cose, non alla fine. Noi proveniamo dalla violenza, ma intorno a noi regna ormai la mansuetudine. Della violenza rimane ancora la smorfia decorativa, il geroglifico astratto. E se il mondo dovesse finire – momentaneamente – non sarà in una deflagrazione”[1].
Naturalmente – dalla seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso ad oggi – ben pochi “ammalati” di febbre nichilistica son rimasti, nei “nostri” tenebrosi tempi.
Anche se, anche se … ma non sarà … Non sarà che i famosi “complottisti” non siano altro che una metamorfosi, perdente, ormai de-politicizzata, di quella perigliosa genia – che un tempo, non lontano quantitativamente, ma ben lontanissimo qualitativamente, si ritrovava sì frequentemente?
Tutto ciò attraverso mille metamorfosi? Mah.
In ogni caso, in “quel” tempo, vi era l’illusione di una uscita facile, semplice dal disastro provocato dalla modernità, per mezzo di una facile “catastrofe ‘finale’”, magari realizzata da un qualche asteroide.
Si quietino, lor signori: se mai un asteroide verrà, sarà del tutto diverso da qualsiasi cosa essi avranno immaginato mai, ben diverso da qualsiasi romanzo, film o altra produzione “fantasmatica” dell’umana mente. Il flusso degli eventi è sempre – sempre – indicibile nella sua realtà effettiva. Comunque, Colli parlava della violenza politica, in “quel” tempo (in cui scriveva), e cioè la credenza – sparita per sempre, sparita per sempre, come neve al sole, come un sogno, ed è incredibile – che fosse possibile, con la violenza, ottenere un cambiamento, di qualsiasi tipo, “comunista” o “nazista” qui non interessa: non c’interessa il cosiddetto “colore” politico, c’interessa il senso, ciò di cui era segno quella credenza.
Certo che il comportamento umano rimane violento, ma solo ad un livello individuale: nessuno crede più che, con la violenza, si possa cambiare qualcosa di sostanziale, ed è così, poi, nella realtà effettiva.
“Della violenza rimane ancora la smorfia decorativa”, come scriveva, illo tempore, G. Colli. Di qui le proiezioni, su cose di secondo, terzo livello, su piccoli cambiamenti, di una radicalità “novecentesca” che la gente di oggi manco sa immaginare.
Certo che la protesta rimane, ma non toccherà mai, per via politica, qualche ganglio radicale del sistema.







Andrea A. Ianniello






[1] G, Colli, Dopo Nietzsche, Adelphi Edizioni, Milano 1979, pp. 163-164, corsivi in originale.