venerdì 26 ottobre 2018

“Maree”































Un appunto, forse, stimolante (non usiamo il termine “interessante” …).
“A questo proposito noterai la necessità di […] seguire le maree del tuo essere interiore, ma nel contempo stai attento che ciò non divenga una scusa per la pigrizia. Esistono quattro grandi maree che influiranno su di te, come pure sulla vita di questo pianeta. […] Ho parlato delle maree in uno dei miei libri, ma riprenderò l’argomento per rinfrescarti la memoria. La prima marea è quella che inizia col solstizio d’inverno, intorno al 21 dicembre, e continua fino all’equinozio di primavera a marzo. Questa è nota come la ‘Marea di Distruzione’ e la sua caratteristica è la distruzione, non tanto nel senso letterale della parola, ma piuttosto in quello di eliminazione di tutto ciò che è inutile e squilibrato dalla vita. […] Questo, naturalmente, è molto utile, poiché ci permette di sbarazzarci di gran parte dei residui e dei relitti che abbiamo accumulato […]. La marea seguente inizia all’equinozio di primavera e continua fino al solstizio d’estate di giugno. Questa è la ‘Marea della Semina’: l’epoca in cui dovresti seminare quelle idee e quegli ideali che son sopravvissuti alle Correnti di Distruzione. Viene quindi la ‘Marea del Raccolto’, dal solstizio d’estate all’equinozio d’autunno in settembre: durante il flusso di questa verranno raccolte le messi di queste idee e di questi ideali. Si tratta di un raccolto di vario genere; viene mietuto su diversi piani di vita e di coscienza e perché tali messi siano reali, è essenziale che vengano mietute anche qui, nel mondo fisico. Chi cerca di procedere, senza prendere anche questo in considerazione, rovinerà ogni suo sforzo. L’ultima è la ‘Marea della Formulazione’, che continua fino al solstizio d’inverno. Questa marea è quella in cui puoi formare i piani per il futuro, esaminare i successi e i fallimenti passati, e valutare il tuo progresso complessivo. E’ bene che tu ricordi che un progresso può esser fatto anche mediante ciò che ci sembra un completo fallimento. In verità, l’unico fallimento reale è l’astenersi dal provare. […]
Tutte e quattro le maree, naturalmente, si confondono l’una nell’altra e fra di esse non vi è una linea divisoria precisa, in modo che potrai attenderti che un’influenza di duplice natura influisca su di te al termine di una marea e all’inizio dell’altra. […] Ricorda, però, che alla fine dovrai esser capace di nuotare contro tali maree e anche di usare la loro energia allo stesso modo in cui una nave ‘va controvento’, risalendo in direzione opposta ad esse”[1].


Parlando di “maree”, direi che siamo nell’alta marea della stoltezza …
Battute a parte, sarebbe lecito, a tal punto, chiedersi se tali maree “sottili” non siano anch’esse, oggi, sottoposte ad interferenze varie che ne alterino il flusso, in parallelo a ciò che, ormai da tempo, sta succedendo alle stagioni “dense”, le stagioni meteorologiche. La risposta non può esser che: SÌ, anch’esse subiscono più o meno forti INTERFERENZE, peraltro variabili e mutevoli, cioè incostanti, queste “interferenze” stesse. Cosa, poi, in effetto interferisca, mi rendo conto sia la domanda forse più importante, rispondere alla quale ci porterebbe, per forza, troppo lontano. La cosa interessante, che dico: significativa, però, è “segnarsi” questo punto.


Un tempo anch’io credevo fosse “bello” vivere in “tempi interessanti”, poi mi è toccato di viverli: HO CAMBIATO IDEA ....


Se avviene il contagio, se l’Italia infetta, allora, stavolta, è il modo SANO di procedere, in un sistema **malsano** …




PS. Sulle “sette torri”, si comincia a vedere anche qualche pubblicazione, ma lo scopo è quello di “dire” le cose, non di avvertire, e questo è già errato, a mio avviso. Poi, la “generosità” di costoro, è proverbiale, ma oggi è così, stare al centro, io sono quello che … gli “altri”, ah ah, chi saranno mai … altri han parlato di queste cose: NOOOO, non esistono.
Nel ripetere a “pappa gallo” Monsieur G. che cavolo ne vien fuori di buono??
Mai son stato d’accordo con questa deriva.
Voi non siete Guénon, signori, vi piaccia o non. C’è pure la rima …
Degli “evolomani”, poi, non parlo proprio, …
Stendiamo un velo pietoso …
A me sembra nascere, questo genere di fenomeni, da un po’ d’invidia – come dico, per i scherzo: d’ “indivia” … – per l’autorevolezza di G., detto sinceramente. Ma l’autorevolezza non si passa in eredità, ed inoltre la danno gli altri, non si presta. Spiace dirlo …
O la si “ha” o non la si “ha”, tertium non datur.
Tornando a noi, la questione delle “7 torri” è troppo seria per coinvolgerla nei conati di vecchie polemiche, più che datate, quando già illo tempore qualcuno segnalava segni evidenti di cedimento[2]. Manca del tutto qualsiasi capacità di poter intervenire per impedire al “campo avverso” di procedere, e questo non da ieri, da un bel po’ di tempo. E non è certo colpa di Guénon.  





Andrea A, Ianniello



 




[1] W. E. Butler, L’Apprendista mago, Hermes Edizioni, Roma 1983, pp. 138-139, corsivi in originale.  
[2] Cf. gli scritti di J. Robin su Guénon in Nouvelle Ecole, n. 41, automne 1984, pp. 90-96; tal numero riporta anche uno scritto di Guénon stesso: “Suggestions sociales, démocratie et élite”, ivi, pp. 96-100; si tratta del Guénon “critico del mondo moderno”, e, seppur molti argomenti sembrano datati, non lo è il punto centrale, perfettamente valido ancor oggi: quello delle suggestioni sociali. Solo che tali suggestioni cambiano, cosa che i “tradizionalisti” non possono capire, poiché vittima di altre suggestioni; per cui, non tanto più – o non più solo – la “democrazia” come “suggestione” (anche in senso “occulto”, eh), bensì anche il neonazionalismo nelle sue varie forme, o la “difesa dell’Occidente”, cioè quell’altro genere di suggestioni alle quali i “tradizionalisti” non possono che “abboccare”, in una maniera o in un’altra che sia.
 




















mercoledì 24 ottobre 2018

Le “DOGLIE DEL PARTO” (in “UNA NOTTE DEVASTANTE”)



















Siamo “avvolti in una notte devastante”[1]. Ed in essa si hanno doglie che paiono non mai finir. E tuttavia, persino esse hanno un termine …
“Lunghe sono le notti nel Nord, e lungo l’inverno, che confluisce in un’unica notte. Si ha l’impressione che qualcosa si prepari, quasi come durante le doglie del parto, come se l’azione si generasse [corsivi miei]. Un giovane di campagna, che possiede solo una spada e una casacca di lana si reca alla corte del re di Norvegia, dove, come succede a quell’età, piomba in una specie d’apatia, di assenza. Si stende dietro la stufa e se ne sta lì senza far niente, mentre quelli che passano non l’osservano neppure, se non per prenderlo in giro. Così trascorre l’inverno, finché lo scherno comincia a urtare il sognatore. Allora esce da dietro la stufa e ottiene il rispetto di tutti uccidendo il più forte dei berseker del re”[2]. A mio avviso, quest’ “impressione” ben rende il “nostro” momento, sia storico che cosmico.







Andrea A. Ianniello














[2] E. Jünger, Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza, Multhipla Edizioni, Milano 1982, p. 149, corsivo in originale, corsivi miei segnalati fra parentesi quadre.   
















I Mani, “Manes”







 

 

 

 

 



 

 

 

Tornando un po’ a tematiche “occulte”, in questo tempo sì “scorpionico”, sì “scorpionico” tal tempo … deh …


“Qui potrei anche scrivere la parola fine avendo già detto abbastanza, ma è forse opportuno accennare anche ai riti familiari che si rivolgono al mane della stirpe, sia esso il totem, il mane o il lare o semplicemente l’antenato che dette gloria e notorietà alla famiglia, concludendo, poi, con un breve cenno al sacrilegio sul quale si potrebbe scrivere un grosso volume dato che, oggi, nella vita delle comunità cosiddette civili del mondo occidentale [ed oggi non più solo occidentale, nota mia], quasi ogni gesto e ogni parola costituiscono un continuo sacrilegio. Dice Macrobio che i mani, i lari, i penati si riconoscono come gli dèi che ci fanno vivere, essi nutrono il nostro corpo e regolano le nostre anime. In altre parole, i mani s’identificano non direttamente e integralmente con i defunti ma con quella parte spirituale, sia pur grossolana, che sopravvive e che mantiene il legame, tra il capostipite della famiglia e i suoi discendenti, con quel qualcosa che esiste sotto forma di pneuma nel sangue di ogni discendente di un determinato ceppo familiare.

Il Guénon [in Errore dello spiritismo] accomuna i ‘mani’ allo ‘OB’ [maiuscolo in originale] degli ebrei, e cioè a quel soffio delle ossa detto ‘habal de garmin’, dolce sonno per il giusto, specie di stato comatoso al quale accennano molti passaggi dei Salmi d’Isaia e di Davide, di cui si parla nelle kabbalah e dalla cui esistenza dipende la proibizione mosaica d evocare i morti.

Nella tradizione delle famiglie patrizie e delle caste superiori, che rifacevano le loro origini a semidei, a eroi o a sovrani che non erano morti in quanto ‘hestos’ [“Colui che rimane in piedi” = immortale] la consecutività della discendenza era confermata dal rito sacrificale che, alla morte del padre o del ‘patres’ [sic], il primogenito, o il consanguineo più prossimo mancando i figli, eseguiva per rinnovare il patto col nume e dal cui risultato appariva chiaro se il sangue era puro o impuro, cioè se in esso continuava a pulsare il pneuma dell’antenato, richiamando così, con la riuscita del rito, la gloria del mane. Bisogna però sottolineare che il rito sacrificale doveva esser compiuto secondo le norme, i gesti, le parole e con l’uso degli accessori rituali (fuoco, acqua, profumi ecc.) tradizionali. Qualsiasi variante inutilizzava il rito [ecco spiegato il perché dell’attenzione meticolosa e del sopravvivere, per lunghi secoli, seppur non più compreso, dell’insieme delle norme rituali nell’antica religione romana, che ne aveva mediato molto – di detto “insieme” – dalla religione degli Etruschi] interrompendo il legame fra il nume e l’esecutore del rito stesso. A quest’eventuale incapacità di chi compiva il rito a rinnovare col nume familiare l’unione che garantiva la di lui gloria, si può addebitare il lento ma continuo decadere di grandi famiglie o il loro estinguersi [per esempio, il caso dei Sansevero, fra degli altri]. Se, invece, il rito eseguito da un usurpatore, allora scattava l’azione sacrilega; il contatto fin allora mantenuto tra la famiglia e il nume veniva a mancare provocando lo scatenamento di forze quasi sempre oscure e temibili e di cui era impossibile prevedere l’azione e dov’essa era diretta, forze che, quasi sempre la distruzione della famigli usurpatrice […] in quanto priva del pneuma proveniente dal nume e quindi senz’alcun diritto alla sua gloria”[1].

Secondo la tradizione cinese, nelle ossa si mantiene la parte più yin del “compost” umano, negli stati post mortem. Altrove Guénon denotava quest’ “OB” anche col nome “influenze erranti” e, in un altro – vecchio – post[2], affermo che scopo del “Trono del Drago” era di mantener sotto controllo – simbolicamente o, almeno, virtualmente – dette “influenze erranti”, per l’appunto. Ecco che la fine di questo controllo ne ha lasciato libere molte. Sono le “vene del Drago” che attraversano la Terra. Esse possono generare anche quei posti “pericolosi” o, almeno, “strani”, per così dire … Ed anche dei, più o meno sospetti, phenomena … In ogni caso, soprattutto con le linee continue, ma pure col reticolo elettromagnetico – non ne parliamo con le antenne – quest’originario reticolo delle “vene del Drago” è stato “sovvertito”, che non significa sia sparito” eh. Piuttosto che è fuori controllo, e qualcosa pur genera, sebbene l’uomo moderno prima e quello contemporaneo, poi, pur essendo diversi – modernità vera e propria è dalla seconda metà del XVI secolo all’epoca della Prima Guerra Mondiale – per certi aspetti, son ambedue insensibili a queste forze, per quanto l’uomo davvero “moderno” era “semplicemente” insensibile ad esse, l’uomo “postmoderno” è tornato ad esser sensibile ad esse, ma le subisce solo. Si sente senza difese, verso un “qualcosa” di oscuro e senza forma, guarda caso … e tutto ciò provoca molti problemi, anche alla salute … ma qui ci fermiamo, si sarebbe malintesi difatti.

Le “influenze erranti” non sono – di per sé – sempre malevole, ma possono diventarlo. Per questo esse vanno mantenute sotto controllo, “rituale”, appunto.

Altrove poi, lo stesso Guénon – a riguardo di queste “influenze” e del loro (pessimo, peraltro) manifestarsi nel cosiddetto “spiritismo” – affermava che provenivano dal “luogo dell’Anticristo”, ed è, probabilmente, questo un cenno molto interessante.

 

 

 

 




Andrea A. Ianniello






[1] G. Ventura, Il mistero del rito sacrificale, edizioni La Luna Nera (Gruppo Editoriale Brancato), San Giovanni La Punta (CT) 2011, pp. 26-28, corsivi in originale, mie osservazioni fra parentesi quadre.
[2] Cf.
Sul “soffio delle ossa” in Cina, cf. K. Schipper, Demonologia cinese, in AA.VV., Geni, angeli e demoni, Edizioni Mediterranee, Roma 1994, pp. 340-344. In particolare: “Quando l’uomo muore, le houen [hun, anime o anima superiore, non l’anima vitale, per venire alle cosiddette “tre anime” o tre divisioni dell’anima di cui parlò Aristotele] (o la houen, secondo la convinzione popolare che non rien conto della molteplicità delle anime superiori e inferiori) abbandonano il corpo per raggiungere il regno dei morti, mentre le p’o [po] (o la p’o) s’impossessano del corpo non più controllato dalle anime superiori. Il cadavere non ancora sepolto secondo le usanze può uscire, di notte […] per aggredire gli esseri viventi. Ma anche dopo la sepoltura il cadavere può conservare un potere malefico ed esercitare intorno a sé un durevole influsso nefasto. A volte le p’o che risiedono nei resti ossei [corsivi miei] provocano malattie e calamità. I cadaveri non seppelliti possono portare la siccità o trasformarsi in soldati-dèmoni. Essi costringono le persone a ricorrere agli esorcismi e a placarli con offerte. In tal caso, il culto può orientarsi in senso positivo; si può ‘coltivare’ il dèmone inducendolo, con regali, a non provocare disgrazie, ma, anzi, a rendersi utile nelle questioni in cui il suo contributo può essere determinante. Un simile dèmone, al quale si tributo un culto peraltro molto diffuso, è chiamato Yeou-yong-kong (Signore che Ascolta)”, ivi, pp. 342-343, corsivi in originale, corsivi miei detti fra parentesi quadre, mie osservazioni fra parentesi quadre.
Si fa, poi, una grossa distinzione fra le anime dei suicidi e quelle morte uccise per qualche ingiustizia, infatti: “Le anime dei suicidi, degli annegati e di chi è morto per infortunio possono sfuggire alla loro infelice esistenza futura solo trovandosi delle sostitute”, ivi, p. 343. Nel folklore cinese si reputa che, di solito, un suicidio ne richiami un altro, come anche il fatto che gli incidenti tendano a verificarsi sempre in certi posti, ricorrenti (personalmente, aggiungerei che tendono ad accadere in determinate, mutevoli, “finestre temporali”, per così dire: in altri termine: non ogni cosa può accadere in or momento allo stesso modo né con la stessa frequenza). Invece: “I morti per ingiustizie, coloro che sono stati assassinati, ecc … possono, al contrario, ottenere dal Cielo l’opportunità di vendicarsi per metter fine alla loro condizione di dèmoni [che è la sorte di chi non ha completato il su ciclo naturale]. Essi diventano, così, agenti della giustizia e della retribuzione divina. Per ricordare un solo esempio, i 360 dèmoni delle epidemie furono, in origine, soltanto illustri letterati, uccisi ingiustamente dalla magia del Maestro Celeste, capo dei Taoisti. Per vendicare questo torto e rendere difficile la vita ai sacerdoti, furono investiti del ruolo di dèi-dèmoni delle pestilenze. La Provvidenza dispone di tutta un’amministrazione divina per applicare le leggi della retribuzione. Il dio del T’aichan [il Taishan, la più sacra montagna della Cina] è il Gran Vicario della Provvidenza sulla terra. Da lui dipendono i tribunali dei morti e gl’Inferi, dove le anime sono giudicate e scontano i loro peccati prima di reincarnarsi. Il dio del T’ai-chan è aiutato dagli dèi-amministratori regionali: gli dèi della Città (Tch’eng-houang [Chenghuang]) per ogni città, gli dèi del suolo (T’ou-ti [Tudi]) per le circoscrizioni minori; insomma, vien ricalcato lo schema dell’amministrazione civile dell’Impero. L’amministrazione ha al proprio servizio delle anime-dèmoni adibite agli adibite agli uffici più ingrati: sbirri, delatori, carnefici, i cui terrificanti ritratti popolano i templi del dio del T’ai-chan e degli dèi della Città, intimando ai fedeli di fare il bene. A questi dèmoni si dà il titolo di ‘generale’ (tsiang-kiun [jiang-jun]), immaginandoli a capo di legioni di soldati-dèmoni che hanno il compito di combattere le innumerevoli pestilenze che flagellano la terra”, ivi, p. 344, mie osservazioni fra parentesi quadre. Schipper usa la traslitterazione “à la française”, fra parentesi quadre quella “pinyin”, oggi accettata.