lunedì 8 ottobre 2018

Federico II: “E’ nostra intenzione mostrare le cose che sono, come sono” (Dal “DE ARTE VENANDI CUM AVIBUS”) – NON “cum apibus” –

















Dopo queste varie “spigolature ‘occultizzanti’”, si ritorna, dunque, al nostro percorso storico-economico-politico. 







La borghesia […] non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo
che il nudo interesse, il freddo ‘pagamento in contanti’”[1].






Io aggiungerei che non sta lasciando più nemmeno il “pagamento in contanti”, sostituito sempre più dal pagamento in nudo credito, ovvero carta di credito, cioè denaro “virtuale”; al limite, il “cash” alla fine, sparirà, cf.


Dopo queste “spigolature ‘occultizzanti’”, si ritorna al nostro percorso storico-economico-politico.
Si potrebbe, però, chiedere: ma che c’entrano tali “spigolature”?? C’entrano, e centrano, in quanto il capitalismo è il “Gran Dybbuk”, il Gran “Le Revenant”, che ha “stoccato” materiale morto – “materia prima” – e lavoro morto. Poiché il lavoro è privo di qualità, dunque “morto”, che lo faccia una forza lavoro “umana” (per quanto disumanizzata la si voglia pensare) oppure che lo facciano dei robot, è lo stesso per il sistema in cui si vive, assolutamente lo stesso.




Ma veniamo al detto, di Federico II, qui sopra – nel titolo – riportato.
“In effetti, Federico […] non trascurò mai la passione per la caccia, né mai venne meno al gusto per gli svaghi di tono orientaleggiante. Continuava a girare con la sua carovana d’animali esotici: segnalata nel 1235 in Germania, nel 1236 a Parma, nel 1238 a Padova, nel 1245 a Cremona (dove nel 1248 morì uno dei suoi elefanti). Aveva un falconiere arabo, Moamin, e un ciambellano musulmano, Giovanni Mauro [ “Mauritania”, Nord Africa centro occidentale, piuttosto che “arabo”]. Continuava a servirsi dei soldati arabi forniti da Lucera, e aveva al suo seguito un corpo di ballo (atri lo definisce un harem) di danzatrici e musicanti saracene, che si produssero, secondo l’ammirata descrizione del cronista inglese Matteo di Parigi, nella festa organizzata al pazzo di Foggia nel 1241, in occasione della vista di Riccardo di Cornovaglia (fratello del re Enrico III d’Inghilterra e dell’imperatrice Isabella, terza moglie di Federico, da lui sposata nel 1235 in Germania). Al concilio di Lione (1245) sarà accusato, tra l’altro, di vita sensuale e corrotta, alla maniera degl’infedeli; e si sussurrava che il figlio naturale Federico d’Antiochia (vicario imperiale in Toscana nel 1246) fosse nato da una sua relazione amorosa con la sorella di al- Kâmil (come già s’era sussurrato che alla troppo giovane Isabella di Brienne avesse preferito la più matura cugina Anaïs). Ma soprattutto non trascurava, anzi intensificava, quello ch’è forse l’aspetto più inaudito per un sovrano medievale e il più qualificante della sua personalità: l’interesse per la ricerca scientifica, cui furono chiamati a collaborare dotti arabi ed ebrei. Nel 1231era arrivato alla sua corte, per coadiuvare come segretario e traduttore Michele Scoto [scozzese, studioso anche di “magia”], l’ebreo provenzale Jacob ben Anatoli. Nel 1234 il sultano di Damasco gl’inviò, graditissimo dono, un planetario d’argento. Nel 1235 morì Michele Scoto, il cui posto fu preso l’anno dopo da maestro Teodoro d’Antiochia, un greco di Siria, arrivato forse dall’Egitto o da Baghdâd, il quale, oltre a curare la corrispondenza araba dell’imperatore, compilò con lui un trattato d’igiene,d sunto dallo pseudo aristotelico Secretum secreto rum, e tradusse in latino, durante l’assedio di Faenza, un trattato di falconeria redatto in arabo da Moamin (Liber magistri Moamin falconerii). Suo collaboratore fu maestro Domenico, venuto forse dalla Spagna, citato come matematico da Leonardo Fibonacci. Da questi interessi scaturisce quella serie di quesiti 8le cosiddette Questioni siciliane), che Federico sottopose, fra il 1237 e il 1241, a diversi dotti del mondo arabo[2]. Ne scaturirono altresì, ed è il frutto più personale, quel trattato De arte venandi cum avibus cui egli attese a lungo (utilizzando il precedente scritto di Moamin e altre fonti pazientemente raccolte, ma soprattutto la sua diretta esperienza, contrapposta persino all’autorità d’Aristotele). L’originale dell’opera, preziosamente illustrato, andò perduto nel 1248, quando una sortita dei Parmigiani, mentre Federico era a caccia, distrusse il campo degli assedianti. La più efficace sintesi dello spirito autenticamente scientifico [ma non nel senso scientifico “moderno”, men che meno “scientista”, sarebbe una gigantesca forzatura applicare questa mentalità ad un individuo vissuto nel XIII secolo, e d’altro canto, i “medioevali” – che mai pensarono a se stessi come tali – erano molto più “scientifici” di quel che i “moderni” – che pensano, o hanno pensato, a se stessi come tali – siano soliti credere] da cui Federico era animato è la dichiarazione da lui inserita nel prologo di questo trattato: ‘Intentio vero nostra est manifestare in hoc libro … ea quae sunt, sicut sunt’. Al dominio politico Federico ambiva congiungere il dominio conoscitivo del reale [qui è, forse, il vero cambiamento, come da me sostenuto in altri post, e non nello spirito “scientifico” moderno].
Soprattutto per questo egli fu, sul terreno della cultura, non un conservatore come Teoderico o un recuperatore come Carlo magno, ma un mirabile innovatore, ‘immutator mirabilis’”[3].










Andrea A. Ianniello














[1]  N. Ferguson, Soldi e potere nel mondo moderno 1700-2000, Casa Editrice Corbaccio, Milano 2001, p. VII, corsivi miei; la citazione viene dal Manifesto di Marx ed Engels.
[3] A. Roncaglia, Le corti medievali, in Letteratura italiana, volume primo Il letterato e le istituzioni, Einaudi editore, Torino 1982, pp. 146-147, corsivi in originale, note mie fra parentesi quadre. la “Mauritania” è dove Jünger pone il “Forestaro” (Hitler) in Sulle scogliere di marmo, Guanda 2002, erroneamente identificato con Stalin. Di tali legami, l’autore della recensione seguente pare inconsapevole, del tutto inconsapevole, cf.
http://www.barbadillo.it/46686-libri-sulle-scogliere-di-marmo-di-junger-lepica-del-noi-nella-voglia-di-ricominciare/.
Nessuna sorpresa: è uno del “noi” – contro un “loro” (l’argento e il bronzo) – ovviamente. Ma è, in ogni caso, consapevole il richiamo di Jünger a Federico II, che non poteva ignorare.













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