Dopo queste varie
“spigolature ‘occultizzanti’”, si ritorna, dunque, al nostro percorso
storico-economico-politico.
“La borghesia […]
non ha lasciato fra uomo e uomo altro
vincolo
Io aggiungerei che non sta lasciando più nemmeno il “pagamento in contanti”, sostituito sempre più dal pagamento in nudo credito, ovvero carta di credito, cioè denaro “virtuale”; al limite, il “cash” alla fine, sparirà, cf.
Dopo queste
“spigolature ‘occultizzanti’”, si ritorna al nostro percorso storico-economico-politico.
Si potrebbe, però, chiedere:
ma che c’entrano tali “spigolature”?? C’entrano, e centrano, in quanto il
capitalismo è il “Gran Dybbuk”, il
Gran “Le Revenant”, che ha “stoccato” materiale morto – “materia prima” – e lavoro morto. Poiché il lavoro è privo
di qualità, dunque “morto”, che lo faccia una forza lavoro “umana” (per quanto
disumanizzata la si voglia pensare) oppure che lo facciano dei robot, è lo stesso per il sistema in cui si vive,
assolutamente lo stesso.
Ma veniamo al detto, di Federico II, qui sopra – nel titolo – riportato.
“In effetti, Federico […]
non trascurò mai la passione per la caccia, né mai venne meno al gusto per gli
svaghi di tono orientaleggiante. Continuava a girare con la sua carovana d’animali
esotici: segnalata nel 1235 in Germania, nel 1236 a Parma, nel 1238 a Padova,
nel 1245 a Cremona (dove nel 1248 morì uno dei suoi elefanti). Aveva un
falconiere arabo, Moamin, e un ciambellano musulmano, Giovanni Mauro [ “Mauritania”,
Nord Africa centro occidentale, piuttosto che “arabo”]. Continuava a servirsi
dei soldati arabi forniti da Lucera, e aveva al suo seguito un corpo di ballo
(atri lo definisce un harem) di danzatrici e musicanti saracene, che si
produssero, secondo l’ammirata descrizione del cronista inglese Matteo di
Parigi, nella festa organizzata al pazzo di Foggia nel 1241, in occasione della
vista di Riccardo di Cornovaglia (fratello del re Enrico III d’Inghilterra e
dell’imperatrice Isabella, terza moglie di Federico, da lui sposata nel 1235 in
Germania). Al concilio di Lione (1245) sarà accusato, tra l’altro, di vita sensuale
e corrotta, alla maniera degl’infedeli; e si sussurrava che il figlio naturale
Federico d’Antiochia (vicario imperiale in Toscana nel 1246) fosse nato da una
sua relazione amorosa con la sorella di al- Kâmil (come già s’era sussurrato che
alla troppo giovane Isabella di Brienne avesse preferito la più matura cugina Anaïs).
Ma soprattutto non trascurava, anzi intensificava, quello ch’è forse l’aspetto
più inaudito per un sovrano medievale e il più qualificante della sua
personalità: l’interesse per la ricerca scientifica, cui furono chiamati a
collaborare dotti arabi ed ebrei. Nel 1231era arrivato alla sua corte, per
coadiuvare come segretario e traduttore Michele Scoto [scozzese, studioso anche di “magia”], l’ebreo provenzale
Jacob ben Anatoli. Nel 1234 il sultano di Damasco gl’inviò, graditissimo dono, un
planetario d’argento. Nel 1235 morì Michele Scoto, il cui posto fu preso l’anno
dopo da maestro Teodoro d’Antiochia, un greco di Siria, arrivato forse dall’Egitto
o da Baghdâd, il quale, oltre a curare la corrispondenza araba dell’imperatore,
compilò con lui un trattato d’igiene,d sunto dallo pseudo aristotelico Secretum secreto rum, e tradusse in
latino, durante l’assedio di Faenza, un trattato di falconeria redatto in arabo
da Moamin (Liber magistri Moamin
falconerii). Suo collaboratore fu maestro Domenico, venuto forse dalla
Spagna, citato come matematico da Leonardo Fibonacci. Da questi interessi
scaturisce quella serie di quesiti 8le cosiddette Questioni siciliane), che Federico sottopose, fra il 1237 e il
1241, a diversi dotti del mondo arabo[2].
Ne scaturirono altresì, ed è il frutto più personale, quel trattato De arte venandi cum avibus cui egli
attese a lungo (utilizzando il precedente scritto di Moamin e altre fonti
pazientemente raccolte, ma soprattutto la sua diretta esperienza, contrapposta
persino all’autorità d’Aristotele). L’originale dell’opera, preziosamente illustrato,
andò perduto nel 1248, quando una sortita dei Parmigiani, mentre Federico era a
caccia, distrusse il campo degli assedianti. La più efficace sintesi dello
spirito autenticamente scientifico [ma non
nel senso scientifico “moderno”, men che meno “scientista”, sarebbe una gigantesca forzatura applicare questa mentalità ad un individuo vissuto nel XIII secolo, e d’altro
canto, i “medioevali” – che mai pensarono a se stessi come tali – erano molto
più “scientifici” di quel che i “moderni” – che pensano, o hanno pensato, a se
stessi come tali – siano soliti
credere] da cui Federico era animato è la dichiarazione da lui inserita nel
prologo di questo trattato: ‘Intentio vero nostra est manifestare in hoc libro …
ea quae sunt, sicut sunt’. Al dominio politico Federico ambiva congiungere il
dominio conoscitivo del reale [qui è,
forse, il vero cambiamento, come da me sostenuto in altri post, e non nello spirito “scientifico” moderno].
Soprattutto per questo
egli fu, sul terreno della cultura, non un conservatore come Teoderico o un
recuperatore come Carlo magno, ma un mirabile innovatore, ‘immutator mirabilis’”[3].
Andrea A.
Ianniello
[1] N.
Ferguson, Soldi e potere nel mondo
moderno 1700-2000, Casa Editrice Corbaccio, Milano 2001, p. VII, corsivi miei; la citazione viene dal Manifesto di Marx ed Engels.
[2] Cf.
[3]
A. Roncaglia, Le corti medievali, in Letteratura
italiana, volume primo Il letterato e le istituzioni, Einaudi
editore, Torino 1982, pp. 146-147, corsivi in originale, note mie fra parentesi
quadre. la “Mauritania” è dove Jünger pone il “Forestaro” (Hitler) in Sulle scogliere di
marmo, Guanda 2002, erroneamente
identificato con Stalin. Di tali legami, l’autore della recensione seguente
pare inconsapevole, del tutto inconsapevole, cf.
http://www.barbadillo.it/46686-libri-sulle-scogliere-di-marmo-di-junger-lepica-del-noi-nella-voglia-di-ricominciare/.
Nessuna sorpresa:
è uno del “noi” – contro un “loro” (l’argento e il bronzo) – ovviamente. Ma è, in ogni caso,
consapevole il richiamo di Jünger a Federico II, che non poteva ignorare.
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