La Rovina del “cash”
Spunti da un vecchio
libro di R. Calasso,
La
Rovina di Kasch
“Nella sabbia del
deserto è sepolta una piramide
con il vertice in basso;
essa racchiude la verità
della stirpe umana. La
verità è sepolta nelle
sabbie del deserto,
affinché colui che, per
ventura, la scoprirà, venga
considerato dagli
uomini un pazzo con il
cervello
bruciato dalla solitudine e dal
sole”.
Hasân
Ahmed al-Hamadanì (Sanaa, Yemen, 945)
“Potete fare
un’insurrezione
proletaria a condizione che gli
altri
diano l’ordine di non
sparare,
se vi mettono davanti due
battaglioni
di carri armati la
rivoluzione proletaria
o niente sono la stessa
cosa …”.
André Marlaux, (Conversazioni)[1]
“La sorpresa è l’essenza
stessa
della guerra”.
Sun-tzu[2]
“ ‘Lo stile’ osservò
Daumal
‘è l’impronta di ciò
che si è
Introduzione.
Il “Cash” è in rovina.
La “dromocrazia” ha vinto la democrazia,
in frantumi
in frantumi
Il perenne
“stato di emergenza” globale
“Ma è necessario -
anche se impopolare - innanzitutto
domandarsi: se si considera
irrazionalista la
rottura di una vetrina, è
forse razionale la
‘non-rottura’ di una
vetrina? Se si considera
irrazionalista la
distruzione di un’automobile,
è forse razionale la
‘non-rottura’ di un’
automobile? Il senso di queste
domande non è
provocatorio. Al contrario. Si
vuole affermare
[…] che la connotazione
in negativo (ir-razionale)
o viene fatta in
relazione al suo contrario positivo
(razionale) o non ha alcun
significato”[4].
Oggi, si leggeva sulla scrivania di Ruskin, l’ “innominabile Oggi” (Calasso). La situazione – “Oggi” – è che nel momento in cui
maggiormente si avrebbe bisogno di visione, quest’ultima latita, nel momento in
cui maggiormente ci vorrebbe un dibattito pubblico ed
intelligente quest’ultimo rumorosamente
assente, sostituito dal chiacchiericcio dei “social network” o da mezzi di
comunicazione di massa (aka TV) sempre più piatti e privi
di valore. Ovviamente un silenzio così assordante tutto è fuorché “casuale” …
Virilio
ed altri - pochi, per la verità … - autori, in quella stagione particolare tra
l’inizio degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta del secolo scorso, erano
molto più espliciti di quanto lo siano al giorno d’oggi: era l’epoca in cui la
cittadella-Titanic del “tecnologismo post-moderno” si andava costruendo: si
poteva, dunque, esser più espliciti. Costruita tale nave affondabile - reputata inaffondabile
oggi (quelle erreur!) - si è sempre più divenuti sempre meno espliciti nel trattare dei temi
“sensibili”, oppure, per compensazione, la tendenza è stata quella della deriva
“isterico-complottista”: ma è una mera compensazione dell’assente dibattito
pubblico[5].
Di qui l’idea di scegliere un testo di quegli anni, e di
là partire. Ho quindi pensato a La Rovina di Kasch di Calasso (1983) perché
molto “eclettico” e quindi adatto a non chiudersi troppo in una prospettiva
limitata e limitante, ma, invece, pensare “in grande”, com’è diventato sempre,
in progressione esponenziale, più difficile.
Detto tutto ciò, in guisa introduttiva, vorrei, prima di
“spiluccar” il bel vecchio libro di cui ho appena detto, strutturare quest’Introduzione su tali tematiche: 1) la fine del “cash”, della valuta monetaria corrente intesa come carta
moneta o passaggio materiale, fine intesa come tendenza globale, di cui qui si
prende atto; 2) la fine della
democrazia, come vittoria della “dromocrazia”, dunque
come una traiettoria, in certa
misura, “necessitata” e tutt’altro
che un evento “casuale” o l’opera di uno o più “cattivi” di turno; 3) lo
“stato di emergenza” globale come stato perenne del sistema in crisi totale, ed
è l’epoca che si vive. Ma l’idea di uno “stato di
emergenza” che divenisse uno stato e non una fase transitoria, si ritrova già in Virilio, e sin all’inizio degli Anni Ottanta … Non si dica,
dunque, che tali temi non “potevano” esser visti: è che non si è voluto vederli
…
1. La fine del
“cash”. Il
“cash” - il contante - è sempre più in rovina.
Trattasi di osservazione ormai banale, ma di una tendenza ormai di anni,
divenuta sempre più potente ultimamente. Partiamo dall’osservazione marxiana
della “contraddizione fondamentale” del denaro che è, allo stesso tempo, misura
del valore ma merce esso stesso: ed è la contraddizione fondamentale del sistema
detto “capitalistico”, sistema che - “globalizzandosi” - si è espanso al massimo
e, ormai, sta sempre più iniziando ad implodere,
ovviamente portandosi le intere società umane con se stesso e la sua deriva.
Diciamo per iniziare una cosa fondamentale: a questo genere d’affermazioni si ribatte
di solito dicendo che il Sistema capitalistico
“globalizzato”, alla fin fine, “funziona”. Certo, ma a
costoro difficilmente passerà mai per
la testa che è il suo stesso - del Sistema - funzionamento a costituire non il
“limite”, cui Marx tanto agognava, ma il “termine”, la “fine”, ovvero la “fine” del suo “imperativo categorico”. Tu
puoi bruciare il non bruciato, non quel che già si è bruciato. Tu puoi inzuppare
quel che non è ancora inzuppato, non il già inzuppato.
Ma
su ciò, sul “limite” come lo concepiva Marx, qualche
noterella ulteriore di seguito, in questo scritto.
Ci
si potrebbe, allora. chiederne il “perché” di questa
“tendenziale sparizione del contante”: qual è la reale “ragion d’essere” di un
tal phenomenon? A cosa risponde, a
quali tendenze soddisfa, e tendenze sistemiche? Chiedendoci questo, andiamo finalmente “oltre” la malattia di fermarsi a “ciò che
appare” (che poi è il significato stesso del termine greco “phenomenon”, ovvero ciò-che-appare[6]). Nasce - direbbe Guénon - dal
fatto che la moneta è stata ridotta sempre più ad un
mero fatto quantitativo, una misura, un misuratore, che però noi sappiamo - con
Marx - che trattasi di metro ben strano: si espande e
si contrae a seconda dei movimenti del mercato. Di qui la
necessità di porre un ancoraggio “reale” alle oscillazioni: ed è la parità
aurea, di qui ultimamente si va riparlando, e che sarebbe una gabbia posta al
sistema che tende a rompere le gabbie: il capitalismo.
Non
dobbiamo commettere l’errore di considerare la tendenza a porre una “gabbia”
come necessariamente contraria a quella dell’espansione potenzialmente
illimitata, ma in realtà limitabile. Infatti, non è così. In queste due tendenze
“dialettiche” si deve vedere la “coppia di pressione” che permette di
raggiungere il risultato. Senza una crisi del valore della valuta e la
tendenziale sparizione del contante, perché mai passare ad altri sistemi di
valuta, come la valuta elettronica? Non ve ne sarebbe
proprio la ragione!
Tali due tendenze son dunque due facce della stessa
medaglia! Ma, d’altro canto, il tentativo di salvare il “potere d’acquisto”
cosiddetto passando tutti gli scambi sempre di più in modalità elettronica - di cosiddetti “bit” - non può intaccare il nocciolo del
problema e, di conseguenza, il “sollievo” non solo potrà esser solo temporaneo -
e già si sta dimostrando tale per la parte “elettronificata” degli scambi -; inoltre, al di là di un
certo punto, la valuta elettronica favorirà la dissoluzione.
“Per ritornare alla specifica questione della moneta,
dobbiamo ancor aggiungere come a questo riguardo si sia prodotto un fenomeno
veramente degno di nota: la moneta, dopo
aver perduto ogni garanzia di ordine superiore, ha visto il suo stesso valore quantitativo, cioè
quello che nel gergo degli ‘economisti’ viene chiamato
‘potere d’acquisto’, ridursi senza posa, sicché si può
immaginare un punto limite, al quale ci si avvicina sempre più, in cui essa avrà
perduto ogni ragion d’essere, anche
semplicemente ‘pratica’ e ‘materiale’, e dovrà sparire quasi da sola dall’esistenza
umana. Si dovrà convenire che si è in presenza di
uno strano ricorso delle cose, di non difficile comprensione del resto date le
nostre precedenti spiegazioni: poiché la quantità pura si trova propriamente al
di sotto di ogni esistenza, quando si spinge la riduzione alle sue estreme
conseguenze, come nel caso della moneta (caso più eclatante di molti altri
perché con esso si è quasi arrivati al limite), non ci si può che trovar di
fronte ad una vera dissoluzione. Ciò può anche servire a mostrare che […] la sicurezza della ‘vita ordinaria’ è in realtà qualcosa di molto precario,
e non solo a questo riguardo […]; ma la conclusione che se ne potrà trarre sarà
in definitiva sempre la stessa: il
termine reale della tendenza che conduce gli uomini e le cose verso la
quantità pura non può essere che la dissoluzione finale del mondo
attuale”[7].
La moneta è dunque, davvero, una sorta di gigantesca “illusione collettiva”; ma le
illusioni collettive son ben diverse da quelle meramente individuali, esse
implicano delle forze sovra-individuali all’opera, ed è il punto che i vari “complottisti”, più o meno “isterici”, perdono sempre, regolarmente, di vista, tutto riducendo
alla loro pretesa “libera” piccola mente che sarebbe abusata da vari “cattivi”
di turno, quando invece le “illusioni” che loro giustamente sentono - ma non ne
capiscono né il come né il perché - vengano diffuse sono accettate già prima di esser diffuse dalle società
bersaglio … A tal proposito, verrebbe fatto di dire che la gran parte degli
uomini ha la visione storica - cioè almeno un po’ estesa nel tempo - pari a
zero, se non sottozero: l’insicurezza in cui viviamo è pazzesca, anche solo
rispetto a venti o trent’anni fa. E il cosiddetto “terrorismo” altro non è se
non la tendenza alla dissoluzione stavolta esercitantesi nell’ambito statuale,
piuttosto che in quello economico; quanto a quest’ultimo, siamo già molto, ma
molto avanti nel processo dissolutivo, con il passaggio alla valuta elettronica
che se, de jure, dovrebbe fermare il processo di perdita del
“potere d’acquisto”, de facto - dopo
un breve momento di apparente risalita - invece l’accelera.
Cercando di salvarsi, dunque, l’attuale Sistema si sta invece
AFFOSSANDO sempre di più.
Altra osservazione è questa: che tutti cercano di
riportare il sistema alla sua precedente fase di “sicurezza”. Ma qui, come per
la moneta elettronica e gli scambi non più “cash”, in
realtà si accelera il processo di
dissolvimento delle strutture politiche statuali e
della sempre più evanescente pretesa “sicurezza”.
A
guardar bene, nel nostro mondo attuale, nulla è più sicuro, né lavoro né denaro
né prospettive e nemmeno la sicurezza - banale - nelle strade. E questo non, come osservava illo tempore già Wallerstein - non, come osservava illo tempore già Wallerstein - in certe zone,
come crisi parziali e localizzate, ma
come Krisis globale, sistemica, di tutto il sistema-mondo. Questo è Il punto vero.
Non
è, dunque, cercando di tornare a stati passati - che, tra l’altro, avevano in se
stessi il germe (il “seme”, semen) della dissolutio -, che
mai, dico mai, si potrà ri-solvere (solutio non dissolutio) davvero la
situazione.
2. La vittoria della “dromocrazia”. La “dromocrazia” studia la velocità nelle sue conseguenze
sociali. L’Occidente cerca la velocità e le strade, le vie di comunicazione sia
sulla terra sia per mare. Quel che storicamente è accaduto è che questa tendenza
“dromocratica” ha, di fatto, sconfitto la democrazia
come spazio decisionale, spazio decisionale che
richiede tempo, e, conseguentemente, soffre inevitabilmente dell’accelerazione
senza posa della velocità stessa. Il passaggio storico è dal “diritto alla via”,
al movimento, al “diritto allo stato”, e questo, indubbiamente, è stato il
momento in cui l’Occidente moderno ha padroneggiato la sua tendenza “dromocratica”; ma, ad un certo
momento, la velocità crescente ha invertito il processo, e il diritto al
movimento, soprattutto elettronico, ha portato alla crescente dissoluzione sia
delle democrazie, la cui crisi le democrazie stesse non son capaci di risolvere,
sia degli stati tout court. Ed è
Oggi. E, in quest’ambito di
considerazioni, si deve vedere anche la stessa deriva della moneta, che non è
altro se non un’ennesima conseguenza dell’accelerazione senza posa. Illo
tempore - ed ecco una cosa che all’epoca non venne
affatto compresa - Virilio cominciava a trarre
delle conseguenze, affermando che si sarebbe andati - come poi è stato
effettivamente - verso “la fine del
proletariato” [8].
Non
casualmente, ovviamente, Virilio cita Der Arbeiter di
Jünger, dove quest’ultimo vedeva la “rivoluzione dromocratica” delle masse in movimento - allora agli inizi
della fase di scatenamento pieno -
anche da un lato positivo, Virilio, lucidamente, ne
descrive le conseguenze in modo invece asettico e freddo[9].
Le società perdono forza interna e coesione proprio a causa della velocità
sempre crescente.
Oggi viviamo sostanzialmente dopo i cambiamenti che l’accelerazione
dromocratica ha imposto al mondo intero: il
proletariato non c’è più e le società sono in fase di estrema dissoluzione. Viste con questo sguardo,
le “elezioni” fanno ridere - o piangere -; come ha scritto illo tempore Calasso: “Democrazia: estendere a tutti il privilegio di
accedere a cosa che non sussistono più”[10].
3. Lo “stato di emergenza” globale. Qui l’intuizione - illo
tempore - di Virilio è stata giustissima, cioè
che si sarebbe entrati nell’epoca dello stato d’emergenza globale, solo che lui
lo diceva per le ragioni sbagliate: le armi nucleari. Pochi sanno che circa dopo
10 anni la decadenza dell’uranio rende difficile il
raggiungimento della “massa critica” che innesca la reazione della bomba
nucleare. Ovviamente, l’uranio rimane radioattivo a lungo, ma non può più essere
utilmente usato per la reazione della bomba nucleare: ne diventa, così, estremamente problematico lo smaltimento, proprio perché il
decadimento rimane comunque lunghissimo. Anche per questo, sia detto per inciso,
si arrivò agli Accordi USA-URSS per lo smaltimento di una parte rilevante
dell’arsenale atomico. Una parte di quest’ultimo, comunque, fu mantenuto: quella parte ancora potenzialmente utile (meno del
10%); ed anche per questo stesso motivo sia gli Usa che la Russia stanno
procedendo a produrre di nuovo armi nucleari e/o missili con testate nucleari:
serve a sostituire quella parte ancora utile che, anch’essa, vede lentamente -
ma inesorabilmente - ha visto decadere il suo potenziale d’innesco di una reazione
atomica.
Per
motivi errati, legati ad un peculiare momento storico,
e pur vide giusto. Ciò è accaduto per cause che all’epoca sarebbero state
difficilmente prevedibili - anche qui, non tutti, perché Guénon (sempre nel già citato Il Regno della Quantità), prevedeva che
il mondo sarebbe andato verso una crescente dissoluzione, una volta che la
“solidità” della fase pienamente moderna sarebbe stata superata -, come il
cosiddetto “terrorismo globale”. Ma la causa rimane una: la crescita della velocità e la
riduzione dello “spazio decisionale”, e non, dunque, a causa delle armi
atomiche, dimostratesi essere, come disse illo tempore Mao Zedong, una “delle tigri di carta”[11].
Su questo, sulla velocità che non lascia spazio di tempo per strategie più
vaste, invece vide giusto: “Dallo stato
di assedio delle guerre dello spazio, allo stato d’urgenza delle guerre del
tempo non sarà alla fine necessario attendere che pochi decenni”[12].
E così è stato.
Proletariato finito. Società in dissoluzione. Stato di
emergenza globale. Nessuna consapevolezza dei cambiamenti avvenuti. E questo -
quest’ultimo, precisamente questa mancanza di consapevolezza - è il potere sulla Terra. Oggi.
Andrea A. Ianniello
Il “torrente”
si è arrestato
“Talleyrand ebbe presto la
percezione che le dispute del potere non si sarebbero più svolte su una
scacchiera dove le mosse si succedono con cerimoniale lentezza, ma all’interno
di una corrente ben più forte di tutto ciò che trascinava. E’ questo il ‘torrente’ di cui parlava a proposito degli anni della
Rivoluzione [Talleyrand[13]] - lo stesso che incontriamo nelle pagine di tanti suoi
contemporanei. […] La torrenzialità non era un accidente prodigioso che veniva a
turbare la storia, per essere poi riassorbito: anzi, era addirittura la
manifestazione del nuovo carattere dominante - la febbre sperimentale - che si
era innestato sulla storia, trasformandola per sempre. Talleyrand l’avrebbe ritrovata ovunque, sotto Napoleone ma
anche sotto la Restaurazione, e infine sotto i borghesi di Luigi Filippo. […] Visti da un occhio non indulgente, come quello di Talleyrand, la Reazione e il Terrore Bianco erano staffette
che proseguivano la corsa giacobina […]. Come Talleyrand avrebbe precisato, nella nota agli alleati in
data 31 luglio 1815, il passaggio dalla Rivoluzione a Napoleone era stato quello
dall’ ‘esprit d’égalité’ all’
‘esprit de conquête’. E si poteva dire che, proprio
con la bigotteria della Restaurazione, quell’ ‘esprit
de conquête’ aveva portato a compimento la sua opera
d’infiltrazione in tutta l’Europa”[14].
Anche il “grande ballo” della Restaurazione è, però,
terminato: che i reazionari d’ogni sorta se ne facciano una ragione, son fuori
strada, fuori epoca. La velocità è contro di loro, come ormai è contro i residuati bellici dell’epoca pienamente moderna,
che ormai da tempo fa parte del nostro passato, anche se non tutti se ne sono
ancor accorti. Ora, si sa che spesso chi pensa è l’ultimo ad accorgersi dei
cambiamenti di sostanza. …
Sarebbe però sbagliato dedurre che, dalla fine del
torrente rivoluzionario politico, se ne debba dedurre la fine del torrente
stesso: il torrente politico è finito proprio perché ha
preso una velocità tale che anche le strutture che ne hanno provocato l’inizio
non potevano più tenergli dietro! Ecco quel che tutti i reazionari di sorta -
perenni tigri di carta senza speranze - han sempre mancato di voler comprendere.
Uso il termine volere perché non ci vuol molto a
capirlo, peccato che cozzi contro le loro strillate convinzioni, d è il punto
vero. Dovrebbero cambiare … Non sia mai! Tra i più pestilenziali effetti della
modernità è l’aver fatto di ogni stolto individuo un “maitre à (mal)
penser” che possiede convinzioni pretese “assolute”,
quando invece non sono che il massimo della costruzione e dell’influenza
esterna. Ma tant’è, così vanno le cose. OGGI.
Finito il torrente. Finite le Restaurazioni.
A R C A N A I M P E R I I
“In origine il potere era diffuso in ogni luogo, aura e
miasma.
Poi
si raccolse in Melchidedec, sacerdote e re.
Poi
si divise fra un sacerdote e un re.
Poi
si raccolse in un re.
Poi
si divise fra un re e una legge.
Poi
si raccolse nella legge.
Poi
la legge si divise in molte regole.
Poi le regole si diffusero in ogni
luogo”[15].
Poi
le regole iniziarono a svanire nel mentre che si
moltiplicavano, come un bianco lattiginoso che va svanendo come una spuma.
“La
filosofia ha parlato delle qualità, ma non di che cosa sono le singole qualità …
Che cos’è il dolce?”[16].
Una
storia “gnostica” non è storia della conoscenza, ma è
conoscenza della storia. “Una storia gnostica, quella che ci manca, è fatta in
gran parte di ‘intersignes’ (come li chiamava Massignon), avvenimenti insoliti, coincidenze (così le
chiamano gli storici, per evitarli), forme erratiche, reliquie sepolte,
segnature fisiognomiche, costellazioni latenti nel cielo del pensiero”[17].
Talleyrand precorre de Toqueville
(stessa “T” iniziale)
(stessa “T” iniziale)
Nel 1797 Talleyrand scrisse una Memoria sulle relazioni commerciali fra Stati Uniti, allora agli albori, con l’Inghilterra. “Talleyrand incontrò due personaggi esemplari: il taglialegna
e il pescatore. Ne tracciò il ritratto: e quello che apparve
non fu il profilo di due forme abbandonate dalla storia ai suoi primordi, ma
l’anticipazione di due volti che la storia stava per assumere: erano le silhouettes dei
primi uomini nuovi, in attesa di
Toqueville. Nei loro deserti, si apprestavano a
entrare in scienza quali rappresentanti della massa”[18].
Scriveva Talleyrand: “‘Il
taglialegna americano non s’interessa a nulla. Ogni idea di sensibilità
gli è remota. Quei rami così elegantemente gettati
dalla natura, un buon fogliame, un colore vivido che anima una parte del bosco,
un verde più forte che ne incupisce un’altra, tutto questo è niente. Egli non ha
ricordi da disporre in alcun luogo. Sua unica idea è la quantità di colpi che
servono per abbattere un albero […]’. […] ‘Il pescatore
americano acquisisce dalla sua professione un’anima quasi altrettanto incurante
[…]’”[19].
Nell’interessante libro Mar dei massacri, l’autore[20]
dispiega a piene mani la sua “riprovazione morale”, ma è sbagliato: quella è la
logica (illogica) dell’insensibilità che ha reso il mondo
“cosa” e merce”: niente di più, niente di meno. Certo, ci vogliono dei
correttivi ed il mondo non ha saputo vivere senza porre
dei correttivi. Poi, è giunta epoca in cui la forza sistemica è stata tale - la
“globalizzazione” - che ogni “correttivo” è stato ricusato. Allora, il mondo ha
pienamente subito quegli effetti che sono in tale sistema sin dal suo principio,
che gli sono inscritti come un codice genetico. E’ seguita l’epoca della rabbia
e del piagnisteo, ma la logica fondante non è stata tuttavia messa in questione
…
La rovina
dell’Antico “Ordo”
Che
differenza con l’antico “Ordine” e la sua rovina, come si è mantenuta nella
storia della “Rovina di Kasch”, questa storia raccolta da Leo Frobenius in
Kordofan (attuale Sudàn), e
che parrebbe uscita dalle Mille e una notte. Tale storia narra dell’antico
ordine basato sull’uccisione, sul sacrificio del re e sui moti zodiacali, e
della fine di tal ordine che Jünger avrebbe detto
“mitico”, cioè di precedente ad Erodoto, di prima della
storia. E’ una storia sull’inizio della storia.
E
sulla fine dell’ “Ordo”
precedente: “Quando gli uomini recitavano la parte degli astri, venivano
strangolati con un laccio nero”[21].
Ora, ecco come termina quell’ordine certo anche crudele,
duro: “Quanto è grandiosa la fine dei sacerdoti uccisi nell’ordalia, tanto è
cruda e laconica la rovina di Naphta [la capitale del
regno di Kasch, chiaramente simile al Kush biblico; nota mia], che è diventata nel frattempo ricco
luogo di commerci. Altro non c’è da
dire. L’ordine antico era finito invece
fra visioni che gonfiavano come il Nilo il cuore degli
uomini”[22].
L’ultimo re di Kasch non viene sacrificato, come tutti gli altri re prima di lui, e
“svela” se stesso, punto interessante. “Il re che non viene sacrificato è l’ultimo re, non può trasmettere la sua
vita a un successore. E’ la situazione
inversa a quella moderna: Luigi XVI, il primo re che viene sacrificato (Carlo I non aveva raggiunto la pura
esemplarità), segna la fine della sovranità regale. Con Fa-li-mas [il narratore delle storie che seduce il re, di
fatto impedendo il sacrificio dello stesso re, una sorta di Shehrazàd maschile; nota mia] si entra in un altro regno: il regno della parola, dopo quello del sangue. E’ un regno che non uccide secondo il rito, ma evoca la morte attraverso un disordine che sopravviene
rapido, indomabile [Oggi]. Le parole di Far-li-mas sostituiscono il sacrificio”[23].
E,
d’allora in poi, siamo in questo “regno”.
“La rovina di Kasch è una delle storia di
Far-li.mas”[24].
“Due interrogazioni irriducibili si rivolgono alla
divinità: quella di Giobbe e quella di Arjuna: la
prima interroga sull’essere uccisi, la seconda
sull’uccidere. La risposta divina, in tutti e due i
casi, è insieme soverchiante ed evasiva. In tutti e due
i casi non è una spiegazione, ma una maestosa epifania cosmica. Una risposta puntuale al quesito manca. Son due domande ultime, che non ammettono una risposta minore del tutto.
Il Leviatano che ‘fa ribollire come una caldaia / Il
fondo degli abissi’; e Kŗşņa,
‘come una massa di fuoco che proietta fiamme da ogni parte’”[25].
“Procedendo all’indietro nella storia, ci accorgiamo che
la colpa e il male si allontanano sempre più dalle cattive intenzioni del
soggetto e assumano l’angusta realtà del numero. Il peccato originale diventa un
fatto matematico e divino, un avvenimento in coelestibus, come di tutti gli avvenimenti di cui sia il
caso di parlare”[26].
“Rimproveravano a Guénon di
scrivere come un contabile della metafisica, senza vibrazione, senz’anima. Trovavano che non era ispirato. Ma Guénon non faceva altro che obbedire al
‘precetto iniziatico, e più particolarmente rosacruciano, secondo il quale conviene parlare a ciascuno
nel suo linguaggio’”[27].
“Il
nostro destino è governato da due mummie: quella di Lenin nel suo mausoleo e
quella di Bentham a Londra, University College”[28].
Forse per questo il Mausoleo di Lenin non l’hanno
ancora chiuso, nonostante la famiglia di Lenin abbia più volte chiesto di
chiuderlo per restituire alla famiglia ed alla terra le spoglie della mummia.
Quanto a Bentham, di dismetterla non se ne parla
proprio. E’ che non si può dimetterle in effetti; tutti gli altri Mausolei
moderni - e relative mummie eventualmente ivi presenti - si son ispirati a
questi due (nella Sitografia si vedranno dei link relativi a questi temi, tra l’altro). Quand’anche
sparissero, non sparirebbero le conseguenze che han
generato. Non è questa - quella della mera cancellazione - la via corretta da
scegliersi, ormai, or sempre …
LIMITI
“Il
capitale è definito da Marx come incessante
abbattimento di barriere - ‘dove l’unico presupposto è
l’andar di là dal punto di partenza’. Al tempo stesso Marx si appiatta in attesa del momento (vicino) in cui il
capitale troverà il proprio limite. Ma qual è il limite di ciò che abbatte perennemente i
limiti? Già Marx, con il fragore dei suoi vituperi, nascondeva a
malapena il più insidioso timore; che tale limite non ci fosse”[29].
Non limite, dunque, che dovrebbe e potrebbe esser superato dal
“socialismo” che sarebbe, nelle intenzioni di Marx, il
“vero” portatore “oltre i limiti” e il vero Prometeo, ma un “termine - Terminus, dio
romano -, o la fine. E vi è un
solo sistema che abbatte limiti per definizione: si chiama capitalismo. Il
socialismo n’è stata brutta copia, pretendendo di
abbattere limiti ma, in realtà, ponendone e, dunque, venendo abbattuto dal
rivale apparente (in realtà, non c’è mai stata partita): “Al cattivo abbattimento dei limiti si
contrapporrebbe allora quello buono e
inarrestabile”[30].
Ma il capitalismo è, per definizione - e su questo,
invece, Marx non errava, su questo vide giusto ma
poi come si fosse messo paura, come se i condizionamenti ottocenteschi lo
bloccassero - ponendo un
“termine” - una fine che è anche un fine - si pone termine a tutto un lungo processo di sviluppo dell’umanità, a tutta una direzione di sviluppo della storia umana. Il che non avverrebbe, se il capitalismo
potesse essere superato da un altro sistema che, però, mantenesse intatta la finalità di base del capitalismo stesso:
non ha senso una cosa del genere; per questo il “comunismo” è stato,
storicamente, un fallimento.
“Il
mondo del produrre non conosce modelli e non si pone
limiti. Perché suo limite può essere solo il tutto”[31].
Ancora: “‘Al di là di un certo punto lo sviluppo delle
forze produttive diventa una barriera per il capitale; e dunque il rapporto del
capitale una barriera per lo sviluppo delle forze produttive del lavoro’ [Marx, Grundrisse,
edizione tedesca Berlino 1974, p. 635]. La caduta del tasso tendenziale del
saggio di profitto serve innanzitutto a fissare un
point of no return, dove lo sviluppo finalmente ostacola se stesso.
Così il capitale, che era stato la freccia stessa dello sviluppo, diventa una
‘barriera’, come lo erano stati in precedenza i rapporti economici che il
capitale aveva dissolto”[32].
E questo non è possibile, e qui fu l’errore di Marx.
Il punto di non ritorno però c’è, solo che non era quello che s’immaginava Marx.
“Le
società che noi studiamo sui libri, le società che
compongono il passato, che hanno lasciato una gora iridata di relitti o sono
scomparse quasi senza residui, come orme di uccelli, obbedivano tutte al bisogno
di patteggiare, scontrarsi e conciliarsi con qualcosa di esterno ad esse. E da
quell’esterno traevano il fiore della loro forza. […]
La società in cui siamo nati è la prima, nelle vicende del pianeta, che voglia
bastare a se stessa e solo con se stessa sappia confrontarsi”[33].
E qui, su questo punto, si vede la debolezza delle istituzioni religiose
attuali, di tutte le religioni, che
hanno senza dubbio salvato se stesse dalle deboli tigri di carta della scienza
newtoniana e del liberalismo politico, ma non sanno risolvere il problema
centrale, quello appena detto qui sopra. Anche nel mondo islamico, in realtà si
tratta di una società che sempre guarda se stessa come centrale, che si
santifica per se stessa e in se stessa. Manca un “Esterno” reale, vi sì è una Legge basata sul Corano, e stop. Molto insufficiente davvero,
in ordine alla risoluzione del problema detto.
“Capitalismo è il nome economico di un immane
rivolgimento nel cervello, il predominio raggiunto dallo scambio, quindi dalla
digitalità, su tutto; ogni altro principio diventa
un’isola al suo interno, così come all’interno del mercato planetario vi sono
isole tribali”[34].
“La
legge, in Russia, è un articolo d’importazione. Come tutte le curiosità
esotiche, eccita gli animi e si crea i suoi devoti. Ma
il fondo su cui si applica le è ostile”[35].
Ha
continuato a esserlo …
“…
due giovani tedeschi piccolo-borghesi, marchiati da una naturale tendenza a
degradarsi in Lumpen [straccioni,
sotto-proletari] (Stirner due volte in prigione per
debiti, Marx fermato a Londra come sospetto ladro
mentre andava a impegnare l’argenteria della moglie, che portava lo stemma degli
Argyll) si guardarono intorno
e videro una sarabanda di spettri. Condividevano con il loro tempo la
convinzione che gli spettri fossero un segno del male (Guénon osservò l’incresciosa coincidenza per cui lo
spiritismo comincia a dilagare negli Stati Uniti come un’epidemia nel 1848,
necessario contrappeso alle barricate europee, che a loro volta erano solo un
delicato segnale dell’emergenza di un nuovo personaggio, il Caos, sul
palcoscenico di Corte della storia). Il loro sguardo si fissò su quegli spettri
e ne fu catturato. Ma resistevano - e disprezzavano quelli che, intorno a loro,
procedevano ignari, convinti ormai di abitare in un mondo vuoto”[36].
“L’inevitabile scelta politica che oggi si offre: essere
governati dal denaro o dalla delazione? Oh, quanto più amabile e distratto
il denaro …”[37].
Questa era la scelta in quel momento. E così è stato: tutti scelsero il denaro.
Ora, il denaro non esiste più. Che cosa, dunque, hanno
effettivamente “scelto”?
“La rabbia sorda che Marx
scarica sui Lumpen prosegue in quella che dimostra per
i lavoratori improduttivi. […] E proprio nei Grundrisse, l’opera che prepara
la fossa a tutta la maestosa concezione del lavoro produttivo, in quanto
ipotizza lo stato al quale oggi ci stiamo avvicinando [all’epoca del libro,
1983, oggi, al contrario - 2015 - ci
siamo dentro da tempo; nota mia], quello in cui il lavoratore produttivo finisce
per trasformarsi in ‘sorvegliante e regolatore del processo produttivo stesso’,
proprio nei Grundrisse la inattaccabile
fedeltà all’impianto metafisico della produzione (ben più che al suo
manifestarsi storico) lo spingerà ad un sovrappiù di enfasi nel difendere la
distinzione di Smith”[38].
Al contrario, pur riconoscendo le intuizioni marxiane nei
Grundrisse,
già illo tempore Baudrillard scriveva: “Vi è una sola specie di lavoro, […] e
la sfortuna vuole che sia quella che Marx ha lasciato
cadere. Se attualmente tutti i lavori
s’allineano in un’unica definizione, è su quella del lavoro/servizio, su questa
categoria bastarda, arcaica, non-analizzata, e non su quella classica. e supposta universale, del lavoro salariato ‘proletario’.
Lavoro/servizio: non nel senso feudale, perché questo lavoro ha perduto il senso
di obbligo e di reciprocità che aveva nel contesto
feudale, ma nel senso segnalato da Marx: nel servizio,
la prestazione è inseparabile dal prestatore - aspetto arcaico nella visione
produttivista del capitale, ma fondamentale se si
coglie il capitale come sistema di dominazione, come sistema di ‘infeudazione’ a
una società di lavoro, vale a dire a un certo tipo di società politica di cui
esso è la regola del gioco. E’ esattamente dove siamo
ora (se non ci si era già al tempo di Marx): il
ribaltamento di tutto il lavoro sul servizio, il lavoro come pura e semplice
presenza/occupazione, consumo di tempo, prestazione di tempo. […] In questo senso, il lavoro non si distingue più dalle
altre attività, e in particolare dal suo termine opposto, il tempo libero, che,
giacché presuppone la medesima mobilitazione e il medesimo investimento […] è
oggi allo stesso titolo un servizio reso - che dovrebbe giustamente
meritare un salario di disoccupazione (il che d’altronde non è affatto impossibile [in nota Baudrillard parlava del salario-disoccupazione, che si
sarebbe sviluppato di seguito in alcuni paesi, ma direi che quelli che, per
esempio, lavorano ai videogiochi giocandoci direttamente per provarli o
modificarli o gestire le puntate su di essi o farci gare, questi sono un esempi
ancor più calzante di lavoro/servizio rispetto al salario di disoccupazione;
nota mia]). In breve, non è soltanto la distinzione immaginaria fra lavoro
produttivo e improduttivo che salta, ma la stessa distinzione fra lavoro e tutto
il resto. Semplicemente non c’è più lavoro nel senso specifico del termine”[39].
Frasi del 1979 … Le cosiddette “sinistre” son rimaste totalmente spiazzate
perché il loro concetto di lavoro è sempre quello di “lavoro produttivo”,
categoria classica di A. Smith fatta propria da Marx,
più borghese del borghese par excellence, ma con la grandissima differenza che Marx intravide il limite delle sue categorie, pur non avendo
la visione per poter tagliare i ponti con l’economia
classica.
Fine della
Storia, post-storia, Jünger
Secondo Jünger, la storia
nasce con Erodoto. Essa pone termine al passato “mitico”,
dimensione del mythicus che, però non sparisce
del tutto, anche se può solo rompere la “coltre solida” della storia senza,
però, poterla cambiare: “Abbiamo ricollegato l’ideale dell’uomo nordico all’età
ènea, definizione mitica di quel periodo che lo
storico chiama età del bronzo. E’ l’epoca in cui il mito divenne realtà
dominante, l’epoca in cui il mitico determinava azione e pensiero dell’uomo.
Questa realtà permane incrollabile nel ricordo, nei canti omerici e nelle saghe,
ma di essa non si dà una replica sul
piano politico. Non è un caso che i modelli delle potenze sconfitte nella
seconda guerra mondiale provenissero dall’età del bronzo o dalla prima età del ferro: l’uomo nordico, l’antico romano, il samurai
giapponese. Che non avessero possibilità di vincere risponde alla fondamentale
legge secondo cui il mito non può venire riattivato: può squarciare come un’eruzione vulcanica la
volta della storia, ma non può dar
vita a un clima universale. Questa fondamentale legge dà conto di numerose
osservazioni specifiche, ad esempio del fatto che la guerra non possa più essere
condotta tra popoli e da re, e neppure secondo le regole del duello. Essa perde
così il suo ethos mitico-eroico, mentre permangono
tratti distintivi più profondi, come la dedizione e il dolore. Questa legge
spiega altresì per quali ragioni il detentore eroico del potere abbia cessato di
apparire credibile in quanto guida e in quanto padre.
Coma già nel caso di Napoleone, questi deve presentarsi sotto spoglie di dux, di colui che libera energie. Suo modello è l’eterno giovinetto
del tempo mitico. Perciò non può invecchiare. La sua legittimazione è
insufficiente di fronte all’ ‘assemblea dei popoli’.
Essa faceva già da sfondo agli eroi omerici”[40].
Ma se oggi
siamo già nella post-storia, se la traiettoria della storia sta esaurendosi
cosicché si veda il “fondo oscuro” che vi giaceva sotto, questo significa che la
storia finisce sfinita, e cioè ha un termine, un termine finale. In effetti, a ben vedere, l’ “apocalisse” - la Revelatio, apokàlypsis - vuol dire che l’irruzione del Divino pone termine alla
storia, ma ciò avviene a sua volta come risposta “divina” all’ emersione delle
forze anti divine dal sottosuolo …
Insomma l’ “Anticristo” non è un “fatto storico”; la sua “emersione” deve “squarciare come un’eruzione vulcanica la volta della storia, ma non può dar vita a un clima universale”, per usare le succitate parole di Jünger. E questo è, OGGI, zero - sottozero - compreso ...
Si potrebbe allora - giunti a tal punto, ed a tal proposito - porre la domanda-chiave, il punto de-cisivo (de-negante la de-negazione, per ironizzare su e con Hegel): COME si passa dalla storia all‘ oltre-storia? QUAL è il punto in cui il fiume lento e stanco della storia, giunto alla post-storia ormai, sfocia nel “vasto mar” dell’ oltre-storia?
AI POSTER L’ARDUA RISPOSTA. Ma è una posterità contemporanea ...
In una parola: è
Insomma l’ “Anticristo” non è un “fatto storico”; la sua “emersione” deve “squarciare come un’eruzione vulcanica la volta della storia, ma non può dar vita a un clima universale”, per usare le succitate parole di Jünger. E questo è, OGGI, zero - sottozero - compreso ...
Si potrebbe allora - giunti a tal punto, ed a tal proposito - porre la domanda-chiave, il punto de-cisivo (de-negante la de-negazione, per ironizzare su e con Hegel): COME si passa dalla storia all‘ oltre-storia? QUAL è il punto in cui il fiume lento e stanco della storia, giunto alla post-storia ormai, sfocia nel “vasto mar” dell’ oltre-storia?
AI POSTER L’ARDUA RISPOSTA. Ma è una posterità contemporanea ...
In una parola: è
OGGI
SITOGRAFIA
http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/reneguenon/regnotempi.pdf
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/09/appendice-al-post-precedente-per-chi.html
http://www.yamaguchy.com/library/pearson/pearson_index.html
https://en.wikipedia.org/wiki/Paper_tiger#/media/File:1950-08-Paper_Tiger.png
http://www.jstor.org/stable/43151649?seq=1#page_scan_tab_contents
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/b/b4/Jeremy_Bentham_Auto-Icon.jpg
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/71/Stamp_1962_2760.jpg
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/b/b4/Russia-2007-Moscow-Kremlin_Senate_at_night.jpg/1280px-Russia-2007-Moscow-Kremlin_Senate_at_night.jpg
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https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/d/d2/Chiang_Kai-shek_memorial_amk.jpg/1280px-Chiang_Kai-shek_memorial_amk.jpg
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/aa/Hall_of_Sun_Yat-sen_Mausoleum.jpg
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/13/Chomejn%C3%ADho_mauzoleum.jpg/1280px-Chomejn%C3%ADho_mauzoleum.jpg
http://ideeinoltre.blogspot.it/2014/10/andrea-ianniello-le-ragioni-dellimpasse.html
http://ideeinoltre.blogspot.it/2014/01/andrea-ianniello-la-fine-del-mondo.html
http://www.kainos.it/numero4/ricerche/pagani.html
[1]
In P. Virilio, Velocità e politica. Saggio di dromologia, Multhipla
edizioni, Milano 1981, p. 85, corsivi in originale.
[2] Ivi, p. 113,
corsivi in originale.
[3]
R. Calasso, La Rovina di Kasch, Adelphi Edizioni, Milano 1983, p. 130, corsivi
miei.
[4]
Citazione un po’ da “preistoria”, ma comunque interessante:
G. Lerner - L. Manconi, M.
Sinibaldi, Uno strano movimento di
strani studenti. Composizione, politica e cultura dei non
garantiti, Feltrinelli opuscoli marxisti,
Milano 1978, p. 59. Tra l’altro, il sottotitolo è molto, ma
molto interessante, alla luce dei cambiamenti sistemici avvenuti nel frattempo:
di nuovo, si dimostra - nei fatti - che “certe” tendenze, ben lungi dall’esser casuali, sono, al contrario, il preciso riflesso
di scelte sistemiche.
[5]
Riguardo
allo stesso Cacciari, se confrontiamo la sua produzione di quegli anni (per esempio Krisis, del 1976, o Dialettica e critica del politico. Saggio su
Hegel, del 1978, Feltrinelli opuscoli marxisti) e
la presente sua produzione, ci si accorgerà
immediatamente dell’andamento sempre più “implicito”, che riflette una tendenza
globale a porre da canto le tematiche “sistemiche” per approfondire tanti temi
particolari senza però mai - ma proprio mai - nemmeno lontanamente avvicinarsi
ad un’ottica “sistemica”, come l’ho chiamata, relativa, cioè, alla natura ed
alle prospettive dell’intero sistema globale, il “sistema-mondo” di cui parlava
I. Wallerstein. A tal proposito, cfr. T. K. Hopkins - I. Wallerstein, L’era della transizione. Le traiettorie del
sistema-mondo 1945-2015, Asterios Editore, Trieste
1997 (si ponga ben attenzione alla
data di pubblicazione, l’edizione in inglese essendo solo dell’anno prima, eccezionalmente subito tradotta in
italiano). Ora, nella parte seconda - intitolata Una visione d’insieme - vi son due capp., il primo dedicato al sistema-mondo dalla fine della
Seconda Guerra Mondiale (ovvero la sua fase di massima potenza ed ascesa), ed il
secondo, sempre a firma di I. Wallerstein, intitolato
significativamente: Le possibilità
globali, 1990-2025 (ivi, pp.
272-292, grassetto in originale).
Ecco alcune delle considerazioni dell’epoca: “Nella
misura in cui gli stati non
risolveranno la propria crisi fiscale [e
non l’hanno affatto risolta,
nota mia] ciò minerà la stabilità ambientale di cui le imprese
capitalistiche hanno bisogno perché sia possibile un’assunzione di rischi relativamente
razionale. D’altro canto, essi
possono tentare di risolvere la propria crisi fiscale con il ricorso a riduzioni
delle spese [cosa che hanno precisamente fatto, nota mia!];
ma, nella misura in cui saranno in grado di realizzare tagli finanziariamente significativi, toccheranno una parte considerevole del
reddito degli strati intermedi degli stati del Nord [del sistema-mondo] - i
cosiddetti diritti acquisiti. Si
tratta di quegli stessi strati intermedi la riduzione del cui numero eccessivo è
l’obiettivo di quelle imprese che sono alla ricerca di una maggiore agilità
nelle competizioni sul mercato mondiale. La combinazione della riduzione dei posti
di lavoro degli strati intermedi (a opera delle imprese
così come dei governi […]) e della riduzione dei sussidi diretti a questi stessi
strati nella forma di diritti acquisiti costituirebbe un attacco proprio a quegli
elementi che sono stati i pilastri politici degli stati liberali del Nord e
i loro principali difensori nello sforzo
di contenere il malcontente degli strati inferiori” (ivi, p. 283, corsivi miei). Ma è precisamente ed esattamente questo che è successo
… In questa riduzione, infatti, si è espressa l’ apparenza della “crisi
globale”.
La forma-stato cosiddetta “liberale” del Nord del
sistema-mondo, dunque, per Wallerstein sarebbe entrato
inevitabilmente in crisi, a causa dal non saper regolare o dominare la crisi
fiscale, che sarebbe stata scaricata sugli “strati intermedi”, sulla “classe
media”, insomma - come, poi, è successo effettivamente. Di qui, tante
conseguenze a catena, come l’ordine interstatuale, insomma mondiale, che sarebbe
diventato - come poi è successo - sempre più precario (cfr. Ivi, p. 289). Diminuisce la “statalità” stessa, per la prima volta dall’epoca della nascita
del sistema-mondo, vale a dire dall’epoca immediatamente seguente a quella
delle cosiddette “grandi scoperte geografiche”: “Abbiamo considerato alcune
delle ragioni per cui questa crescita secolare della ‘statalità’ (che poi è un altro modo
per definire l’ordine pubblico) potrebbe aver superato il suo picco ed
essere per la prima volta in declino.
La questione è se il declino della
statalità sarà altrettanto graduale del processo
attraverso il quale essa si è storicamente affermata. Vi sono motivi per dubitarne” (ibid., corsivi miei). Anche
l’aspetto militare è da considerarsi fondamentale, perché la crisi sistemica
comporta necessariamente - ed ecco la
nostra presente situazione attuale - la diminuzione del grado di sicurezza del
sistema globale, con la rinascita di conflitti che il sistema-mondo, al suo
picco, tendeva ad escludere, e cioè le lotte dal Sud
del sistema-mondo verso il Nord, e le lotte interne alle potenze del centro del
sistema-mondo, come nelle Due Guerre Mondiali (cfr. Ivi, p. 290). E, non certo a caso, in quest’ultimo periodo
abbiamo visto il ritorno precisamente di questo genere
di conflitti. Infine, il settore delle
istituzioni religiose, che hanno resistito ed anche migliorato le proprie
posizioni, ma che devono fronteggiare la sfida del ruolo delle donne al loro
interno, “una sfida assai più sostanziale di quelle
portate loro dalla scienza newtoniana o dal liberalismo, rivelatisi, sotto
quest’aspetto, delle tigri di carta” (ivi, p. 291). In questi
vari fronti, ognuno dei quali ha dei sotto-fronti, in un quadro sempre più
farraginoso e caotico, mescidato e mescolato,
macchinoso e confuso, si può tentare di “contenere i conflitti […].
L’interrogativo che occorre porsi è se ciò accadrà. E qualora dovesse
avvenire, se sarà sufficiente. In
considerazione dell’ interazione tra i diversi ambiti, il contenimento dei conflitti in
uno di essi può rivelarsi transitorio a causa della loro esplosione in un altro.
In una polveriera - è questo il quadro che abbiamo tracciato del sistema-mondo - il fuoco può diffondersi. Ed è questo che s’intende per caos sistemico. Certo, al caos sistemico
seguirà un nuovo ordine, o nuovi ordini. Ma a questo punto dobbiamo fermarci, Non è possibile conoscere in
anticipo quale sarà questo nuovo ordine” (ivi, p. 292, corsivi miei).
[6]
Scriveva
Guénon a tal proposito che “d’altronde, come
orientamento di carattere generale, quel
che più appare è sempre, secondo le leggi stesse
che reggono la manifestazione, una
conseguenza piuttosto che una causa, un punto di arrivo piuttosto che un punto di
partenza, e, in ogni caso, non è mai in tale sede che bisogna cercare quel
che agisce in maniera veramente efficace in un ordine più profondo, si tratti di
un’azione che si eserciti in senso normale e legittimo, oppure del contrario,
come nel caso di cui ci stiamo occupando” (R. Guénon, Il Regno della Quantità e i Segni dei
Tempi, Adelphi Edizioni, Milano 1982, p. 103, corsivi miei). “Se si
preferisce, si potrebbe anche dire che si tratta di un
‘frutto’ piuttosto che di un ‘seme’; il fatto poi che il frutto stesso
contenga dei nuovi semi, indica che la conseguenza può, a sua volta, svolgere
una funzione causale ad un altro livello, conformemente al carattere ciclico
della manifestazione; ma anche in questo caso essa deve passare dall’
‘apparente’ al ‘nascosto’” (ibid.,
nota a pie’ pagina).
[7]
Ivi, pp. 110-111, corsivi miei. Si
consideri che la gran parte di questo libro di Guénon
è stato scritto intorno al 1945 - si ponga ben attenzione alla data -, vale a dire l’inizio della fase
di maggior crescita del sistema-mondo nel già citato libro di Hopkins e Wallerstein.
[8]
P. Virilio, Velocità e politica, cit., cap. 3, della
parte terza, pp. 85-101, grassetti in originale.
[9]
Cfr. Ivi, p. 86.
[10]
R. Calasso, La Rovina di Kasch, cit., p. 395.
[11] “Il bluff atomico degli
Stati Uniti non può certo spaventare il popolo cinese. Il nostro paese
conta seicento milioni di abitanti [nel 1955] e un territorio
grande 9,6 milioni di chilometri quadrati. Quel po’ d’armi nucleari che
gli Stati Uniti posseggono non possono distruggere il
popolo cinese. Se anche gli Stati Uniti disponessero di
bombe atomiche più potenti e le usassero contro la Cina, se anche facessero un
bel buco sulla Terra e la riducessero in frantumi, per quanto grandi potessero
essere le ripercussioni di un tale atto sul sistema solare, esso sarebbe pur
sempre una vicenda di poco conto per l’intero universo”, da Mao’s Selected
Works, Xuanji, vol. V, pp. 136-137, “A Conversation between Mao and Finland’s First Ambassador to China”, in G.
Frazer - G. Lancelle, Il Libretto
nero di Žirinovskij, Garzanti Editore, Milano
1994, Premessa, p. 25. Gli autori del libro appena citato, così commentano
questa frase: “Mao aveva certamente idee molto originali” (ibid.). Inoltre, L’imperialismo e tutti i reazioni sono tigri di carta è il titolo del cap. VI del “Libretto rosso” (cfr. Mao Tse-tung, Citazioni. Il “libretto rosso”, Newton Compton
Tascabili economici, Roma 1994, pp. 31-33).
[12]
P. Virilio, Velocità e politica, cit., p. 118,
grassetti in originale.
[13]
Su Talleyrand, cfr. P. Damiano Mori - G. Perich, Talleyrand,
Rusconi Libri, Milano 1978.
[14]
R. Calasso, La Rovina di Kasch, cit., pp. 46-47.
[15]
R. Calasso, La Rovina di Kasch, cit., p. 82.
[16]
Ivi, p. 83.
[17]
Ivi, p. 90.
[18]
Ivi, pp. 104-105.
[19]
Ivi, pp. 105-106.
[20]
F. Mowat, Mar dei massacri, Longanesi & C.,
Milano 1984.
[21]
R. Calasso, La Rovina di Kasch, cit., p. 170.
[22]
Ivi, p. 174, corsivi miei.
[23]
Ivi, pp. 174-175, corsivi miei.
[24]
Ivi, p. 176.
[25]
Ivi, p. 214, corsivi miei.
[26]
Ivi, pp. 270-271.
[27]
Ivi, p. 275 (la citazione di Guénon è da Les Principes du calcul infinitésimal,
Gallimard, Parigi 1946, p. 39).
[28]
Ivi, p. 284.
[29]
Ivi, p. 286, corsivi in originale.
[30]
Ivi, p. 287, corsivi in originale.
[31]
Ivi, p. 292.
[32]
Ivi, p. 307.
[33]
Ivi, p. 317.
[34]
Ivi, p. 320.
[35]
Ivi, p. 321.
[36]
Ivi, p. 345.
[37]
Ivi, p. 384.
[38]
Ivi, p. 362-363.
[39]
J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte,
Feltrinelli, Milano 1979 (si ponga
ben mente alla data), pp. 29-30,
corsivo in originale.
Non c'è che dire un'analisi bellissima, anche il libro a cui si rifà sembra una bomba. Per quanto riguarda il momento in cui viaviamo, non resta che aspettare tempi migliori in cui la nostra azione abbia un senso.
RispondiEliminaGrazie molte. Una cosa, però, vrrei sottolineare: si veda le date degli scritti citati ... Voglio dire: questa cosa qui ha **radici profonde**, nond a ieri. Il che, a sua volta, ci potrebbe - ma proprio senza nessunissima illussione o proiettando i propri “desiderata”, quel che in inglese si dice “wishful thinking” - far pensare che non può continuare così a lungo, per molte ragioni.
RispondiEliminaSe noi vediamo tutti gli indici, scorpiremmo che sia il commercio che gli investimenti non sono un granché, mentre i traffici finanziari non sono mai stati meglio, in effetti ... E questo è il quadro del “dilemma di Triffin”, ovvero “affogare” di liquidità i mercati ma poi tali “liquidi” si trasformano non certo in azioen cocnreta: nei motori a scoppio si chiama questo volgarmente “ingolfare” il motore, questo paragone fa capir le cose bene ...
Tra l’altro, sempre pensando al fatto che ‘ste cose non è he siano nate ieri, ricordo un altro testo: S. C. GWYNE, “Il mondo sull’orlo del fallimento”, Edizioni di Cmunità, Milano 1987, quarant’anni esatti fa. Narra del pericolo che si corse allora quando l’aumento dei prezzi del petrolio strozzò i “paesi in via di sviluppo”, come si diceva all’epoca.
E questo fu alla radice di tutti quei fenomeni che si son diffusi in quei paesi, poi alla radice di ciò che - **in futuro rispetto alla data di pubblicazione del libro citato** - si sarebbe chiama la crisi dei “migranti”, di nuovo il presente ha radici vecchie ...
Tutte queste cose andrebbero studiate **storicamente** che, poi, è il solo modo di capirne le traiettorie ...
Vi è un’altra osservazione ancora, da farsi: come si cercò di “parare” l’enorme indebitamento che si causò nei cosiddetti - allora - “paesi in via di sviluppo”; si cercò di farlo per mezzo di **politiche restrittive** che **bloccarono** lo “sviluppo” dei “paesi in via di sviluppo”, di allora ...
Ora la cosa belle è che, per rientrare e “parare” la crisi che si è instaurata dal 2011, nei paesi del Sud Europa si sono usate le **stesse** politiche, “muatatis mutandis”. Il che significa che questo genere di politiche che, negli anni Settanta ed Ottanta, si applicavano nelle regioni **periferiche** del System, poi si sono applicate quasi al centro del Systema stesso.
Una prima avvisaglia furono gli eventi del ‘92 in Italia e la crisi della lira ...
Ma il punto è la maniera di reagire, che è simile, con i piccoli ed inevitabili cambiamenti di tempo e luogo.
Quel momento aurorale quando la barca lascia il porto e non si può più tornare indietro, come quando i dadi rotolano ma non sai il loro risultato; la pesca può andar bene, la pesca può andar male; e qualcuno incontra l’onda anomala: nata chissà dove, per sue ragioni, può anche colpirti: tu **non** sei colpevole, la causa dell’onda non ha niente a che spartire con te, tu volevi solo andare a pesca.
RispondiEliminaEppur accade, a qualcuno accade sempre. E **perché** accade, ecco l’interrogativo eterno, che non ha risposte nella mente.
A tale interrogativo il Divino non risponde **mai** parlando: mostra Se Stesso e non puoi dire che cosa è “davvero”, in quanto è oltre parole o mente. Ma qui è l’essenza di tutto ciò che possiamo sapere e che dobbiamo essere. Se leggi “Giobbe” Dio è contro quelle giustificazioni religiose che pure il Cristianesimo userà a sua volta. Se leggi la “Bhâgavad-Gîtâ” è lo stesso, di fronte non ad una domanda, ma a **La** Domanda, la domanda di sempre, la domanda che non ha risposte, il Divino risponde mostrando Se Stesso: ed è l’unica risposta che esista, ed è l’unica risposta che Si può ricevere ....
https://www.youtube.com/watch?v=1THvmUseQ1M.
E pure, cf. https://www.youtube.com/watch?v=UjNOqgftTjE.
Anche cf. https://www.youtube.com/watch?v=vTzJf0qn-Qc.
RispondiEliminaConsiderando che i problemi finanziari dell’economia globale - **strutturali**, STRUTTURALI! – son stati solo SPOSTATI, ma **non** risolti, il passaggio di Urano in Toro, che avverrà, in parte, con il prossimo aprile del prossimo anno, e, definitivamente, dopo una fase retrograda, nel marzo del 2019, potrebbe portare qualche inaspettato shock. “Inaspettato” come **modalità**, non certo come necessità, visto che qui sopra si è parlato delle RAGIONI – PROFONDE – dello stato attuale dell’economia globale. Ricordiamoci la contemporanea presenza sia di Saturno in Capricorno, che di Plutone in Capricorno. Attenzione che, sebbene Plutone non stesse in Capricorno nel 1929 – era in cancro, l’**opposto** e “complementare”, guarda caso! –, nondimeno Saturno era in Capricorno in quell’anno “topico”, e, ancor più interessante, proprio nel marzo del 1929 Saturno passò dal Sagittario al Capricorno, per tornare nel primo – con moto retrogrado – e infine passar definitivamente in Capricorno nel dicembre del 1929: la crisi era, ormai, esplosa.
Sulle ragioni ella crisi – strutturale al System – non mi ripeto: son fatti noti.
Ben altro discorso, **comprender** questi fatti … !!
Sempre un altro passaggio di tal genere è stato importante, ma “inverso”, il “lunedì nero” del 1987, trent’anni fa, alla fine di Saturno in Sagittario, e che durò finché Saturno passasse in Capricorno nel febbraio del 1988, poi fase retro, passaggio definitivo nel novembre, sempre del 1988. Iniziò la potente “finanziarizzazione dell’economia”, che fu la “via d’uscita” dalla crisi di quell’epoca, processo che contribuì non poco a dare l’ultima spallata al “comunismo reale” cosiddetto nel 1989, e la fine dell’Urss, nel 1991, ricordiamoci. Chiaro che un fattore – tipo Saturno -, da solo, non significa molto, va sempre preso in relazione con gli altri: ed oggi il quadro è del tutto cambiato, non solo quello astrale, ma pure quello politico, quello del “sentiment”, come anche si può dir lo stesso di tanti altri unti di riferimento …
Altro possibile significato del passaggio di Urano in Toro: penuria d’acqua, e siccità varie.
RispondiEliminaDunque son venuto a sapere che P. Virilio (tra l’altro, figlio di un italiano e di una bretone) è scomparso recentemente nel settembre di questo stesso anno. E’ citato in un vecchio post, qui sopra, cf.
http://associazione-federicoii.blogspot.com/2015/12/la-rovina-del-cash.html
Interessante questo ricordo, cf.
https://www.alfabeta2.it/2018/10/07/il-gusto-di-paul-virilio-per-la-parola-penultima/
Da quest’ultimo link, due passi, forse, utili: “Sperare contro ogni speranza” (San Paolo), “Un ottimista vede un’opportunità in ogni difficoltà”, W. Churchill.
In inglese, cf. http://www.ctheory.net/articles.aspx?id=133
Una vecchia intervista con P. Virilio, sempre in inglese, ahi noi, cf.
http://www.ctheory.net/articles.aspx?id=132
“Che cosa ‘ci tiene su’”? Ed impedisce il “meltdown” sistemico? Il meccanismo del credito senza fine – apparente – cioè i crediti che reggono crediti che reggono crediti (ed dunque **debiti**) e via dicendo, “ad libitum” …
RispondiEliminaVero che nessuna “catena” è infinita, ma come funziona?
Funziona così: mettiamo ci siano due società indebitate. Nel primo caso si dice: tu mi devi dei soldi, ti faccio un ulteriore prestito e “ristrutturo” il tuo debito cosicché lo pagherai nel corso del tempo; effetto: non crolli. Nel secondo caso avviene un’altra cosa. Tu invece me lo devi dar subito, si dice in tal secondo caso; risultato: crolli. Quel che, poi, è successo con la Lehman Brothers. È stato voluto. Delle forze al tempo ne avevano bisogno, queste stesse forze al momento non ne han bisogno, tutto qui.
Altra domandina: ci sono solo queste forze qui, diciamo “intrinseche” al sistema della “G.P.”? No.