domenica 21 marzo 2021

Dal libro …

 









Il diagramma di Longwood Warren

Nell’estate del 1995 a Longwood Warren (Hampshire) apparve dal giorno alla notte uno dei più famosi disegni nel grano, una straordinaria composizione grafica che mostrava l’esatta disposizione dei pianeti Mercurio, Venere, Terra (pianeti interni) e del pianeta Marte rispetto al Sole. La precisa configurazione astronomica tratteggiata nel grano appariva come una sorta di fotografia degli aspetti tra i pianeti, in una disposizione che ciclicamente si ripresenta ogni sessantasette anni.

L’aspetto ancor più interessante era costituito dal fatto che, essendosi i cerchi formati proprio nello stesso anno in cui era comparsa la celebre cometa Hale-Bopp [1997, aggiunta mia], la disposizione dei cerchi raffigurava lo schema della disposizione dei pianeti come se fossero stati visti da un ideale spettatore posto in sella alla cometa il primo gennaio del 2001 [grassetto mio].



La fine del mondo?

John Hogue […], uno dei più attenti studiosi di profezie, in un’opera dedicata al profeta Malachia, sostiene che il passaggio della cometa Hale-Bopp nel 1997 – posto in relazione anche alle Centurie di Nostradamus – segnerebbe l’inizio di un periodo di terribili sconvolgimenti, che tuttavia non coinciderebbero ancora con la fine del mondo [corsivi miei]:



I tredici anni che mancano alla fine del mondo, facendo partire il conto alla rovescia dal passaggio della cometa Hale-Bopp, potrebbero collocare questi eventi durante il regno dell’ultimo papa, che in questo caso salirebbe al trono già nel 2010-2012. Oltre a Nostradamus, esistono molte tradizioni profetiche che indicano nel 2000, o nei primi decenni successivi, la data dell’Apocalisse (rivelazione). In questo senso, i calcoli più accurati sono quelli dei profeti ed astrologi Maya, il cui calendario presentava un solo errore di calcolo dell’anno bisestile ogni 370.000. Le loro previsioni indicano nel 2012 la fine dell’attuale era umana, ovvero solo due anni dopo la data prevista da Nostradamus’” (Codici Segreti Profezie, Centro Studi Mamre 2006, p. 152 [Cap. 9: “I cerchi nel grano”i])[1].









[Andrea A. Ianniello, rovistando tra vecchio materiale, 2007]









































1 Che non si è verificata per la semplice ragione che il 2012 era la fine di un computo, ed iniziava un altro computo. In ogni caso, il 2012 ha segnato un “cambiamento di pelle” del System, che ci ha portato ad oggi.







i Si svolgono più ipotesi sull’origine dei cerchi nel grano stessi [...]: il “plasmavortex” di George T. Meaden, la teoria della “telepatia universale” (sarebbe più giusto dire: telementazione “universale”), e la teoria dell’orgone, l’energia vitale propria degli organismi (si riporta il libro di Alessandro Zaini: Wilhelm Reich e il segreto dei dischi volanti, Tre Editori Roma, un libro che contiene una giusta intuizione, seppur “coperta” dalle sbagliate interpretazioni di Reich, il quale non si rese conto davvero di ciò che aveva trovato).

La “DOMANDA CHIAVE”, oggi

 

 

 

 

Ci troviamo in un universo nel quale si dà sempre più comunicazione e sempre meno senso”.

J. Baudrillard, Il sogno della merce, Lupetti – Editori di Comunicazione, Milano 1994-2007, p. 71, corsivi miei.  Queste frasi, in realtà precedenti al 1994 e della fine degli anni Ottanta del secolo scorso …!, sono ancor più vere oggi del 2007, anno di pubblicazione del testo un cui passo s’è testè riportato! Veniamo infatti – ma ci siamo ancora ben dentro – dall’ “infodemia” globale …  Per l’esattezza, il testo citato è una raccolta di vari scritti dell’autore (in una certa epoca considerato, in Francia, “pensatore ripugnante” …),  la fonte del passo è da: “L’implosione del senso nei media” in Simulacri e simulazione, Francia 1981!!, testo, quest’ultimo, da me più volte riportato, anche in qualche vecchio post.

 

 

L’informazione divora i suoi propri contenuti. Divora la comunicazione così come il sociale”.

Ivi, p. 72. Le società liberali occidentali si sono dimostrate incapaci d’imporre una qualche disciplina all’interno: hanno perso il controllo, ciò perché, in realtà, il Covid 19 ha mostrato quel che sono da tempo: delle società implose [*].

 

 

 

La “domanda chiavedei “nostri” tempi è, in realtà: “Chi” è ilPrincipe”, oggi? Ecco qual è la domanda chiave.

Di certo non lo è “l’Unione” – cosiddetta – Europea, tutt’altro che un’ “unione”, direi. In Europa vi è, sì, una burocrazia sovranazionale, ma in una struttura di stati “nazionali”, stati però che, a loro volta, son dotati di una moneta sovranazionale: davvero un pasticcio notevole, che nessun populismo potrà dirimere, che nessun “ritorno” allo stato “nazionale” potrà mai risolvere. Né, poi, è possibile continuare sulla via di una reale unione, finché non si darà inizio ad uno stato federativo vero e proprio, cosa che presenta, oggi, degli ostacoli sinora insormontabili e che rischiano di restar tali, e cioè insormontabili. Ed ecco che siamo dove siamo. Cioè: In mezzo al guado. Per restarci, ovvio, la posizione “migliore” – oh quanto “europea”!, oh quanto “erede” (parola che fa ridere, se la usiamo legata con “europea”, l’Europa di oggi è la patente negazione di ogni “eredità”!) dei “valori di Cartesio & C.”! – che si potesse avere …, vi sarebbe di che ridere non fosse così negativa la situazione! Ma lo è! Molto negativa.

 

Le società, in particolare (tuttavia non solo) dell’Occidente (sedicente “sviluppato”), si sono come liquefatte: sono evidentemente incapaci di perseguir uno scopo comune, qual ch’esso sia. Uno qualsiasi, purché sia comune.

La parola “comune”, infatti, è ormai del tutto squalificata, del tutto a favore d’ “individuo” (e la digitalizzazione crescente non fa, né farà, che accrescere questo fenomeno irreversibile).

Ma proprio un tal fenomeno ha dei costi sociali altissimi. Solo che non si mettono tali costi nel computo, dunque sembrano non esserci.

Se uno espelle i costi guadagna sempre …

 

Aggiungerei qui due altri punti:

1) L’incapacità di seguire uno scopo comune a livello globale, dunque non certo solo europeo: al pessimo Trump non succede, difatti, “chissà chi”; Biden sta dimostrando che, per quanto non più “isolazionista”, sempre “America first” rimane, con in più l’idea (sempre caratteristica dell’America: la “dottrina Monroe” riveduta e corretta [1]) di far “trionfare” la “democrazia” nel mondo, cioè una base ideologica, tuttavia è del tutto incapace di chiamare l’ intero mondo a seguire uno scopo comune: battere la pandemia, per esempio, perché questo c’è oggi.

Questo vuol dire l’esser “Princeps”, questo è: che sai chiamar tutti a uno scopo comune, anche chi consideri “cattivo”, il quale, se si escluderà, lo farà per sua colpa. Non per tua esclusione. E le altre questioni? Verranno solo dopo. Questo significa l’esser “Principe”, ovvero l’esercitare la leadership, quindi essere il dominus. E l’esserlo di fatto, perché l’agenda che tu proponi, di fatto, di nuovo, la imponi.

La politica è “chi” – o “cosa” o “coloro” – impone, o impongono, l’agenda dominante, chi detta le priorità decisionali. Tu non puoi decider tutto in una volta, cosa, dunque, si deciderà prima? E chi impone l’ ordine decisionale, cioè se viene prima la decisione su “A” e poi su “B”? Chi l’impone, chi detta l’ ordine delle priorità, è il “sovrano”, nella realtà e non nella formalità. Nessuno è sempre “dominus” e il “dominus” ultimo è sempre la situazione concreta, tant’è che in cinese “potere” e “circostanze” si dice nello stesso modo, shi: il potere che nasce dalle circostanze, non dalle intenzioni – più o meno buone – o dai “desiderata” degli individui o dei gruppi. Tal potere non corrisponde con il potere formale: Federico II sulla carta può avere tutti i poteri formali che vuole, alla fine dovrà fare i conti con la circostanze: queste ultime hanno il potere vero (come poi accadde); similmente succede se vogliano – formalmente – dare la “sovranità” al “popolo”, sempre con le circostanze dovremo aver a che fare, sempre queste ultime avranno la prima e l’ ultima parola. Un potere è “reale”, dunque, a misura che si adatta, o si è adattato, alle circostanze; chiudiamo qui l’ excursus esplicativo. Ora, tornando al tema, s’è detto più volte: siamo nello “stato di emergenza” (P. Virilio) globale, ma senza stato di eccezione globale, o molto in parte “stato di eccezione” (Schmitt), e questa è la particolarità unica della situazione attuale, e ciò è dovuto precisamente al predominio del potere privato, che predomina per causa della tecnica: senza sviluppo tecnico – capitalistico – oggi non avremmo quelle gigantesche concentrazioni di ricchezza privata, concentrazioni che agiscono in sede d’influenza, e persino decisionale talvolta, sugli stati. L’EU è fuori gioco, dunque, nell’identificazione di chi” sia “il” Principe, oggi.

Veniamo all’ “America”, famosa [2]. Trump non era in grado di farlo (il Principe), ma nemmeno Biden lo è, mentre Reagan l’avrebbe fatto invece, come si può arguire dal discorso – da me ricordato nei miei “scritti pandemici” dell’anno scorso –, su quel che lui chiamava “universal threat” (cioè “minaccia globale”), vale a dire la “minaccia ultima”, cioè l’invasione “aliena”, ovvero “l’invasione degli ‘UFO’”, “invasione” che, secondo Reagan, avrebbe provocato un unirsi a livello mondiale al di là delle “differenze che ci dividono”, cosa palesemente non avvenuta in questa vicenda del coronavirus: e che non avverrà.

Il punto importante, dunque, il punto cui si voleva giungere, si è che “l’America” non è il “Principe”, oggi (dell’Europa non mette conto parlarne proprio, quanto agli stati “nazionali”: stendiamo un pietoso velo; venendo, poi, al resto del mondo, si può dir questo: esso, in pratica, non esiste proprio, nel senso che non può in alcun modo neanche pensare di poter giunger all’essere “Principe”). Ma nemmeno la Russia è “il Principe” oggi, men che meno ancora può esserlo la Cina, e ciò per svariati motivi, discuter dei quali sarebbe interessante, ma ci porterebbe lontano.

Perveniamo così al punto dirimente: oggi non vi è Principe …;

2) La pandemia non ha fatto che mostrare la “globalizzazione” per ciò ch’essa davvero è: “la regina – la “Grande Prostituta” di “Babylonia” – è ‘nuda’”, le sue promesse non sono che illusioni, le sue attrattive non sono che maquillage e seduzioni e plastiche facciali, labbroni al botox e silicone “a go go”, zigomi levigati e menti stirati, vestiti sgargianti che nascondono la pelle rattrappita resa morbida con “creme di bellezza” come per una novantenne che si spacci per ventenne: la novantenne sembra una ventenne ma non lo è, tuttavia è sempre stata capace di nasconderlo; ora non è più in grado di farlo. Questa è la realtà.

Per capir bene perché si sia giunti qui, occorre ricordare com’è avvenuta, e sin dall’inizio, l’espansione dell’Occidente: fatta da privati, solo dopo “cauzionati” dagli stati e dalle corone. Questo è il punto. E tal aspetto privatistico è rimasto al centro, in modo particolare dell’Europa e della sua espansione nel mondo, per quanto ci si voglia compiacere o si vogliano piangere “lacrime di coccodrillo”, inutili. In realtà, nasce dalla Lega anseatica il modello dell’espansione dell’Europa, dalle Compagnie delle Indie, da unioni di borghesi, quindi essa non nasce direttamente dagli stati dopo il XVI secolo [3]; gli stati hanno, , “messo il cappello” sulle differenti forme d’espansione privata dell’Occidente moderno nel mondo – tentando di controllare detta espansione, quindi di acquisirne i vantaggiperò, alla fin fine, gli stati moderni han perso la guerra per il controllo del globo, controllo che – sin da un certo periodo, “a causaprecisamente della cosiddetta “globalizzazione” – è sempre di più stato in mani private. In altre parole, gli stati non han mai controllato la “globalizzazione” cosiddetta perché hanno perso il confronto con i grandi gruppi formati su basi privatistiche, confronto degli anni Settanta e della prima parte degli Ottanta. Da quel momento in poi, la partita era già persa.

Questo detto al di là delle solite polemiche a posteriori, del “buoni” o “cattivi”, che non c’interessano, interessa qui solo misurare i semi piantati, semi che oggi danno frutti.

E i frutti sono un’Europa cosiddetta “unita” il cui modello di fondo è la Lega anseatica o le Compagnie delle Indie o cose simili, una base privatistica e patrimoniale, affatto (nel senso di: del tutto) dimentica (intendo: l’Europa) della dimensione pubblica e statale, che ha, sì, un ruolo di controllo, ma residuale.

Fatte queste premesse, i tasselli, tutti, si comporranno in un quadro coerente, seppur pessimo, come qualità, ma coerente nel senso del “significato” del quadro, della figura ivi rappresentata. 

 

 

 

Andrea A. Ianniello

 

 

 

 

 

 

 

[1] A Biden dico quel che dissi ad altri, forse più importante di lui (anzi, certamente più importante di lui …), ben sapendo che non ascolterà, come sempre accade, quando si dan consigli: se tu, quando sei andato fuori strada su di un cammino sdrucciolevole, vuoi subito ed immediatamente raddrizzare il tragitto della macchina, ecco allora che ne perdi definitivamente il controllo. Devi pian pano raddrizzarne il tragitto: così è giusto. E se non ne hai il tempo? Se l’albero sulla strada si presenta prima che tu possa realmente cambiare il tragitto del veicolo? Non c’è niente da fare: infatti, l’errore a monte si è commesso e non puoi far come non ci fosse stato: chi tel’impedisce? La situazione, il potere (shi) della situazione concreta. Dunque, se il destino è propizio, quello detto è il modo giusto di fare. Per ora, in realtà, non c’è alcun albero lungo il cammino … La differenza tra Biden e Obama sta nel fatto che quest’ultimo era più prudente: partiva dall’idea – giusta – che il momento di massima forza degli USA era nel recentissimo passato e, senza per questo andare a finire nell’isolazionismo che, poi, avrebbe caratterizzato Trump, bisognasse mantenere le proprie posizioni rintuzzando Putin ma senza pressarlo inutilmente. Biden, invece, vuol “pressare” basandosi su di una versione “attualizzata” di certe, typiche, politiche americane. Peccato che, nel frattempo, nella fase d’ “isolazionismo”, il mondo non è che sia stato con le mani in mano … “qualcosa è cambiato” e non puoi far finta che non lo sia. Voler tutto recuperare mette a rischo.

Questi son i classici errori strategici e non tattici, errori di visione genarale, non di questa o quella mossa.

Un errore di strategia è un fatto grave. E tutti quei movimenti che puntano soltanto sulla liberazione, l’emancipazione, la resurrezione di un soggetto della storia, del gruppo, della parola, su una presa di coscienza, e anche su una ‘presa d’inconscio’ dei soggetti e delle masse, non si rendon conto di tendere nello stesso senso del sistema, il cui imperativo è oggi proprio quello della sovrapproduzione e della rigenerazione del senso e della parola”, J. Baudrillard, Il sogno della merce, cit., p. 79, frasi del 1981.

Facciamo un esempio attuale di tal errore: alcuni – e più di quanti non si pensi – han giustamente notato come la maggior parte dei pericoli di “catastrofe” dei quali parlano i media oggi o son invisibili (radiazioni, virus), oppure molto lontani, remoti, typo il problema dell’imbianchimento dei coralli, dovuto all’aumento medio delle temperature degli oceani. Di conseguenza, il “grande pubblico”, alias “laggente”, si deve (devono) “affidare a” vari opinionisti, che siano scienizati moderni o politicanti vari. Tutto ciò è vero: laggente non ha proprio alcuna possibilità di “trattar bene” queste informazioni. Il punto è che coloro i quali così criticano commettono due errori: 1) che vogliono anche loro “irnformare” dicendo: “noi, noi sì, che vi diamo le ‘vere’ informazioni”; 2) e dicono – di fatto – “affidatevi a noi”; in ambedue i casi, rimangono sullo stesso piano di coloro i quali vorrebbero contrastare. Perché, infatti, laggente dovrebbe creder loro e non al cosiddetto “mainstream media”? Se, difatti, non vi è alcuna ragione speciale per credere al flusso (ancora per poco) dominante, ve n’è qualcuna per credere ai sedicenti “alternativi”, a quelli che “svelerebbero” la “verità” (che ingenuità il crederlo!)? Non vi è una ragione specifica – ed “oggettiva” – in alcuno dei due casi. I cosiddetti “alternativi” aggiungono però questo: dovete crederci, “perché noi vi diciamo ‘la’ verità che ‘quelli’ non vogliono vi giunga”. Un’ “oppoiszione” che rimane sul piano dei fatti non ha capito – ma neanche alla lontana – ciò con cui ha a che fare, non ha capito la natura profonda del System. .

Ma non si presentano altri criteri se non autoreferenziali con in più tali affermazioni: “quelli sbagliano”, “quelli” son dei falsi. Ma “verità fa rima con criteri per la determinazione della “verità” stessa: se li cambi (tali criteri), allora cambi la “verità” individuata. I criteri di determinazione della verità, in ogni sistema mentale, son sempre autoreferenziali: alla fin fine si arriva sempre al punto: “ho ragione perché ho ragione”, “A = A”. Quel che puoi fare si è costruire un sistema dove, partendo da un assioma indimostrabile , giungi a delle conclusioni corrette in relazione alle premesse, questo puoi fare.

In ogni caso, qui non c’interessa star lì a discutere se Tizo abbia ragione o Caio, ma invece capirne le intenzioni: questo è interessante. Quali sono le intenzioni di una tale campagna in atto da tempo? Ecco il punto vero, che fa rima con la domanda iniziale di questo post. La chiave sta sempre nella doamnda posta: buona la domanda, buona la risposta. Errata la domanda, errata la risposta.  

 

 

 

 

[2] “Ho cercato l’Amerca siderale, quella della libertà astratta e assoluta delle freeways, mai quella del sociale e della cultura […]. Ho cercato la catastrofe futura e passata del sociale nella geologia […]. Di questa forma nucleare, di questa catastrofe futura, sapevo già tutto a Parigi. Ma, per comprenderla, bisogna adottare la forma del viaggio, che realizza quella che Paul Virilio chiama l’estetica della sparizione”, J. Baudrillard, L’America, Feltrinelli Editore, Milano 1988, p. 10, corsivi in originale. “Missionario aeronautico delle maggioranze silenziose e delle strategie fatali, saltando con balzi felini da un aereoporto all’altro, ora sono i boschi in fiamme del New Hampshire, balenante riflesso nello specchio del New England, ieri sera la verticale dolcezza dei grattacieli, domani sarà Minneapolis dal nome soave, con la sua concatenazione aracnea di vocali, metà greca e metà cheyenne, evocatrice di una geometria a riaggiera, al limitare dei ghiacci, all’orizzonte del mondo abitato … Un vento sterminatore corre sul lago, a oriente dove declina la notte, e parla del silenzio delle masse e della fine della storia …”, ivi, p. 17, corsivi miei. La storia era già finita: il Covid-19 l’ha solo evidenziato – molti occhi continuano a chiudersi sul chiaro quadro emerso: non per questo le cose cambieranno. Continua il giochetto del voler mantenere la pantomima – la simulazione – d’un mondo sparito … E l’America non è più – da tempo – “l’America”, cf., ivi, pp. 87-88. Qui Baudrillard parlava della resurrezione dell’aspetto simulato della potenza de “l’America” con Reagan, oggi però siamo anche oltre tutto ciò, e proprio in quei tempi si ponevano i semi dell’oggi: “Ma il fatto che gli Stati Uniti non siano più il centro monopolistico della potenza mondiale non significa che l’abbiano perduta, ma semplicemente che non esiste più il centro. Ed essi sian diventati, piuttosto, l’orbita d’una potenza immaginaria cui tutti fanno riferimento. […] L’America è rimasta padrona della potenza, politica o culturale, com’effetto speciale. Tutta l’America è diventata californiana, a immagine e somiglianza di Reagan. […] la congiunzione ideale descritta da Toqueville sembra esser venuta meno: se gli Americano hanno conservato un senso acuto dell’interesse individuale, non pare abbiano preservato il senso che potrebbe esser dato collettivamente alle loro imprese. Di qui la crisi attuale, che è profonda e reale, e tende alla restaurazione di un’idea collettiva […]. E’ il successo di Reagan nella sua iniziativa di reviviscenza (illusoria) della scena primitiva americana”, ibid., corsivi miei. Il fantasma di Reagan ancor aleggia nella politica de “l’America”, ma la sua natura di simulazione si mostra sempre più come tale, cioè fragile: una simulazione deve sembrare vera se vuol essere vera simulazione … La chiave sta nell’esser – totalmente, che ci sia Trump o Biden poco cambia in questo – incapaci di proporre un’unità come progetto, e, si badi bene, “com’effetto speciale”, non come “realtà”, cioè come mera simulazione, ma che serve, serve a superare le differenze. Quel che vediamo, al contrario, è un acuirsi delle spaccature, delle differenze. No, non son capaci d’inscenare un kolossal “reale” – cioè simulato – de “L’invasione aliena”. Un giorno, un giorno gli “alieni” verranno: e non sarà stato un “effetto speciale” … E non sapranno che pesci pigliare, letteralmente, vista la miserrima reazione alla “pandemia” … Già scrissi (anni fa) sul fatto che non sapevano che pesci pigliare al riguardo della cosiddetta “migrazione”; non lo sanno al riguardo della globalizzazione, della pandemia, di ogni cosa: come potranno mai saperlo di fronte all’invasione “aliena? Domanda retorica … Fanno l’unica cosa che possono fare: continuare, come un disco di vinile rotto (che “s’incanta”, si diceva una volta, oggi la gente risà cosa siano i dischi di vinile), sulla e nella via già da tempo intrapresa, o che loro è stata imposta, imposta di fatto, dalla situazione, dal potere reale, non da quello formale.

Il “re è nudo”, anzi: la regina … Il System della “Grande Prostituta” è nudo …

 

 

[3] Gli stati usavano altri scopi, come l’evangelizzazione, prima, la diffusione della cultura europea, poi, o semplicemente il dover dare sfogo alla propria popolazione innumere, per prodursi nelle varie espansioni.

 

 

 

 

Su “shi”, cf.

http://associazione-federicoii.blogspot.com/2016/05/shi-il-poterecircostanze-dallintro-di.html.

 

 

 

[*]. Dall’implosione all’esplosione, cf.

https://associazionefederigoiisvevia.files.wordpress.com/2017/11/59ed7-antichrist.jpg.