Siamo “avvolti in una
notte devastante”[1]. Ed in
essa si hanno doglie che paiono non mai finir. E tuttavia, persino esse hanno
un termine …
“Lunghe sono le notti
nel Nord, e lungo l’inverno, che confluisce in un’unica notte. Si ha l’impressione che qualcosa si prepari,
quasi come durante le doglie del parto,
come se l’azione si generasse
[corsivi miei]. Un giovane di campagna, che possiede solo una spada e una
casacca di lana si reca alla corte del re di Norvegia, dove, come succede a
quell’età, piomba in una specie d’apatia, di assenza. Si stende dietro la stufa
e se ne sta lì senza far niente, mentre quelli che passano non l’osservano
neppure, se non per prenderlo in giro. Così trascorre l’inverno, finché lo
scherno comincia a urtare il sognatore. Allora esce da dietro la stufa e
ottiene il rispetto di tutti uccidendo il più forte dei berseker del re”[2].
A mio avviso, quest’ “impressione” ben rende il “nostro” momento, sia storico che cosmico.
Andrea A. Ianniello
[1] Cf.
[2]
E. Jünger, Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza, Multhipla Edizioni, Milano 1982, p. 149, corsivo in originale, corsivi
miei segnalati fra parentesi quadre.
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