venerdì 9 febbraio 2018

SUL “CARNABAL”









“[…] il disordine ha fatto irruzione nell’intero corso dell’
esistenza e si è a tal punto generalizzato da far sì
che noi viviamo, in realtà, si potrebbe dire,
in un sinistro ‘carnevale perpetuo’”[1].




Che tale “carnevale perpetuo” sia finito, è stata la ricorrente illusione degli ultimi decenni: non è finito, non è finito per niente. Ma d’altro canto, questo è il momento cosmico che si vive ormai da un bel po’ di tempo. In ogni caso, è interessante, a tal proposito, il Carnabal, simile al Carnevale, ma con delle reminescenze cosiddette “pagane” ben più forti.
Il termine “pagano” è sempre molto ambiguo: a rigor di termini nel Carnabal c’è di più che “semplice” cosiddetto “paganesimo”, quest’ultimo essendo come la “rimanenza” di religioni precristiane, ma in ambito rurale.
Nel Carnabal, invece, vi sono dei “residui” effettivi, reali, di dette religioni, ma in stato di ampia degenerescenza.

Ma veniamo al punto.
In un interessante libro sull’ “affaire” Saunière, assieme a molte cose giuste – come per esempio che Saunière capì alla fine di esser solo uno strumento, che la sua ricchezza non derivasse dall’aver trovato alcun “tesoro”, ma da determinate “relazioni pericolose”, che il libro degli anni Ottanta di Lincoln et alia fosse una spiegazione sbagliata di quel che davvero era in gioco (non vi era ancora stato Dan Brown, ma pure per quest’ultimo vale lo stesso e a fortiori) – e a dei limiti[2], in questo tal libro si parla pure del Carnevale, ma di un Carnevale molto ma molto particolare: il Carnabal.
“Quanto al ‘risveglio del Dio [sic] dormiente’ è questo un tema strettamente riconducibile alla saga di Lug-Cernunnos [antico dio celtico, si ricordi che C = K] efficacemente testimoniata dal Carnevale di Limoux.
Il Carnevale di Limoux – il Carnabal – fa riferimento ad una consuetudine ancora viva presso alcuni paesi del Razès, tra cui Rennes, Esperaza, Montazels e, appunto, Limoux. E’ caratterizzato dalla comparsa di due tipi di maschere – i Fecos e i Goudhill – che, ogni domenica, per dieci settimane, percorrono tre volte al giorno le strade dei paesi. Nell’ultima domenica il fantoccio del Carnabal viene dato alle fiamme [come il “Wicker Man”!!]. Il carnevale (che veniva festeggiato anche il mercoledì delle ceneri prima che ciò venisse proibito) è ‘una festa pagana che non ha mai avuto la benedizione della Chiesa’.
Il Carnabal è infine completato dal ‘Giro dell’Asino’.
L’ultimo sposo dell’anno, con in testa un paio di corna, viene caricato su un asino e trascinato per le vie del paese.
Al di là dell’aspetto goliardico che la farsa può rivestire, c’è da chiedersi chi sia il cornuto, collocandolo nel contesto di quella resipiscenza di antichi culti pagani che impronta di sé il folklore del Razès.
Il cornuto è […] colui che viene lasciato (e disprezzato) dopo essere stato amato.
Chi è il più ‘gran cornuto dell’Umanità’?, si interroga Franck Marie. ‘Colui il cui ricordo è imperituro nel ricordo atavico dell’inconscio collettivo, il Dio cornuto dell’antica religione Fenicia, Celtica e Gallica, colui che porta il nome di Belenos e di Cernunnos’. La tradizionale ‘sortie de l’âne’ è dunque un omaggio deferente che gli vien reso nel momento in cui ‘l’èra dell’Ariete, giungendo al suo termine, conclude il Regno di Belenos … non a caso Mosè distruggendo il Vitello d’Oro prepara l’avvento dell’Era dei Pesci … La “tradizione” legata alle corna del Toro e dell’Ariete non poteva essere tollerata sotto il segno dei Pesci. Apparve allora necessario stornare il simbolismo iniziale (delle corna, ndr) verso un senso diverso, oggetto di ripulsa e di dileggio … ’. Ma la ‘sortie de l’âne’ ripropone anche – come l’olocausto del Carnabal – il mito dell’ Eterno Ritorno: un Dio [sic] – da tutti creduto morto – riposa da qualche parte.
E attende, dormiente, il momento del suo Gran Ritorno.
Della sua Resurrezione[3].

Nelle note finali al capitolo, gli autori ritornano sul tema:
Il Carnabal. I Fecos e i Goudhill (che indossano abiti rovesciati) danzano intorno alla statua di Venere secondo un rituale sacro che si è perpetuato invariato, dall’origine dei tempi.
Scrive al riguardo René Nelli: ‘Il carattere automatico, monotono, allucinante della danza delle maschere, le musiche adottate … apparentano il carnevale di Limoux a quelle manifestazioni coreografiche del Medioevo … dove, per la ripetizione  senza fine dello stesso tema musicale, si creava una sorta di condizionamento ipnotico pseudo mistico o magico … ’ (René Nelli, Le Languedoc e le comté de Foix-Le Roussillon, Paris, Gallimard, 1958). Il fantoccio del Carnabal viene sottoposto a giudizio e quindi bruciato [di nuovo, come in “The Wicker Man”]: c’è in questo rito la commemorazione di un deicidio, relativo ad altri tempi, ad un altro Dio … il simbolo creato dal fuoco distruttore indica che Carnevale – come la Fenice – rinascerà dalle sue ceneri. Carnevale sembra essere per la popolazione dell’Aude espressione del ricordo di una pratica pagana sepolta nell’inconscio collettivo e, a suo tempo, proibita dagli occupanti Romani. Quest’aspetto viene sottolineato da alcune caratteristiche del Carnevale di Esperaza. Qui, l’ultima domenica della festa, un bue viene liberato per le vie del paese ed aizzato contro un fantoccio di paglia sospeso ad un albero. Il manichino viene poi bruciato [di nuovo, come in “The Wicker Man”] e il bue ucciso; chi s’incarica della bisogna riceve, poi, in ricompensa, il sangue e il fegato dell’animale. Questi particolari, unici nella tradizione carnevalesca europea, sono sconcertanti al punto che Franck Marie (La résurrection du Grand Cocu, Ed. VA, 1981) ha potuto commentare che: ‘c’è forse in questo una sopravvivenza dell’antica concezione della trasmissione dell’energia vitale per il tramite del sangue e di alcuni organi’. Ciò che è sorprendente è l’accostamento tra questa usanza e quanto scrive Lucano: ‘Per soddisfare Esus si sospende una vittima ad un albero e la si squarta. Per soddisfare Taranis si brucia una gabbia di paglia e di vimini piena d’uomini [di nuovo, come in “The Wicker Man”]’.
Il Carnabal dell’Aude non è forse una sorprendente simbiosi tra il mito ancestrale ed il presente reale? Il toro carica un suppliziato di paglia e lo squarta; non ricorda questo il sacrificio al dio Esus? Il corpo del suppliziato è quindi bruciato; non è forse così che si onora Taranis? In quanto al bue dobbiamo proprio ricordare che una coppia di tori veniva immolata in onore di Poseidone, nella mitica Atlantide? Ancor più interessante è la variante del Carnevale praticata a Couiza (ai piedi della collina di Rennes Le Château).
Qui abbiamo la ‘Uscita degli Eremiti’, il giovedì delle ceneri. Le maschere indossano vestiti del sesso opposto al proprio, si truccano in modo da realizzare un’evidente difformità dei tratti del viso e brandiscono una croce su cui sono appese numerose vettovaglie. E’ ozioso ricordare che il periodo che va dal mercoledì delle ceneri alla domenica di Pasqua è considerato di ‘astinenza’ e che la presenza della croce ‘decorata’ dal cibo, così come l’ostentazione di capi di vestiario ‘invertiti’, assuma in tal contesto il carattere blasfemo di una rivolta simbolica ed antitradizionale”[4].

In relazione alla “sortie de l’âne”:
Asino. ‘L’Asino è per noi simbolo d’ignoranza, ma questa eccezione è un caso particolare di una concezione che ne fa, quasi universalmente, un emblema dell’oscurità, di tendenze sataniche (Dizionario dei Simboli, op. cit.). Non a caso, nell’antico Egitto, l’Asino veniva associato a Seth (il Dio dalla testa d’asino) e Guénon rivelava al riguardo che ‘uno degli aspetti più tenebrosi dei misteri tifoni ani era il culto del Dio dalla testa d’Asino, al quale si sa che i primi cristiani furono talora falsamente accusati di ricollegarsi; abbiamo qualche ragione di pensare che, sotto una forma o un’altra, esso sia durato sino ai nostri giorni’ (Simboli della scienza sacra, Adelphi, p. 130). L’entrata di Cristo in Gerusalemme sulla groppa di un’asina [genere femminile …], per converso, rappresenta ‘il trionfo sulle forze malefiche, trionfo la cui realizzazione costituisce propriamente la “redenzione”’ (R. Guénon, ibidem, p. 132). Si veda al riguardo anche Matteo, 21, 2-7 e 11-29; nonché Genesi 49, 9-1. Non è altresì casuale che in Apuleio, il devoto della Dea Bianca Iside venga trasformato in asino.
Il simbolismo legato a tale animale è comunque talmente complesso che una trattazione esaustiva esorbita necessariamente dai limiti della presente nota”[5].




Andrea A. Ianniello





[1] R. Guénon, Simboli della scienza sacra, Adelphi Edizioni, Milano 1975, p. 135.
[2] Per esempio, come a riguardo del simbolismo del cavallo, quasi sempre ritenuto solo negativo. Il cavallo è uno “psicopompo”, un essere che fa passare “di là del fiume” – che separa questo mondo dall’altro – ma occorre sempre vedere a quale tipo, a quale genere di “altro mondo” esso faccia giungere, se si tratta dell’ “altro mondo” celtico (lo shidhe, dunque “shee”, come “Banshee”, uno spettro malefico, un “morto che ritorna” = vampiro), un luogo d’ombre, di spettri, molto simile, ma ben peggiore, allo sheol ebraico, oppure ad un luogo “paradisiaco”.
Molto dipende dal colore del cavallo. E non è necessario neppure far riferimento all’ Apocalisse di Giovanni per ritrovare questa differenza. Basta far riferimento a Platone: il cavallo nero sono le passioni, quello bianco la mente che le domina e fa “andare oltre”.
Conta pure il genere dell’animale: la cavalla, di solito, è più negativa del cavallo: si manifesta, così, l’antica relazione con la “dea bianca” celtica, le “janare” che dovevano attorcigliare le code dei cavalli, più anticamente delle cavalle, delle giumente; eccetera, eccetera. Certo, il cavallo rimane un simbolo di “morte”, cioè di fine di un qualcosa e d’ inizio di una qualcos’altro. Ma fine ed inizio di cosa??
Questo è il punto decisivo.
[3] M. Bizzari – F. Scurria, Sulle tracce del Graal. Alla ricerca dell’immortalità. Il mistero di Rennes Le Château, Edizioni Mediterranee, Roma 1996, pp. 214-215, corsivi in originale, miei commenti fra parentesi quadre. La storia del “cornuto” è più diffusa di quel che non si pensi, tant’è che in provincia di Caserta, a Ruviano, c’è la “festa dei cornuti” – goliardica, ovvio – che, tuttavia, corrisponde a San Martino, dove, probabilmente, delle usanze precedenti han preso questa forma.
Siamo però, in tal caso, sotto il segno dello Scorpione, dunque dopo la “festa dei morti”, ed anche il Carnevale, in origine, era un modo di “esorcizzare” i “morti” che ritornavano. Infatti, queste Januae Inferi si aprivano o sotto il segno dello Scorpione oppure tra l’Acquario e i Pesci.
Il “Carnevale cosmico”, non a caso, si situa fra questi due segni.
Si ricorda che le “ère zodiacali” – di 2.160 anni circa –, si effettuano seguendo il percorso detto “precessione degli equinozi”, ovvero il “segno zodiacale” (che non è la costellazione con lo stesso nome!!) – o “casa” zodiacale, termine più esatto – nel quale appare sorgere il Sole nel “punto vernale” = quando vi è l’equinozio di primavera. Il moto di tale “apparizione” è retrogrado, va “all’ indietro”, per intenderci, non è dall’Ariete ai pesci, ma viceversa.
[4] Ivi, pp. 218-219, corsivi in originale, mie note fra parentesi quadre.
[5] Ivi, p. 219, corsivi in originale, mie note fra parentesi quadre.




1 commento:

  1. Anche nel Carnevale di Putignano il giovedì grasso c’è la “festa dei cornuti” … tra l’altro, il 2 febbraio – la Candelora – vi è la “festa dell’orso”, anche quest’animale avendo sue significazioni simboliche interessanti, in quest’ambito di considerazioni …




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