Si usa dire che non si
vede quel che sta sotto i propri occhi, quello che sta troppo vicino. E’ vero.
Men che meno si vede
ciò di cui siam parte o che viviamo e che si considera essere la “normalità”,
mentre non è affatto normale. L’esser vissuto in postacci osceni – nel duplice
senso del termine (il più noto: indecente, di cattivo gusto, scandaloso,
volgare, scurrile, sporco, turpe; l’altro: di cattivo auspicio, volgarmente: che
“porta jella”) – mi ha facilitato nel prenderne atto. Ma sono cose diffuse in
maniera incredibilmente pervasiva, nel “nostro” tempo.
Ho ripostato più volte
questo passo, nei Commenti, proveniente da dell’ “acqua non pura”, il vero problema si è che non vien visto da chi dovrebbe invece vederlo. Le ragioni di
tali cecità, di tale “punto cieco”, sono molte: interessante chiarirle, perché
la cosa è d’importanza decisiva, ma
ognuno dovrà farlo per sé.
“Sappiamo, qui, che è
meglio non entrare nei particolari mutazioni dell’Occidente [“prossima” all’ epoca, si consideri che l’ ’89, che per i gonzi doveva esser
l’anno della “liberazione” quando invece iniziò, solo iniziò, la fase che non si ancora conclusa], perché sebbene
esse non siano in realtà né spaventose né inquietanti per coloro che amano, la diffusione del loro
contenuto basterebbe ad evocare
angosce profonde. L’occidentale deve
cominciare a comprendere che lui non
è l’Essere da cui proviene ogni cosa [per loro è infatti difficilissimo
comprenderlo, anche persino solo accettarne la remota possibilità], e che la sua importanza e la sua destinazione
si limitano a quelle d’un anello qualsiasi della grande catena
evolutiva della Vita. Vi dirò che il distacco
è senz’altro la più grande lezione
che le civiltà occidentali devono
assimilare: verrà un tempo in cui i
popoli europei e nordamericani non avranno maggior influenza d’un pugno di
nomadi, e questo non è l’annuncio
di un cataclisma: attenzione, mi limito a sottolineare per voi una grande verità, ovvero che nessuna potenza o pretesa tale può resistere alle inevitabili leggi della mutazione.
Le civiltà sono come gli uomini, e impiegano un veicolo che le porta fino ad
un certo punto, una volta che le
energie sono sature o esaurite [oggi!!, prima si sono “saturate”, poi esaurite, come dimostra la “piccola parodia” del “sovranismo”, la
caricatura dell’ un tempo pericoloso
orso cieco del nazionalismo: dove una società reagisce alla sfide solo chiudendosi in un arrocco, allora dimostra così
che è alla fine], viene dato loro
un altro veicolo, a volte meno sontuoso [come senza dubbio stavolta ne sarà il caso …], ma comunque altrettanto
efficace per crescere … ”[1].
Andrea A.
Ianniello
[1] A. e D. Meurois-Givaudan,
Viaggio a Shanbhalla, Edizioni àrista, Giaveno (TO) 1987 (si noti la data …), pp. 124-125, corsivi miei, miei commenti fra parentesi
quadre.
Nove novembre ma
del 1989: cadde il Muro di Berlino.
Nove novembre 1923:
il putsch della birreria a Monaco.
Tra l’altro, il
17 agosto dell’anno scorso ricorreva il trentesimo della morte di Rudolf Hess,
che sia stata la morte dell’ “originale” o del (vero o presunto che sia) sosia.
Quest’anno, poi, vi è anche il centenario
della fondazione della Thule Gesellschaft (1918). Tra l’altro, fu fondata il 16 agosto 1918, questo mese il
centenario, da Rudolf von Sebottendorf (al secolo: Rudolf Glauer).
Von Sebottendorf
era un buon astrologo e studioso di occultismo, fu ambasciatore in Turchia e referente
della Bektashi in Europa, cf.
nota n°5. Come
ho scritto in quest’ultimo post che presto “i popoli europei e nordamericani
non avranno maggior influenza sulla superficie del globo d’un pugno di nomadi” non era un male … Il problema per lui
era che la “deviazione occidentale”, pian piano accentuandosi – dunque manco è
vero che, per Guénon, l’Occidente è un male “di per sé”, era contrario ai “difensori
dell’Occidente” non voleva dire l’Occidente
in quanto tale fosse un male –, pian
piano accentuandosi, si diceva, aveva generato un
“taglio” dal punto di vista “tradizionale”
ed “iniziatico”, era quindi la “crisi
della e nella Tradizione” il punto
vero, per lui. E’ cosa
buona precisarlo.
Sulla “Thule G.”,
cf. R. von Sebottendorf, Prima
che Hitler venisse (Storia della «Società Thule»), Arktos Carmagnola
(1987). Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2004, con un saggio introduttivo di R.
Del Ponte, ovviamente minimizzante, com’è uso d’obbligo in determinati
ambienti, non sia mai … Tra l’altro, alle pp. 208-209, si può leggere, nell’Indice
dei riferimenti, la voce “Adolf Hitler”, che si ferma al 1933, significativamente anche la data di pubblicazione dell’originale
tedesco. Il 3 e il 9 sembra ritornino molto spesso nel destino tedesco.
RispondiEliminaCf.
http://associazione-federicoii.blogspot.com/2018/09/segnalazione-4.html.
Assai cliccato questo post
RispondiElimina