sabato 4 agosto 2018

UNA SEGNALAZIONE









Un libro interessante – da segnalarsi – è: G. Scholem, Le tre vite di Moses Dobrushka, Adelphi Edizioni, Milano 2014, con un saggio finale di S. Campanini.
In esso si parla, oltre i complessi dettagli della biografia di M. Dobrushka (alias von Schönfeld, alias Julius Frey), di questo discepolo di Jakob Frank, il quale da ebreo si convertì cristiano e fu sostenitore delle riforme di Giuseppe II d’Asburgo, per poi passare alla Rivoluzione francese a Parigi, dove divenne membro dei circoli giacobini: ma fu inviso a Robespierre, per cui finì ghigliottinato assieme a Danton. Di lui non si è mai capito bene se fosse davvero “divenuto” giacobino o se rimase una spia austriaca (ma probabilmente la verità è ancora diversa, più complessa). Tra l’altro, era l’occasione, per Scholem, di parlare dei frankisti stessi, e di cercare di svelare la relazione fra il “messia nichilista” J. Frank e “certe” correnti illuministiche alias massoniche.
Ora però, nello studio finale del curatore (Campanini), si pone in luce la critica di J. Taubes (che si è già citato in questo blog[1]), il quale pur era stato discepolo di Scholem, a quest’interesse di Scholem per un personaggio alla fin fine “minore” come Dobrushka. In effetti, il frankismo è come la costola più estremistica del “sabbatianesimo”, il culto di Shabbatay Zevì, il falso Messia che abiurò, convertendosi all’Islamismo nel 1666, data molto fatidica, tra l’altro … I seguaci di Frank, invece, dunque anche lo stesso Dobrushka, si convertirono al Cattolicesimo, in modo altrettanto strumentale dei “sabbatiani”. Tra l’altro, un sol gruppo di seguaci di S. Zevì (Shabbatay = Saturno) si convertì all’Islamismo nell’Impero ottomano: son detti dönme. Fra di essi sembra vi fosse Mustafà Kemal Atatürk (1881-1938, nato a Salonicco, che allora era parte dell’Impero ottomano, città fulcro per i dönme stessi), che contribuì alla fine dell’Impero ottomano ed inaugurò la Turchia nazionalistica[2].
Dietro il confronto fra Taubes e Scholem si deve veder altro: il problema del messianismo, e delle sue implicazioni (anche degenerative, come J. Frank), del suo volto oscuro, anche nichilistico. Trattando dell’Anticristo, un tal tema sposa “siccome lo caseo su li maccaruni”, ecco perché qui lo si segnala …
Fra i due aleggia un fantasma, ben concreto: Carl Schmitt.
Ovvero la relazione fra messianismo e teologia politica, tema immenso. Che, qui, certo non si vuol pretendere di “risolvere”, qui si vuol solo segnalarne un “anello” della catena di relazioni, quello del “messia nichilista” J. Frank, il quale “viene a pennello” parlando dell’Anticristo, ma non si commetta l’errore – imperdonabile – del credere in una “ripetizione”: nulla si ripete, ma vi son paralleli. Qui c’interessano i parallelinon le parallele …
Ed è interessante questo passo di Taubes, in relazione a C. Schmitt: “Carl Schmitt è lo stesso. Egli non era Ebreo, ma un autentico antisemita cattolico – mi diede lezioni sull’antisemitismo cattolico popolare. Allora eravamo entrambi piuttosto dubbiosi sulla possibilità che il Concilio Vaticano II fosse in grado di produrre cambiamenti di mentalità. Schmitt prendeva le parti delle minoranze dei cattolici più tradizionalisti […]. Non era come Radbruch, il fine, che se ne stava qui seduto a insegnare filosofia del diritto a Heidelberg, non era un neokantiano, proveniva dalla rivista ‘Summa’, e basta a provarlo il primo capitolo della Teologia Politica I, le prima frasi sono quanto vi è di più lapidario: ‘Sovrano è chi decide dello stato di eccezione’. Ma è proprio così! Poi arriva una grandiosa citazione da Kierkegaard. Il liberalismo aveva detto: il diritto finisce qui. Ma è qui che inizia il problema: con la guerra civile mondiale! Anschütz, un giurista di un certo rilievo, disse che l’illegalità non esiste che anche la peggiore dittatura è legge – un giudizio poi ripreso nel 1925 dalla Allegemeine Staatslehre [Dottrina generale dello Stato] di Kelsen. (Nell’edizione inglese questa frase singolare manca). Siamo di fronte a un uomo che, esattamente come Heidegger, pone domande sostanziali. In ciò sta il suo fascino. […] La maggior parte dei libri sull’argomento sono insopportabili, non hanno la più pallida idea delle forze e delle crisi autentiche. E’ richiesto un ABC democratico, ma nella prolusione inaugurale ogni libero docente si sente di dare un calcio nel sedere a Carl Schmitt, con la scusa che quella di amico-nemico non è la categoria giusta. Tutta la scienza si è mossa per soffocare il problema. 
A pensarci bene, è grottesco se si considera che quelle problematiche, pur avendo indotto in errore Schmitt, restano pur sempre delle grandi problematiche”[3].
Ed oggi, chi decide dello “stato di eccezione”?
Oppure vi è, ormai, solo “stato di eccezione”?







Andrea A. Ianniello





[1]  Cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2017/08/da-il-fuoco-greco-di-l-malerba-et-alium.html, nota n°3 a pie’ pagina web, dopo il riferimento al libro di Kantorowicz.  
[2]  Vi è, su youtube, un filmato che fa vedere M. Kemal Atatürk il quale, in una cena elegante, dopo aver danzato il valzer, danza il ballo degli Zeybèk, le milizie irregolari del Mar Egeo anatolico: ed è la danza del falco, dove s’imitano le movenze di quest’animale. Ecco, Atatürk è il valzer che maschera la danza del falco. E’ l’ “occidentalizzazione” che, in realtà, è la maschera per delle minoranze di venir fuori (si legga questo anche in relazione ad altre “minoranze”, il cui appoggio all’ “Occidente” è sempre – sempre – “interessato”, ma far capire questo agli “occidentali”, coi loro “cocci dentali”, è pressoché impossibile, non perché sia difficile capirlo, ma perché vi è un “blocco culturale”). In questo, Mustafà Kemal, diversamente da degli altri (come gli Assad), fu intelligente: capì bene che una operazione come quella cui lui pensava non avrebbe mai e poi mai potuto aver successo se non avesse fatto proprio il forte nazionalismo turco. Insomma, doveva comportare delle contropartite reali per i turchi, non distruggerne il paese.
[3]  J. Taubes, La teologia politica di San Paolo, Adelphi Edizioni, Milano 1997, pp. 188-189, corsivi in originale. Nel frattempo, la “guerra civile mondiale” da un lato si è del tutto esaurita, come svuotata di senso, dall’altro ha cambiato pelle, prendendo le apparenze di una “rivolta islamistica”, ben poco mistica e per nulla intimistica, ma spesso stoltamente ribellistica.








Nessun commento:

Posta un commento