IL BUON (BEL) PASTORE
(2013)
Introduzione
Il Cristianesimo non è una mera
dottrina, lo è anche, ma non in modo sostanziale, il Cristianesimo è
una Persona, Cristo. E Cristo è il Buon Pastore par
excellence,
dunque lo scopo del Cristianesimo è “pastorale” in una
dimensione sostanziale per cui: non si tratta di accessorio né di
mere aggiunte strumentali. Lo scopo del Cristianesimo è la sequela
Christi,
la sequela del Pastore: pastori che diventano pastori. La conoscenza
fondamentale non è mera ripetizione, ma piuttosto imitazione
(imitatio
Christi),
non sola conoscenza “mentale”, ma esperienza di vita. La
conoscenza del Cristianesimo è la salvezza.
In effetti, prima che il nome
“Xristianòs”
fosse udito per la prima volta ad Antiochia, i (futuri) “cristiani”
erano detti: coloro i quali seguivano il Cammino, la Strada, la Via,
che in greco è odòs
(At.,
cap. XVIII). Non certo per caso o senza una ragione precisa che,
dunque, Cristo stesso disse di Sé: Ego
sum Via
Veritas Vita, dove,
solitamente, si sottolinea le ultima due parola, ma non certamente la
prima… Il senso del Cristianesimo come cammino si è, in linea
generale parlando, alquanto perduto negli ultimi tempi. Certo: “La
Verità vi farà liberi”, recita la nota affermazione
dell’Evangelo, ma se la Verità non sarà un concreto cammino, una
“Via”, la Verità rimarrà sterile e non potrà, piaccia o non,
andar oltre le affermazioni di principio.
Proprio partendo da tali
assunti, non si può fare a meno di sottolineare la grande differenza
tra l’insegnamento di Cristo e quello dei coevi Rabbini, nel novero
dei quali, nonostante l’autorevolezza e la “potenza” con la
quale Cristo insegnava e dava “segni”
(i “miracula”,
le cose degne di ammirazione), Cristo non fu mai posto né mai si
pose, salvo il titolo onorifico di “Maestro”, che, però, ci
dobbiamo guardar bene d’interpretare nel senso del coevo Giudaismo.
Il “rabbi”
si poneva sul mercato, per così dire, ed accettava discepoli, i
quali stavano con lui allo scopo d’apprendere la Legge rivelata
giudaica. Terminato l’insegnamento, terminava la relazione. Vi era
una concorrenza nel seguire i “rabbìm”
più autorevoli o famosi. Paolo sì che seguì l’insegnamento
regolare e comune giudaico della sua epoca: fu, com’è noto,
discepolo dell’importante rabbi Gamaliele. Per Cristo, non solo lo
scopo dell’insegnamento non era quello di ben conoscere i meandri
della Legge giudaica in se stessa, ma piuttosto era quello d’imitare
Lui, ma lo stesso Gesù sceglieva i suoi discepoli. Non solo questo,
ma Gesù distingueva tra l’insegnamento per la folla, e quello per
i discepoli. All’interno di questo novero, si segnalano gli
Apostoli. Di nuovo, si sottolinea la disparità e la differenza
rispetto al coevo insegnamento rabbinico.
Sicuramente oltre alla Via ed
alla Verità, la Vita (“eterna”) è il nocciolo dell’insegnamento
di Gesù, la Vita “in se stessa” (zoè),
e non
la vita come manifestazioni biologiche (bìos).
Qui l’insegnamento di Gesù opera una paradossale inversione: la
Crux,
in Giovanni - a differenza di Paolo – non è il luogo della
“kènosis”,
ma della “dôxa”,
della Potenza-Gloria (kavòd)
di Dio che “vince il mondo”, nella prospettiva giovannea.
Questa scena “finale”, sotto
la Croce, ha la sua rilevanza, perché Gesù di nuovo inverte le
prospettive: Egli prega per coloro i quali lo crocifiggono. Questa
stessa inversione “apocalittica”, ovvero “rivelativa” e
“rivelante”, si è però già mostrata quando Gesù aveva pregato
per i suoi discepoli. Ora, all’epoca era totalmente
impossibile che i
discepoli pregassero per il loro maestro, era una cosa impossibile a
concepirsi. Il contrario, al contrario, accadeva spesso.
Altra cosa da sottolinearsi è
che l’ insegnamento di Gesù, il suo “stile”, ben lungi
dall’essere “istituzionale” come all’epoca lo era quello dei
rabbini, e come lo è oggi quello della Chiesa (come lo è quello di
ogni chiesa religiosa), era di tipo che “chetonico”,
cioè occasionale, non
formale. Si nota, tuttavia, come Gesù ben conoscesse la Scrittura,
che citava come un Libro materno, e su questo, da più parti, gli si
riconosceva una grande autorità: questo è davvero molto importante
da sottolinearsi.
Per sintetizzare: Cristo Gesù
fu Maestro di Vita. Fu piuttosto Paolo ad introdurre le
preoccupazioni dottrinali. Ma di cosa fu Maestro di Vita Cristo?
Della “vita buona”? No, questo termine è insufficiente a
denotare il Suo Magistero che fu anche l’opera di una vita. Egli
fu, piuttosto, Maestro della Vita Nuova, sì, come la Vita
Nova di Dante, un
rivolgimento totale, un cambiamento completo di prospettive.
Per Lui i discepoli non sono
allievi. Egli insegnava alla sequela, alla sequela di Lui stesso.
Egli preparava a dare la propria vita per la Vita eterna.
Parola (e Nome). Tra i titoli di Cristo, il Buon
(Bel) Pastore
Quello di “Buon (Bel) Pastore”
è un Titolo cristico, un appellativo dato a Gesù Cristo, la cui
origine è nella Bibbia veterotestametaria - già nella figura di
Mosè vi è, in nuce, quella del Buon Pastore -, ma che, come Titolo
applicato a Cristo stesso, acquista inevitabilmente una tutt’altra
dimensione.
Nella religione giudaica, Dio
crea il mondo con la Parola. La Parola si restringe al Nome di Dio,
impronunciabile, che, tuttavia, diventa la pietra miliare di tutta
una teoria del linguaggio1.
Dio dona all’uomo il suo pneuma,
la sua ruàch,
il suo spirito, per cui è questo che lo rende “a Sua immagine”
(tzelèm),
e questo si manifesta nella capacità umana di usare il linguaggio,
non con la creatività divina, e tuttavia l’uomo “partecipa”
parzialmente di tale creatività, in modo riflesso.
Il Nome divino diventò
impronunciabile anche per una serie di abusi magistici2,
un abuso che vediamo ritornare, in epoca cristiana, nella costruzione
del golem,
quest’ultimo essendo dotato di sola “vitalità” legata al
nephesh,
“la” bìos,
l’anima “vital-passionale”, non la “vitalità pura” della
nishamàt chaym.
Nel Cristianesimo è Cristo che
è la Parola di Dio (Lògos,
Gv.,
Prologo). Egli è anche il Nome rivelato, e per questo i Titoli
cristici hanno tanta importanza e non son casuali. Essi sono la
rivelazione di aspetti
dell’Unica Parola, “che creò il Cielo e la Terra”, il
Logos-Cristo.
In altre parole: nel
Cristianesimo la Parola di Dio, il Suo Nome si
può dire, anzi, si
deve dire, anzi nel “Suo Nome” ogni cosa fu fatta e si continua a
fare, oltre il tempo, perché non vi fu mai un tempo in cui “non
fu” o “non sia”.
Questo è il senso profondo del
Vangelo di Giovanni, unito al tema di Cristo “che ha sconfitto il
mondo”, recalcitrante ad ammettere questa rivelazione,
impossibilitato ad accettare il “Nome Nuovo”, cui fa riferimento
anche l’ Apocalisse,
dello stesso Giovanni (secondo i dati tradizionali, posti in
questione oggi, ma che, tuttavia, non son falsi, se si pensa che
l’Apocalisse
fosse parto della scuola giovannea).
Anche negli Atti
è il “Nome” del Cristo che è il Salvatore, che è il Logos,
che è la Parola di Dio: “Dio ha costituito Signore e Cristo quel
Gesù che voi avete crocifisso” (At.
2, 36).
Ancora: “Il Signore Risorto è
lo Spirito datore di vita” (1 Cor.
15, 45).
Ogni “Titolo cristico”,
allora, è rivelazione di un aspetto
della Parola-Logos,
la qual è Cristo stesso. Il Buon Pastore rivela l’Amore del Padre,
la sollecitudine verso tutte le creature.
Questa centralità della figura
cristica è stato il senso, o un
senso importante, del Vaticano II3.
Diciamo che, negli ultimi tempi, la centralità della figura del
Cristo è quasi passata in secondo piano, piuttosto è la Madonna che
sta al centro della scena ecclesiale.
In tal senso, potremmo dire, a
proposito del Vaticano II, che taluni nodi fondamentali non sono
stati recepiti, o non assunti a dovere, o insufficientemente, in
particolare proprio la centralità cristica, l’accento essendo
stato posto, anche giustamente, di certo inevitabilmente, sulla
presentazione al mondo e sulla necessaria revisione di certi aspetti
datati. E tuttavia, non ci si può dimenticare di questo fatto:
«La Chiesa del tempo apostolico
si valeva delle Scritture in modo cristocentrico. Si trattava di un
elemento essenziale del suo modus
vivendi, essendo
quindi un elemento appartenente al depositum
fidei. Nel tempo
attuale, la ripresa e l’indagine a fondo – mediante lo studio del
tema dell’ispirazione – della centralità del Cristo nella Sacra
Scrittura sono requisiti necessari»
4.
Come si è appena detto, però,
non sembra che tale tema sia stato sufficientemente recepito. E lo
stesso autore appena citato lo afferma con chiarezza: “La ripresa
dell’importanza di Cristo per l’insegnamento sul concetto
teologico di ispirazione è stata solamente iniziata. C’è ancora
tanto da fare in questo senso. Saranno mai sfruttate le prospettive
che indicano il ruolo essenziale di Cristo in questo campo teologico?
La risposta è ovviamente un’incognita”5.
Probabilmente questa sarà la
frontiera appena immediata della ricerca teologica di qui a breve.
I due sensi del Buon Pastore
Si riflette molto poco sul fatto
che, in greco, il “buon” Pastore è anche, allo tempo stesso, il
“bel” Pastore perché in greco sono la stessa parola. Si dovrebbe
sottolineare questo punto, che si perde nelle traduzioni. Qui “bello”
non ha evidentemente che ben poco a spartire con le considerazioni
estetiche, ma è la bellezza che rivela “il Volto del Padre” e,
in tal senso, si fa simile alla bontà che è Amore.
Essa è la bellezza del “Vieni
e seguimi” e dell’attività del Missionario6.
Tale bellezza è l’esternarsi,
l’esprimersi della Misericordia di Cristo, che rivela il Volto del
Padre7.
“Il Buon Pastore deve essere
nell’intimità del mistero d’amore di Dio. La sua gioia è data
dallo stupore della corrispondenza vitale con il suo Signore. Ma è
così che gli uomini vedono la sincerità e la trasparenza della sua
testimonianza”8.
Questo porta, tuttavia, una
grave difficoltà, che è lo «spirito di autonomia che dirige la
coscienza degli uomini, che deve incontrare. Adamo dal primo momento
del suo esistere si allontana dalla presenza del suo Signore e
afferma la sua qualità di essere libero. Solo l’inventiva di Dio è
in grado di rintracciare l’uomo che si nasconde. (…) Eppure
soltanto l’amore salva. (…) Si comprende, allora, che il posto
del Buon Pastore è ai piedi della Croce. Il Cristo della Croce è il
punto centrale in cui tutte le linee del mondo umano confluiscono, il
punto su cui tutto precipita. Il punto che tutto raccoglie e che
tiene insieme ogni cosa. Questo punto centrale, in quanto estrema
profondità del dolore, è comprensione per ogni uomo e per ogni cosa
dell’uomo, perché il dolore è purificazione, il dolore è
espiazione, il dolore è liberazione. Ogni essere è connesso al
Crocifisso, ogni essere è sorretto dal Crocifisso, ogni essere viene
riempito di vita dal Crocifisso, ogni essere viene salvato dal
Crocifisso: “Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me”
(Gv.,
12-, 32). Il Buon Pastore è il crocifisso della storia, che rifonda
per gli uomini mortali “la speranza piena d’immortalità”,
perché egli è colui che ama e l’amore non viene mai crocifisso.
Rimane vivo ed assoluto per donare la vita eterna ad ogni uomo»9.
In tal senso, quest’Amore che
“non può esser crocifisso” è non solo “buono” di una bontà
sovrumana e divina, ma rimane “bello”. Il Buon Pastore, assiso
sulla Croce, non perde mai la sua bellezza (con buona pace di M.
Gibson e di tutta una visione penitenzialistica…), perché non è
un mero uomo posto sul supplizio della Croce, ma ben altro.
Il sacrificio ed il dolore, per
il Buon pastore-Cristo, non sono mero dolore ma sono piuttosto
l’essere innalzato, sono un evento di vittoria, sono il c
capovolgimento della “logica” di questo mondo. In tal senso, la
Croce è “buona” e “bella” al tempo stesso. Purtroppo gli
uomini hanno troppo spesso visto in tutto ciò un mero fatto di
dolore, del quale si son caricati, come se avessero potuto
“aggiungere” al dolore di Gesù del proprio. Ogni dolore che
l’uomo possa subire tutt’al più è “partecipazione” a quello
del cristo, e non vi aggiunge nulla. Ed ogni dolore che diventi
salvifico non lo è in quanto tale, ma solo, e soltanto, a misura che
il Cristo v’intervenga e lo purifichi e lo assuma su di Sé, come
il Buon pastore che va in cerca pure dell’ultima delle pecorelle,
il che ha una logica del tutto paradossale. Quale pastore reale,
concreto, storico, sacrificherebbe mai l’intero suo gregge per una
misera pecorella?
Aspetti. Kènosis
e Pax
Parlare di tutti gli aspetti del
“Buon Pastore” è davvero difficile. Qui ci si concentrerà solo
su due aspetti: la “kènosis”
e la “Pax”,
la Pax Christi,
collegata direttamente alla figura del Buon Pastore.
In altre parole, gli aspetti del
Buon pastore sono un’ulteriore specificazione
del Titolo di Buon pastore, che, a sua volta, non è altro che la
rivelazione di un lato, di una spetto del Logos-Cristo in “Sé
Stesso”.
La scelta dei due aspetti nasce
dal fatto che mi hanno più colpito, ed inoltre dal fatto che
sembrano paradossali (sul lato missionario si è già detto, in
estrema sintesi, nel capitolo immediatamente precedente).
La “kènosis”
è la dimensione di allontanamento, il “diminuire” e
l’allontanarsi che Dio fa per avvicinarsi all’uomo.
La “kènosis”
è la Croce, essa è l’apparente “negarsi” di Dio che è la
cagione della ricerca stessa, ed è la ragione profonda della
vittoria di Cristo sul mondo. Proprio perché si abbassa Cristo è
innalzato: paradosso incomprensibile al mondo con le sue logiche
inverse, dove abbassare gli altri è al chiave di volta di ogni
azione che ha successo.
In tal senso, tale dimensione
“kenotica” richiede una libera risposta da parte umana, ed è la
fede.
Punto decisivo è il render
presente il tempo della salvezza avvenuto, non “da venire” chissà
quanto, ma già presente. Certo imperfetta, incompleta, e tuttavia
non falsa: è il tempo del già ma non ancora completo, il tempo
delle primizie e non del raccolto. Ma le primizie avvengono forse in
inverno o non è già primavera? Certo, ripetiamolo, non è il tempo
del raccolto finale, il giugno dello spirito, ma è già qualcosa di
vero, di attualmente prendete ed operante.
Ecco il senso
pieno del Buon (Bel) Pastore, al di là ed alla radice di tanti
aspetti e specificazioni ulteriori successive.
E che cosa va predicendo in
effetti il Buon pastore?
Qual è l’essenza di ciò che
annuncia, al di là dei tanti aspetti, ulteriori?
Il Buon Pastore predica
la Pace. Questa è
l’essenza
vera ed imperitura di tutta la sua predicazione, anzi, l’essenza di
ciò che è. Pace fra uomini in base alla Pace tra uomo e Dio, che è
la struttura portante della successiva
pace umana.
Non vi è, infatti, pace umana
possibile senza una Pace con Dio: questo il Buon Pastore lo sa, nella
sua stessa carne.
Questo perché “La
pace è il Messia”10,
è la sua natura profonda, sostanziale.
Kènosis
et
Pax,
un binomio inscindibile, come morte e risurrezione.
Proprio perché c’è stata
la kènosis vi è la pace, e l’effetto della kènosis è la pace,
così come la pace, per poter perdurare, richiamerà sempre la
kenosis.
Ben lungi dall’essere un
accessorio secondario, o una mera conseguenza incidentale ed
accidentale, la Pax
è la compagna necessaria
della kènosis.
La kènosis
è la compagna necessaria
della Pax.
In altre parole, non vi può
essere l’una senza l’altra, in un’ottica autenticamente
cristiana. La discesa e l’allontanamento son volti al ritrovamento
di una Nuova Alleanza, che è, in se stessa, la Pace che promette,
che è, in se stessa e sempre nel rispetto della libertà umana, la
Pietra Miliare di tutto
l’edificio successivo.
Bibliografia
Fonti
Scritturali
La Bibbia di Gerusalemme,
Nuovo Testamento vol. XII, Lettere
di San Paolo II Lettere
cattoliche
- Apocalisse,
commento di Gianfranco Ravasi, Corriere della Sera, Milano 2006.
Libri
Andrade
Alves C.,
Ispirazione e Verità.
Genesi, sintesi e prospettive della dottrina sull’ispirazione
biblica del Vaticano II (DV11),
Armando Editore, Roma 2012.
Nogaro
R., Il
Buon Pastore. Note di spiritualità pastorale,
Diocesi di Caserta, 2006-2007.
SCHOLEM G., Il
Nome di Dio e la teoria cabalistica del linguaggio,
Adelphi, Milano 2010.
NOTE
1
Cf. G.
Scholem, Il Nome
di Dio e la teoria cabalistica del linguaggio,
Adelphi, Milano 2010.
2
Cf. Ibid, p. 35 e
sgg.
3
Cf. C.
Andrade Alves, Ispirazione
e Verità. Genesi, sintesi e prospettive della dottrina
sull’ispirazione biblica del Vaticano II (DV11),
Armando Editore, Roma 2012.
4
Ibid., p. 388.
5
Ibid..
6
Cf. R.
Nogaro, Il Buon
Pastore. Note di spiritualità pastorale,
Diocesi di Caserta, 2006-2007, p. 42 e sgg.
7
Cf. Ibid, p. 47 e
sgg.
8
Ibid, p. 49.
9
Cf. Ibid, pp.
49-50.
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