“A ragione è detto che il re è morto una volta sola, il 21 gennaio 1793 [cioè trecento ventinove anni fa]: non si tratta qui della morte di un individuo o di un re, ma della regalità e della visione del mondo che le dà senso. Certamente, in sé stessa, la regalità non è morta, poiché un principio non può morire, ma dopo quel momento essa risiede fuori dal nostro mondo”.
C. LEVALOIS, Princìpi immemorabili della regalità, il Cerchio Iniziative Editoriali, Rimini (FO) 1991, p. 108, corsivo in originale, grassetto mio, miei commenti fra parentesi quadre.
“Occidente è […], nell’analisi di Schmitt, un concetto prima difensivo e poi offensivo, ma mai ordinativo [per questo il concetto politico di “Occidente” NON PUÒ mai ordinare il mondo, per questo il “NWO” è fallito!], elaborato in chiave antistatuale e antieuropea [si notino i due termini …] in primo luogo dagli Stati Uniti (dottrina di Monroe, 1823 [199 anni fa!]) e tale da trasformare ogni guerra in una guerra civile mondiale [chiave di volta, ed è quella “guerra” che c’è ancor oggi, sebbene in sordina e indebolita, e, cosa molto importante, combattuta in altri “teatri”, soprattutto quello della propaganda e del digitale, anche dentro le varie nazioni], in un’opposizione assoluta [quella che vediamo ancor oggi e che è così negativa, così distante dalle vecchie opposizioni realmente POLITICHE dell’Europa precedente la “guerra civile” MONDIALE] fra ‘nuovo’ (la libertà occidentale) e ‘vecchio’ (le potenze non liberali), cioè in un’uniformità disordinata [e cioè in QUEL CHE OGGI VEDIAMO!!]”.
C. GALLI, Introduzione in C. SCHMITT – E. JÜNGER, Il nodo di Gordio. Dialogo su Oriente e Occidente nella storia del mondo, Il Mulino, Bologna 1987 (si noti la data!), p. 18, corsivi miei, miei commenti fra parentesi quadre.
ANTEFATTO. Come ho scritto (“go scrito”) altrove, non vi è uno stato d’ eccezione nel senso “schmittiano”, quanto d’uno stato d’emergenza – peraltro in ATTO da TEMPO (per lo meno dal 9-11-2001, ventun anni fa ormai, di fatto) – però esteso A TUTTO IL MONDO, SU TUTTO IL GLOBO.
Di cinque anni fa, questo post, e già si vedevano i movimenti che ci sarebbero stai, fra gli altri – fra gli ALTRI – quello che avrebbe portato necessariamente allo “stato di emergenza” **GLOBALE**, che **NON È**, ancora, lo “stato di eccezione”. Peraltro, l’autore che si va di seguito qui a citar nell’ “Antefatto duo”, parlava di “stato d’eccezione ‘globale’” già illo tempore, anche se lui lo legava – com’era costume all’epoca – con il problema nucleare, che poi è stato il suo ERRORE più GRANDE, poiché lo stato d’eccezione ha una sua realtà e necessità interna SYSTEMICA, serve al System per auto REPLICARSI “ad libitum”, se fosse possibile (non lo è, ma è altro discorso).
Su quest’autore, cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2021/07/la-dromocrazia-p-virilio-ha-vinto-la.html.
Quest’ultimo post constata la fine della democrazia, per cui anche il discorso di Cacciari, discorso che si è (criticamente) in un post precedente, è datato – pur non essendo affatto falso, in termini generali –, democrazia sostituta dalla “dromocrazia”, il regime DELLA VELOCITÀ, il dominio della velocità su ogni altro fattore. Il problema della democrazia è – ORA e SEMPRE – in quanto tempo si decide? Man mano che la situazione del mondo diventa più “critica”, infatti, proprio i tempi della democrazia risultano statici, vecchi, “passatisti”, facile dunque darsi ad un qualsiasi Trump di passaggio (ma non passa certo per caso!) che, così, “lui decide”.
Vero che c’è stato un tempo – irrimediabilmente parte, ormai, del passato –, tempo nel quale la democrazia era “il” regime dove le decisioni erano più veloci, rispetto alla lentezza tipica dell’ ancien régime, con le sue danze, i suoi cerimoniali e la “douceur” caratteristici, e tuttavia – come s’è appena detto – quel tempo È PASSATO. Per sempre.
Virilio ancora legava il discorso sulla velocità – ed è préhistoire! – sostanzialmente alla “mobilitazione”, totale, con però già delle intuizioni le quali egli stesso, tuttavia, non era in grado di porre nel giusto quadro.
Quindi masse che si muovono – molto meno –, ma già c’è il mondo dei “bit” che traversano lo spazio e contraggono il tempo sempre più, finché lo spazio tende a scomparire (qui, sì, vi è una giusta intuizione di Virilio già illo tempore). Cos’è un bit? Un virus. E cos’è un virus? Un codice, meglio: un frammento di codice che cerca di replicarsi a spese di un organismo detto “l’ospite” (che bell’eufemismo!) …
Era tutto già scritto …
Veniamo dunque al testo – ormai datato (ma non del tutto, come s’è già detto) – di P. Virilio.
“«Il rischio ma nel comfort!» Maresciallo Goering”, P. VIRILIO, Velocità e politica. Saggio di dromologia, Multhipla Edizioni, Milano 1981 (1 9 8 1 ! … quarantun anni fa!), p. 57, corsivi in originale.
Questo detto è tutto un programma, un programma dell’oggi: il rischio, sì, la “civiltà del rischio” (*), però nel comfort …
“Il 4 marzo 1976, Michel Poniatowski, allora ministro dell’Interno, dichiarava: «La sicurezza non è divisibile»; ma, per esser più preciso, avrebbe dovuto dire: Ormai la sicurezza non è più divisibile”, ivi, p. 105, grassetto mio. Si poneva, dunque, il germe della “sicurezza” come centro della scena politica futura, germe che sarebbe divenuta la “merce centrale sistemica”, pian piano, in crescente centralità, sino ad oggi.
“Qualche anno fa in Francia [il libro è del lontano 1981 in edizione italiana, ma l’edizione francese risale al 1977 … sempre anni Settanta e ristrutturazione “systemica” …], in pieno periodo di prosperità economica, i lavoratori sociali dichiaravano: «Noi siamo dei lavoratori come gli altri perché siamo i membri che riparano l’apparato social-produttivo». Dopo il ‘68, si mostravano meno categorici […]. infatti nella nuova economia di sopravvivenza [quella cominciata dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, appunto, ma sopravvivenza di chi?, dei lavoratori, ma in realtà di cosa?, del System …] il problema o è più quello di partecipare alla società dell’abbondanza [e, si badi bene, questo è stra vero da quel tempo ad oggi per una crescente massa di popolazione della società di vecchio capitalismo, per cui tanti discorsi non son altro che il simulacro della politica, solo che il discorso sulla “crisi della politica” è oggi l’ unico – residuale – “referente di realtà” della politica come simulazione: che allora, perlomeno, sia simulazione piena, e cosciente, ma torniamo al discorso fatto nel post sull’intervista a Cacciari: non possono farlo perché sarebbe un’ammissione d’impotenza, di subalternità] […]. Berlinguer lo dichiarava nel gennaio del 1977: «Siamo noi che vogliamo l’austerità per cambiare il sistema e costruire un nuovo modello di sviluppo». E, stranamente, fa riferimento subito al sistema dei trasporti […]. Così, da ogni parte, il potere veicolare della massa mobile viene a trovarsi represso e ridotto, dalle limitazioni di velocità e di carburante [cosa sta succedendo sia in seguito alla pandemia sia – peggio – in seguito alle conseguenze della pandemia stessa?, proprio questa “limitazione”, e non ci si faccia illusioni – salvo i soliti, tantissimi, ottusi che abboccano sempre: la fine delle “limitazioni” da “certificati vari” NON COINCIDE con la fine del principio il qual è stato posto, tra l’altro si è solo spostato il problema SUL e NEL campo del digitale] […], il mito dell’automobile è condannato a scomparire contemporaneamente a quello del lavoratore [che non vuol dire non ci son più “lavoratori” od “automobili”, ma prima cosa limitati e non più sono al centro del System!]. […] Togliete all’occidentale l’auto o la moto [o i mezzi digitali per “navigare” – ma guarda un po’! – sulla “Rete”], e che cosa gli resterà da fare? [niente, perché le società occidentali, e, sempre più, di tutto il mondo, “globali”, sono del tutto prive di obiettivi condivisi, di capacità di proporre (o anche imporre) delle “mete” ai suoi membri], se non compiere la profezia di M.I.S. Bloch che, fin dal 1897, annunciava: «Essendo la guerra divenuta una specie di partita nulla in cui nessuno degli eserciti ha la possibilità di prendere il sopravvento, essi rimarranno faccia a faccia sempre minacciandosi ma incapaci di portare un colpo decisivo. Ecco l’avvenire [verso la quale si va, ma in parte si è già]: non la guerra ma la fame, non la carneficina ma la bancarotta delle nazioni e il crollo di ogni sistema sociale». In un insieme il cui equilibrio precario [e d’allora sempre precario è rimasto, se non sempre più precario e sempre più instabile] è minacciato da ogni iniziativa sconsiderata [e, da quel tempo, siamo in questa temperie qui], la sicurezza è ormai assimilabile all’assenza di movimento [direi che, dopo la pandemia, è sempre più evidente questo]”, ivi, p. 107, grassetti in originale, corsivi miei, miei commenti fra parentesi quadre.
“Mario Soares dopo la sua sconfitta alle elezioni dell’aprile 1976: «Io non ho bisogno di governare con dei politici, posso farlo molto bene con dei militari e degli specialisti [soprattutto questi ultimi son importanti, i “tecnici” cosiddetti …, e non è questo che è sempre più successo dopo, man mano che la crisi dei sistemi democratici si approfondiva?]». I nuovi dirigenti cinesi [per l’epoca “nuovi”] tengono lo stesso linguaggio, il ‘socialismo militare’ non è nato in Perù o recentemente in Portogallo più di quanto non sia apparo a Berlino negli anni trenta [del secolo scorso] o nel secolo scorso [due secoli fa, il sec. XIX cioè] con Bismarck, Napoleone III e il ‘social-imperialismo’, l’ eliminazione come partner della borghesia politica non è che la realizzazione di un sogno strategico che si basa unicamente sulla speculazione scientifica e tecnologica [questo è il punto: NON militare ma TECNOLOGICA] […]. Per Clausewitz, lo stato politico è già: «un mezzo non conduttore che impedisce la scarica completa»”, ivi, p. 110, grassetti in originale, corsivi miei, miei commenti fra parentesi quadre. Purtroppo Virilio rovina tutta l’intuizione quando afferma, dopo, che questa “esautorizzazione” della “borghesia politica” sia opera dei militari e del “nucleare”: no! Per niente! E’ la realizzazione dle “sogno strategico” della tecnica e degli ambienti, pochi, pochissimi e ristretti, che l’han coltivato e che, storicamente, son venuti a predominare IN OCCIDENTE, NON nel resto del mondo, in OCCIDENTE solo. Tra il pericolo del deragliamento del loro “sogno” e la “glaciazione” delle società occidentali, tali ambienti hanno scelto la seconda opzione: nessun mistero, nessuna sorpresa. Era scontato.
“Esautorizzazione” della “borghesia politica”: ma non sarà che il “populismo” – **I** populismi, e “sovranismi”, e neo nazionalismi – è la PSEUDO risposta, però inevitabile, della “borghesia politica” agli evidentissimi tentativi di estrometterla dai giochi politici, verso la “speculazione scientifica e tecnologica” di cui già – illo tempore – scriveva Vrilio? Direi di sì … Per questo tutto ciò è la “malattia mortale”, sì, quella famosa – filosofica e “kierkegaardiana” –, della “democrazia” …
“Ecco dunque il temibile scontro degli elementi nati dalle ‘generazioni anfibie’. la prossimità estrema delle parti in cui l’immediatezza dell’informazione crea immediatamente la crisi [oggi …], la fragilità del potere di ragionare [IDEM …], che non è che l’effetto della miniaturizzazione dell’azione [ovvero l’effetto della tecnica digitale!!], conseguenza questa della miniaturizzazione dello spazio come campo d’azione”, ivi, p. 121, corsivi miei, grassetti in originale, miei commenti fra parentesi quadre. Difficile dire con più nettezza dei potenziali – all’epoca, ed oggi attuali – effetti della digitalizzazione sull’ “azione”, DUNQUE sulla “decisione” politica “di per sé stessa”. Era, dunque, va ripetuto di nuovo, tutto già scritto …
“Dopo il tempo della relatività politica dello Stato, mezzo non conduttore, abbiamo l’assenza di tempo della politica della relatività. La scarica completa temuta da Clausewitz”, ivi, p. 127, miei commenti fra parentesi quadre.
Ci dobbiamo, dunque, attendere “la scarica completa”?
E – nel caso (se del caso) – tale “scarica completa” potrà essere “politica”, lato sensu intesa, ma – soprattutto – politica nel senso dello stato moderno? NO! Del tutto: NO!
In attesa (en attente) d’ “altro”, dunque …
Da dove ci si gira, se si segue dei ragionamenti sensati, si è ricondotti alle stesse scaturigini, alla stessa “eziologia” e allo stesso decorso: la modernità non cura se stessa, lo “sbocco” de “La Crisi del mondo moderno” (Guénon) NON È mai – né MAI potrà essere – all’ INTERNO della modernità stessa.
Questo è zero capito, soprattutto “a destra”, di qui mille un errori, e depistaggi, utili a “certe forze”, a iosa.
E soprattutto non si capisce più nulla.
Le cose diventano di difficile comprensione quando invece sono, al contrario, piuttosto chiare.
Andrea A. Ianniello
(*) Cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2013/12/il-breviario-del-professor-dupin.html.