“Multa incredibilia vera
Multa credibilia falsa
Veritatis sigillum simplicitas
Il segno della verità è la semplicità
(Michael Sendivogius, De lapide philosophorum, 1604”.
COSMOPOLITA, Operazione filosofica, a cura di A. Boella e A. Gualdi, Edizioni Mediterranee, Roma 2016, p. 9, corsivi in originale, grassetto mio.
Ecco: il detto:
“Multa incredibilia vera
Multa credibilia falsa”,
mi par particolarmente “ATTO” all’epoca nostra, cioè al “nostro” – LORO – Tempo.
P. S.
“In quella gola, dall’ampiezza di circa cinquanta miglia quadrate, sarebbe vissuta, in mezzo alla più lussureggiante vegetazione, una piccola tribù tibetana, che portava berretti rossi a punta [*] e adorava una crudele divinità […] raffigurata da un pavone. Quest’essere diabolico, nel corso d’innumerevoli secoli, avrebbe [formula dubitativa] insegnato agli abitanti la magia, e avrebbe [idem, cioè mera ipotesi] rivelato loro dei misteri che un giorno avrebbero sconvolto l’intero globo terrestre [formula dubitativa, ma interessante]. Inoltre, avrebbe insegnato loro una specie di melodia capace di annientare all’istante l’uomo più forte del mondo [che, poi, è la formula “melodica” ricercata dai protagonisti del racconto]. Pompeo rise laconicamente”.
G. MEYRINK, Il Golem e altri racconti, a cura di G. Pilo e S. Fusco, Newton Compton editori, Roma 1994, p. 242, mie osservazioni fra parentesi quadre.
Direi, su quei monti, che M. li spostò (come anche altri eh) – come, tra l’altro, ebbe ad osservare illo tempore Guénon – un po’ troppo ed Est … van posti un po’ meno ad Est che in Tibet. Il Tibet ha il suo (bravo) posto nelle deviazioni, ma non riguardo al tema “pavone” da M. testé “immediater” evocato “ivi quivi suso”. Ad dunque:
Un po’ più ad Ovest! Eh …! “Ramón” …!
Un po’ più ad Ovest!
@i
[*] Dove Meyrink faceva confusione (chiaro che una tale “confusione” ci può dar un suggerimento sulle “fonti” – nascoste, come si è già detto altrove – dello stesso Myrink) fra i “dugpa” ed i “drugpa”, quasi simili come parola, ma in realtà ben diversi, cioè fra i cosiddetti “berretti rissi” – le scuole preriformate del Buddhismo tibetano – e i maghi, a volte davvero “neri”, afferenti all’originaria religione, in parte sciamanica, del Tibet e, poi, “verniciati” di Buddhismo, come si può constatare: cf. G. MEYRINK, Giocando con i grilli, Il Cavallo Alato-Edizioni di Ar, Padova 2013. In tal libro, però, la tesi di fondo, ripetuta pure in ID., La notte di Valpurga, Il Cavallo Alato-Edizioni di Ar, 2017, si è che i grossi “rovesciamenti storici” derivino, almeno in buona parte, da influssi mentali e correnti “suggestive” (nel senso del termine “suggestione” che si è detto – con significato preciso – in qualche precedente post). In breve: i “berretti rossi” non possono esser resi responsabili, come tali, di deviazioni varie, che, però, ci sono davvero state: l’abuso della magia “nera” in Tibet è cosa ben nota, e reale. Si veda la storia di Milarepa, per esempio, ma è solo un piccolo esempio fra degli altri. Solo che, in ordine alle cose cui Meyrink accennava, si deve andare un po’ più ad ovest rispetto al Tibet … ecco tutto … Go West, my friend …
GO WEST!!
“Multa incredibilia vera
RispondiEliminaMulta credibilia falsa”