“Data la posizione del cane e della balena nel circolo di quinte [musicali: cioè la “quinta” nota partendo da una determinata nota; la “quinta” del “do”, per esempio, è il “sol”], questi animali [“symbolicamente” ricollegati con delle note musicali] costituiscono tutta la parte superiore del circolo si-fa-do (sol)-re. Al contrario, il coccodrillo [animale di Sobek-Seth, quello del tempio di Kom Ombo, del quale s’è detto qualcosa in qualche vecchio post ed in qualche vecchio commento], il cui luogo centrale sembra essere il mi (acqua-terra) occupa tutta la zona terrestre la-re-mi-si, in quanto quest’animale simboleggia la fecondità, la cultura umana e la potenza terrestre. L’antica cultura egizia lo metteva in relazione con l’arcobaleno [interessante] e gli attribuì il potere di minacciare il cielo (asse valle-montagna), dato che il coccodrillo è l’unico animale la cui gola è diretta verso il cielo [interessante]. Nella lotta che avviene tra il cielo e la terra, la gola del coccodrillo rappresenta la forza della terra che si oppone alla gola della montagna. Come la balena [che è il “pesce” della “fine” ricordato da Guénon in un suo articolo!], che ha due boccacce, grazie alle sue due posizioni (re e si-fa), il coccodrillo si rappresenta spesso con una bocca a forma di boccaccia. Nella cultura messicana si aggiunge a tale rappresentazione l’idea che quest’animale, simbolo della terra feconda e della cultura umana [punto importante], sarà decapitato alla fine del mondo”, M. SCHNEIDER, Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella simbologia e nella scultura antiche, Rusconi Libri, Milano 1986. p. 292, corsivi in originale, grassetti miei, miei commenti fra parentesi quadre.
La “bestia” è spesso simbolizzata dal drago. “Smaug, nelle illustrazioni dello stesso Tolkien, ha il curioso naso all’insù che caratterizza la fisionomia dei draghi, dal Nordovest vichingo al Sudest giavanese, sebbene non si riscontri in nessun rettile reale, tranne i coccodrilli”, R. S. NOEL, La mitologia di Tolkien, Rusconi Libri, Milano 1984, p. 168, corsivi miei.
Tra l’altro: “Fáfnir era un serpente mannaro e cioè un essere umano che aveva assunto un aspetto di drago per stare a guardia del tesoro, per impadronirsi del quale [tesoro] lui e suo fratello avevano ucciso il padre”, ivi, p. 166, corsivi miei, mio commento fra parentesi quadra. Peraltro, tornando al tema della spada “fatata”, “rotta” e “riforgiata”: “Nella Volsungasaga, il dio Odino, protettore e progenitore della stirpe di Sigmund, conficca la spada Gram fino all’elsa nell’albero che costituisce il pilastro centrale della casa della famiglia di Sigmund. Solo Sigmund potrà estrarla di lì e così otterrà il favore di Odino. Per molti anni egli combatterà quindi per Odino finché questi non riterrà giunto il tempo per Sigmund di raggiungere i suoi antenati nell’altro mondo. Odino incontra Sigmund nel mezzo d’una battaglia e gli spezza la spada, sicché egli soccombe nella mischia. In obbedienza all’estremo desiderio di Sigmund, i frammenti della spada, non diversamente da quelli della spada Narsil di Elendil, vengono conservati. La spada Gram viene riforgiata da Regin per il fratello di Sigmund, Sigurd, il quale la userà per uccidere il fratello di Regin, il drago Fáfnir”, ivi, p. 179, corsivo in originale, grassetti miei.
Andrea A. Ianniello
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2022/02/il-cocco-non-bello_21.html
[cancellato]
ADDENDUM.
“Nel Lord of the Rings, dunque, l’ auctoritas coesiste con la potestas secondo una sociologia di tipo imperiale: la capacità di decisione non è scissa dalla capacità di azione, ed entrambe la facoltà vengono legittimate dalla felicitas (che altro non è se non il successo [no, è di più secondo una tipologia fondamentalmente dantesca – nella Monarchia dantesca, tutto sommato, si segue questo “schema” –, che è quella che seguiva Tolkien]). Si riscontrano però, nell’antropologia psicosociale di J. R. R. T., così decisamente imperiale, importanti venature repubblicane [non è così, direi “dantesche” piuttosto] che si manifestano appunto in una scissione [diciamo piuttosto una distinzione, ma i due aspetti rimangono ricollegati] tra la dimensione decisionale dell’ auctoritas e e la capacità operativa, giuridica e militare della potestas. Infatti, la potestas di Aragorn, per quanto legittimata sia dal riconoscimento popolare [che NON SUFFICIT, che alcuni aprano le orecchie “in tal senso”!!] del carisma sia dalla felicitas, dipende in misura rilevante da un consilium che si affianca alla figura del capo carismatico: il senno del saggio Gandalf, innanzitutto, e poi di un Consiglio vero e proprio (che è in qualche modo presieduto da Elrond [l’ elfo]). La cerimonia d’incoronazione “mette in scena” lo sdoppiamento (tipicamente repubblicano [e non solo “repubblicano” perché, di nuovo, si può far qui riferimento a Dante]) tra auctoritas e potestas: Aragorn, accettando la corona da Faramir, non se la pone in capo da sé con stupore di molti, ma la restituisce all’ultimo dei Sovrintendenti [cioè Faramir]; e sarà Frodo [significativo] a prendere la corona dalle mani di Faramir [non di Aragorn …] e consegnarla a Gandalf (“perché è stato lui il fautore di tutto ciò che è stato compiuto, e questa vittoria è sua.” [dunque legittimità in senso superiore, “dall’alto” cioè]). Ed è davanti a Gandalf che Aragorn s’inginocchia [riconoscimento!] accettando l’investitura [“molto medioevale” questo!]”, M. POGGI, La Spada e il Labirinto. Meraviglioso e fantastico ne «Il Signore degli Anelli», ECIG, Genova 1990, p. 69, corsivi in originale, grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre. In pratica, è la Monarchia di Dante messa in cerimonia: l’ “Imperàtor” ha una sua legittimità “in quanto tale” – diversamente da quanto la Chiesa sosteneva, cioè che l’ Imperium fosse di sua “proprietà” come tale – ma deve “riconoscere” la legittimità superiore datagli dall’ auctoritas. Quest’ultima, però, non può – né deve – “invadere” un territorio che non le compete, territorio che non è il dominio “temporale”, che può avere, ma il dominio “temporale” dell’ Imperium, nato prima della Chiesa e che non deve, nella sua esistenza, “chiedere il permesso” alla Chiesa stessa. Questa era, in poche parole, la radice della querelle medioevale, ben nota, peraltro, agli storici. E, in poche parole, questa era la concezione sia di Federico II sia di un Giustiniano, per esempio, senza il cosiddetto “cesaropapismo”, che poi generò anche un “papocesarismo”, ambedue deviazioni; peraltro queste deviazioni portarono il Medioevo alla crisi sostanziale. I “due luminari”, come la mano destra e la sinistra, devono collaborare, né una mano deve fare il lavoro dell’altra. Ma c’è una mano più eminente, il che non giustifica che la mano destra – della “misericordia”, secondo il simbolismo ebraico – debba fare il lavoro e “sostituirsi” alla sinistra – la mano del “rigore” – o sostenere che la sinistra deriva dalla destra, il che costituisce una deviazione. Né, ovviamente, deve poter accadere l’opposto, chiaro. La mano deriva dal corpo, che ha due mani per sua natura intrinseca, ma una mano, di solito, è più eminente dell’altra, più forte, più versatile o altro: ha insomma qualcosa in più, e ciò va riconosciuto.
Sostanzialmente Dante questo sosteneva. Sostanzialmente questa era la visione di Federico II il quale, dunque, ha zero a che vedere con la visione “laica” del potere “dal basso”, zero a che vedere. Quando si sostiene questo si falsano le cose, non si vede il Federico II storico, come fu davvero, ma si proiettano su di lui cose che non potevano appartenere al suo periodo storico. Il che non toglie che Federico II rappresenti un fattore di crisi di quel modello che pure sosteneva e seguiva. Si ruppe il modello, da una parte come dall’altra, Dante cercando la “ristrutturazione” del modello, opera che, però, fallì. La società era cambiata e in via di cambiamento: erano emerse le borghesie, con la “resistibile tentazione” da parte della Chiesa di usarle contro l’Impero, perché questo è stato, senza giri di parole. Si ebbero i regni particolari, però, che occuparono il vuoto lasciato dall’Impero in crisi, e la Chiesa ebbe a che fare con avversari ben più difficili, che non avevano interesse al mantenimento della Chiesa come l’aveva invece l’Impero, al quale la Chiesa serviva per la legittimità del potere (il re “prende il suo potere direttamente da Dio”, l’Imperatore lo “prende” con la mediazione della Chiesa: c’è una bella differenza!).
Venne così, di seguito, nel corso dei secoli, per contenere, per guidare lo sviluppo borghese, ormai messo in moto irreversibilmente, il fenomeno del cosiddetto “dispotismo illuminato” e cioè la tendenza dei regni specifici, non ancora “nazionali” però, a guidare l’ espansione delle borghesie. Ma il modello “esplosivo” di società (Baudrillard) non poteva esser contenuto né guidato. Nacquero le repubbliche borghesi come nacquero i regni e gli imperi nazionali (tipo l’Impero coloniale inglese o l’Impero tedesco prussiano), e cioè la negazione stessa del concetto d’ Imperium, pur portando lo stesso nome (come possono ingannare le parole!). Il concetto stesso d’ Imperium, infatti, ha in sé stesso l’idea di universalità, e NON di “nazionalità”, in uno qualsiasi dei significati che si vuol dare a questo termine. In uno qualsiasi! L’ Imperium è universale. Sempre. La nazione particolare; sempre. Un impero coloniale dunque, in pratica, è una dominio particolare che si pretende universale: un controsenso, insomma. Ma tal controsenso ha guidato la storia dell’Occidente – ovvero Europa – per secoli. Poi, quando la sua contraddizione interna non è stato più possibile padroneggiarla – per causa della crescita incontrollata del modello “esplosivo” di società (Baudrillard) –, ecco che si è verificata l’esplosione, meglio: la conflagrazione dell’Europa con le due Guerre Mondiali della prima metà del secolo scorso. La supernova è, per usare il paragone di M. Silvestri, esplosa, definitivamente. Quel che ne rimane sono belle macerie, belle rovine, che Père Ubu, allo scopo di distruggerle definitivamente, chiedeva che fossero “ben allineate”, ben ordinate, tutte. Poi è rimasta tanta, ma tanta, polvere … Per il resto, il continente ormai è morto.
Vive di ricordi, di proiezioni, di uno pseudo “benessere”, di “well living”, di “turistizzazione” a morte dei luoghi, di “effetto Beaubourg” (Baudrillard) che sembra ormai esser diventato lo “stato normale” ma che sa invece di polvere, polvere che nasconde la vuotezza e l’assenza di senso dei legami sociali. Intere società i cui scopi sono auto referenziali e ormai prove di sbocchi, che al massimo vogliono rimanere sempre come sono in continui interventi di “lifting” perenne … Rispolverano vecchi fantasmi che non servono a nulla: i cosacchi non vengono a piazza san Pietro, ne stiano pur certi: non ne hanno alcun bisogno. Questi vecchi fantasmi non aiutano a ricostruire il legame sociale ormai pulverulento.
La stessa Ruth Noel notava come “Il Signore degli Anelli” fosse pregno – soprattutto nella Seconda e Terza Parte – di un aspetto “etico” di contro “Cerca”, laddove ci si deve liberar di un “emblema di potere”, come lo chiamava. Ma queste due Parti vennero fuori anche per mezzo di lunghe discussioni con il già ricordato – e dimenticato – Charles Williams, il meno noto degli “Inklings”. Per questo si è ricordato Ch. Williams in un commento precedente.
RispondiEliminaInoltre va ricordato qui, apparentemente senza legami col tema di qui su, e nella serie dei ricordi “per anno che termina con “3”), il film, basato su di un testo di M. Crichton, “Il mondo dei robot” che, appunto, è del **1 9 7 3** cioè 50 anni fa, ormai …
RispondiElimina“L’Arca [dell’Alleanza] porterà altresì alla distruzione del tempio di **Dagon**. Questi era meglio conosciuto in Egitto come **Sebek** (o Sobek), il Dio dalla testa di Coccodrillo, figlio di **Seth**, nume tutelare del culto sabeano e protettore della Magia Nettuniana e, come tale, “recuperato” dalla congrega di Crowley e dall’ **OTO** (**Ordo templi Orientis**). Il culto sabeano, nato intorno alla VI dinastia, si svilupperà nel corso “dell’Eone d’Iside”, in concomitanza con al XVIII dinastia [egizia, chiaro]”, M. BIZZARRI – F. SCURRIA, “Sulle tracce del Graal. Alla ricerca dell’immortalità. Il mistero di Rennes Le Château”, Edizioni Mediterranee, Roma 1996, p. 218, corsivi i originale qui segnati con: <**>, mie osservazioni fra parentesi quadre.
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