“Il frate [Giovanni da Pian del Carpine] di osservare attentamente l’armamento dei Mongoli e consigliò alle truppe europee di migliorare il proprio. «I prìncipi della Cristianità dovrebbero aver molti soldati armati d’arco e di balestra, e disporre d’artiglierie, che i Tartari temono [la confusione dei “Tartari”– venuti dal Tartaro – con i Mongoli si alimentò per secoli: i Mongoli di Gengis Khan erano NEMICI GIURATI dei Tartari!, l’esatto contrario della percezione comune!]. Occorrerebbero inoltre uomini armati di buone mazze di ferro e di scuri dal manico lungo. Le punte metalliche delle frecce dovrebbero essere temprate alla maniera tartara, immergendo il ferro rovente in acqua salata [più anticamente si usava il sangue], per renderlo meglio atto a penetrare attraverso le armature. I nostri soldati dovrebbero infine aver buoni elmi e salde corazze, per sé e peri loro cavalli. E quelli che non son armati così, dovrebbero star dietro coloro che lo sono». Evidentemente il francescano era rimasto molto impressionato dalla micidiale potenza che le truppe mongole traevano dall’arco. «Con le loro frecce feriscono e uccidono uomini e cavalli; gettato così lo scompiglio nelle fila, si fanno sotto da ogni parte e s’avventano sul nemico». I quella stessa epoca Federico II — il sovrano che sostenne la famosa lotta col papato — sollecitava l’aiuto degli altri prìncipi e scriveva al re d’Inghilterra: «I tartari son di bassa statura, ma di membra robuste e nerborute; valorosi e audaci, son sempre pronti a gettarsi in mezzo ai pericoli ad un cenno del loro comandante … Ma dobbiamo aggiungere, pur con molti sospiri, che mentre un tempo indossavano armature di cuoio con piastre di ferro, ora ne portano altre assai più ricche e più efficaci, ritolte ai combattenti della Cristianità, sicché noi potremmo essere vergognosamente e dolorosamente uccisi con le nostre stesse armi [in parte, ciò accadde a Liegnitz, con il disastro che colpì l’ordine Teutonico in particolar modo]. Per giunta dispongono di cavalli migliori,si nutrono di cibi più fini [questa nota qui è una rarità, la maggior parte delle fonti sottolineando il contrario!] e vestono più signorilmente di noi [idem!]»”, H. LAMB, Gengis Khan, Edizioni dall’Oglio, Milano 1974, pp. 298-299, corsivi miei, mie osservazioni fra parentesi quadre. Il libro è assai interessante perché presenta, nella Bibliografia (pp. 335-338), fonti oggi difficili a reperirsi (come, di quelle oggi più facilmente reperibili, cita soprattutto cita Rubruquis, meno Giovanni da Pian del Carpine), cita pure i frammenti della Jassa Gengiscani [la “Legge” di Gengis Khan, seguita sia da Tamerlano che da Babur, anche se unendola (per quanto possibile…!) con la “Legge” islamica, la sharî’ah] noti, traendoli da una vecchia fonte. I computi [sulla consistenza] delle armate mongole – mai così grandi quanto altre fonti sostenevano (soprattutto islamiche, per difendere gli insuccessi delle armate dello shah del Khwarezm) – son fondamentalmente corretti e confermati da studi successivi: era il modo di usare le armate, [era] l’astuzia (proverbiale!) mongola il segreto del successo, unito con spostamenti fulminei, per quei tempi. Anche le illustrazioni – sia quelle “nel testo” che quelle “fuori testo” – sono interessanti. Ma non ci si può soffermar qui, nella misura nella quale sarebbe interessante farlo, su tali tematiche: solo un’illustrazione “fuori testo” voglio sottolinearla, quella presente nella p. 153, dal titolo: “Tenda di un fabbro mongolo”, giacché il nome proprio di Gengis Khan (che è un titolo) era Temüjìn, cioè fabbro. Forse (forse …!) si riporterà solo un altro frammento. Si vedrà … Maxima instabilitas in hoc nostro tempore sanguine ostro, quia: Mala tempora currunt peioraque current …
Andrea A. Ianniello
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2023/04/frammento-2.html
[vecchio link post cancellato]
Alla parte iniziale: “Il frate [Giovanni da Pian del Carpine] di osservare attentamente . . .” si deve aggiungere il verbo: **non mancò**, per cui diventa: “Il frate [Giovanni da Pian del Carpine] non mancò di osservare attentamente . . .”
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