“La massa come prodotto
finale di ogni socialità, che pone fine di colpo alla socialità, giacché questa
massa di cui ci si vuol far credere che è
il sociale, è, al contrario, il luogo dell’implosione del sociale. La massa è la sfera sempre più densa in cui
implode tutto il sociale, e si distrugge in un processo di simulazione
ininterrotto. Di qui lo specchio concavo: le masse saranno tentate di
affluire proprio vedendo la massa all’interno. Metodo tipico del marketing: tutta l’ideologia della
trasparenza trova qui il suo significato. […] Beaubourg è così, per la prima
volta, a livello della cultura, quel che è l’ipermercato a livello della merce:
l’operatore circolare perfetto, la
dimostrazione di qualsiasi cosa (la merce, la cultura, la folla, l’aria
compressa) attraverso la sua circolazione
accelerata.”[1] [i].
Che si sia in un’epoca
di “transizione” è un’osservazione che han fatto in tanti, credo però che ben pochi si aspettassero una
“transizione” tanto lunga, più di cent’anni ormai; il che lascia una sola
deduzione possibile: non si può
“uscire” dal mondo moderno, dal quale nessuna “transizione” è possibile: non è
accaduto in cent’anni e possono passarne anche mille o diecimila: non accadrà
mai, semplicemente ci vuole un mondo nuovo, ma l’anarchia e il disordine sostanziali non possono passare da soli,
di qui una “transizione senza fine”.
In realtà, tu dal “Chaos” non puoi uscire se non con un
principio d’ordine, che non potrà mai nascere dallo stesso “mondo del caos”:
questa semplicissima verità (2+2=4) è incomprensibile, semplicemente per i
moderni, il che ci aiuta nel dare una definizione della modernità: la modernità
è quel tempo in cui capire che l’ordine non possa nascere dal piano stesso in
cui si attua il disordine, pare impossibile; in altre parole: i moderni non possono accettare che l’ordine
“trascenda” il piano che deve, appunto, “ordinare”, cioè costruire secondo
delle priorità. Per favore, non si
mal intenda la Cina e la sua
cultura, avvicinandole alla cultura occidentale perché non vi sarebbe
“trascendenza”: la realtà vera è che in Cina ogni cosa nasce “in re”, “nella” cosa, mai dall’esterno, ma il Cosmo stesso vi
ha conservato aspetti di sacralità
che, in Occidente, si eran persi, per vari motivi. Il “sacro” è nella Natura,
per quanto disceso a livello di “estetica”, che ha valenza quasi “sacra”, come
la pittura che, in quel contesto culturale, può sfiorare il “divino” ed è una
“via”, non a caso. Questa sopravvivenza del sacro nella Natura nell’estetica
conta fra le grandi intuizioni di Marius Schneider.
Le società che
succederanno alla nostra non potranno mai essere fondate su idee moderne,
questo è certo, e volerle perpetuare – le cosiddette “idee” moderne – non fa
che allungare il tempo del caos, tempo allungabile ad libitum, come suol dirsi.
L’emersione della forza sovrana
dell’epoca moderna è l’emersione della potenza delle folle. Questo è rimasto vero dalla fine del
XIX secolo ad oggi, nessun dubbio al riguardo: che la potenza
delle folle sinora rimane quella dominante, e l’attuale voga delle votazioni
online e del “chiedere l’opinione” del “pubblico”, che oggi è “il popolo” cosiddetto, non fa che confermare e
portare agli estremi una tale tendenza, ma che c’è da un bel po’ di tempo, in
realtà.
Chi oggi, sano di
mente, metterebbe il discussione il “potere” e il “diritto” delle folle?, certo
che si vuol manipolare tale “potere”, ma prima cosa lo si riconosce, e lo si
riconosce come diritto “assoluto”, sciolto, cioè, da qualsiasi necessità di
auto giustificazione; solo che il diritto basato sulle masse non è “divino”, punto molto ma molto importante, dimenticato dalle
“destre” più o meno estreme, ma di certo nazionalistiche, che si basano
letteralmente sulla natura supposta “divina” della cosiddetta “volontà” – cioè
opinione, cioè “doxa” – delle
folle, vale a dire delle masse. Qui vi è l’errore, gravissimo (ed imperdonabile) di J. Evola: il credere – credenza fu – di poter appoggiarsi sulle
folle, di “destra”, perché le “maggioranza silenziose” lo sono di natura[2],
per puntellare quel che rimane del mondo “tradizionale”, cioè per creder di puntellarlo, in realtà minandolo in modo ancor più profondo di quanto la modernità possa aver fatto:
infatti, che le folle siano “divine” è cosa totalmente
super inaccettabile dal punto di vista davvero
“tradizionale”, il che non vuol
dire si debba sognare impossibili “ritorni”, ma nemmeno mescolarsi per seguire
l’ ubbia e la nebbia dell’ “azione” ad ogni costo.
Hitler, che di
manipolazione di folle pare se n’intendeva un po’, diceva sempre che più sono
eterogenee, meglio è, perché sono più “massa”, cioè “folla”, in altre parole si
formava un’ “anima collettiva temporanea”, per dirla con G. Le Bon[3].
Due miei commenti. Come prima cosa, il libro di
Le Bon sulla psicologia delle folle fu pubblicato nel lontano 1895: son passati ben cento quattordici lunghi
anni, e ciò che si diceva in quel tempo – che, cioè, il “vecchio” stava
scendendo e il nuovo non ancora sorgendo – ha prodotto questo “nuovo” che sorge?
Oppure l’ eclisse ha continuato a prodursi, senza che nessun nuovo Sole sorgesse? La seconda
che ho detto …
Una lunghissima eclisse
…
Questo aiuta a misurare
la lunghezza di questa “transizione
senza fine”.
Altro che asteroidi!
Molto meglio un
asteroide[4]!
Purtroppo, non ce la caveremo con “un
taglio e via”, ma è una lenta marcescenza del mondo. Davvero un tremendum judicium divinum. Il mondo di oggi manco è degno di un
asteroide, manco è degno della “punizione” divina, che, alla fin fine,
manifesta – anche – una dimensione
di amore, seppur nascosta. Basta chiuderli in loro stessi
e si auto distruggono, che poi è il “segreto” della “fine dell’Occidente”,
probabilmente solo in parte compreso anche da chi dice – sinora solo dice – di opporglisi, poiché finora
solo la Cina ha effettivamente messo in crisi l’Occidente, e solo in parte la
Russia della sua ritrovata potenza; se attaccheranno visibilmente gli ridaranno
forza, una forza mortuaria e mummificata, ma una forza: invece se continueranno
nella strategia del “contenimento” dell’Occidente, lo sconfiggeranno, e sarà
per sempre[5],
poiché l’Europa, per esempio, è un continente morto[6].
Seconda osservazione:
rimane verissimo, dal 1895, che l’unica cosa che non ha fatto che crescere, da
quel tempo in poi, è stata l’importanza delle folle, della massa, nella
società. Lo vedi oggi con le folle “virtuali”, canalizzate temporaneamente su ed in
canali digitali, sempre “liquidi” e mutevoli e passeggeri, ma sempre
rinnovantisi, per formare la performante ondivaga “opinione pubblica”, il vero
“sovrano” – perennemente ubriaco –
del “nostro” tempo. E cioè la “manipolabilità totale” a livello sociale.
La folla si
suggestiona, si manipola perché manipolabile per sua natura, perché labile per sua natura.
Non vi è un “potere
‘cattivo’” e le “buone masse”, ma la dimensione di massa è manipolabilità, perché labilità, e
l’abilità di chi manipola è quella di lasciarle “libere” in un “campo” di
suggestioni, di messaggi – evidenti e/o
subliminali – che le dirigerà, non con modalità cosiddette “razionali” – e qui
giù a risate al riguardo delle risibili
illusioni settecentesche “illuministiche” –, ma con modalità “di massa”.
Se tu, cosiddetta “sinistra”, rispondi alla’auto assunzione di forza da parte delle
destre “populiste” con il riciclare il passato progetto “illuministico”, non
hai capito niente. Devi opporre un qualcosa che dia uno spazio politico e
dunque azione politica. Oggi è ben più facile che ai tempi del vero fascismo,
perché le destrucole di oggi sono tutte parodistiche: il cosiddetto “popolo”
contro le cosiddette “élite”. Non vi è alcun popolo, non vi è alcuna élite. Vi
son solo simulacri di popolo e simulacri di élite. Quindi una sinistra dovrebbe
proporre il mero simulacro, anche parodistico, di un qualche mito, di una
qualche riassunzione di centralità di uno scopo effettivamente politico, e non
succube della cosiddetta “buona gestione”, per poter ricrearsi uno spazio,
chiaramente solo virtuale, sempre ineffettuale,
perché la politica in se stessa è morta, è passata. Non vi è più alcun
“panottico” possibile oggi, come s’è detto. Lo spazio politico premoderno esisteva,
ma era limitato, non pretendeva di “tutto vedere”, a 360° – il “panottico”,
appunto – come ha voluto fare il moderno, senza riuscirci se non
episodicamente, ma evocando forze che non è in grado di controllare.
Di tutto ciò, di queste
passate illusioni illuministiche, il “politico” è la versione sbadata,
indebolita.
Quando i flussi
massificati, ormai digitalizzati, scorrono ad una tale velocità, la decisione
stessa della “politica” diventa un simulacro. “Sovrano è colui che decide nello
stato di eccezione”, diceva Schmitt. Ma se tutto
diventa stato di “eccezione” o “eccezionalità”? Chi mai deciderà? Nessuno. Nessuno. Nessuno.
Rimangono quelle
“agenzie”, quelle lobby, secluse dall’ex corpo sociale – ormai mero simulacro –,
che si auto affermano ed auto “decidono”, ma la separazione è la loro bandiera, quindi
la decisione che operano non è mai
“sociale” – far capir questo ai complott®isti è impossibile, del tutto
impossibile –, per cui non è né mai sarà una decisione “politica”; deduzione:
non vi è sovrano.
Deduzione due: non vi è
sovranità, ma solo auto
referenzialità: A = A. Tu sei la
decisione, tu sei la base della sovranità, il “popolo” – = il “pubblico”, in
realtà – è la sovranità, e la
“base” – intoccabile, non
questionabile – della sovranità del pubblico, della “dòxa”, è … “il pubblico”, la “doxa” …!!
Qui viene il fantasma
del “fascismo”, perché davvero, oggi: “Uno spettro si aggira per l’Europa”[7],
ma non è quello del “comunismo” –
quest’enorme gigantesco
spaventapasseri, la cui scomparsa ci consente di vedere la veramente immonda ipocrisia dell’Occidente moderno (e
sottolineo Occidente moderno,
quello premoderno non era così
ipocrita), perché questo è l’oggi, l’ipocrisia dell’Occidente – ma, invece, è
quello del fascismo, sempre come spettro però, quel termine molto
particolare che usarono Marx ed Engels nel loro famoso libretto, termine del
quale s’è detto in un passato post, seppur di sfuggita, fra delle altre affermazioni.
Viene in mente
spontaneamente l’affermazione di Marx ne Il
18 Brumaio di Luigi Napoleone, secondo il quale le cose si ripetono due
volte, prima come tragedia e poi come farsa.
Siamo di fronte alla farsa del
fascismo.
Ma tutto ciò non toglie che il significato del
fenomeno che sta dietro al fascismo, e non
la sua forma storica – per l’appunto siamo di fronte alla parodia del fascismo e del nazionalismo
– si stia ripetendo, in forma parodica,
appunto. Perché tutto ciò, ci si può chiedere. Veniamo alla risposta di
Baudrillard, che qui c’interessa.
“Il fascismo stesso, il
mistero della sua comparsa e della sua energia collettiva, di cui nessuna
interpretazione è venuta a capo (né marxista, con la sua manipolazione politica
da parte delle classi dominanti, né quella reichiana, con la sua rimozione
sessuale ella masse, né la deleuziana, con la paranoia dispotica), può esser
inteso come rilancio irrazionale dei referenti mitici e politici [esatto], intensificazione folle del
valore collettivo (il sangue, la razza, il popolo ecc.) [ancor più esatto]; riapparizione della morte,
di una ‘estetica politica della morte’ in un momento in cui la disillusione del
valore e dei valori collettivi [suona familiare?
… la disillusione per il liberalismo?, e su questo Putin ha semplicemente
ragione; comunque, ah ah], di
secolarizzazione razionale e di unidimensionalizzazione di tutta la vita si fa
già fortemente sentire in Occidente [ed oggi tal processo domina assolutamente
incontrato da decenni!]. Ancora
una volta, va bene tutto pur di sfuggire a questa catastrofe del valore [“va
bene tutto”, esatto, questo c’è dietro ai vari movimenti sovranisti che, però,
prendono il potere nell’Europicina dell’est e nell’italietta, cioè – guarda
caso, ma guarda, che caso! – dove l’aspetto “grande borghese” tanto apprezzato
da Cacciari (ne convengo, è superiore, ma non lo si può generare a piacimento) latita e prevale il “sentiment” piccolo borghese, invece: la storia non ammette il “caso”, senza, per questo, essere
“deterministica” in senso “marxiano”], a questa neutralizzazione e
pacificazione della vita. Il fascismo è una resistenza profonda, irrazionale,
folle, poco importa; non avrebbe trascinato quest’energia di massa se non fosse
stato una resistenza a qualcosa di ancora peggiore. La sua crudeltà, il suo
terrore è proporzionale a questo altro
terrore dovuto alla confusione del reale e del razionale, che ha messo
radici più profonde in Occidente e di fronte a cui il primo costituiva una
risposta. Ogni altra ipotesi è moralistica, lenitiva e profondamente
reazionaria, perché torna a deplorare
il fascismo [e cos’è che si fa oggi?, si “deplora”, ma non si spiega proprio niente] senza volerne capire niente”[8].
Queste frasi possono
aiutare a capir meglio il presente, ciò di cui si nutrono i Salvini, le Le Pen, gli Orbán,
i Trump, i Farage … Putin! Si tratta comunque di reclamare uno “spazio”
politico in nome di valori passati, di solito di “grandezza” – vera o presunta,
per l’Italia: presunta – nazionale,
per opporsi ad una omologazione. Non ce la fanno, perché di fronte hanno la
simulazione, che non capiscono neanche lontanamente cosa sia (forse, tranne
Putin!), per questo tanto più son impotenti, tanto più sostituiscono con la
propaganda e l’azione “virtuale” sui social. Ma rimane che, detto con zero, se
non sottozero simpatia per costoro da parte mia, si deve pur spiegare questi
fenomeni. Oggi abbiamo la versione parodistica
della rivendicazione che il fascismo era, rivendicazione di uno spazio politico d’azione, perché gli spazi sono
virtuali, non realmente “politici”. Ma la “domanda”, dietro, la domanda da
parte delle maggioranze silenziose, rimane. Inoltre, dall’altro alto, da parte
del fantasma della sinistra, si ha
zero spazio di azione, zero rivendicazione di uno spazio d’azione politica, nemmeno “virtuale”: per questo la “sinistra” non funziona. Se,
però, accetta lo spazio, solo virtuale oggi, ecco che comincia un po’ a
risalire la china. Ma che strano …
Ma ritorniamo alla
contemporaneità.
E al discorso sulle
masse, sulle folle e sulla loro centralità.
Tutto è “opinione” oggi,
cioè doxa. Si conclude, così, la radicale “doxacrazia” dell’Occidente moderno.
E quest’ultima
aggettivazione è, di nuovo, decisiva,
ma non “s’intostino” i falsi “anti moderni” delle destre
“plebiscitarie”, e cosiddette “populiste”, perché nel mondo “tradizionale” quel
ch’era impossibile era proprio la
“doxacrazia”, cioè il potere dell’opinione; sottinteso: “pubblica”. Quindi quel
cosiddetto “ritorno” di cui blaterano è una totale
incomprensione del mondo cosiddetto “tradizionale”.
Quel che oggi stiamo
esperendo è non solo – dal 2011 – la fine dell’ordinamento del mondo come
uscito dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ma la fine dello stato specificamente “moderno”. E’ la “fine del panottico”[9],
dove, appunto, lo stato moderno è nato
dal panoptikon, e a partire da esso:
il “panottico” è stata la metafora – e sin dall’inizio – del “sogno/delirio” di
controllo che lo stato moderno, in definitiva, è. Anzi: è stato.
La “fine del
panottico”, dunque, segnala la fine
dello stato moderno.
Andrea A.
Ianniello
[1]
J. Baudrillard, Simulacri e impostura: bestie, Beaubourg,
apparenze e altro ancora, Cappelli editore, Bologna 1980, pp. 23-24. Nel
saggio finale aggiunto, il suo autore F. di Paola parlava delle varie
recensioni su Baudrillard su riviste di “sinistra”, fra cui “Rinascita” (n. 16,
aprile ‘79), e dei malintesi che avevano provocato, per dedurne come il modello
cui faceva riferimento Baudrillard era incompatibile con quello, pur legittimo,
di una “sinistra”, in quel tempo, “in
ricerca”, ricerca poi abortita e
sostituita dal cedimento al modello
dominante. Nella serie di osservazioni – che, però, han senso solamente storico,
oggi – vi è una nota su Cacciari, che rimane con degli aspetti interessanti: “Si
ha qui presente l’esemplare ‘svolta’, in senso ‘impolitico’, dell’ultimo
Cacciari, polemico contro ‘i pazzi per lo stato’ (L’impolitico nietzchiano, in Il
libro del filosofo, Roma, Savelli, 1978), infelice per i ‘tre compiti
impossibili’ (governare, educare, curare) (Dialettica
e critica del Politico, Milano, Feltrinelli, 1978 [effettivamente questi
due citati son tra i suoi scritti migliori, prima di una ulteriore svolta]),
preso dalla ‘disperata coscienza’ sigismundiana della ‘Vanitas del Politico’ (Intransitabili utopie, in H. von Hofmannstahl, La
torre, Milano, Adelphi, 1978 [questa “Vanitas”, pur vera, non è poi mai
stata davvero fatta propria da Cacciari a causa del suo senso del “tragico”,
sta tutto qui]). Tutto questo strazio, proprio perché espresso dalla più lucida
delle intelligenze para-partitiche italiane, è esemplare almeno di tre
circostanze: 1) il sostanziale fallimento dell’ipotesi […] dell’epoca di Krisis (quella per cui, per intendersi,
il Lenin grande politico polemica a vanvera con Mach aveva ragione perché aveva
torto [libro importante anch’esso, attraversato da quest’ impossibile ipotesi, ma interessante lo stesso; ah, su questo
“aveva ragione perché aveva torto”, Cacciari … aveva ragione! (che gioco di
specchi di rimandi e di ragioni e torti!)]); […] 3) la costitutiva incapacità di
concepire il ‘tragico’ contemporaneo se non in senso ‘Grande-borghese’
(‘weberiano’, ‘rathenaueriano’, ecc.), vale a dire caricaturalmente rétro, e involontariamente probante
quanto parodistico sia tale ‘tragico’
(come già Nietzsche seppe vedere, e Musil, con la sua deliziosa caricatura di
Arnheim-Rathenau) [sul fatto che questa incapacità, che è perdurata, di capire
cosa sia il “tragico” contemporaneo, ben diverso da quello “Grande-borghese”,
sia alla radice dei suoi errori non
certo di analisi, ma di azione politica: il “tragico” contemporaneo è quello
della decadenza minima non percepita come
decadenza, non è quello “Grande-borghese”, un “tragico” che nasce(va) dalla
macerazione per la fine della civiltà borghese e dei suoi ideali, fine percepita come tale; la cosa che non
condivido di F. di Paola è, invece, il denotare il tragico “Grande-borghese” come parodistico, quando invece
parodistico è il “tragico” contemporaneo]”,
ivi, p. 178, corsivi in originale,
miei commenti fra parentesi quadre. Il punto 3) è decisivo, e merita che vi si
soffermi “suso” un “pauco”. Qui è la causa per la quale Cacciari ha “svoltato”
tante volte, senza però mai esser stato ascoltato davvero: lui fondamentalmente
è un “grande borghese”; significativa la simpatia per Jünger, che non era
episodica o casuale, perché anche Jünger era una grande borghese. Questa categoria mentale (che non è un mero
“censo” ma una mentalità), quella di un M. Weber, per esempio, ha molta più
cittadinanza in Germania che in Italia, checché ne dicano gli italiani, colmi
di pregiudizi sulla Germania per lo meno altrettanto quanto i tedeschi lo sono
per l’Italia. L’Italia è fondamentalmente un paese piccolo borghese, per mentalità più che per “censo”. Di
conseguenza, quel senso del “tragico” che Cacciari ha indiscutibilmente, non
può appartenere all’Italia, e difatti non le appartiene: l’Italia è più
tragicomica, e il fascismo, non a caso, è in realtà tragico e parodistico in se
stesso. Dice: ma in Germania c’è stato di peggio. Verissimo, a questo rispondo
su due piani. Come prima cosa, la Germania è nota per portare tutto
all’eccesso, la “moderazione” e la “forma” fan parte più dell’Italia che della
Germania, che si spinge sempre ad eccessi riprovevoli. Come seconda
osservazione, mica è per caso che Jünger, che pure veniva da degli ambienti
affini a quelli dei nazisti, alla fine non ha mai appoggiato il regime, che poi
criticò in certi suoi romanzi. Ma perché, ci si può chiedere, quando proveniva
da una radice simile. La risposta è questa: che Jünger era un grande borghese, mentre il nazismo, come
movimento di massa, era un movimento di piccoli
borghesi, un movimento delle maggioranza silenziose. Ecco il perché.
La natura grande
borghese di Jünger la si evince da certe sue posizioni, cf.
Interessantissima
poi la parte relativa all’etnologia e a Ramses II, dove si parla della crisi
dell’etnologia – C. Castaneda, per esempio, che si è fatto prendere da quel
mondo che avrebbe dovuto solo studiare dall’ esterno, cf. ivi, p. 55 – e la
mummia di Ramses II accolta a Parigi con gli onori di un capo di stato vivente: cf. ivi, pp. 56-57.
Discuterne approfonditamente ci porterebbe lontano,
ma si tratta di un tema molto interessante; comunque su Ramses II cf.
[2]
Cf.
[3]
Cf. G. Le Bon, La psicologia
delle folle, Mondadori editore, Milano 1980,
pp. 24-25.
[4] Cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2018/08/in-attesa-di-peste-terremoti-eccetera.html. E certo che ci son pesti e
terremoti, è davvero il minimo, ma non è il punctum dolens. Quest’ultimo è la crisi – esiziale – di un modello,
che tende (quest’ultimo) a perpetuarsi
ad libitum, e cioè, di conseguenza, a
negare la sua crisi, dunque ad accrescerla inevitabilmente, per la semplice
ragione che la forza negativa non trova degli ostacoli al suo espandersi.
Quest’ultima, inoltre, stimola una falsa reazione, reazione che si sviluppa
nella direzione della forza
negativa, quindi accrescendo la forza negativa. Tutta una “reazione a catena”,
il cui esito è che si arriverà ad un momento in cui “i popoli europei e nordamericani non avranno maggior influenza di un
pugno di nomadi”, quei pochi nomadi che rimangon oggi. Ecco come si giunge ai
cosiddetti “popoli primitivi” che, spesse volte, non son altro che residui di popoli un tempo fiorenti. Ma
ci si scava sempre da soli la fossa …
[5]
Cf.
[7]
Marx-Engels, Manifesto del partito comunista, Edizione a cura della Sezione
centrale stampe e propaganda per la campagna del proselitismo al PCI 1973, p. 9. Oggi una completa rarità bibliografica.
[8]
J. Baudrillard, Simulacri e impostura, cit., p. 13,
corsivi in originale, miei commenti fra parentesi quadre.
[9]
J. Baudrillard, Simulacri e impostura, cit., p. 76 e
sgg., corsivi in originale.
[i]
Che cos’è la “circolarità” di cui parla Baudrillard: “Nell’interpretazione
psicanalitica stessa, il ‘potere’ di colui che interpreta non gli deriva da
nessuna istanza esterna, ma dall’interpretato stesso. Questo cambia tutto, dal
momento che ai detentori tradizionali del potere si può sempre chiedere da dove
lo detengano [ecco detta, in poche parole, la differenza – vera – fra Traditio e
modernità, cosa che le destre “tradizionaliste” non comprendono quando dicono
di andare verso il popolo, che, nella modernità, è il detentore della
sovranità, anzi sono i più fermi in tal senso, cioè nell’andare “verso” il
popolo che è detentore, assoluto veramente, della sovranità: sono i più moderni,
in assoluto; di qui tutte le loro viete, sgradevoli, stantie polemiche sul fatto
che i corpi intermedi, essenza della borghesia, della “grande” borghesia,
avrebbero esautorato il cosiddetto “popolo”]. Chi l’ha fatto duca? Il re. Chi
l’ha fatto re? Dio. Solo Dio non risponde più. Ma alla domanda: chi l’ha fatto
psicanalista, ha buon gioco rispondere: Tu. […] Impossibile ormai porre la
famosa domanda: ‘Da dove parla?’ – ‘Da dove sa?’ – ‘Da dove detiene il suo
potere?’, senza sentirsi immediatamente rispondere: ‘Ma è da lei (a partire da lei) che parlo’ – sottinteso, è lei che parla,
è lei che sa, è lei che ha il potere [con i social e la democrazia virtuale
questa tendenza si è molto
ingrandita rispetto ai tempi nei quali scriveva Baudrillard]. Gigantesca
circonvoluzione […] che equivale a un ricatto senza uscita, a una dissuasione senz’appello
del soggetto”, ivi, pp. 94-95,
corsivi in originale, miei commenti fra parentesi quadre.