venerdì 20 agosto 2021

16 agosto 2021. La “tomba degli imperi”, l’ **Afghanistan**

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La strategia supera la tattica. Il finale costituisce una parte tipicamente strategica della partita. Naturalmente si danno anche elementi tattici […], ma […] la visione globale, gioca qui un ruolo particolarmente importante”.

L. PACHMAN, Apertura, mediogioco e finale nella moderna partita a scacchi, Mursia editore, Milano 1981, p. .286, corsivi in originale.

 

 

La forza è la levatrice della storia.

Lenin”.

R. CAVENDISH, I poteri del maligno nella magia, nella religione e nella tradizione popolare, Edizioni Mediterranee, Roma  1990. p. 103, corsivi in originale.

 

 

Bazlen […] fu deluso. La parte del programma di Adelphi che meno lo convinceva era quella dei Saggi, che si limitavano per lo più a rimuginazioni anglosassoni e si limitavano a rimettere in ordine quello che il primo Novecento aveva scardinato. Son passati sessant’anni da allora e la sensazione si ripete e si conferma. Le University Press americane, che pure avrebbero tutti i mezzi per sperimentare, continuano a restringersi in un recinto sociopolitico, spesso ammorbante. Eppure il mondo è molto più vasto”.

R. CALASSO, Bobi, Adelphi Edizioni, Milano 2021, pp. 78-79, corsivi miei.   Confermo la “sensazione”, dopo ben sessant’anni!, e la cosa è gravissima; ma, in linea generale, proprio il campo della “saggistica” e quello accademico non riescono  a venir fuori  dal “recinto sociopolitico” di cui parla qui Calasso.

 

 

«Ivrea, nevica, e siamo dopo la fine del mondo»”.

Ivi, p. 45, frase di Bazlen, corsivi in originale. [NB]

 

 

Governare vuol dire dare segni attendibili di credibilità”.

J. BAUDRILLARD, L’America, Feltrinelli Editore, Milano 1988, p. 88, corsivi miei. E se i segni sono inattendibili? O sono l’ “inattendibilità” in persona?

 

 

Un giorno gli Stati Uniti si ritrovarono a essere un impero.

ma non sapevano che cos’è un impero.

credettero che fossero la più grande fra le corporations”.

R. CALASSO,  La Rovina di Kasch, Adelphi Edizioni, Milano 1983, p. 393. [PS]

 

 

Gli dèi accecano coloro che vogliono perdere”. (*)

 

 

A cosa serve un katana affilato ben equilibrato, oppure un metodo complesso e tecnicamente elaborato di usarlo in combattimento, se il bujin – e in particolare il bushi che doveva ogni giorno esser pronto ad affrontare la morte – non avesse creato anche una piattaforma interiore, stabile, di controllo mentale dalla quale agire o reagire secondo le circostanze di uno scontro? La relazione tra questa condizione di stabilità mentale – che permetteva all’esperto di bujutsu di valutare una situazione rapidamente e freddamente, decidendo nel contempo l’azione migliore da intraprendere – e un’esecuzione coerente e potente di tale decisione era stata percepita chiaramente da quasi tutti gli istruttori nipponici delle arti marziali. I sensei più noti, infatti, insegnavano che nessun metodo, quali che fossero i suoi meriti apparenti, aveva un valore reale, se non contribuiva a sviluppare il carattere di un uomo in modo da renderlo padrone della sua arma e quindi davvero potente nell’usarla. Questi insegnanti cercavano continuamente nuovi modi per inculcare ai loro discepoli una mentalità particolare, sempre calma ed equilibrata, che assicurasse quella chiarezza potenziata di percezione da loro considerata l’unica vera base per decisioni appropriate”, O. RATTI – A. WESTBROOK, I segreti dei Samurai, Edizioni Mediterranee, Roma 2007, p. 398, corsivi in originale, grassetti miei.

Non serve a niente! Come la capitolazione di Kabul del 16 agosto 2021 dimostra, perché di capitolazione trattasi. Ottenuta con l’inganno, e: la guerra è, nella sua più profonda natura, inganno. (**)

 

 

Oltre a cercare di combattere solo guerre giuste, l’uomo moderno possiede una predilezione per le guerre circoscritte. Le preferisce perché gli danno un falso senso di sicurezza: combattendo solo battaglie insignificanti, rischia solamente sconfitte insignificanti. In realtà, la guerra circoscritta è una vera e propria contraddizione in termini. […] La guerra non è un evento sportivo e non potrà mai essere vinta cercando di combatterla come se fosse uno sport. […] La storia è piena di esempi di questa verità fondamentale. La fase europea della Seconda Guerra Mondiale venne vinta con un bombardamento interrotto del complesso industriale tedesco. La fase pacifica della stessa guerra venne vinta con un attacco sottomarino senza restrizioni alla flotta giapponese, una strategia che fino a qualche anno prima era stata considerata inumana e immorale. Per il rovescio della medaglia, prendiamo in considerazione la Corea e il Vietnam. L’Occidente perse entrambi i conflitti imponendo restrizioni alle proprie truppe. Un ottimo esempio di kokoro è l Guerra dei Sei Giorni avvenuta in Medio Oriente; qualunque guerra che duri meno di una settimana è […] il risultato di un comando illuminato. L’uomo civile detesta affermazioni del genere. E’ più incline a dire: «Meglio una sconfitta onorevole che una vittoria disonorevole». E’ pura follia. Se non avete in animo di vincere, non dovreste proprio mettervi a combattere [precisamente quel che ha fatto “l’America” in Afghanistan]. Le guerre non vengono vinte dagli uomini migliori, ma dai più cattivi. La battaglia è […] un’avventura gloriosa per gli storici che fanno parte della squadra vincente. Per coloro che son direttamente coinvolti, è un’esperienza cruenta e dolorosa. Tuttavia, a volte non è possibile evitare la battaglia. L’unica soluzione razionale [ma non in Occidente, il “razionale” Occidente si dimostra del tutto irrazionale, come gli accade sovente, su questo – come anche su altri – tema] è di affrontarla nel modo più rapido e risoluto possibile, e portarla a termine con il minor numero di danni possibili. Ma di che rapidità stiamo parlando? Per quanto riguarda i combattimenti individuali, bisognerebbe pensare in termini di secondi. Per quanto riguarda le nazioni, in termini di giorni. Se un combattimento dura più d’un minuto tra singoli individui, o più d’una settimana tra due eserciti, significa che è condotto in maniera sbagliata [ora ognuno può fare le sue valutazioni]”.

F. LOVRET, La via della strategia. I segreti dei guerrieri giapponesi, Edizioni Mediterranee, Roma 2009, pp. 81-82, corsivi miei, mie osservazioni fra parentesi quadre.

 

 

“— 30 aprile 1975: Saigon capitola dinanzi ai comunisti nord vietnamiti”.

P. LEVENDA, Satana e la svastica. Nazismo, società segrete e occultismo, Mondadori Milano 2005, Oscar Mondadori 2014, p. 237.

 

 

«C’è sempre stato bisogno di spiriti forti perché simili ammonimenti non venissero accettati a priori, e in questo senso la frase di Mao “La bomba atomica è una tigre di carta” rientra tra le poche frasi geniali della nostra epoca. Avrebbe potuto pronunciarla Lao-Tse».

E. Jünger, Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza, Multhipla Edizioni, Milano 1983, p. 71, corsivi in originale.

 

 

Ci si può riparare dagli schizzi, ma non dalla lava e dalla cenere, se il Cracatoa [sic] entra in eruzione”.

Ivi, p. 174, corsivi miei

 

 

Incapave di agire – ma non per difetto, bensì per eccesso. Icapace di generare, impedito non impotenza, ma da una vitalità impetuosa. Qui lo scolio è vicino, e il pericolo di naufragare grande [questa è la situazione dell’America, che si riflette nei suoi enormi mezzi, eccessivi, però in mano a dei nanetti politici]. Bisogna afferrare questa contraddizione […]. Questa contraddizione ritorna nella storia, ed è tipica delle svolte in cui i titanismo si ripete. Così per l’alba del lavoratore [riferimento all’omonimo libro di Jünger]. Minacciosa è soprattutto la propria potenza”.

Ivi, p. 189, corsivi miei, miei commenti fra parentesi quadre.

 

 

[…] L’imperialismo usa non è stato ancora rovesciato e per di più ha la bomba atomica. Ma son certo che finirà come gli altri. E’ anch’esso una tigre di carta. […] (18 novembre 1957)

[…] Sono gli stessi Americani, e nessun altro, ad aver fatto questi ceppi, e sono loro che se li sono messi al collo, porgendo l’estremità della corda al popolo cinese, ai popoli dei paesi arabi […]. […] (8 settembre 1958)”.

Mao Tse-tung, Citazioni. Il «libretto rosso», Tascabili Economici Newton Compton, Roma 1994, p. 32, corsivi miei.

 

 

E’ mia opinione che la situazione mondiale sia giunta ad una nuova scolta. Vi son oggi al mondo due venti, il Vento dell’Est e il Vento dell’Ovest. Esiste un detto cinese: «O il Vento dell’Est prevale sul Vento dell’Ovest, o il Vento dell’Ovest prevale sul Vento dell’Est». A mio avviso, la caratteristica della situazione attuale è che il Vento dell’Est prevale sul Vento dell’Ovest. Questo significa che le forze del socialismo  hanno raggiunto una schiacciante superiorità sulle forze dell’imperialismo [notare come si parli d’ “imperialismo” e non di capitalismo, già questo era una spia; altra osservazione: l’errore di Mao era credere che sarebbe stato il socialismo a scatenare la “seconda fase” dell’ascesa dell’Asia sulla scena mondiale, quando invece era l’esatto contrario, l’opposto – cosa che fu capita, per esempio, da Deng Xiapoing – e cioè, grazie all’America! (che, di nuovo, non ha mancato di dare alla Cina il cappio!), ed ecco la mia critica, storica, verso tutta la fase posteriore al “glorioso” ‘89 ed al ‘91, fase che ha fatto sì che le frontiere all’est fossero sguarnite: così la pensavo, ma è stato inutile dirlo, tuttavia interessante: sedersi e vedere gli stessi veri gruppi al comando (non i politicanti) di allora che oggi non sanno che pesci pigliare, divertente; in realtà, gli rimane una sola carta: la digitalizzazione spinta, ma essa intacca il principio di rappresentanza – la “democrazia” – sempre di più, la svuota di senso, ed ecco di conseguenza tutte le “proteste”, i “no qualcosa”; ci si ricordi: i finali di partita, nel gioco degli scacchi, son dove la necessità vince di gran lunga la libertà: hai sempre meno chance e il cammino è sempre più stretto: nei finali di partita la strategia supera la tattica …]”.

Ivi, p. 33, corsivi miei, miei commenti fra parentesi quadre.

 

 

 

 

A me – non come ideologia eh, che i due paesi son spesso contrari –, come modalità, quanto recentissimamente accaduto in Afghanistan ricorda molto la Rivoluzione iraniana: l’esercito che non interviene (nel caso afghano è peggio: sparisce), poi l’ “America” che dimostra “l’impotenza della grande potenza”, e ricorda pure Carter 1979, quindi una svolta dentro l’America che fu svolta profonda. La famosa questione degli ostaggi dell’ambasciata americana di Teheràn, ed è probabile che gli stessi talebani useranno il ricatto della possibilità di far uscire ondate di profughi sempre sullo style di quell’evento, ovviamente mutatis mutandis. Il che porrà l’ “Occidente indecente” (espressione non mia ma presa da una “canciòn” di F. Battiato, scomparso proprio quest’anno) di nuovo, ancora, sotto pressione, con lo scopo di far andare avanti “populisti” e gente simile: vi è una “regia comune” in tutti questi movimenti apparentemente disparati e differenti. Questa detta non è una cosa impossibile … Si tratta di ciò che chiamo – da tanti e tanti anni, dai vecchi scritti dei primi anni Duemila (***) – il “movimento a tenaglia”, cioè due forze (apparentemente – apparentemente – differenti se non opposte) convergenti verso uno stesso punto.  

MA CONTINUIAMO.

Se comunque una cosiddetta “grande potenza” dimostra (nei fatti), e a tutti, di non essere più tale, allora entra nell’instabilità più pericolosa; è stata come una seconda versione delle “Torri Gemelle”, e tale ormai “ex grande potenza” è dunque pronta per subire cambiamenti decisivi, non necessariamente in senso restrittivo.

Il ricatto per mezzo dei profughi rimane una possibilità reale: vedremo come andrà, ma non può escludersi, mentre il “paese” Afghanistan – che non è mai e poi mai stato uno “stato” – ricade in una guerra civile, cioè in ciò in cui è stato per tanto tempo, in effetti. Il grandissimo fallimento dell’ “Occidente” è stato non quello di costruire uno stato “democratico” liberale – una chimera il volerlo fare – ma è stato quello di non riuscire, non poter riuscire, per ragioni strutturali, uno stato tout court. Perché questo è stato in Afghanistan: il fallimento nel costruire uno stato, come ch’esso sia. Il che conferma il giudizio dato da Hobsbawm nel 1999, e da me riportato in u post precedente.

Venendo al punto, vediamo cosa – davvero, e sul campo – hanno vinto gli USA dopo la Seconda Guerra Mondiale, nella quale diamo per accettato e scontato che siano stati bravi: lo riconosciamo. Però andiamo un po’ oltre, vediamo l’intero quadro, diamo un’occhiata non solo all’albero, ma invece a tutta la foresta, non poco intricata.

Dunque 1) la Corea: una patta, con una Cina inguaiatissima, che usciva da una guerra civile lunga e sanguinosa, un esercito pezzente: secondo me fu il vero capolavoro di Mao ben più della Lunga Marcia, perché tutto gioco di strategia, tutto a tavolino; mezzi: proprio disastrosi, mentre l’America aveva il meglio che allora c’era come armamenti ed anche, almeno in parte, come addestramento;

2) Vietnam: sconfitta, sconfitta contro gente che non aveva un granché, ma una sconfitta dell’America costruita tutta con tattiche, tutta con soluzioni temporanee pratiche; mezzi da parte loro, dei Vietcong, pur con aiuto russo: non un granché;

3) guerra dell’Iraq, una patta con semi-sconfitta, contro genti spesse volte impresentabili, ma davvero malissimo equipaggiate, oltre che scarsamente addestrate;

4) contro Putin nel 2014: patta e semi-sconfitta, e Putin è scarso stratega ma buon tattico: tutte tattiche (soprattutto di propaganda, dove poi l’intelligence russa avrebbe sfruttato i gruppi “no qualcosa” che, causa la crisi della rappresentanza nelle democrazie liberali occidentali, son tantissimi), tutte trovate, anche solo temporanee, per “alleggerire” il carico e tirare avanti, poi si vedrà (ah, solo gli americani potevano sorprendersi che i russi, dopo la fine del comunismo, sarebbero tornati a fare una “politica di potenza”, la solita illusione americana inguaribile);

5) Afghanistan 2021, sconfitta contro un esercito, sì, rimpinguato dal Qàtar, ed anche da altri, ovviamente, ma che rimane **molto** al di sotto dell’America: non c’è paragone tra i due: altra gente impresentabile o almeno “scarsa” non poco. Non sarebbe proprio il caso di chiedersi se non si stia facendo qualche “errorino” di fondo, alla radice, cioè un errore di sostanza? E non da ieri ma da tanto ma tanto ma tanto ma tanto tempo? No oh! Ma perché? La “perfezione” sulla Terra, “l’utopia ‘realizzata’” (così “l’America” si pensa e si concepisce, secondo Baudrillard, per cui, per lui, era una “società primitiva moderna”, contraddizione in termini, ma così la vedeva) non si chiede mai: perché? Di nuovo: “gli dei accecano coloro che vogliono perdere” …

Continuiamo a discutere dell’errore di fondo: gli americani – gli occidentali in particolare, ma gli americani ancor più – si concentrano sui mezzi, e tendono a trascurare, o valutar meno, “l’elemento umano”, dimenticando che “Le armi sono l’accessorio della contesa”, Introduzione di R. Padoan a Sun-tzu, L’arte della guerra, SugarCo Edizioni, Milano 1980, p. 40. Quel che Mao diceva non era che i mezzi non contassero: son importanti, ma che, pur avendo i migliori mezzi al mondo, se si trascura l’elemento umano, ci si scava la sconfitta da soli. Da soli. Ecco la lezione che “l’America” non riesce ad apprendere. Mai. Fa sempre gli stessi errori, che son di fondo, di sostanza: non è colpa dell’esercito americano, la colpa è della dirigenza, dei politicanti americani (ulteriormente peggiorati una volta che il comando è passato dai “resti” del vecchio patriziato del New England agli homines novi che tanto “novi” non sono, ma di bassa lega, “democratici” o “repubblicani” poco conta: è la bassa qualità il problema), politicanti che scelgono degli obiettivi o impossibili o chimerici, e trascurano gli obiettivi realistici, e, poi, seguono – ma non sono i soli  – l’abituale svalutazione dell’elemento umano a favore di quello tecnico, cioè un errore caratteristico dell’Occidente. Il “tecnottismismo” che acceca, lo chiamo. Il “tecnottimismo” non è altro se non il succedaneo della credenza nel “progresso”, e cioè la superstizione ottusa secondo la quale, se hai mezzi sempre migliori, questo stesso fatto si trasformerebbe in un “miglioramento” dell’umanità: tutto, ma proprio tutto, ci ha dimostrato – “al di là di ogni ragionevole dubbio”, come dicono i telefilm … americani! – che ciò non è vero. E, nel campo militare, tu vedi questo fatto in modo immediato, direi quasi “plastico”, per cui tu puoi avere i mezzi migliori ma, se non hai “l’elemento umano” giusto, i mezzi migliori saranno usati nel modo peggiore. E “l’America” sta qui a ricordarcelo, ad ogni pie’ sospinto.

I più aggiornati mezzi tecnici non bastano. Mai.  

In ogni caso nessun esercito, per quanto valido, potrà mai raggiungere un obiettivo assurdo, chimerico, sostanzialmente irrealistico, fondamentalmente solo ideologico. E’ la vecchia “dottrina Monroe” del cosiddetto “‘eccezionalismo’ americano” che agisce come un emolliente, un fumo che gli annebbia il cervello. E tutto trasforma in una guerra civile: “Insomma, il progresso e la stessa nozione di Occidente (esiti unilaterali dell’ordine moderno [definitivamente in crisi, assieme all’istituto della rappresentanza, insieme alla “democrazia ‘liberale’”, cerchiamo di capir bene i fenomeni non nel solo loro “apparire” (phàinomai)]) comportano una uniformizzazione del globo, una obliterazione delle differenze e della loro percezione ‘politica’, che costituiscono […] una deformazione irreversibile dello Jus Publicum Europaeum. Occidente è, infatti, nell’analisi di Schmitt, un concetto prima difensivo e poi offensivo, ma mai ordinativo [ecco perché il predominio dell’Occidente non ha mai costituito una base di solidità: il difetto è alla radice del problema], elaborato in chiave antistatuale [e siamo al secondo punto decisivo: ecco perché il neoliberismo antistatuale ha costituito la punta di diamante, il frutto maturo – oggi ormai sfatto – di tale corrente culturale corrosiva] ed antieuropea [altro punto che si tende a dimenticare: in origine la dottrina era contro l’Europa, serviva a “marcare” la differenza tra le due sponde dell’Atlantico; poi, quando in Europa le “idee americane” hanno prevalso le cose sono cambiate, ma in origine così era] in primo luogo dagli Stati Uniti (dottrina di Monroe, 1823) e tale da trasformare ogni guerra in una guerra civile mondiale [altro punto decisivo], in un’opposizione assoluta [questo è il punto vero] fra ‘nuovo’ (la libertà occidentale) e ‘vecchio’ (le potenze non liberali), cioè in un’uniformità disordinata [quel che abbiamo visto e che sempre più si è generato nel mondo, sempre più uniformizzato ma non per questo più ordinato, anzi, è vero il contrario; ora, un’opposizione così rigida non riesce a “rendere ragione” delle “differenze” che, nonostante tutto il processo di uniformizzazione in atto da tempo, resistono “sul campo”]”, Introduzione di C. Galli a E. Jünger – C. Schmitt, Il nodo di Gordio. Dialogo su Oriente e Occidente nella storia del mondo, Il Mulino, Bologna 1987, p. 18, corsivi in originale, grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre.

Questa “nozione stessa di ‘Occidente’” è quella ch’è definitivamente andata in crisi a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, ma, soprattutto, in seguito al fenomeno – iniziato con la battaglia di Tsushima (del maggio del 1905) – dell’ “ascesa dell’Asia” nel corso del XX secolo: è questo il fenomeno – profondo – che ha minato tale “ordine” occidentale. La “democrazia” – liberale – non è in grado di rispondere alla sfida, non solo per ragioni strutturali, ma pure perché sta in crisi sempre di più il principio della “rappresentanza” (se sta in crisi un principio, è crisi strutturale, non affrontabile con mere operazioni di maquillage o col voto, meccanismo votante che sta in crisi, dunque non può risolvere la sua stessa crisi!, dunque le modifiche delle leggi elettorali, da sole, sono largamente insufficienti alla bisogna), messo in crisi – e qui sta il bello – dallo sviluppo tecnologico che pure, in una certa fase, ha di certo favorito la diffusione della “democrazia”. Solo che quella fase ormai da tempo appartiene al passato.

Che ciò che aveva dato il potere alle “democrazie liberali” nel mondo – la tecnica – oltre un certo momento del suo sviluppo, mettesse in crisi quello stesso fenomeno cui aveva dato potere nella fase precedente, è cosa incomprensibile per i “pazzi per la democrazia” che son succeduti ai “pazzi per lo stato” di marca “hegeliana” – qualche residuo se ne può vedere ancor oggi –, quei “pazzi per lo stato” che tanto Nietzsche criticava. Ma quest’indebolimento tecnologico della democrazia, dopo che la tecnica stessa l’ha rafforzata, è un fenomeno storico, analogo a quello che fece sviluppare le democrazie liberali – la “libertà occidentale” – in altra epoca, dando loro il comando nel mondo.

Tutto ciò non è più sufficiente, oggi.

Vi è bisogno di altro. L’ascesa dell’Asia – non l’Africa e nemmeno l’ “Islamismo come tale” – ha raggiunto il suo scopo, ciò che, in altri tempi, ho chiamato “il judo storico”, cioè come rivolgere al tuo nemico la sua stessa forza!

Personalmente ho sempre creduto all’ascesa dell’Asia … Il riferimento al Giappone è fondamentale, in tal discorso: era l’unico paese, assieme alla Cina, a non esser stato conquistato dagli occidentali, con la differenza che non stava nella grave crisi della Cina che, pur essendo indipendente in senso formale, di fatto era sfruttata. Quindi solo da lì poteva nascere l’ascesa dell’Asia.

Il Giappone lo fece in nome del nazionalismo, vero, verissimo, e della modernizzazione (ma una modernizzazione aggressivamente anti occidentale), tutto ciò è vero, e tuttavia, nonostante questo, diede l’inizio a un qualcosa che, poi, sarebbe passato in Cina, poi in Indocina, infine, buona ultima, in India; per finire: il mondo islamico, e qui l’aspetto anti occidentale si è rafforzato in un modo non più “indiretto”, bensì direttamente aggressivo. L’ideologia giapponese nella Seconda Guerra Mondiale, per l’appunto, era proprio quella che il Giappone doveva liberare tutta l’Asia, che il Giappone  dava l’inizio alla liberazione dell’Asia, ma sotto dominio nipponico: qui era l’errore. Ma le cose prendono la loro piega nonostante le intenzioni di chi agisce, così presto quel movimento, che iniziò con la guerra russo-giapponese del principio del XX secolo sarebbe proseguito anche grazie alla Rivoluzione d’Ottobre, ciò al di là delle intenzioni dichiarate da chi “produsse” quella stessa rivoluzione. …

E il mondo islamico? Segue, da buon ultimo, come s’è detto (dopo la Rivoluzione iraniana, per la precisione), questa via “ibrida” (come già illo tempore teorizzarono Reischauer e Fairbanks per l’Asia orientale) che, però, pone in crisi la modernità dell’ultimo periodo, dominata dalla “libertà occidentale”. In questo l’ascesa dell’Asia è stata decisiva, ed  iniziata nel Giappone della metà del sec. XIX, passava poi in Cina, anche per mezzo delle società segrete, ad alcune delle quali, sempre illo tempore, Mao si appellava per la sua rivoluzione. Ma di ciò già s’è detto qui e lì altrove.

Qui si pone il problema del retroterra culturale orientale, che sta dietro questi rivolgimenti (e qui hanno sbagliato sia i “filorientali”, fissati con “l’Oriente intemerato e puro” che non è l’Oriente storico, sia gli “evolomani” e i “difensori dell’Occidente”, fissati con “l’Oriente cattivo”, nessuno dei due ha avuto ragione ed ambedue li ho sempre criticati), dove il punto nodale sta in questo: l’Oriente accetta la tecnica (ecco il “nodo”, cattivi ultimi vi son giunti i “talebani”), ma rivolge la sua forza contro quegli stessi che han dato inizio al sommovimento. E, per una serie di motivi convergenti, questo fatto mette in crisi l’Occidente e la famosa “libertà occidentale”. Il tutto sfocia in un “altro stato del mondo”, perché il “judo storico” ha dei limiti, “altro stato del mondo” nel quale, in realtà, non vince né l’Occidente né l’Oriente. Solo che, senza “l’ascesa dell’Asia”, chissà quanto tempo ancora sarebbe durato “il dominio dell’Occidente”, cioè il “Regno della Quantità”; in tale occorrenza storica sta la “necessità” profonda dell’ “ascesa dell’Asia” nella storia del mondo.

In ogni caso, per tornare alle polemiche stupide fra “filorientali” ottusi ed altrettanto ottusi “difensori dell’occidente”, perché mai il sostrato culturale orientale doveva essere usato solo per la “spiritualità” e non giocato contro l’Occidente? Ecco un qualcosa che pochi capiscono. (****)

Gli occidentali non vedono il lungo processo dell’ascesa dell’Asia, cominciato all’inizio del XX secolo con la guerra russo-giapponese, perché si fissano sulle nazioni.

Un tal processo mica era detto dovesse esser “lineare”, e, difatti, non lo è stato affatto – cioè si è costruito per mezzo di azioni anche contrastanti (se non contraddittorie) far loro: un processo contraddittorio non vuol dire che non ritrovi un obiettivo comune, al di là delle differenze, delle lotte, delle contraddizioni nello specifico! 

Questo processo di ormai evidentissima crisi dell’Occidente ci porta, inevitabilmente, a porre un’altra domanda.

Cosa faranno, ci si dovrebbe, a questo punto, chiedere gli USA dopo una siffatta batosta, la cui durezza si accresce perché inaspettata (e si sa, come diceva l’ I-Ching [“Yijing”] che le disgrazie improvvise fanno molto più male)? L’ ex “impero” americano – ma è dubbio sia mai stato, davvero, un “impero”, perché più affine a Cartagine che alla Repubblica Romana (intendo antica eh) cui pure ama tanto apparentarsi –, sempre più in crisi, vedrà inevitabilmente nella crescente, inarrestabile digitalizzazione la via per mantenersi e rallentare il declino, comunque inevitabile, qualunque cosa facciano: per il condannato a morte – che ormai ha fiutato che sarà sacrificato sull’altare insanguinato della storia, anche se non necessariamente in modo sanguinoso, magari solo in modo soft … – la dilazione della condanna è come una seconda vita, una seconda chance. Tuttavia, proprio la digitalizzazione accresce la crisi della rappresentanza, dunque accresce la crisi del modello della democrazia liberale: di qui mille manifestazioni multiformi, ma uguali, di crisi e di scarsa coesione sociale, inarrestabili manifestazioni che, pure, non apportano alcun beneficio, e non sviluppano alcuna soluzione del problema che pur li ha generati. Quando non acuiscono la crisi: Trump et similia phenomena docent.

Un’altra osservazione: tra le concause dell’insipienza storica dell’America ci sta non la poca forza, ma l’eccesso di forza, con macchine così potenti da essere sostanzialmente difficilmente governabili. Lovret a tal proposito dice che nella guerra moderna spesso le armi sono troppo potenti per le capacità umane, per cui, già dopo sei mesi, il soldato medio perde capacità e la sua piena efficienza è circa sei mesi, appunto, poi andrebbe fatto avvicendare. 

 

 

 

 

Andrea A. Ianniello

 

 

 

 

 

 

(*) La forma precisa è: Quos vult Iupiter perdere dementat prius, o, nella forma cristiana: Quos Deus perdere vult, dementat prius. di G. Gentile, 1944, E, per paradosso, fu detta per sostenere Hitler e Mussolini nel loro proseguire nella guerra mondiale, sennonché ha preso il senso inverso! …

La storia, si sa, sa essere molto ironica …

 

 

 

(**) Cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2019/01/da-il-montaggio-13-punti-tratti-da-sun.html.

Davvero complimenti per l’operazione, che va ben oltre i “talebani” – non ne hanno le basi per poterla portare avanti (è stata un’operazione troppo raffinata per loro, l’unica differenza con l’epoca del mullah Omar è che hanno imparato a mentire) – e che va ben oltre le poche settimane nelle quali si è sviluppata: chi manipola i talebani ha dato prova di notevoli conoscenze poste sul campo: complimenti. Questo perché – come dico nel post appena citato, ma è una parafrasi da Sun-tzu [Sunzi, altra traslitterazione degli stessi suoni] – “l’inganno è l’essenza della guerra”. In altre parole: l’inganno **è** la “guerra”, non i “bang bang”, non le stragi, non le fucilazioni o le deportazioni di civili, non la rabbia, non le armi, soprattutto **non** le armi. La guerra **è** inganno. “Inizia come vergine timorosa, termina come tigre furente”. Il nemico ti vuole “lì” e tu sei “là”. Fa’ l’opposto di ciò che il nemico vuole tu faccia o si attende tu faccia. Sorprendilo. Menti verso di lui. Menti su di te, su chi sei, su ciò che vuoi fare, sui tuoi obiettivi non solo sui tuoi mezzi. Sconvolgi le sue convinzioni, attacca dove non se lo aspetta o quando non se lo aspetta; ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc., tutte cose dimenticate dagli occidentali nella inguarbile deriva digitalizzate “tecnottimista” nella quale sono da tempo.

Dice: ma pure gli occidentali, quando dicono che vogliono “esportare la ‘democrazia’” – come una merce qualsiasi, c’è di che ridere … –, mentono. Sì, ma inconsapevolmente: non sanno perché mentono. Dicono quel che dicono, la narrazione, ma in fondo quel che interessa loro è “business as usual”. No, devi mentire consapevolmente, ben sapendo che stai manipolando i tuoi avversari! Non mentire solo per nascondere, come Pulcinella, ciò che a tutti è chiaro ed evidente, cioè che fai i tuoi interessi: tutti fanno i loro interessi! Bisogna vedere come li fanno! Questo è il punto vero. Del resto, chi manipola gli occidentali sa bene perché mente, conosce con esattezza l’effetto che vuol generare per mezzo del suo mentire … 

 

Un altro link, cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2018/06/degli-stati-uniti-damerica-lex-unica.html,

Ricordiamo questo agli USA – aggiungendo che, tanto più cerchino di sfuggire alloro destino, tanto più vi cadono, con modalità (per loro, e **solo** per loro, “sorprendenti”) – cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2018/08/in-attesa-di-peste-terremoti-eccetera.html.

 

Ricordiamoci anche di questo link, cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2018/09/segnalazione-4.html.

 

 

 

(***) Cf.

https://www.lulu.com/en/en/shop/andrea-a-ianniello/firfis-volume-i-2003-ad-digital-edition/hardcover/product-k6jzjq.html

 

 

 

(****) “A Roma, chiunque arrivi non è un turista, ma un pellegrino. Fra i quali occorre contare i non pochi expatriates che passarono a Roma subito dopo la guerra, anni di potenziale felicità e di sicura  facilità […]. La città esigeva solo un po’ di dollari […]. Il mare era vicino […]. La cucina era mediterranea e non aveva bisogno di definirsi tale. Erano tutti osservati e accettati, ma sempre con ironia, perché considerati esseri incompleti […]. Civis Romanus sum è un sentimento che poi si espanse nella cattolicità, ma non fondandosi più sulle armi. Bastava un sorriso di sbieco o quella riduzione alla crudezza  di qualsiasi cosa, che finì per compiersi nei versi di Giuseppe Gioachino Belli. Bazlen non era turista né pellegrino. Se andava in cerca di qualcosa, era più a Oriente, quella parte della terra su cui meno lo spirito romano era riuscito ad esercitare il suo potere militare e, alla fine, il suo dissolvente sarcasmo. E di quell’Oriente […] non si capiva bene dove cominciava o finiva. Era piuttosto il luogo di chi si fosse sbarazzato del desiderio di fissarsi in una meta, come invece vogliono tutti i pellegrini”, R. CALASSO, Bobi, cit., pp. 24-25, corsivi in originale, grassetti miei. Appunto la differenza tra l’Oriente storico, concreto, reale, con quello in senso superiore: sta tutto qui. Il primo non coincide con il secondo (e questo è vero), ma non è neppur vero – come vogliono gli idealizzatori “filorientali” – che i due siano del tutto separati: si corrispondono ma non coincidono.

 

 

 

 

[NB] Questo passo dal libro di Calasso, qui su citato, è molto ma molto importante, perché ci porta direttamente al presente, ed è fondamentale oggi capir bene questo punto specifico. “Una casa editrice è fatta di , ma ancor più di no. E questi no possono venire da molto vicino, da qualcuno che può assimilarsi a noi stessi, se lo sguardo non sa riconoscere le piccole discrepanza fatali. Bazlen lo sapeva più di chiunque altro abbia incontrato. E’ questo che si condensava in una frase delle sue : «Il nemico peggiore è il nemico che ha i nostri argomenti». Insidia che si manifesta ovunque […]. Erano anni in cui si parlava ossessivamente della massa (ancor più di oggi). E una parte del libro di Bettelheim – quella che Bazlen deprecava – era una sorta di manuale per discostarsi dall’orribile massa. Già questo, con la sua ostentazione di buoni sentimenti, irritava Bazlen: «Perché dico che la reazione contro la massa è una banalità [la “banalità del bene”]? Perché lo è diventata. Che i primi che hanno capito il pericolo della massa e che per denunciarlo hanno trovato le prima parole, che erano loro, e le hanno dette con un tono loro […], non sono stati banali, è ovvio. Ma quelle parole si sono logorate, e oggi sono sulla bocca di un gregge antigregge [ecco la “vulgata” pseudo contro il cosiddetto “mainstream” con la pseudo idea di “essere diversi perché si ripetono «certe» cose”, cioè: un gregge antigregge, sempre gregge però] che reagisce cotor il mondo prefabbricato con reazioni prefabbricate [precisamente il punto], nel nostro caso con una terminologia prefabbricata che mi sembra più pericolosa di quella della massa [e così queste cose prefabbricate di oggi sono più pericolose del cosiddetto “mainstream”, che già chiamarlo “mainstream” è una cosa prefabbricata …]. il pericolo per noi non è più la massa, con la quale non abbiamo nulla in comune; il pericolo è la massa antimassa [come oggi i “complottardi” e i “no qualcosa” e i “ci vogliono nascondere” ecc. ecc. ecc. ecc., la “massa antimassa”] […] I Bettelheim sono una massa che ha capito i pericoli della massa. Usano parole che erano giuste nella bocca di qualche sngolo èparole che si dattano perfettamente al nostro caso …], ma che nelle troppe bocche dei troppi Bettelheim sono diventate parole di massa [questo è “il” punto, peraltro non percepibile dalla “massa antimassa”: in definitiva, sono massa!]»”, R. CALASSO, Bobi, cit., pp. 69-7o, corsivi in originale, mie osservazioni fra parentesi quadre. Questo fenoeno cominciò a manifestarsi sulal questione dell’Euro, dove anch’io ero contrario, ma non per le stesse ragioni dei “no Euro”, ecco perché misi quei vecchi scritti, su tal tema, in questo blog. Oggi son gli “apparentemente simili” il vero punto.

 

Altra interessante osservazione: “Bazlen [,,,] mi parlò di due scrittori di cui a malapena conoscevo il nome, […]: René Daumal e Roger Gilbet-Lecomte. […] Andavano in cerca di qualcos’altro – e l’avevano provato su se stessi […]: il Vedanta accostato a Spinoza, Guénon, lo stato di veglia. Se uno cercava una base di partenza, non c’era di meglio. Fu […] un brusco cambiamento di prospettiva. Guénon era già una mia ossessione (e così non può non essere, quando gli si avvicina [e qui è sempre stato un gran problema, l’aspetto “veritativo” che però ingenera una falsa sicumera da parte di chi legge, esempio preclaro: P. Nutrizio, mi ricordo un vecchio numero di “Rivista Studi Tradizionali” nella quale – manco a dirlo – polemizzava con chi parlava della biografia di Guénon, citando il detto dello stesso autore secondo il quale la biografia nulla ci dice della dottrina e “deducendone” che non si può parlare proprio della biografia di Guénon, deduzione abusiva dal detto che vuol dir esattamente quel che afferma, che la biografia nulla ci dice della dottrina, cioè dalla biografia noi non possiamo “dedurre” la dottrina, ma ciò non significa che la biografia valga zero, solo che non c’è corrispondenza diretta fra le due; e così via, mille precisazioni, puntini sopra tutte le vocali, poi cascano sull’essenziale, come nel post in cui sutegiavo il punto essenziale de Il Regno della Quantità, punto ancor oggi ben poco capito; che senso ha l’ossessione senza comprensione?, nessun senso, come la scarsa comprensione di tanti ammiratori, troppo spesso solo dei “filorientali” o dei “tradizionalisti”, sta lì a dimostrare (togliamoci quest’altro sassolino dalle scarpe, dopo l’altro della seconda citazione di Mao qui sopra, si sa, camminando per vie polverose, di sassolini se ne accumulan tanti …)]) e il Vedanta era prima epifania indiana che a poco a poco mi appariva. Ma quello che contava era anche la mescolanza: la Parigi di quegli anni”, ivi, pp. 19-20, mie osservazioni fra parentesi quadre. 

 

 

[PS] Ai “pazzi per la democrazia”, questa setta ormai venuta da tempo a predominare in “Occidente”, ma che ha qualche problema nel predominare sul mondo:  “Democrazia: estendere a tutti il privilegio dii accedere a cose che non sussistono più”, R. CALASSO, La Rovina di Kasch, cit., p. 394, corsivi miei.

L’inevitabile scelta politica che oggi si offre: esser governati dal denaro o dalla delazione? Oh, quanto più amabile e distratto il denaro …”, ibid., libro del 1983, ricordiamolo; ed effettivamente così era, cioè questa era l’ “inevitabile scelta” prima della “caduta” del “comunismo”, non oggi, perché oggi è un’altra la via: il denaro **è** delazione. Per ora poco ancora, ma lo sarà sempre di più … In altre parola: il “denaro” è sempre meno “amabile” e sempre meno … “distratto”, salvo venga distratto …! distrarlo è sempre più difficile, che esso si distragga allo stesso modo è sempre più difficile. 

 

 

 

 

 

 

9 commenti:

  1. “Incapave” qui sopra (all’inizio del terzo passo, qui su riportato, di Jünger) va sostituito con: incapace; lo stesso per “icapave”, che va sempre sostituito con: incapace.
    Non cambio che sennò mi costringe a cambiar tutto il post, questo nuovo sistema non è molto buono.





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  2. Sulla serie documentaria “Caccia a Hitler” (“Hunting Hitler”, **2017**), che stan trasmettendo su La7, prima era stata trasmessa sui quei canali di documentari e “robbe” de “natura”.
    Diciamo pure che dà qualche spuntino al riguardo della questione dei “Ratlines” e dei nazisti i Sud America, e studiata “illo tempore” da Levenda (citato qui su), in tal senso: qualche dato in più, qualche conferma, ma “nil sub sole novum”, trattasi di cosa già ben nota, in realtà.
    Ma veniamo al punto: stabilita l’esistenza di queste “Vie dei topi” (“Ratlines”), usate da tanti nazisti in fuga, con tante complicità, possiamo inferirne che Hitler, “lui même”, possa poi aver usato davvero una tale “via” e, come un topo, esser sgattaiolato via dal Bunker in fiamme a Berlino nel 1945? No, proprio no. Perché? A causa del precarissimo stato di salute di Hitler alla fine della sua vita, indipendentemente dal fatto se si sia suicidato o non. Per esempio, vi è quel filmato, tra gli ultimi, quando Hitler nel ‘45 dà la mano agli ultimi della Hitlerjugend, e il filmato trasmesso all’epoca in Germania non faceva vedere la mano di Hitler che tremava fortissimamente a causa del morbo di Parkinson. Poi ritrovato il documento, è stato visionato per intero, scoprendo così la gravità della malattia che lo affliggeva. Pertanto un malato così grave non poteva fuggire, e Hitler ben lo sapeva. Nondimeno ci sono tante prove. Ma dunque “**chi** è fuggito, allora? Uno dei sosia di Hitler (ne aveva più d’uno, quel cadavere che si vede spesso è di un sosia). Quell’individuo simile a Hitler che alcuni testimoni, soprattutto in Argentina, dichiarano di aver visto – e non c’è da dubitarne, non hanno visto allucinazioni – non è altri che il sosia di Hitler. Il perdurare dell’esistenza di Hitler aveva senso in vista del “Quarto Reich”. Come scriveva Dolcetta: “Il Quarto Reich: una resurrezione con molte connivenze”, M. DOLCETTA, “Gli spettri del Quarto Reich. Le trame occulte del nazismo dal 1945 a oggi”, Postfazione di G. Galli, Oscar Mondadori, Milano 2007, p. 193 e sgg. Qual era lo scopo di tal “Quarto Reich”? Non certo la riedizione del terzo!, come sognano i nostalgici e tanti fanatici. Ma **l’esser usat** nella grande trappola in cui siamo.
    Chi ha orecchie per intendere, in tenda …!


    PS Come sempre, per qualche chiarimento sui post occorre leggersi anche i commenti, posto che ve ne siano.

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  3. Qualcuno ha osservato giustamente la relazione tra la questione afghana, oggi, e le sette torri: sì, è così.



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    1. Se ne dovrebbe parlar seriamente, non nello “style” di quelli che “traggono” da tutto ciò la “deduzione” di supportare semplicemente un lato della tenaglia (chi ha orecchie per intendere, in tenda …) …
      Meglio tuttavia – per il momento – non dirne di più, attendendo qualche altra mossa, che non tarderà senz’alcun dubbio, dati i tempi che si vive.








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    2. Chi oggi non capisce le manovre a tenaglia, e si fa trascinare – quasi tracimando – in “prese di posizione” in base a quanto appare, gli piaccia o non gli piaccia, è destinato ad essere ingannato se non usato. Lo stato – pessimo – del campo comunicativo, così tremendamente influenzato e **per nulla** “libero”, ma governato da degli attori spesso non visibili, non lascia che quest’alternativa, attendendo che la situazione peggiori ulteriormente, nel senso di sempre maggiori restrizioni e sempre crescenti forzature a “prendere posizione” …
      Questo lo “status quæstionis” oggi …

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    3. Il coronavirus è stato solo l’ultima ciliegina sulla orta puzzolente della follia umana, in una situazione che si è andata ingarbugliando per decenni senza che**alcuno muovesse un sol dito** e qui pochi – pochissimi – che l’han fatto, l’hanno pagata, in proprio, e in modo improprio, proprio. E qualcuno se n’esce oggi con “spiritualità” del tutto malissimissimo intesa, qualcun altro reclama il “vodù” ed altri sogni ed illusioni prosperano.
      Intanto nulla cambia, e il treno senza conduttore della “Crisi del mondo moderno” va sempre peggio, intanto …

      Questa è la realtà, purtroppo.






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  4. Sulle sette torri - così malintese da taluni - cf.
    https://associazione-federicoii.blogspot.com/2021/08/30-anni-fa-post-cancellato-questanno.html






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  5. “Il loro ‘messia’” non è affatto colui con la cui guerra “si completa l’opera del potere totalitario”. Assolutamente **no**! Il “loro ‘messia’” è “colui che fa **saltare **il ‘potere totalitario’” … che non è affatto tale, cioè “totalitario” … Chi non capisce queste cose, si priva della chiave della situazione attuale. Quanto all’ “era del totalitarismo”, essa è trapassata. Ne rimangono tracce, sì, residui e rovine qua e là, ma – nella sua sostanza – è un’età passata. Ed anche chi non capisce questo, chi confonde l’età presenta con gli anni Trenta si priva d’una chiave per poter comprendere la situazione attuale.





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  6. Peraltro si osservi che, con il ritiro dall’Afghanistàn, le “forze occidentali” sono tutte **al di qua** della linea – invisibile – delle “sette torri” il cui attraversamento – secondo M. Dolcetta, nel suo filmato del 2005 “Le sette torri del diavolo: gnosi e terrorismo nei luoghi sacri”, “l’Unità” – ha provocato il trambusto. Vero si è che gli USA tentano di attaccare la “linea” prendendola dalla sua nuova “frontiera debole”, l’estremo est (che tocca l’Occidente, avrebbe detto Calasso …), e cioè la frizioni fra Cina continentale e Taiwan. Tuttavia, trattasi di strategia di **contenimento**, cioè che la Cina non esca dalla sua “sfera d’influenza”, e **non** di un’espansione: qualcosa è cambiato.
    Peraltro si continui ad osservar che sempre gli occidentali si ritirano dall’Asia – profonda – e non son ing rado, in alcun modo, di “mantenerla, persino la forma più “benevola” e “britannicamente” paternalistica del dominio inglese in India, il più longevo, alla fine ha portato al ritiro, e per ragioni strutturali occidentali molto più che dovute alle forze locali, che si limitano a resistere, ma in modo durissimo. Insomma, l’Occidente si mantiene storicamente e si prende il Sud – l’Africa (oggi sempre meno anche lì) – o le Americhe, dove s’insedia propriamente, ma dall’Asia sempre alla fine si ritira.

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