martedì 24 agosto 2021

30 anni fa [post cancellato, quest’anno son **trentun anni** fa …]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricordiamo questo passo, peraltro già riportato, ma in un’edizione posteriore. Quindi non sono cose ch’erano non conosciute, anzi …

Senza Commento

 

 

W. B. Seabrook, Aventures en Arabie (Gallimard, Paris)

Questo libro, al pari di quelli dello stesso autore che sono già stati tradotti (L’Ile magique e Les Secrets de la jungle), si differenzia in meglio dagli abituali «racconti di viaggio»; senza dubbio perché in questo caso si tratta di un personaggio che non porta appresso dappertutto certe idee preconcette, e, soprattutto, che non è per niente convinto che gli Occidentali siano superiori a tutti gli altri popoli. Certo, talvolta vi sono delle ingenuità, degli stupori singolari di fronte a cose molto semplici e molto elementari; ma anche questo ci sembra essere, tutto sommato, una garanzia di sincerità, in verità, il titolo è poco appropriato, poiché l’autore non è stato proprio in Arabia, ma solo nelle regioni situate a nord di essa, e per esaurire subito le critiche, diciamo anche che i termini arabi sono talvolta bizzarramente deformati, come da chi provasse a trascrivere approssimativamente i suoni che ascolta, senza preoccuparsi dell’ortografia, mentre alcun frasi citate sono tradotte in maniera piuttosto fantastica. Infine, abbiamo potuto notare, ancora una volta, un fatto curioso: nei libri occidentali destinati al «grande pubblico», la shahadah non è, per così dire, mai riprodotta esattamente; si tratta di un fatto puramente accidentale o non è piuttosto il caso di pensare che qualcosa si oppone a che essa possa essere pronunciata dalla massa dei lettori ostili o semplicemente indifferenti?

La prima parte, che è la più lunga, riguarda la vita dei Beduini ed è quasi interamente descrittiva, il che non vuol dire sia priva d’interesse; ma nelle seguenti vi è qualcosa di più. Una di esse, ove si parla dei Dervisci, contiene in particolare delle conversazioni con lo sheikh Mawlawi, ed il loro significato, senz’alcun dubbio, è stato riprodotto fedelmente: per dissipare l’incomprensione che l’autore manifesta nei confronti di certe turuq, questo sheikh gli spiega che «per giungere a Dio non vi è un’unica via stretta e diretta, ma un numero infinito di sentieri»; è un peccato che questi non abbia avuto l’occasione per fargli comprendere ance che il Sufismo non ha nulla in comune né col panteismo né con l’eterodossia … Per contro, è proprio di sette eterodosse, e della più enigmatiche, che egli parla nelle altre due parti del libro: i Drusi e gli Yezidi; e su entrambi vi son delle informazioni interessanti, senza peraltro alcuna pretese di far conoscere e di spiegare tutto. Per quanto riguarda i Drusi, vi è un punto che rimane particolarmente oscuro: il culto che hanno fama di rendere ad un «vitello d’oro» o ad una «testa di vitello»; si tratta di qualcosa che potrebbe dar luogo a moti accostamenti, dei quali l’autore sembra averne intravisto soltanto qualcuno; ma quantomeno egli ha capito che simbolismo non significa idolatria … Per quanto riguarda gli Yezidi, se ne potrà trarre un’idea discretamente diversa da quella che si ricavava dalla conferenza della quale abbiamo parlato ultimamente nelle nostre recensioni delle riviste (n ° di novembre): qui non si parla più del «Mazdeismo» e, almeno sotto questo profilo, è sicuramente più giusto; ma l’«adorazione del diavolo» potrebbe suscitare delle discussioni più difficili da risolvere, e la vera natura del Malak Tâwûs resta ancora un mistero. Quello che forse è più interessante, anche se all’insaputa dell’autore, che malgrado ciò che ha visto si rifiuta di credervi, è ciò che riguarda le «sette torri del diavolo», centri di proiezioni d’influenza sataniche nel mondo; che una di queste torri sia situata presso gli Yezidi non prova affatto che essi siano dei «satanisti», ma solamente che, come molte altre sette eterodosse, possono essere utilizzati per facilitare l’azione di forze ch’essi ignorano. A questo proposito,è significativo che i sacerdoti yezidi regolari si astengano dal compiere qualsiasi rito in questa torre, mentre alcuni tipi di maghi erranti vengano spesso a trascorrervi molti giorni; cosa rappresentano esattamente questi personaggi? In ogni caso, se la torre non è altro che il supporto tangibile e «localizzato» di uno dei centri della «contro-iniziazione» al quale presiedono gli awliyâ esh-Shaythân, non è affatto necessario che essa sia abitata permanentemente. Questi ultimi, tramite la costituzione di questi sette centri, pretendono di opporsi all’influenza dei sette Aqtâb o «Poli» terrestri, subordinati al «Polo» supremo, benché quest’opposizione non possa essere che illusoria, poiché il dominio spirituale è necessariamente precluso alla «contro-iniziazione»”, R. Guénon, Considerazioni sull’esoterismo islamico e sul taoismo – – La metafisica orientale, Arktos Oggero Editore, Carmagnola (TO) 1990, pp. 109-111 [nell’ediz. Adelphi p. 119 e sgg.], corsivi in originale. (*)

Un mondo fa.

Ma rimane vero quanto detto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Andrea A. Ianniello

 

 

 

 

(*) Lo scritto La metafisica orientale, in realtà, è l’ unica conferenza pubblica di Guénon, “tenuta alla Sorbona il 12 dicembre 1925”, ivi, p. 140, corsivo e grassetto miei.

 

 

 

 

 

 

 

Link originale (del post cancellato),

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2020/03/30-anni-fa.html

 

 

 

 

 

2 commenti:

  1. Come si è detto: poiché costringe a rifar tutto il post, ecco che le correzioni vanno poste nei Commenti, segnlando qui gli errori di battitura.








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