“IMMOBILIS IN MOBILI” **non** “IN MOBILI MOBILIS”
“Ogni cosa che ignori è una prova d’affrontare”.
E. C. AGRIPPA, Il Terzo Libro del Comando (“La Magia degli antichi”), Edizioni Mediterranee, Roma 2020, p. 17, corsivi e grassetti nell’originale. VERO, NON È VERO …?
Prima cosa, occorre dir qualcosa del testo che si va, qui di seguito, a citare. Seppur pieno d’informazioni, anche interessanti, il testo rimane però dentro una prospettiva profondamente SBAGLIATA, PROFONDAMENTE! Questo, però, non è affatto raro nei “nostri” tempi. Spesso capita di trovar testi, spesso anche ben fatti, anche ben scritti, con tante informazioni – e spesso utili – che, però, dal punto di vista interpretativo son fiacchi o semplicemente sbagliati: seguono interpretazioni errate.
“Che fare” in tal caso? Prenderne le informazioni utili, tralasciando le interpretazioni errate.
Poi occorre ribadire che ci sarebbe molto altro da dire, anche sul tema in questione: quello del “fenomeno” del – **cosiddetto** – “matrimonio con gli dèi” e delle “stirpi” nate dal “commercio” con i “dèmoni” (“dæmonialitas”) o con altre “creature ‘SOTTILI’”, delle “creature” NON necessariamente malefiche, “creature” di cui si sente parlare nel folklore di vari paesi. Ed anche Vallée ne trattò, tra l’altro, e (SIGNIFICATIVAMENTE) in relazione al “fenomeno” degli “UFO” (vi son dei post cancellati su Vallée, tuttavia qualcosa deve pur esser sopravvissuto). Ma veniamo al punto.
“Intanto i pellegrini continuavano ad affluire dal viale. C’era gente d’ogni tipo: ricchi e poveri, uomini con turbanti colorati e pugnale alla cintura, scuri abitanti del Sinjàr […] vestiti di bianco e con il moschetto a tracolla, donne con lunghe gonne fluttuanti e lunghe trecce, misere famiglie vestite di stracci. Si avvicinavano alla fontana, come fosse l’ultima tappa del loro pellegrinaggio prima della tomba del santo. Gli uomini deponevano il fucile prima di baciare la mano a Hussein Bey, allo sceicco Nasr e all’europeo dalla pelle bianca, trattato da tutti con il massimo rispetto [e COME MAI tal “massimo rispetto”? FORSE che “l’europeo” NON ERA LÌ “PER CASO”? …]. Quindi si avviavano verso un piccolo ruscello dove ognuno si lavava e lavava i propri indumenti sporchi, preparandosi ad entrare nel cortile interno. Intanto, si continuavano a sentire le salve di fucili che salutavano i nuovi arrivati nella valle.
Musica canti e danze riempivano l’aria, e, alla fine, Layard decise di ritirarsi sulla terrazza d’una casa vicina. Qui gli venne offerto da mangiare da sacerdoti fakir dai neri turbanti e da una delle moglie dello sceicco Nasr. Altri fakir ponevano delle lampade nelle nicchie del muro esterno della tomba, nel cortile [quello esterno], e in giro per la valle. Layard notò che yezidi passavano la mano destra sulla fiamma e poi strofinavano l’occhio sinistro con la fuliggine. Le donne facevano lo stesso con i bambini, o con chi non disponeva d’una lampada. Come nella religione dei Magi e degli zoroastriani [che sono diverse], il fuoco è sacro per gli yezidi. Al calar della sera tutta la valle brillava a d’una miriade di fiammelle. Ormai una folla […] – Layard ne stimò cinquemila – si muoveva per la valle. Molti portavano torce o lampade, illuminando ancor più gli alberi sparsi lungo le pendici. I sacerdoti cominciarono a raccogliersi nella corte interna [NB: corte interna!]. Accompagnato dal dolce suono dei flauti e dei tamburi, un lento canto corale si levava nella valle circostante. La cosa continuò per oltre un’ora, sempre uguale.
Ogni tanto i sacerdoti del cortile intonavano un canto contrastante e, gradatamente, la bizzarra cacofonia crebbe di ritmo e di volume, finché divenne una specie di soprannaturale muro sonoro, che sembrò rimanere librato immobile nell’aria. Nel crescendo di tono e di ritmo della musica, i kawwal abbandonavano gli strumenti e cominciavano e cominciavano a ruotare su sé stessi come in trance, invasati dall’estasi di quell’atmosfera estremamente carica, fino ad accasciarsi sfiniti al suolo.
A questo punto il momento cruciale del rituale si manifestò ai pochi eletti per la prima ed unica volta quel giorno. Nel cortile interno, lontano dagli occhi della massa, uno sceicco raccolse delicatamente un oggetto avvolto da un panno rosso, con un gesto che appariva di altissimo significato spirituale. Lentamente il sacerdote rimosse il panno, e alzò quanto vi si trovava sotto. La sua mano reggeva la strana statua d’un uccello, di rame o di ottone. Era posato su un alto trespolo, come un candeliere, fatto dello stesso metallo”, A. COLLINS, Gli ultimi dèi, Sperling&Kupfer, Milano 2000 (prima edizione: 1 9 9 7), p. 116, corsivi in originale, miei osservazioni fra parentesi quadre.
Si tratta – “l’oggetto” – del sanjaq, solitamente identificato con un pavone, ma, secondo alcuni, non sarebbe tale, bensì un gallo … Non entro nella discussione, come che sia trattasi di qualcosa che, mentre il resto del rito è pubblico, NON si vede se NON in poche, determinate occasioni.
“Un’idea che terrorizza gli yezidi è che, durante i primi sette giorni dopo la nascita, un neonato possa esser scambiato in maniera invisibile con un demone appartenente a una razza di esseri malvagi noti come Rashé Shebbé o Shevvé. Per questo motivo la madre deve rimanere a letto per questo pericoloso periodo iniziale. L’idea dei «figli delle fate» scambiati con bambini è ben nota nel folklore europeo. La base di queste strane paure sta evidentemente nel fatto che alcuni bambini nascono con tratti fisici identificati come tipici della razza dei «dèmoni» o dei «folletti», e li si crede quindi scambiati nella culla. In Medio Oriente, però, queste leggende non si riferiscono a piccoli esseri dispettosi come i folletti europei, ma ai djinn e ai Peri: la progenie di Eblìs, che prima della caduta era l’angelo Azazel. Ciò implicava che i bambini scambiati della tradizione yezidi mostrassero i caratteri dei Vigilanti; ciò riportava alle strane nascite di bambini come Noè, Rustam e Zal.
Sapendo questo, diventa chiaro che le donne yezidi temessero che i loro bambini sviluppassero caratteri affini a quelli dei djinn, e che adottassero delle precauzioni per impedirlo. Perché è così forte la paura dei bambini scambiati tra gli yezidi? La risposta può essere […] che un tempo tali figli «dèmoni» fossero comuni nelle famiglie kurde, cosa che suggerisce la possibilità, alquanto sconcertante, che si verificassero regressioni genetiche risalenti al momento in cui due tipologie etniche totalmente separata si sono unite generando una prole con caratteri di entrambi i genitori. Con il passar del tempo, […] la probabilità che i geni ereditari producessero caratteri molto specifici diminuiva, ma ogni tanto nella comunità poteva nascere un bambino gigante con i caratteri di un «demone». E questo veniva interpretato come una sostituzione effettuata nella culla dagli spiriti maligni. Erano questi, dunque, i «figli dei djinn».
Quest’idea poteva rappresentare un’ulteriore prova a sostegno della teoria che ci fossero state delle relazioni proibite tra l’ipotizzata cultura dei Vigilanti e le prime popolazioni indigene del Kurdistan [questa è, in soldoni, la teoria dell’autore che qui si riporta]. Ma era una prova affidabile? Quanto erano remote queste superstizioni [ovvio che per un moderno “sono solo superstizioni”, ovvio!]?
Tanta parte del folklore, dei miti e delle leggende kurde, così distorta, ingenua e confusa, rendeva difficile raggiungere una qualche certezza nell’interpretazione di questi racconti [in parte ciò è vero, è materiale molto confuso nel tempo]. Nonostante queste difficoltà si potevano individuare diversi elementi ricorrenti che sembravano riaffiorare continuamente: angeli, demoni, djinn, immortalità, serpenti, uccelli antropomorfi, sovranità, regalità e grandi cicli temporali [tranne gli “uccelli antropomorfi” ed i “grandi cicli temporali”, guarda caso!, TUTTI QUESTI TEMI fan parte, allo STESSO modo, del tenebroso “affaire” di Rennes le Chateau: ma guarda un po’ ma guarda …]. Assente nella letteratura yezidi e yaresan, però, era qualsiasi concreto accenno a un’ubicazione dell’Eden biblico tra le alture del Kurdistan [conditio sine qua non dell’ipotesi di Collins sulla “cultura” dei “Vigilanti”, che ha influenzato il popolo kurdo]. Forse gli yezidi e gli yaresan eran troppo vicini alla fonte del mistero per rendersi conto [e questo è invece molto probabile]”, ivi, p. 130, corsivi e grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre.[1]
Beh anche in Europa, ed in particolare in ambito celtico, non ci si riferisce solo a “piccoli esseri dispettosi” come i “folletti” ma, SPESSO, a ben altro! … Inoltre, la spiegazione che ne fornisce l’autore sa “molto di XX° secolo” … TROPPO! Tra l’altro, quella dei “Vigilanti” (quelli di Enoc) NON È affatto una “cultura” … Come si è detto, bisogna prender questi dati cum grano salis …
Vedendo il comportamento delle donne yezidì, ecco che diventa chiaro come quel culto sia un culto “esorcistico” e cioè inteso, in conseguenza di ciò, a propiziare una forza negativa (e torniamo a quel che ne diceva Guénon …).
Per finire le osservazioni: Collins traslittera “alla francese”, per cui hai “djinn” che, in realtà, non son altro che i jinn.
Altra notazione – dove questa questione s’inserisce (ma **NON** in modo diretto, quanto invece indiretto) con l’ “AFFAIRE” di Rennes-le-Chateau: “Nella preistorica Susa sarebbero stati gli aspetti caprini dei Vigilanti ad esser meglio conservati nelle arti visive, ma in altri luoghi del mondo antico sembrerebbe che fosse la loro connessione con l’avvoltoio a divenire la fonte più ricca per l’iconografia religiosa.
Nella tradizione yezidi e yaresan prendevano le vesti dell’Antico [NB], dell’Angelo Pavone e del Serpente nero [idem] Azhi Dahâka, o Sultan Sahâk [NB]. In Sumeria erano mitologizzati come uomini uccelli e divinità Serpente come Ningishzida, mentre altrove in Medio Oriente gli attributi di avvoltoio dei Vigilanti divennero il simbolo supremo della Grande Madre […].
Gli archeologi hanno continuamente dissepolto statuine stilizzate di divinità femminili del neolitico con caratteri ornitologici […]. Con il tempo le singole componenti degli sciamani avvoltoi si sarebbero separate divenendo simboli astratti e autonomi”, ivi, p. 176, corsivi e grassetti miei.
Tal sottocapitolo s’intitola, infatti, e significativamente: “Il culto della Grande Dea”, ibid., grassetti in originale.
Tout se tient, dicono “am fransè” …
Qualche nota estratta da tal testo può risultare anche interessante. Sono note finali del testo. Diamone i riferimenti, come numero di pagina e numero di nota, per chi avesse a disposizione in testo e volesse controllarle, perché son temi anche interessanti, ed inoltre andrebbero discussi, ma non v’è tempo, né l’occasione, di farlo; in ogni caso, eccone di seguito i riferimenti: cf., ivi, p. 257, nota n.20; cf., ivi, p. 259, note n.36, 7; cf., ivi, p. 258, note n.10, 16, 18, 20; cf., ivi, p. 260, nota n.2; cf., ivi, p. 261, n.17; cf., ivi, p. 263, n.28, 34, 35, 37; cf., ivi, p. 264, n.16, 19, 31; cf., ivi, p. 265, n.34, 45; cf., ivi, p. 266, n.46, 9, 14, 16, 26; cf., ivi, p. 267, n.16; cf., ivi, p. 268, n.24, 26; cf., ivi, p. 275, n.16; cf., ivi, p. 276, n.18; cf., ivi, p. 277, n.4; cf., ivi, p. 278, n.5, 18, 31; cf., ivi, p. 279, n.11, 17; cf., ivi, p. 280, n.39, 40, 42, 43; cf., ivi, p. 281, n.14, 19, 20, 21, 24.
Per NON finire … Pensiamo, però, un poco al fatto che “qualcosa”, NONOSTANTE tutto, è rimasto dai “tempi ‘prediluviani’”, poche leggende, qualche segno e qualche simbolo: TUTTO il resto È STATO DIMENTICATO – dunque di tante cose dell’oggi NULLA rimarrà come tale –; e, soprattutto, quel che poco che oggi rimane di QUEL PASSATO, permane oggi SENZA il suo necessario CONTESTO: in pratica, NON siamo in grado di comprenderne le VERE IMPLICAZIONI, per “QUEI” TEMPI, poiché vediamo tali “vestigia sparse” – inevitabilmente! – attraverso LE SPESSE lenti distorcenti dell’ OGGI. Tra le poche “cose” – simboli e SEGNI (signa) – rimasti, oltre a “La (Il) Grande Sfinge”, vi son i simboli del moto “precessionale”, simboli del “Grande Anno” cioè della “PRECESSIONE degli equinozi”, Grande Anno QUASI uguale, sia detto solo en passant, al “GRANDE ANNO delle PLEIADI”, stelle RICOLLEGATE tanto con la “FINE del cyclo” che con le tematiche affini. Questo simbolo è stato preservato nell’antico – ed ormai sparito – “culto di Mitra” come il “Padre dei Terrori”, ivi, p. 212, grassetto in originale. In realtà, tal nome si riferisce a “La (Il) Sfinge”. Su quest’ultima: “La forma greca di Hor-em-akhet, «Horus nell’orizzonte», è Harmakhis, il nome con cui la Sfinge era più comunemente nota in epoca classica; e questa palese connessione geomitica tra l’aurora equinoziale, il doppio orizzonte e la Grande Sfinge spiega forse perché la piana di Giza era chiamata un tempo Akhet Khufu, l’Orizzonte di Cheope.
Altri nomi della Sfinge erano hu, che vuol dire «il protettore»; Khepera, «Ra sotto forma di scarabeo», e […] Ruty, «Il Leonino», che è il feroce guardiano «dell’estremo nord degli inferi». Verso il 1200 un arabo famoso di nome el-Latîf affermava che il gran leone scolpito era noto alla sua gente come Abou’l Hôl, il «Padre dei terrori», forse una connessione con il suo ruolo di onnipotente protettore della piana di Giza”, ivi, p. 215, corsivi in originale, grassetti miei. No, NON È da vedersi “una connessione con il suo ruolo di onnipotente protettore della piana di Giza” … “Guardiano” sì, ma di “altro” … La chiave sta proprio sotto gli occhi dell’autore citato: è il “Kosmocrator”, ivi, p. 224, grassetto in originale.
Se andiamo, poi, a vedere nelle Tavole allegate al testo, ce ne si può render conto: la soluzione sta sotto gli occhi; difatti, la didascalia di una delle Tavole allegate – Tavola 20 per l’esattezza – recita: “Il Kosmokrator dalla testa di leone [IL “LEONINO”], responsabile del tempo cosmico nel culto romano di Mitra, identificato con lo spirito del male Ahriman, nella religione iranica dello zoroastrismo. La conoscenza di questa divinità risale per 11.500 anni [NB] ad un tempo in cui la costellazione del Leone governava il ciclo precessionale?”, corsivi in originale. Ora vediamo la figura della Tavola. Si tratta d’un angelo alato (in forma umana) – e con vari simboli sulle cosce –, ma con la testa di leone, avvolto dalle spire d’un serpente fino al petto. L’ultima Tavola in allegato fa vedere una figura della Rosslyn Chapel, sita in Scozia, che raffigura la STESSA figura umana con testa di leone, proprio con una serpe che lo avvolge nelle sue spire: uguale. Nella didascalia della Tavola in questione s’identifica tale “FIGURA” con il capo dei “Vigilanti” di Enoc …
Sia detto solo en passant: la relazione tra culto del dio Mitra ed i cicli precessionali è sostenuta da qualche studioso accademico, per esempio D. Ulansey, quindi NON È un problema l’ammetterlo.
Solo che, in quel culto, a tal fatto si conferiva un significato assai più vasto di quanto uno studioso moderno possa mai concepire o immaginare. Tutto qui. “IL” problema è – sempre – “IL” senso …
Dobbiamo fermarci qui: vi sarebbe molto da dirne in più, però non sarebbe inutile. In altre parole: “A buon intenditor …”
Andrea A. Ianniello
[1] Per quel che riguarda la relazione tra l’ affaire di Rennes-le-Château e l’ “immortalità” – “via” il GRAAL – cf. M. BIZZARRI – F. SCURRIA, Sulle tracce del Graal. Alla ricerca dell’immortalità. Il mistero di Rennes-le-Château, Edizioni Mediterranee, Roma 1996, in particolare laddove si parla del GRAAL, nel capitolo finale … Inoltre, che i “Vigilanti” siano i “portatori” dell’ “evoluzione umana” è il “PUNTO FERMO” della “discosofia”. A tal proposito, cf. J. ROBIN, UFO, la grande parodia, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1984, sul qual testo vi sarebbe di che dirne, ma non vi è tempo né credo l’occasione; unica osservazione: la Prefazione all’edizione italiana è – davvero – MOLTO ma *MOLTO* “datata”, con i suoi (tanti) “luoghi comuni” dei “tradizionalisti” che tanti punti non riescono non dico a capirli, ma semplicemente ad accettarli; poi vi è la classica pseudo alternativa dell’ “A.” come “un’entità” collettiva “O” un individuo: come noi sappiamo alla “O” va SOSTITUITA una “E” … Ma basta così, per ora. È sufficiente dir questo per avvertire chi è avvertito, non s’avverte chi non è già di suo avvertito, chiaro … Come suol dirsi: “CHI HA ORECCHIE PER …”
ADDENDUM 1
Su Guénon che parlò sugli Yezidì cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2024/10/reminder-22-30-anni-fa-ripubblicazione.html
ADDENDUM 2
Sulla “Grande Madre” – la “dea Madre” – vi era qui un post, poi cancellato, cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2021/07/inni-alla-dea-madre.html