domenica 4 settembre 2016

Altre immagini dell’epoca di Federico II, “I Normanni” (1994), ed altro (Colli, Cacciari “Metropolis”)



Terminiamo queste serie d’immagini relative a Federico II - non più sue dirette immagini, però - “et alia” (come si conviene a questo blog ...), immagini tratte da un Catalogo, I Normanni popolo d’Europa, del 1994, non scelto certo casualmente, ma per quel secondo titolo di “popolo d’Europa” ... 

A distanza di ben ventidue anni, si può fare un bilancio, di ciò che l’Europa non è potuta essere, non poteva. 
Di lì a poco, si stabiliva quellarea di cambio fisso detta “Euro” (criticato su questo blog, ma non dal punto di vista degli “oppositori” attuali, tant’è che si son postati scritti del 1998!!) e si dava la stura al ritorno dei vecchi nazionalismi, per la verità rinati dopo la fine dell’URSS, ma che solo dopo una serie di scelte volutamente indirizzate verso il disastro, poteva accrescersi senza posa fino ad oggi. Ebbene, riflettere sui Normanni “popolo d’Europa” dà di che pensare ... Tra le altre cose, i Normanni son quel popolo che ha, in modo particolare, diffuso lo style animalista delle “figure zoomorfe” delle cattedrali e dei chiostri, come tal Catalogo, fra degli altri indizi, comprova, quello style che Bernardo di Charavalle tanto criticava ... 

Ma sulla questione dell’Europa, temo avremo da ritornarci su ... 





I Normanni, popolo d’Europa, a cura di M. D’Onofrio, Marsilio, Venezia 1994 (Catalogo della Mostra dallo stesso titolo a Palazzo Venezia, Roma 28 gennaio-30 aprile 1994, promossa dal Centro Europeo di Studi Normanni (Ariano Irpino)), Copertina. 



Immagine da: F. Aceto, Verso la cultura artistica federiciana, in ivi, p. 332; sopra: Capua, Museo Archeologico Campano, capitello dalla porta federiciana, e, sotto, Foggia, archivolto del palazzo imperiale di Federico II

Immagine da ivi, p. 334; Castel del Monte (Andria), telamone del castello federiciano.



Immagine di copertina da: T. Mommsen, Storia di Roma, Armando Curcio Editore, Roma aprile 1961, vol. II, che in calce (diversamente dal I° vol., riporta queste parole: “Lo scrittore non deve cercare, con la sua storia, di abbagliare i lettori, amplificando le cose”, Polibio, corsivo in originale).


A. Gentile, La romanità dell’Agro campano alla luce dei suoi nomi locali. Tracce della centuriazione romana, Napoli 1975, Copertina da fotocopia, libro molto importante.



G. B. Pighi, La religione romana, ARQ - Ed. Victrix, Forlì 2004, Copertina (I Edizione, Torino 1967)[1].



[1] Interessante quest’osservazione, in relazione a tutte le località di nome “Staturano” et similia, dove Pighi dice: “Dopo i sacra iniziali, la storia religiosa del regno di Romolo si riduce all’istituzione di una sagra, i Consualia, nel cui fondo s’intravede un dio del raccolto riposto, Consus; […] e al voto di due templi a Giove, Feretrio e Statore. […] Statore è il dio che magicamente ferma e immobilizza il nemico, per mezzo del Rex” (ivi, p. 38, corsivi in originale). Dunque, quella di Pighi, è un’interpretazione differente da quella di Giove “che fissa i limiti” (Stator), che, tuttavia, potrebbe comunque mantenere quest’antico suo significato - perpetuato dal Giove etrusco, Tinia o Tin (donde la “tigna” come malattia, secondo alcuni) - fuori dall’influsso romano. Tinia è colui che “illo tempore” stabilì i confini tra i campi coltivati, secondo il mito etrusco. Il confine era sacro, e non poteva esser impunemente violato. Con uso probabilmente più tardo, si segnava con la “porchia”, stretto confine tra i campi, probabilmente in tempi preromani suggellato con il sacrificio di una scrofa.






Immagine di Roberto d’Angiò, in G. D’Agostino, Re, Viceré, rivolte. Profili e vicende di storia napoletana, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli dicembre 1993, libro dagli spunti a volte molto interessanti, ovviamente per chi ha interesse per questi temi molto di nicchia. 



G. Colli, Scritti su Nietzsche, Adelphi Edizioni, Milano 1980, Copertina. 



M. Cacciari, Metropolis. Saggi sulla grande città di Sombart, Endell, Scheffler e Simmel, Officina Edizioni, Roma 1973[1].




[1] Scritto in parte dimenticato, anche nel recente Massimo Cacciari in Storia della filosofia dalle origini a oggi, a cura di D. Antiseri e S. Tagliagambe, vol. 14 Filosofi italiani contemporanei, RCS Quotidiani, Milano 2008, pp. 64-71, dove pure, giustamente, si ricorda di Cacciari il breve, ma denso (la dimensione non necessariamente fa rima con profondità, come pensano molti, che “stipano” di cose libri senza nerbo, come quei “romanzieri” che espandono inutilmente “ideuzze” da nulla, al massimo racconti, non romanzi posson fare) scritto sulla Filosofia del diritto di Hegel, precisamente: Dialettica e critica del politico. Saggio su Hegel, Feltrinelli, 1978. Quest’ultimo scritto essendo quello dove pone le basi, rispetto alla “prima maniera”, per altre riflessioni successive solo molto parzialmente condivisibili, ovviamente a mio avviso.



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Addendum 








R. Guénon, San Bernardo. Con una nota introduttiva di Silvano Panunzio, “il Cinabro”, Catania 1990, Copertina.
Come si sa, Federico II fu molto vicino all’ordine Cistercense, fondato da Bernardo di Chiaravalle, Bern-hard - l’orso forte. 



“Tutta la vita di San Bernardo potrebbe sembrare destinata a dimostrare, con un esempio lampante, che esistono per risolvere i problemi di ordine intellettuale e anche di ordine pratico, dei mezzi completamente diversi da quelli che per troppo tempo si è abituati a considerare come i soli efficaci, indubbiamente perché essi sono i soli alla portata di una saggezza puramente umana che non è neppure l’ombra della vera saggezza. Questa vita appare così in qualche modo come un rifiuto anticipato di quegli errori, apparentemente in antitesi ma in realtà solidali, che sono il razionalismo e il pragmatismo; e nello stesso tempo confonde e rovescia per chi la esamina imparzialmente, tutte le idee preconcette degli storici ‘scientisti’ i quali giudicano con Renan che ‘la negazione del soprannaturale forma l’essenza stessa della critica’ [corsivi in originale], cosa che noi d’altronde ammettiamo ben volentieri, ma vedendo in quest’incompatibilità tutto il contrario di quello che essi ci vedono, cioè la condanna della ‘critica’ stessa e non quella del soprannaturale. In verità quali insegnamenti potrebbero essere, per i tempi correnti, più utili di quelli di San Bernardo?” (ivi, cit., pp. 23-24).


Giustissima la “critica della critica” - dove per “critica” s’intende non una critica imparziale, ma, invece, la critica razionalistica e negatrice del soprannaturale per principio, vale a dire senza né critica né nessunissima autocritica!! -, ma, purtroppo, queste parole sono state molto mal intese e peggio interpretate, sulla scorta di un “tradizionalismo” che, in definitiva, si è fatto usare da quelle forze cui pretendeva opporsi quando, al contrario, non ha fatto che criticare, secondo i dettami del razionalismo stesso: qui vi è un punto “metodologico” d’importanza centrale. Dunque si può, sì, certo, fare del paradiso l’inferno e viceversa, “criticare la critica” con gli strumenti della critica stessa!, opporsi al razionalismo negatore del soprannaturale con gli strumenti del razionalismo stesso!, ma, così facendo, non si sarà cambiato quel che conta di più: la loro relazione, la relazione fra i due opposti.

Questo è decisivo: la relazione fra i due opposti.
Per questo ogni “tradizionalismo” ha fallito, nei fatti, nel concreto, non nelle opinioni o nelle “ubbie” personali, ha fallito perché si è limitato ad invertire la relazione senza cambiarla, errore madornale, del quale, va detto, lo stesso Guénon - soprattutto nell’ultimo periodo (vedasi la condanna dei “tradizionalisti” presente ne Il Regno della Quantità, cap. 31, “Tradizione e tradizionalismo”[1]), ma non solo[2] - si avvide. Non così i suoi più o meno reali - o pretesi - seguaci (che non lui non voleva: non voleva seguaci, piccolo problemino …).

Sopra ho criticato Cacciari, per una ragione precisa, che spiega bene perché, a mio avviso, il “primo Cacciari” - quello del “pensiero negativo”, per intenderci mantenga degli elementi d’interesse, in quanto le posizioni di seguito elaborate dallo stesso Cacciari l’han condotto verso il “positivo” senza dubbio. Ha mantenuto senz’altro l’idea che il “negativo” rimanga qualcosa di valido “in sé”, ma è come giustapposto all’altro lato, non interagisce “dialetticamente” con l’aspetto positivo - quel che tu hai concretamente nella storia, è che si susseguono delle “fasi” affermative e negative, o, per dir meglio, “più affermative” e “più negative”, ma mai “solo affermative” o “solo negative”. Non certo il “negativo” viene “superato” da una “dottrina” razionalistica, in quanto la ragione non può né sa risolvere questo problema, ma un “negativo” semplicemente giustapposto non interagisce in modo creativo, e, soprattutto, reale con il positivo. Dio gioca ai dadi - nessun dubbio al riguardo -, non solo, ma per Lui il negativo rientra nel gioco generale dando un suo contributo positivo. Dunque il negativo non è mai giustapposto, semplicemente o meramente al positivo. Il negativo e il positivo, allora, non sono sullo stesso piano, e tuttavia il negativo ha un suo suolo positivo.
Questo si riassume col dire che la realtà è symbolica. Cosa che lo stesso Cacciari discretamente intravide[3] illo tempore, prima però di svoltare verso un pensiero “positivo” che tuttavia desse al “negativo” un suo ruolo, un suo pedigree, ma un negativo semplicemente giustapposto, che sta lì, in callida pallida separata distanza dal positivo e non interagisce a qualcosa di più e del negativo, e del positivo.
Dunque occorre guardarsi dai due errori: 1) quello di considerare il mondo della Traditio come una sorta di feticcio, il che porta alla “fissità”[4] del “tradizionalismo”; 2) la mera giustapposizione che, sì, “preserva” il negativo, ma gl’impedisce di giocare positivamente nel Gioco cosmico di affermazioni e negazioni che s’intrecciano e si susseguono in un quadro variopinto e terribile a un tempo, che sovrasta e supera - di molto - l’umana ragione. Ma così “funziona” il Cosmo, non come presuppone l’umana ragione piccina. Il Cosmo è come un ossimoro, e così Dio l’ha voluto.

Tutti i “sogni” dei “tradizionalisti” collassano di fronte al problema, concretissimo, della “decadenza” e, ancor più, del “dissolvimento” delle strutture sociali (la dissolutio finalis predicata, illo tempore, da Guénon ne Il Regno della Quantità, davvero il solo a farlo, e “in tempi non sospetti” e quando nulla sembrava - sembrava … - indicarlo), e torniamo al punto che la ragione non può, da sola[5], davvero affrontare questa relazione negativo/positivo nel tempo, dynamicamente, “dialetticamente”, ma non della dialettica hegeliana, non della dialettica di Hegel

Andrea A. Ianniello




[1] Si tenga conto che tal libro fu scritto alla fine della Seconda Guerra Mondiale, dove molte cose erano lontanissime … dir “preveggente” è dir poco …
[2] “Noi entriamo in un’epoca in cui sarà particolarmente difficile ‘distinguere il grano dalla mala erba’, effettuare realmente quel che i teologi chiamano ‘la discriminazione degli spiriti’; ciò per via di manifestazioni disordinate che s’intensificheranno e moltiplicheranno, e altresì per via del difetto di vera conoscenza in coloro, la funzione normale dei quali dovrebbe essere di guidare gli altri, mentre oggi troppo spesso non sono che delle ‘guide cieche’. Si vedrà allora se, in tali condizioni, le sottigliezze dialettiche saranno di una qualche utilità, e se unafilosofia’, sia anche la migliore possibile, basterà per arrestare lo scatenamento dellepotenze infernali’” (R. Guénon, La Crisi del mondo moderno, Edizioni Mediterranee, Roma 1972 (1972!, ed. orig. francese 1927, 1927!), p. 160, corsivi miei). Ovviamente, le “potenze infernali”, come le intendeva Guénon, son ben diverse dall’idea “popolare” delle stesse, ancora ben circolante oggi. Tornando al punto in questione, lo stesso Evola ammise (in Rivola contro il mondo moderno) che, si fosse trattato di un’opera di “rettificazione” filosofica o filosofico-religiosa, sarebbe stato facile - ma, purtroppo, Evola, nonostante queste sue posizioni, poi mise tutte le sue energie esattamente in ciò che criticava … “Contraddizione novecentesche”, le chiamo …
[3] “Il simbolo è tale (l’immagine è simbolica) quando compone (e non giustappone accanto) polarità autentiche. Il simbolo non è mai ‘solo’. La sua verità è quella della consonantia o simpathia d’elementi diversi, e anche contrastanti, nell’immagine o idea. Quando queste differenze sono spezzate, quando la loro polarità è rotta, il simbolo è perduto. Il limite di fondo della critica fraengeriana sta in ciò: che egli intende la ricerca iconologica come spiegazione di che cosa l’opera vuol dire. Da un lato, riduzione dell’opera alla dimensione di scrittura sensibile del logos, dall’altro […] appiattimento del simbolo a un significato oppure, il che è lo stesso, a diversi significati meramente giustapposti. Una simile impostazione riduce necessariamente il simbolo a metafora, scrittura allegorica. […] Il fatto stesso che sia necessario, di fronte a un’opera come il Giardino, riferirsi a fonti diverse e spesso lontane, combinare tradizioni filosofiche, religiose, iconologiche di provenienza disparata, non è sintomo di superficiale eclettismo, ma attiene alla natura del simbolo, ai modi in cui il simbolo opera. La sua spiegazione appare perciò, sotto certi aspetti, interminabile; essa non darà mai capo ad una solida sostanza, a un contenuto univocamente determinato. Gli elementi del simbolo racchiudono polarità in perenne metamorfosi. E’ il simbolo classicizzato, non più vivente, puramente intellettuale, a presentarsi in forma fissa e ‘luminosa’, onnivisibile: da un lato Apollo e, dall’altro, in sicura e tranquillizzante separatezza, Dioniso. Opere straordinarie dell’arte occidentale, il Giardino e le Tentazioni sono, da questo punto di vista, anche opere-crisi, terminali. Contemporanee alle ultime creazioni autenticamente simboliche di quest’arte, in esse rivivono miti, tradizioni, simboli con la forza d’una lingua ancora materna. Da ciò la loro eccezionale ricchezza popolare, proverbiale, che si combina ‘naturalmente’ alle ‘profondità’ più sconvolgenti della cultura religiosa e filosofica” (M. Cacciari, Il mutus liber di Hieronymus Bosch. Commento ai saggi di Wilhelm Fraenger sul Giardino delle delizie e le Tentazioni di Sant’Antonio, in W, Fraenger, Le Tentazioni di Sant’Antonio, Guanda Editore, Milano 1981, pp. 24-25, corsivi in originale).
Siamo al punto nodale: da un lato Apollo e, dall’altro, Dioniso: ecco il limite di Cacciari, con certo, la particolarità - che credo unica - che, per lui, Dioniso è Dioniso, Dioniso non si riduce “ad altro”, lo si prende com’è, il “negativo” lo si prende com’è, no so tenta di “ridurlo” con andamento “razionalistico”. Ma rimane giustapposto, quando, invece, Colli ci ha insegnato che l’opposizione “nietzscheana” di Dioniso “contro” Apollo è, invece, “Dioniso con Apollo”, e che Apollo ha un lato dionisiaco (Dioniso non ha un lato apollineo, al contro, per lo meno stando alle ricerche di Giorgio Colli). Ecco perché preferisco il primo Cacciari, dove il negativo, pur rimanendo tale (= negativo) - e questa è una sua “costante” -, era tuttavia “produttivo” di dirette conseguenze, non che sta lì, in separata sede. L’errore del “tradizionalismo” è, invece, quello di negare Dioniso, o, almeno, di volerlo tenere giù, salvo quando, nelle forme estreme di “occultismo” (e di cosiddetto “gnosticismo”, ché occorrerebbe aggiungere: “dualista”, gnosticismo dualista, sennò il termine “gnosticismo” rimane impreciso) - non certo casualmente detto da Guénon “contro-tradizionale” - ecco che Dioniso, del tutto privo di remore (ma è ovvio, è stato rinchiuso separato), si libera e fa disastri. Il “tradizionalismo” ha del mondo tradizionale un’immagine “fissa” e “classicheggiante” che è assurda. Ma quando mai, nel mondo autenticamente “tradizionale” - non “tradizionalistico” - non esisteva Dioniso? O non si sapeva che occorreva “farci i conti”? Chiaro che fra “tradizionalismo” e razionalismo non vi sia “mai stata partita”, mai il “tradizionalismo” è stato una sfida reale per il razionalismo, ormai agli sgoccioli, sia ben chiaro eh, non ha nemmeno più senso “uccidere un uomo morto”; certo che, storicamente parlando, di disastri il razionalismo ne ha compiuti a iosa, ma orma il suo ruolo storico è solo residuale.
E che con Dioniso si dovessero “far i conti” era chiarissimo non solo nella paganitas, dov’era evidente, ma persino nella Christianitas medioevalis, come dice lo stesso Cacciari, in relazione alle immagini demoniache che avrebbero scandalizzato il culto “ufficiale”: “La straordinaria proliferazione delle figure demoniache non autorizza affatto simili conclusioni, a meno di non avvallare una concezione estremamente ristretta della devozione ‘ufficiale’. Questa poteva benissimo - a differenza di ciò che sembra credere il Fraenger - combinarsi con la fantastica sfrenatezza delle maschere e dei travestimenti satanici, con l’esuberanza carnevalesca. La frenesia del carnevale poteva trovar e trovava posto sull’altare delle chiese - e non soltanto a chiaro scopo di ammonizione e di richiamo alla scelta decisiva (o la vera realtà del Cristo, per quanto ‘ritirata’ dal mondo, o i vuoti fantasmi di Satana), com’è invece, esplicitamente, in Bosch. La devozione medievale, il suo spazio liturgico-sacramentale, come hanno spiegato il Klein, il Bachtin e molti altri ancora, si offrivano di continuo all’irruzione carnevalesca. Il Fraenger proietta su questo periodo [fine XV - inizio XVI sec.] il risultato normalizzante d’una lunga e difficile lotta che le chiese ufficiali condussero contro tali costumi e tali mescolanze” (ivi, p. 20, corsivi in originale; a tal proposito, del primo significato delle feste carnevalesche, come “monito”, cfr. R. Guénon, Sul significato delle feste ‘carnevalesche’, cap. 21 in Simboli della scienza sacra, Adelphi Edizioni, collana “gli Adelphi”, Milano 1997, pp.  132-135: va precisato che Guénon condivide la posizione di Bosch, tutto considerato …).
Chiaro che l’andamento della “Cristianità” è assai più “razionalistico” della paganitas, una volta che Sant’Agostino ebbe accolto Platone. Se tu oggi dici queste cose, gli studiosi ti portano un mucchio d’obiezioni (ma questa era la posizione, giusta peraltro, di Ludwig FCH, “ricollegato” a Canseliet [Quand Sel Y Est, “Quando c’è Sale”: e se non c’è sale?, come sali?, allora scendi … salvo tu stia sur un saliscendi …]): chiaro che Agostino abbia cristianizzato Platone!, e ci sarebbe mancato altro! Ma, di certo, ha accolto l’andamento tendenzialmente razionalistico di Platone nel Cristianesimo. E qui è bene chiarire un’altra “cosettina”, visto che ci si trova, e ne trattiamo solo e soltanto en passant: fra Agostino e Tommaso d’Aquino chi è più “aperto”. Ebbene, nonostante che Tommaso passi ormai per il “cattivo” di turno, è lui ad esser più aperto, il contrario di ciò che appare, come accade spesso, che cioè le apparenze ingannino … Dunque, non certo per caso, o parlato del rispetto verso Dioniso proprio della; nel mondo moderno, invece, la Cristianità si è, de facto, unita al razionalismo, o, in altri termini, più corretti, e cioè storicamente più “sfumati” (storia è sfumature, cose a metà, passaggi incompiuti e mescolanza, la “precisione” dei “tagli netti” può stare solo nella mente, non nella concreta realtà), le correnti razionalistiche han preso sempre più il sopravvento nel Cristianesimo e  nella Cristianità in epoca moderna. E’ l’epoca moderna quella dell’espulsione delle streghe, è l’epoca moderna quella della concentrazione dei poteri in pochi ambiti, finché, oltre il suo culmine (dell’epoca moderna, intendo) - culmine che, secondo Guénon, coincideva con il massimo della “solidificazione” - si risveglia la tendenza contraria, oggi in crescita esponenziale, e il mondo moderno inizia ad esaurire le sue energie. Tale tendenza contraria, però, non può far tornare al Medioevo, come molti pensano - errando (è il “Nuovo medioevo” criticato su questo blog) -, perché la sacralità della relazione sociale è stata profondamente intaccata o annullata dall’epoca moderna. Dunque, si scende, non si sale … poiché non si ha sale … si è assaliti … da troppe liti …
Conviene precisare che in questo post, e nelle sue Note soprattutto, si stanno affrontando dei “Nodi sostanziali” dell’epoca presente: questi nodi son altresì gli “Snodi” decisivi: tutto converge in questi pochi snodi, risolti questi problemi, si vedrà che tutto comincerà a porsi secondo un quadro complessivo. Ma non sta a chi scrive farlo, che lo studioso si confronti con questi nodi-snodi - lui vincerà o perderà la sua battaglia.
La prova della Vittoria
(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/1d/Nike_of_Samothrace_Mus%C3%A9e_du_Louvre_20141107_125035.jpg/1024px-Nike_of_Samothrace_Mus%C3%A9e_du_Louvre_20141107_125035.jpg) sarà se le cose cominceranno a comporsi, se, nell’epoca della massima dispersione, vi nascerà un punto di concentrazione. Se, dunque, il quadro comincerà a far-dar senso.
[4] E la “fissità” è, sempre, “sethiana”. Tu (dove “tu” = ognuno di noi) non puoi “eliminare” Seth dal gioco cosmico, ed ecco il punto, ma nemmeno Seth è sullo stesso piano di Horus, che lo sconfiggerà, e neppure di Osiride, che Seth ha sconfitto, dove in Osiride vedi Re Artù, la Traditio sconfitta dalla maga Morgana (noma anche di un fenomeno d’illusorio miraggio …!!), ma che poi risorge, grazie a Parsifal/Horus. Un mythus cosmico
[5] Queste cose si affrontano toccando il “modo di vita”, non la ragione, la ragione non ha il potere d’intaccare queste cose, e torniamo a quanto detto a proposto di San Benedetto.
 
















12 commenti:

  1. Quale critica mosse San Bernardo allo *style*? [** = corsivo come convenuto]

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  2. In calce a “Pietre che cantano. Suoni e sculture nelle nostre chiese”, Vozza editore s.d. [2007], si legge il passo dall’ “Apologia ad Guillelmum” del 1124, in cui Bernard (l’ “orso forte”) de Clairvaux si chiede cosa mai siano questi mostri, queste figure animali ...

    Secondo lui, distraevano il monaco dalla contemplazione, si sa, infatti, che l’arte cistercense ammette poche decorazione e deve essere molto semplice.

    Ma pure si sa che, spesso, anche in Italia, l’arte cistercense si lasciò contaminare da tali decorazioni, sempre, comunque, molto meno che in aree normanne o normanizzate.

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  3. Conciossiaché (vetusto modulo di dire) terminsi cotesta fase de Copertine.

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  4. Il blog https://chinkinthegreatwall.wordpress.com/, fra i link ai quali dà immediato acceso (barra a destra), presenta un bellissimo e raro reperto di Aversa: “Aversa, Duomo, Stele Of A Knight Fighting A Drake” – Norman Times - link: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/b/b1/Aversa_duomo_rilievo.jpg.

    Tal reperto è, in parte, spiegato in “Pietre che cantano Suoni e sculture nelle nostre chiese”, Vozza editore s.d. [2007].

    Questo per chi vogli (“fantozzismo”) approfondire ...

    Il dico (ma non Ildico) seriamente, pur avendo scherzato un po’ sull’espressione verbale ...

    Seriamente: sempre, seriosamente: mai.




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  5. Ho ordinato proprio oggi il libro "in quistione".
    Tra l'altro alle figure di cavalieri che combattono draghi ci sono particolarmente legato, perché si sono "presentate" in fasi particolarmente salienti della mia vita.

    Proprio un paio di settimane fa, per fare un esempio del nostro tragicomico Sudstàn, c'è una statua di San Giorgio e il Dragone in piazza a Cosenza (di Salvador Dalì, quindi non di certo tradizionale, ma da una minima parvenza di arte a quella città che ne è completamente priva, la cattedrale è completamente spoglia sia dentro che fuori a seguito di terremoti; si salvano solo 2 metri quadrati di pavimentazione normanna del XII secolo, e il sarcofago di Enrico VII figlio di Federico II detto "lo sciancato", ancora decorato e su cui è presente un grifone, unica figura zoomorfa di tutto il duomo e che purtroppo non sono riuscito a fotografare). Di punto in bianco la lancia è scomparsa, e rimaneva la statua con San Giorgio che sembrava piuttosto usare qualche siddhi facendo gesti strani con le mani. Dopo qualche giorno ho ricevuto risposta dall'amministrazione, la lancia è stata spostata in un museo, senza dare spiegazioni: ma il bello è che nessuno se ne era accorto!! Né i cittadini, né nessun altro.
    Inutile, quando non c'è la sensibilità... Né di lì né di là... E il mondo intanto va... darandarandarà...

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  6. Il “Südstàn”, ovvero al **sciatteria** e l’abbandono fatti abitudine. Le terre dell’abbandono, dove tutto va per inerzia. Salvo la lingua, lì vi è una potenza che l’atomica di Hiroshima fa ridere, a paragone. Questo i un mondo in stato di “dissolutio” che corre, che si espande …

    Il “Drago” è la rappresentazione di forze “sottili” – le “vene della terra” oggi sub-vertite – senza essere state ad-vertite) – e ricorda i “Drakkar” nordici, che **non erano** il vascello a vela quadrata, “lama dei flutti” con il quale si affrontavano i marosi, a volte terribili, del Mar del Nord (mi pare quest’ultimo si dicesse “skeid”, ma non posso confermarlo ché cito a memoria di cose studiate un mondo fa), ma erano le teste di Drago che si ponevano a prua con lo scopo di spaventare “i mostri degli abissi”, ovvero dei “mari”, che eran paragonati alla “sostanza sottile nel so aspetto terribile” (Nettuno classico, “Posèidôn”, “Neftuns” in etrusco, ma Neftuns era un dio delle acque nella terra, flutti, fiumi, sorgenti, laghi, piuttosto che del mare, fu “ellenizzato” nel dio dei mari, simile, per certi aspetti, a Shiva). Il “Caput Dracônis” (figura geomantica **buona**, “Cauda Dracônis” è cattiva …) era tolto in vista della terraferma, per non disturbare le “forze sottili” del territorio. Tutte cose oggi ampiamente sovvertite: se le forze sottili della terra non fossero state sovvertite – con modalità che sarebbe lungo “dire in due parole” qui -, non sarebbe stato possibile al mondo tecnologico di manipolare il mondo stesso.

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  7. Tra l’altro, nell’ultimo numero di “Medioevo, un passato da scoprire” (settembre 2016, questo mese) si parla di un calabrese illustre, Gioacchino da Fiore (“di profetico spirito dotato”, disse Dante), cfr. il “Liber figuràrum” https://it.wikipedia.org/wiki/Liber_Figurarum, e il “Draco Apocalypsis” – di nuovo per continuare a trattare di “draghi” -, sempre dal “Liber figuràrum” https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/dd/Liber_Figurarum_Tav_14.jp.
    Splendida “immago”, in ver …


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  8. Grazie per la segnalazione, le edicole della zona non l'avevano, domani cercherò altrove.
    Ammetto che per mia manchevolezza non sono mai andato a vedere il Liber Figurarum, che pure non dista molto. Tra l'altro, l'attuale presidente della Regione Calabria è dello stesso paese di Gioacchino (cioè San Giovanni in Fiore, che è nato intorno all'abbazia e che prende il nome da Gioacchino e non il contrario, come invece ritenuto comunemente), giusto per rimanere in tema di sub-versioni...

    Sto leggendo Pietre che cantano di M. Schneider, l'ho iniziato ieri e oggi sono arrivato al simbolismo della Mater Dolorosa festeggiata il 15 settembre: bella "coincidenza significativa"!

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  9. Infatti è vero: il nome nasce da Gioacchino e non viceversa, giusto dirlo e rifletterci suso.

    Bella coincidenza …

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  10. Per continuare con altre, recenti “coincidenze”, è appena uscito Martin Mystère. Il detective dell’impossibile, Collezione storica a colori, Bonelli Editori – I fumetti di Repubblica - L’Espresso, 2016 (15/09/2016). Contiene i primi tre album dello storico fumetto, uscito nel 1982, con sceneggiature di A. Castelli, che proveniva dal gran cambiamento di “Mister NO”, e quest’ultimo, a sua volta, proveniva da “Ken PARKER” (a sua volta quest’ultimo ha avuto una serie di ripubblicazioni pochi anni fa, ma non so se, come per la serie in questione, a colori). Ricordo di essermi procurato due di questi “album” storici originali (seppur non ricordi dove siano andati a finire nel frattempo … e di essermeli “illo tempore” letti …). La cosa molto interessante si è che rivederli dopo tanti anni non è privo d’interesse. Val la pena rimembrar questo: all’epoca la folle, **depistante** voga del cosiddetto “mistero” non aveva per nulla raggiunto la **pessima** “divulgazione” attuale, che sembra fatta proprio per **depistare**, dove ogni cosiddetta “ipotesi” porta verso il niente di cose o arcinote o semplicemente indimostrabili: ma vedremo di seguito come un tassello **fondamentale** - NON INVENTATO DA CASTELLI, sia detto chiaramente, ma proprio di una “certa” letteratura – ricolleghi quella stagione con la deriva presente, ormai irreversibile. Tranne questo SPECIFICO ELEMENTO, tuttavia, NULLA DI ALTRO vi è, poi, di comune con la DERIVA attuale. Va preferita “l’ingenuità” dell’epoca alla falsa sofisticazione attuale. Dove, invece, vi è parentela DIRETTA CON L’OGGI è sulla questione dei “complotti”, dove all’epoca GIÀ VI ERA TUTTO L’ “ARMAMENTARIO” che oggi si vede su Internet. Qui, SPECULARMENTE rispetto a prima, UN SOLO ELEMENTO differenzia, pur nella base COMUNE: che oggi prevale l’applicazione politica del “complottismo”, che all’epoca era cosa secondaria, mentre oggi è primaria.
    E qui veniamo ai tre fumetti dell’ ’82, ripubblicato a colori, molto opportunamente, peraltro: Il secondo s’intitola “La vendetta di Râ”, e non lo lessi; il terzo s’intitola “Operazione Arca”, e lo lessi (ricordo che appresi dell’alfabeto armeno, ci son piccoli particolari che s’apprendo da tali pubblicazioni “divulgative”, che pur hanno un loro posto e “pedigree”): trattava della scoperta dell’Arca sull’Ararat, cosa molto controversa, e ch’è rimasta tale, a tanti anni di distanza. Ma non è su questo che vale la pena esprimersi, perché è la **prima** delle storie a fumetti quella che conta, per i tema che si tratta qui; e s’intitolava (e s’intitola) -: “GLI UOMINI IN NERO”, sì, i famosi “MIB” dai quali s’è tratta, in epoca molto lontana rispetto al fumetto (del **1982** ricordiamolo), una famosa serie di film.

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  11. Veniamo alla storia “GLI UOMINI IN NERO”, dunque. Prima cosa, un vecchissimo computer Apple dell’epoca … Si parla di Kalambàka e delle Meteore in Grecia, Tessaglia per l’esattezza (la terra della magia nel mondo classico, anche il Libro di “Abramelìn il Mago” ne parla” – negativamente, tra l’altro -, come terra di magia pericolosa), Ioànnina ed altri posti che ho visitato, si parla pure di Karnak e Luxor – che però non ho avuto modo di visitare ma ne ho visto qualcosa per immagini (voglio qui far riferimento al video di M. DOLCETTA su “Le sette torri del diavolo”, L’UNITÀ 2005 e dove Dolcetta incontra uno yezide a far da guardia a Luxor, se non ricordo male, e che proveniva dall’Iràn, della zona dei deserti salati iraniani, v’è qualche post su “Le sette torri del diavolo”, in questo blog).
    Detto tutto ciò, veniamo al punto, “GLI UOMINI IN NERO” per l’appunto. Prima osservazione da farsi è questa: che **non sono** quel che si crede siano. Nell’album son presentati come i guardiani dell’ “ordine vigente” per “duemila anni” e che non vogliono che si faccino scoperte che attentino a tal ordine.
    Visi legge (ché? C’è chi legge senza viso?): “La **società**, l’**economia**, il **potere** si basano da duemila anni su determinati schemi, determinate religioni, determinate credenze … Se qualcuno le **sconvolgesse** ribalterebbe certi **ruoli** e se si scoprisse che nel passato una civiltà come la nostra si è distrutta per i suoi errori, qualcuno comincerebbe a **pensare** … il **potere** com’è concepito oggi comincerebbe a **vacillare**. **E noi** non possiamo permettercelo!... Mi sembra stupito, Mystère. Eppure **Noi** esistiamo da sempre. Ci conoscete con vari nomi: ‘I Distruttori di biblioteche’, ‘L’Inquisizione’ … ‘Gli Uomini in Nero’ … Da sempre eliminiamo tutto ciò che può turbare l’**ordine** che ci permette di spadroneggiare. Ed è impossibile **distruggerci**, perché siamo **dovunque** … in un monastero a Kala[m]baka o in un’isoletta delle Azzorre. Nella sede di una multinazionale o nella residenza di un capo di stato …” (ivi, p. 100, con ‘**’ si esprime il grassetto presente in originale). Qui si cita l’idea di J. Bergier sull’esistenza di una setta segreta che avrebbe come scopo quello di nascondere la conoscenza, fondamentalmente questo sarebbe il suo scopo, il che non è certo un’ipotesi peregrina, o impossibile. Ed è anche giusto che “per 2000 anni” il “potere” **REALE**, non necessariamente l’amministrazione concreta ma chi può prendere le decisioni **VERE**, si è basato su “SCHEMI FISSI” E RICORRENTI. Ed è altrettanto vero che tali “schemi” OGGI SIANO IN DISSOLUZIONE: questa sta succedendo attorno a noi. Allora, dov’è l’errore …

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  12. L’errore sta proprio nella questione di Atlantide a parte l’ubicazione, che sarebbe dove oggi sono le Azzorre, il che non è comprovabile al momento – ma nella **sostanza** dell’idea: che una civiltà passata sia stata “tecnologica” come quella presente, questo è impossibile **NON GIÀ** e **non certo** perché passate civiltà non possano aver avuto”grossi mezzi”, ma perché li ebbero per vie che oggi **non sono** immaginabili. Ed una tale illusione – di una civiltà “simil tecnologica”, per così dire, simile all’attuale (“mutatis mutandis”) – sta **ALLA BASE e ALLA RADICE** di **********tutti********** gli errori di chi si occupa di “mistero” ed antiche civiltà.

    Al fondo, vi è la sbagliata analisi di come si è strutturata la “moderna” tecnologia e di come sia sorto il “mondo moderno”. Infatti, sì come Guénon docêbat “illo tempore”, vi è “un segreto ben mantenuto, che cos’abbia ‘costruito’ e ‘formato’ la mentalità moderna” (parafrasi mia), e dunque edificato “certe” basi della scienza e della tecnica contemporanee che, poi, si sarebbero “ESTESE” al mondo economico: ed ecco il “capitalismo”. La politica, resa viepiù impotente, non poteva che seguire a ruota, a volta tentando di controllare questo processo – e, in tal caso, **sempre** (SEMPRE) perdendo alla fine -, e tal altra volta, invece, assecondando il processo, se non quasi arrendendosi ed abdicando a tal processo e movimento cosmico IN ATTO.

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