mercoledì 28 agosto 2024

“Il topo e il gatto” (gioco del) … **NON** dunque “Il gioco del gatto e del topo” … ovvero: **I gatti son esperti “DARTI” marziali**

 

 

 

 

Una massima giapponese recita: Kantan na mono yoku sho o seisu, ‘L’equilibrio tra la vittoria e la sconfitta dipende spesso da cose semplici’”.

GICHIN FUNAKOSHI, Karate – do Nyūmon, Edizioni Mediterranee, Roma 1999, p. 9, corsivi in originale,

 

 

 

 

 

 

Duecento anni fa in Giappone, prima dell’epoca Meiji, un maestro di kendo, di nome Shoken, era infastidito dalla presenza di un grosso topo nella sua casa. Il congresso d’arti marziali fra gatti, questo è il titolo della storia che mi accingo a narrare:

Tutte le notti un grosso topo penetrava nella casa del maestro, impedendogli di dormire. Era costretto a riposare durante il giorno. Andò allora da un amico che allevava gatti: “Prestami” gli chiese “il più forte dei tuoi gatti”. L’altro gli diede un gatto dei tetti, molto rapido ed abilissimo nel catturar topi; le sue unghie erano forti, i suoi salti potenti! Ma quando entrò nell’alloggio, il topo lo affrontò e lo vinse, mettendolo in fuga. Era un topo davvero misterioso. Il maestro chiese allora in prestito un secondo gatto, di color fulvo, dotato di un ki potentissimo e di un forte spirito combattivo. Entrò nella casa del maestro e combatté, ma il topo ebbe la meglio e il gatto fuggì!

Stessa sorte ebbe un terzo gatto, di colore bianco e nero, ed allora il maestro Shoken se ne procurò un quarto, nero, vecchio, intelligentissimo, ma meno forte degli altri, e se lo portò a casa. Quando il topo lo vide, incominciò ad avvicinarsi per aggredirlo. Il gatto si sedette, calmissimo, e restò immobile. Il topo allora rimase perplesso, dubbioso. Si avvicinò ancora, e repentinamente il gatto lo ghermì e lo uccise.

Shoken andò allora a consultare il suo amico e gli disse: “Ho spesso inseguito questo topo con la mia spada di legno, ma ogni volta è stato lui a graffiarmi. Come ha potuto questo vecchio gatto nero vincerlo?”. L’amico gli rispose: “Bisogna indire una riunione ed interrogare i gatti. Sarete voi a porre le domande, visto che siete un maestro di kendo. I gatti son esperti in arti marziali [ben si sa]”.

Vi fu quindi un’assemblea di gatti presieduta da quello nero, che era il più anziano [“Japan style”]. Il gatto dei tetti disse: “Io sono il più forte”. Quello nero allora gli chiese: “Perché dunque non hai vinto?”. “Sono il più forte” rispose “e possiedo molte tecniche per catturare i topi, i miei artigli son micidiali e i miei salti potenti, ma quel topo non era come gli altri”. Il gatto nero dichiarò: “La tua forza e la tua tecnica non potevano battere quel topo. Anche se i tuoi poteri ed il tuo waza sono molto forti”. Allora parlò il gatto tigrato: “Anch’io sono molto forte, alleno incessantemente il mio ki e la mia respirazione attraverso zazen, e mi nutro solo di verdure e zuppa di riso. Perché dunque non ho potuto vincere quel topo?”. Il vecchio gatto nero gli rispose: “La tua attività ed il tuo ki son forti, ma quel topo era al di là del ki. Se rimani attaccato al tuo ki, esso diventa una forza vuota. Se il tuo ki è troppo intenso, troppo repentino, sei sopraffatto dalla passione [dunque offuscato, dunque sbagli]. Si potrebbe dire, ad esempio, che la tua attività è paragonabile all’acqua che esce da una fontanella, mentre quella del topo è un getto possente. Ecco perché la forza del topo è superiore alla tua. La tua attività, pur essendo forte, è debole, poiché hai un’eccessiva fiducia in te stesso”. Fu quindi il turno del gatto bianco e nero: non era particolarmente forte, ma intelligente. Aveva raggiunto il satori. Aveva sperimentato tutti i waza e praticava zazen, ma non era mushotoku, ossia senza scopo né profitto, così aveva dovuto soccombere a sua volta.

Il gatto nero gli disse: “Sei molto intelligente e forte, ma non hai potuto battere quel topo perché tu avevi uno scopo, e la sua intuizione era più profonda della tua. Quando sei entrato, lui ha capito la tua condizione mentale, per questo non hai potuto vincerlo. Non hai saputo armonizzare tra loro la tua forza, la tua tecnica e la tua coscienza, che sono rimaste separate anziché unificarsi. Io, invece, in un sol istante, ho fuso queste tre facoltà inconsciamente, naturalmente, ed ho potuto uccidere il topo. Ma qui vicino, nel villaggio accanto,  conosco un gatto più forte di me. È molto vecchio ed il suo pelo è grigio. L’ho incontrato, e non sembra affatto forte! Dorme tutto il giorno, non mangia carne né pesce, ma solo zuppa di riso … qualche volta bene un po’ di sake. Non ha mai preso un solo topo: tutti lo temono e non osano avvicinarsi a lui. Un giorno è entrato in una casa piena di topi. Tutti son fuggiti via terrorizzati. Avrebbe potuto cacciarli anche dormendo. Questo gatto grigio è veramente molto misterioso. Tu devi diventare come lui, essere al di là di te stesso, di tutto.’

Grande lezione per Shoken, il maestro di kendo!”, TAISEN DESHIMARU, Lo Zen e le arti marziali, SE, Milano 1995, pp. 63-65, corsivi in originale, grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre.

Grande lezione davvero!, e NON SOLO per “il maestro di kendo”, GRANDE LEZIONE per tutti noi …!

 

 

Andrea A. Ianniello

 


 

 

 

 

 

 

lunedì 12 agosto 2024

Parodia della “Tavola di Smeraldo”

 

 

 

 

 

Se sotto questo punto di vista l’Europa è assimilabile alla coalizione macedone, sarà la prima a ritirarsi dalla zona d’influenza americana. D’altronde assistiamo ai primi fremiti di questo ritiro, sia con la picrocolina guerra del bue e della mostarda o, in modo più grave, con la decisione di costruire un esercito indipendente dal Patto Atlantico”.

FULCANELLI, Finis Gloriæ Mundi, Edizioni Mediterranee, Roma 2007, p. 101. E come no? Nulla di più lontano da ciò che vediamo … molto divertente!

Picrocolo è  un personaggio del Gargantua di Rabelais. Dunque, il cosiddetto “esercito indipendente europeo” è, sinora, rimasto solo un “fremito” …

Va qui precisato, inoltre, che “Fulcanelli” è un autore pseudoepigrafo.

 

 

 

 

Sulla “Tavola di Osiride”[1], mi son già espresso. Veniamo quindi ad un aspetto – “parodizzato” – della “Tavola di Smeraldo”, ben più famosa della “Tavola di Osiride”.

Il vento l’ha portato nel suo ventre [frase tratta dalla “Tavola di Smeraldo”]. Proprio come con la Luna, fecero del vento una lettura letterale e si sforzarono in seguito di controllare il clima, trattenendo le masse d’aria con “muri d’onde” alzati su continenti interi, analogamente al confinamento magnetico dei flussi di particelle nei grandi acceleratori. I primi esperimenti, nel 1975 e 1976, sfuggirono ad ogni controllo per vari mesi; i secondi, nel 1983, ebbero migliori risultati, ma il segreto su di essi non fu mai levato, sebbene fossero circolate voci nelle università. La contropartita sociale della dominazione dei venti si tradusse nel tentativo di controllo dell’opinione pubblica, ciò che Virgilio chiamava fama volans, così mobile e fugace come la brezza [direi che in AMBEDUE i CAMPI – del clima e dell’opinione pubblica! – oggi si è andati ben più avanti che negli anni Ottanta del secolo scorso!]”, ivi, p. 87, corsivi in originale, grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre.

 

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PS. Cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2024/02/aquariana-2.html 

 

 

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[1] Cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2023/09/osiride-re-x-e-un-dio-nero.html 

 

 

 

 

 

 

venerdì 9 agosto 2024

Ovvero, il dì di distruzione del Tempio, 2

 

 

 

 

 

Ciò conferma l’impressione che la corrente apocalittica si sentisse lontana dal giudaismo ufficiale. Il tempio è contaminato per l’apocalittica come per l’essenismo”.

Apocrifi dell’Antico testamento, TEA, Milano 1990, p.  206, nota al vs. 59.

 

Il sesto giorno prese acqua e polvere della terra, e luce, e creò Behemot, bestie sulle montagne a migliaia (Sal. 50.10), oltre ad un toro che bruca mille monti al giorno. Ogni giorno essi giocano nel giardino dell’Eden, al cospetto del Creatore”.

Mistica ebraica, a cura di G. Busi ed E. Loewenstein, Einaudi editore, Torino 1999, p. 56, corsivi in originale.

 

Nella scrittura di Parvus non c’era niente di particolarmente ostile, d’imperioso od arrogante, ed anche la firma era perfettamente impersonale: “dr. Helphand”. Eppure da quella lettera passava […] nelle sue mani […], si trasfondeva nella sue vene, si mescolava al suo sangue e lottava con esso, il sangue behemòtico di Parvus. Bloccandolo non più in là dei gomiti, Lenin lasciò cadere la lettera sul tavolo, come un peso troppo gravoso. […] Nei venticinqu’anni della sua vita di lotta, Lenin aveva saggiato nemici d’ogni genere: altezzosamente ironici, caustici, astuti, vigliacchi, tenaci, resistenti, senza contare i retori salivosi, i donchisciotteggianti, i vizzi, i maldestri, i piagnucolosi […]. Con alcuni aveva dovuto tramenare per molti anni […], non tutti li aveva […] fatti fuori definitivamente, ma con loro non aveva mai dovuto dubitare della propria incommensurabile superiorità: per chiara visione di situazioni e circostanze, piglio politico e capacità […]. Solo davanti a questo qui non si sentiva sicuro”.

A. SOLŽENICYN, Lenin a Zurigo, Oscar Mondadori, Milano 1990, pp. 128-129, corsivo in originale.

 

Il termine russo begemòt (“ippopotamo”) deriva direttamente dall’antico ebraico behemòt; resta perciò agganciato, diversamente che in italiano, agli stupori e terrori biblici riguardo all’esotico animale nonché alla “fortuna” universale che gliene derivò, insieme al leviatàn, in demonologie e letterature posteriori. […] Qui si è di necessità adattati ad usare ora “ippopotamo” ora “behemòt” e relative aggettivazioni”.

Ivi, p. 129, nota del traduttore, a pie’ pagina,  corsivi in originale.

L’ippopotamo è animale di Set (quello egizio …).

 

È la “profondità del grande abisso” nella quale trovano riparo le forze demoniache. Ora quando, in seguito alla “rottura dei vasi”, precipitarono nell’abisso scintille della luce divina irradiantesi dall’ En Sof — per produrre forma e struttura nello spazio originario — precipitò anche l’anima del Messia, che era imprigionata in quell’originaria luce divina. Essa è sprofondata nella profondità del grande abisso fin dall’origine dei tempi della creazione, ed è tenuta prigioniera nel carcere delle Qelippòt, nel regno dell’oscurità. Nell’abisso, insieme a questa santissima anima, vi sono i “serpenti” che la tormentano e cercano di sedurla. A questi serpenti è consegnato il “santo serpente”, che è il Messia — poiché la parola ebraica per “serpente”, Nachàsh, ha lo stesso valore numerico della parola Mashìach, Messia. Solo a misura che la selezione del bene e del male si realizza nel processo del Tiqqùn di tutti i mondi, nello spazio originario, si realizza anche la liberazione dell’anima del Messia. Quando il processo di perfezione, al quale quest’anima lavora nella sua prigionia, e per il quale lotta contro i “serpenti” o i “draghi”, sarà portato a compimento — cosa però che non si verifica molto prima del Tiqqùn generale — l’anima del Messia lascerà la sua prigione e si rivelerà al mondo in un’incarnazione terrena. Così Nathàn di Gaza. È straordinariamente interessante incontrare negli scritti d’un giovinetto del ghetto di Gerusalemme del secolo XVII un antichissimo mito gnostico circa il destino dell’anima del Redentore, ricostruito in base a concetti cabbalistici, e con l’evidente proposito di meglio spiegare le condizioni psichiche patologiche di Shabbatày Tzevì, se questi concetti non fossero già espressi nello Zohar e negli scritti di Luria si sarebbe tentati di supporre qualche legame, per noi inesplicabile, tra questo primissimo mito sabbatiano e l’antico mito degli gnostici ‘Ofiti’ o ‘Naasseni’, che ponevano al centro della loro gnosi proprio il simbolismo del serpente”.

G. SCHOLEM, Le grandi correnti della mistica ebraica, Einaudi editore, Torino 1993, p. 307, corsivi in originale. [Si noti quel che scrisse Guénon sul serpente …] Peraltro, in effetti più che serpenti, quel che si usa – il termine giusto – è “draghi” … Infine,  il “Tiqqùn” è il processo di “reintegrazione” delle “luci disperse” nel processo – corretto – della Creazione, il “ritorno” alla Fonte, insomma. Ma tal processo avviene per mezzo della DISCRIMINAZIONE “FINALE”, dunque del “Giudizio” di ciò che si **è già** manifestato: le due città “sottili” di cui parlò Corbin, quella delle forme sottili che si vanno ad “incarnare”, da un lato, e quella delle forme “sottili” di ciò che ha svolto il suo ruolo terreno; queste ultime sono “giudicate”, appunto …!

 

All’inizio] Santo dei santi (cioè la parte più recondita del tempio di Gerusalemme, ove – fino alla distruzione operata da Nabucodonosor – si trovavano l’arca dell’alleanza, le tavole della legge, e i cherubini d’oro). Il velo (katapetasma), che separava il santo dei santi dal resto del tempio, lo poteva superare soltanto il sommo sacerdote (una volta all’anno e con precise osservanze). Lo stesso sommo sacerdote ed il velo godettero di una ricchissima messe d’interpretazioni allegoriche da parte di più celebri padri orientali ed occidentali della letteratura cristiana. Sul velo squarciato, vedi Mt., 27,51; Mc., 15, 38; e, per una prima simbologia: Ebr., 6, 19; 9, 3 sgg.; 10, 20 sgg.”.

Vangeli gnostici, a cura di L. Moraldi, Adelphi Edizioni, Milano 1984, p. 211, nota finale al vs. 84, 20 del “Vangelo di Filippo”, corsivi in originale.

Si noti che al tempo vi era la “misìa” verso l’uso delle maiuscole: tutte minuscole, pure laddove avrebbe avuto senso usare le forme maiuscole …!

 

Il tempio è un riflesso del mondo divino”.

J. CHEVALIER – A. GHEERBRANT, Dizionario dei simboli, vol. II, RCS Rizzoli Libri, Milano 1986, p. 460.

 

Il simbolismo cosmico del Tempio è evidente. Giuseppe e Filone si accordano nel dimostrare che il Tempio raffigura il Cosmo e che ogni oggetto contenuto nel Tempio vi si trova ordinato”.

Ivi, p. 462, grassetti miei.

 

 

 

 

 

In ultima analisi, anche la distruzione del Tempio e l’esilio del popolo ebraico furono i risultati di meditazioni disinformate che causarono la divisione dei mondi emanati”, G. SCHOLEM, La Cabala, Edizioni Mediterranee, Roma 1982, p. 167.

Sugli “Ofiti” cf. ivi, p. 20, p. 378 e p. 387.

 

 

 

 

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