venerdì 9 agosto 2024

Ovvero, il dì di distruzione del Tempio, 2

 

 

 

 

 

Ciò conferma l’impressione che la corrente apocalittica si sentisse lontana dal giudaismo ufficiale. Il tempio è contaminato per l’apocalittica come per l’essenismo”.

Apocrifi dell’Antico testamento, TEA, Milano 1990, p.  206, nota al vs. 59.

 

Il sesto giorno prese acqua e polvere della terra, e luce, e creò Behemot, bestie sulle montagne a migliaia (Sal. 50.10), oltre ad un toro che bruca mille monti al giorno. Ogni giorno essi giocano nel giardino dell’Eden, al cospetto del Creatore”.

Mistica ebraica, a cura di G. Busi ed E. Loewenstein, Einaudi editore, Torino 1999, p. 56, corsivi in originale.

 

Nella scrittura di Parvus non c’era niente di particolarmente ostile, d’imperioso od arrogante, ed anche la firma era perfettamente impersonale: “dr. Helphand”. Eppure da quella lettera passava […] nelle sue mani […], si trasfondeva nella sue vene, si mescolava al suo sangue e lottava con esso, il sangue behemòtico di Parvus. Bloccandolo non più in là dei gomiti, Lenin lasciò cadere la lettera sul tavolo, come un peso troppo gravoso. […] Nei venticinqu’anni della sua vita di lotta, Lenin aveva saggiato nemici d’ogni genere: altezzosamente ironici, caustici, astuti, vigliacchi, tenaci, resistenti, senza contare i retori salivosi, i donchisciotteggianti, i vizzi, i maldestri, i piagnucolosi […]. Con alcuni aveva dovuto tramenare per molti anni […], non tutti li aveva […] fatti fuori definitivamente, ma con loro non aveva mai dovuto dubitare della propria incommensurabile superiorità: per chiara visione di situazioni e circostanze, piglio politico e capacità […]. Solo davanti a questo qui non si sentiva sicuro”.

A. SOLŽENICYN, Lenin a Zurigo, Oscar Mondadori, Milano 1990, pp. 128-129, corsivo in originale.

 

Il termine russo begemòt (“ippopotamo”) deriva direttamente dall’antico ebraico behemòt; resta perciò agganciato, diversamente che in italiano, agli stupori e terrori biblici riguardo all’esotico animale nonché alla “fortuna” universale che gliene derivò, insieme al leviatàn, in demonologie e letterature posteriori. […] Qui si è di necessità adattati ad usare ora “ippopotamo” ora “behemòt” e relative aggettivazioni”.

Ivi, p. 129, nota del traduttore, a pie’ pagina,  corsivi in originale.

L’ippopotamo è animale di Set (quello egizio …).

 

È la “profondità del grande abisso” nella quale trovano riparo le forze demoniache. Ora quando, in seguito alla “rottura dei vasi”, precipitarono nell’abisso scintille della luce divina irradiantesi dall’ En Sof — per produrre forma e struttura nello spazio originario — precipitò anche l’anima del Messia, che era imprigionata in quell’originaria luce divina. Essa è sprofondata nella profondità del grande abisso fin dall’origine dei tempi della creazione, ed è tenuta prigioniera nel carcere delle Qelippòt, nel regno dell’oscurità. Nell’abisso, insieme a questa santissima anima, vi sono i “serpenti” che la tormentano e cercano di sedurla. A questi serpenti è consegnato il “santo serpente”, che è il Messia — poiché la parola ebraica per “serpente”, Nachàsh, ha lo stesso valore numerico della parola Mashìach, Messia. Solo a misura che la selezione del bene e del male si realizza nel processo del Tiqqùn di tutti i mondi, nello spazio originario, si realizza anche la liberazione dell’anima del Messia. Quando il processo di perfezione, al quale quest’anima lavora nella sua prigionia, e per il quale lotta contro i “serpenti” o i “draghi”, sarà portato a compimento — cosa però che non si verifica molto prima del Tiqqùn generale — l’anima del Messia lascerà la sua prigione e si rivelerà al mondo in un’incarnazione terrena. Così Nathàn di Gaza. È straordinariamente interessante incontrare negli scritti d’un giovinetto del ghetto di Gerusalemme del secolo XVII un antichissimo mito gnostico circa il destino dell’anima del Redentore, ricostruito in base a concetti cabbalistici, e con l’evidente proposito di meglio spiegare le condizioni psichiche patologiche di Shabbatày Tzevì, se questi concetti non fossero già espressi nello Zohar e negli scritti di Luria si sarebbe tentati di supporre qualche legame, per noi inesplicabile, tra questo primissimo mito sabbatiano e l’antico mito degli gnostici ‘Ofiti’ o ‘Naasseni’, che ponevano al centro della loro gnosi proprio il simbolismo del serpente”.

G. SCHOLEM, Le grandi correnti della mistica ebraica, Einaudi editore, Torino 1993, p. 307, corsivi in originale. [Si noti quel che scrisse Guénon sul serpente …] Peraltro, in effetti più che serpenti, quel che si usa – il termine giusto – è “draghi” … Infine,  il “Tiqqùn” è il processo di “reintegrazione” delle “luci disperse” nel processo – corretto – della Creazione, il “ritorno” alla Fonte, insomma. Ma tal processo avviene per mezzo della DISCRIMINAZIONE “FINALE”, dunque del “Giudizio” di ciò che si **è già** manifestato: le due città “sottili” di cui parlò Corbin, quella delle forme sottili che si vanno ad “incarnare”, da un lato, e quella delle forme “sottili” di ciò che ha svolto il suo ruolo terreno; queste ultime sono “giudicate”, appunto …!

 

All’inizio] Santo dei santi (cioè la parte più recondita del tempio di Gerusalemme, ove – fino alla distruzione operata da Nabucodonosor – si trovavano l’arca dell’alleanza, le tavole della legge, e i cherubini d’oro). Il velo (katapetasma), che separava il santo dei santi dal resto del tempio, lo poteva superare soltanto il sommo sacerdote (una volta all’anno e con precise osservanze). Lo stesso sommo sacerdote ed il velo godettero di una ricchissima messe d’interpretazioni allegoriche da parte di più celebri padri orientali ed occidentali della letteratura cristiana. Sul velo squarciato, vedi Mt., 27,51; Mc., 15, 38; e, per una prima simbologia: Ebr., 6, 19; 9, 3 sgg.; 10, 20 sgg.”.

Vangeli gnostici, a cura di L. Moraldi, Adelphi Edizioni, Milano 1984, p. 211, nota finale al vs. 84, 20 del “Vangelo di Filippo”, corsivi in originale.

Si noti che al tempo vi era la “misìa” verso l’uso delle maiuscole: tutte minuscole, pure laddove avrebbe avuto senso usare le forme maiuscole …!

 

Il tempio è un riflesso del mondo divino”.

J. CHEVALIER – A. GHEERBRANT, Dizionario dei simboli, vol. II, RCS Rizzoli Libri, Milano 1986, p. 460.

 

Il simbolismo cosmico del Tempio è evidente. Giuseppe e Filone si accordano nel dimostrare che il Tempio raffigura il Cosmo e che ogni oggetto contenuto nel Tempio vi si trova ordinato”.

Ivi, p. 462, grassetti miei.

 

 

 

 

 

In ultima analisi, anche la distruzione del Tempio e l’esilio del popolo ebraico furono i risultati di meditazioni disinformate che causarono la divisione dei mondi emanati”, G. SCHOLEM, La Cabala, Edizioni Mediterranee, Roma 1982, p. 167.

Sugli “Ofiti” cf. ivi, p. 20, p. 378 e p. 387.

 

 

 

 

@i

 

 

 

 

4 commenti:

  1. Un altro 9 agosto, cf.
    https://associazione-federicoii.blogspot.com/2018/08/piu-volte-riportato-va-sempre-ricordato.html











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  2. Gli “Ofiti” … – quelli del tenebroso “affaire” di Rennes le Chateau …? yesss … –
















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  3. Ah neanch’io credo che l’attacco atomico coincida col tempo “per caso” col periodo – abbiam visto che la data è oscillante – della distruzione del Tempio! Il “velo” che viene strappato … chi ha orecchie per …”

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    1. Cf.
      https://associazione-federicoii.blogspot.com/2024/04/per.html










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