“178. Mencio disse: — Nulla accade senza un decreto del Cielo: accettiamo docilmente il vero decreto. Perciò, chi intende il decreto del Cielo non se ne sta sotto un muro pericolante”.
Meng-tzu (Mencio), TEA, Milano 1991, p. 173.
“101. Mencio disse: — È un grand’uomo colui che non perde il suo cuore di fanciullo”.
Ivi, p. 112.
Parlando d’ “ipnotismo” e di Gurdjieff, sovvengono dei passi – alcuni spassosi – dei ricordi di Peters alla scuola di Gurdjieff (il “Prieuré” famoso). Il discorso ci porterebbe lontano (per esempio, la questione dell’ipnotismo ottenuto ascoltando toni musicali minori del semitono: sull’ipnotismo, comunque, s’è riportato un commento nel post precedente), e qui c’interessa un altro aspetto piuttosto che i ricordi “di per sé”, per quanto alcuni davvero divertenti, a volte, ed umoristici non poco, talvolta.
Veniamo però direttamente al punto, senza troppo disperderci fra particolari vari.
“Ciò che in quell’estate cominciò ad interessarmi più d’ogni altro compito affidatomi durante il giorno erano le letture notturne di brani del libro di Gurdjieff [si tratta de I Racconti di Belzebù a suo nipote], solitamente in russo o in francese, ma a volte anche in inglese — a seconda delle ultime traduzioni completate — e i commenti di Gurdjieff sui suoi fini e scopi. In parole povere, egli aveva l’abitudine di ridurre il capitolo letto quella sera (i suoi commenti seguivano sempre alla lettura) a una sorta di sintesi o di semplificazione di quanto cercava d’esprimere attraverso lo scritto. Fui particolarmente colpito dalla sua affermazione che lo scopo di quel libro era distruggere […] i valori acquisiti e la mentalità comune delle persone, che impedivano loro di comprendere la realtà o di vivere le ‘leggi cosmiche’. […] Se, per come la vedevo io, l’esistenza del Prieuré aveva lo stesso fine: distruggere i valori acquisiti, allora tutto diventava più comprensibile. Se, come Gurdjieff aveva spesso affermato, il mondo era ‘sottosopra’ [se negli anni Venti del secolo scorso – circa cent’anni fa – era, il mondo, già ben “sottosopra”, quanto di più lo è oggi?], forse allora esisteva un valore definito in ciò che egli cercava di realizzare alla sua scuola [oltre l’aspetto strettamente “psicologico”, che Peters dice esser il meno questionabile, tranne che sul piano del metodo, e, se si dice incompetente a giudicar di metodi, di certo il fine rimane comune alla gran parte delle religioni e filosofia ancor oggi esistenti, dunque un’innovazione di metodi, non di sostanza: e il resto?, il punto era proprio lì]. Poteva in effetti esser vero, come aveva proposto la signora americana [cui era stato affidato qualche “lavoro” simile a quelli affidati a Peters, per cui avevano “collaborato” saltuariamente, scambiandosi opinioni sul “lavoro”], che non si dovesse lavorare per il risultato ovvio, immediato, di quello che si stava compiendo, ma per lo sviluppo del proprio essere [un insegnamento in varie forme, chiaro, comune alla gran parte delle religioni: nil sub sole novum]. Anche se non ero convinto [e mai lo sarebbe stato pienamente] che Gurdjieff possedesse tutte le risposte al dilemma della vita umana — come qualcuno l’aveva chiamato — era certo possibile che lui, come ogni essere umano, le conoscesse. Ciò che egli faceva era quanto meno provocatorio, imprevedibile, irritante e, di solito, avvincente abbastanza da sollevare domande, dubbi, contrasti [QUESTO era il suo FINE primario, infatti]. Nel corso delle conversazioni sui suoi scritti, faceva spesso digressioni dall’argomento di cui s’era letto per parlare, in termini generali, di tutto ciò che gli passava per la mente o veniva sollevato da uno degli studenti. Quando qualcuno, attraverso un collegamento con il capitolo letto quella sera, apriva la questione dei due mondi, Oriente ed Occidente, e della mancanza di comprensione fra la mentalità occidentale e quella orientale, Gurdjieff parlava con una certa ampiezza degli equivoci che si erano creati nel mondo [solo peggiorati da quel tempo ad oggi] proprio a causa di quell’incomprensione, sostenendo che eran dovuti, almeno in parte, alla carenza d’energia nel mondo orientale e di saggezza in quello occidentale [in parte, così è, solo peggiorato, ma vi “altro”]. Prediceva che un giorno l’Oriente sarebbe risorto ad una posizione di rilevo mondiale [VEDEVA LONTANO, si deve ammetterlo, perché così è stato, e, negli anni Venti del secolo scorso, tutto ciò era ben lungi – ma proprio BEN LUNGI – dall’esser “evidente”] e sarebbe divenuto una minaccia per la nuova cultura dell’Occidente [idem, così è stato: VEDEVA LONTANO], per ora incontrastata quanto a potere ed influenza [negli anni Venti del secolo scorso era davvero così] e dominata, secondo lui, dall’America [idem, e così è stato, ED È ancora, ma “l’America” non è più “incontrastata”, e reagisce a tale sfida con sottozero saggezza e militarismo becero (l’Europa, semplicemente, sta fuori dall’equazione da tanto tempo, vale zero, non parliamone che trattasi di argomento che fa solo venire il mal di stomaco)] — un paese certo molto forte, ma anche molto giovane [zero saggezza nelle loro reazioni]. Continuava dicendo che bisogna guardare il mondo come si guarda a se stessi. Ogni individuo era, di per sé, un mondo e il globo — il grande mondo nel quale tutti viviamo — era, in un certo senso, solo un riflesso, un’emanazione del mondo individuale racchiuso in ciascuno di noi. Tra gli scopi di tutti i grandi leaders, messia, messaggeri degli dèi e così di seguito, ce n’era uno fondamentale e primario: trovare i mezzi perché i due lati dell’uomo e, quindi, i due lati della terra, potessero convivere in pace ed armonia. Disse che il tempo era molto breve [CE NE SIAMO ACCORTI, o almeno qualcuno se n’è accorto, nella generale indifferenza] — era necessario raggiungere quest’armonia al più presto per evitare il disastro totale [ED ANCHE SU QUESTO, VEDEVA LONTANO, e, NON ESSENDO certo stata raggiunta quest’ “armonia” nel frattempo, ergo siamo SUL (punto di) e NEL “disastro totale”, non è certo “un caso”]. Filosofie, religioni ed altri movimenti del genere nel raggiunger questo fine avevano tutti fallito [vero] e l’unica via possibile passava ora attraverso lo sviluppo individuale dell’uomo [“ora” significa: il suo – di G. – tempo, cioè il sec. XX, ed anche questa via qui HA FALLITO]. In quanto un individuo sviluppava le sue capacità latenti, sarebbe divenuto forte ed avrebbe, a sua volta, influenzato molti altri individui. Se un numero sufficiente d’individui riuscivano a sviluppare sé stessi — anche in modo parziale — e a diventare uomini veri, umani, capaci di utilizzare le potenzialità proprie del genere umano, ciascuno di questi individui sarebbe riuscito a spuntarla e a convincere cento altri uomini i quali a loro volta, acquisendo ciascuno il medesimo sviluppo, sarebbero stati capaci d’influenzarne altri cento, e così via [giusto, ma il problema non è, infatti, la “completezza” dello “sviluppo” quanto, piuttosto, l’impossibilità di raggiungere la “massa critica” per influenzare l’insieme: È STATO così]. Aggiunse, tristemente, che non stava affatto scherzando quando sosteneva che il tempo era poco [e, infatti, ERA POCO!]. Per di più, la storia ci aveva già provato che strumenti quali la politica, la religione e ogni altro movimento organizzato che trattasse l’umanità ‘come massa’ e non come esseri individuali, aveva fallito [sì]. Ci sarebbero sempre stati fallimenti: la crescita originale, distinta di ciascun individuo nel mondo era l’unica soluzione possibile [vero, ma ci vuole un’altra umanità …]. Che si credesse in lui fino in fondo o meno [Peters è parte della seconda categoria], certo egli sosteneva la causa dell’importanza dello sviluppo e della crescita dell’individuo con convinzione e passione [nessun dubbio, e però ha fallito anche questa via “novecentesca”, poiché si è scontrata con l’altro problema, cioè quel che si è detto: ci vuole un’altra umanità]”, F. PETERS, La Rasatura del Prato e la Costruzione di Sé, L’Ottava Edizioni, Milano 1986 (edizione originale 1976), pp. 202-204, corsivo in originale, grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre[1]. La data di pubblicazione del libro non è fattore di secondaria importanza … Anzi! Poiché ci consente di “misurare” quanto accaduto – ma realmente, fuori dai soliti canali precostituiti costringenti – nel frattempo, nel corso del tempo.
Andrea A. Ianniello
[1] Così termina lo scritto di Peters, dopo varie vicende, in cui lui lascia definitivamente il “Prieuré” per poi, di seguito, tornare in America, senza che Gurdjieff usasse il legame emotivo con l’allora bambino ma invece lo lascia del tutto libero, com’era giusto: “Come influirono su di me, bambino, i miei anni con Gurdjieff, e che cosa appresi al Prieuré? Son tentato di rispondere a questa con un’altra domanda: com’è possibile valutare un’esperienza di quel genere? Non erano disponibili al Prieuré nessuna istruzione o educazione che servissero a preparare gli individui al successo, nel senso comune della parola; non avevo imparato abbastanza per esser ammesso in un College, non avrei potuto superare neanche superar gli esami finali della scuola superiore. Non ero diventato un essere mansueto né più felice, né più pacifico, né meno pieno di problemi. Le poche cose che avevo veramente imparato — che la vita si vive oggi — soltanto ora — il fatto che la morte è inevitabile, che l’uomo è un ingranaggio poco importante, imbarazzante, confuso e inesplicabile dell’universo — sono forse cose che avrei potuto imparare ovunque [vero]. Se però ritorno a quell’anno 1924 [ben 99 anni fa, quando Peters incontrò per la prima volta Gurdjieff, lasciò il “Prieuré” nel 1928: il punto è che il mondo non ha fatto sostanziali passi avanti decisivi, ma il “nodo” si è soltanto “annodato” ancor più], e mi ripeto che qualunque esistenza sia o sembri essere, è un dono. E come tutti i doni … tutto è possibile … può esserci un miracolo dentro il pacchetto”, ivi, p. 221, corsivo in originale, grassetti miei, miei commenti fra parentesi quadre. Ed auguro al “benigno lettor”, almeno ad uno, chiunque sia, che c’ha seguito sin qui — di trovare “il miracolo dentro il pacchetto” …
Quanto al mondo: il pacchetto continua, malamente, stoltamente, a non esser nemmeno aperto! Ed è chiaro — “al di là di ogni ragionevole dubbio” — che, se manca un elemento proveniente da un piano “diverso”, la causalità inerziale orizzontale IN ATTO non può che portare al noto risultato …
Il vero problema stava lì 99 anni da, ed ancor lì sta …