Ho segnalato ad un
amico questo testo: G. Casalino, Il nome segreto di Roma. Metafisica della
romanità, Edizioni Mediterranee, Roma 2003, con l’importante riserva che l’autore “evoleggia” non
poco, e dunque va preso con le dovute molle in molti suoi passaggi. Tuttavia, nel
punto essenziale – la relazione tra Venere e Marte – ha ragione senza dubbio. Tra
l’altro, Venere (Espero, a volte con il “digamma” iniziale mantenuto: Vesper, donde i “vespri”) è la fondatrice
dell’Occidente in senso tradizionale, però solo dopo il “connubio” con Marte,
il Marte italico – aggiungo ancor a Casalino – a sua volta parente di quello
etrusco, di quegli Etruschi tanto infaustamente deprecati da Evola (uno dei
suoi più grossi errori) e, come detto, in Casalino non vi saranno risparmiate le “tirate” à la Evola sul “sentimentale”,, civiltà “materna” e compagnia “scemeggiando”.
Evola si lesse Bachofen e pretese di spiegare per suo mezzo il passato, errore madornale. Per carità, Bachofen è una miniera di dati sui miti classici, ce l’ho
e va letto: affascinante, in tal senso; ma l’interpretazione, a dir poco,
lascia desiderare, molto. La Grecia
sì è all’origine della “divergenza” occidentale, per dirla con Guénon, ma, a
differenza dello stesso Guénon – che seguiva schemi interpretativi molti
diffusi nella sua epoca, però rivelatisi parziali
– G. Colli, reinterpretando Nietzsche, ha dimostrato l’origine asiatica di molte cose greche. Come si
sa, Nietzsche (ne La nascita della
tragedia) qualifica Dioniso come “asiatico”, mentre per lui Apollo era la “grecità”
classica, capolavoro di armonia delle forme, però priva di profondità. Dioniso è
la tragedia; Apollo è il sogno, la
dimensione onirica, e non certo in senso freudiano! Ora, Colli accetta sì
questo, ma va più in là, e scopre che questa visione di Apollo è una riduzione
rispetto a quella originaria, presente nell’ Iliade, per fare un esempio: Apollo che, col suo arco, diffonde la
peste nel campo greco, il “dio che
uccide a distanza”, il dio raffinato nelle vendette, ma sempre distruttore,
simbolizzando non il Sole come armonia, ma invece il Sole all’apice della sua
potenza, che dissecca e distrugge la vita; insomma, con dei tratti à la Shiva, per fare un’affermazione “forte”,
come suol dirsi. Tra l’altro, il distruttore nel’ Apocalisse di Giovanni, non
a caso è detto Apollyon. Per Colli, per tornare al punto, tanto Dioniso
che Apollo son “asiatici” nella lor origine vera. Il che ci fa capire quanto la Grecia fosse diversa dall’immagine
“classicista” che se n’è voluta dare. Tornando al problema storiografico, la “divergenza”
nacque in Grecia, ma la “differenza” occidentale nacque a Roma, piaccia o non.
Tra l’altro, sulla
copertina c’è un particolare del Pantheon, tempio dedicato a Roma ed a Venere, non
certo a caso, e che, poi, è stato cristianizzato come Santa Maria ad martyres, cristianizzazione che l’ha salvato. Inoltre, la donazione de
Pantheon – tempio imperiale – da parte
del Basileus della Roma d’Oriente ha segnato il potere temporale dei papi, che è, dunque, del tutto legittimo, in quanto conferito dall’Imperatore al Papa. Noi, in Occidente, e questo va detto, si
chiama l’Imperatore “d’Oriente”, in realtà va chiamato Imperatore romano tout court,
in quanto la successione dal primo Imperator romano a Costantinopoli si era
seguita senza interruzioni.
Come si sa, poi – dopo –,
il papa cercò un imperatore in Occidente, in quanto Costantinopoli era sempre
più lontana, la “reconquista” giustinianea era ormai un lontano ricordo; e lo
trovò in Carlo Magno, il cui potere era anche del tutto legittimo. Iniziava,
però, quel “dualismo al vertice”, così caratteristico dell’Occidente, e che ne
avrebbe “segnato” il destino (ma non
è il caso di tornare qui su problemi che ci han lungamente occupato, in questo
blog).
Qui un’ulteriore precisazione
va fatta: in che cosa le idee “di destra” e “fasciste” sono lontane dall’idea
di Roma, nonostante le esaltazioni à la
Julius Evola, cui Casalino si dà senza remore; in questo: che Roma può essere
stata tante cose, buone e cattive, mai,
però, è stata qualcosa come “nazionalista”. L’idea di Roma è infatti universale. Questa è sempre stata la sua caratteristica principale, nel bene
come nel male, piaccia o non. Dunque leggere con le lenti distorcenti del
nazionalismo, per di più italiano – cioè un titolo di demerito inespiabile –,
la romanità è peggio che un errore
di prospettiva, è, invece, un’inversione di prospettiva.
Dire Roma e dire
nazione”, in pratica, è un ossimoro, come riconobbe lo stesso Gregorovius nella
sua Storia di Roma nel Medioevo,
parti finali.
Detto tutto ciò, veniamo
ad un’osservazione su di un interessante passo
(cf. G. Casalino, Il nome
segreto di Roma, cit., pp. 140-143), dove si parla del fatto che Espero,
figlio di Giove giunge in Italia e fa sì che si chiami Esperia, uno dei nomi
antichi di ciò che, poi, si sarebbe
chiamato “Italia”, in osco Viteliù,
come vitello, radice di vita e di vite: la terra del Toro. Ma il Toro è
governato da Venere … Il legame con la vite sta nell’altro antico nome dell’Italia:
Enotria, la terra del Vino.
Dopo aver osservato
quest’ascendenza “mythica”, e cioè l’eponimo, Casalino continua, osservando come
Venere è l’astro (pianeta) che si vede quando il Sole non c’è più, una volta
annunciando la sua prossima venuta (ed è Lucifero, anche nella sua accezione cristiana negativa), ed un’altra volta
salutando il Sole passato, ed è Vespero, un altro nome del crepuscolo, il “vespro” appunto.
Casalino non ne trae le debite conclusioni, che
sono, nel nostro caso: il “Sole della Traditio”
è definitivamente tramontato, il che
spiega tante e tante cose; ne rimane solo un vago chiarore. Ma Venere si continua a vedere: essa garantisce la
continuità, che non è “formale”, non
potrebbe, infatti, esserlo senza generare una palese contraddizione logica,
più che cronologica. Essa – Venere – in se stessa non è ciò che assicura la continuità,
bensì n’è solo il “pegno”, e il “segno”, il segno che ci sarà. Dunque, ogni tentativo di “ricostruzione” à la Evola è fasullo, inconsistente. E però, attesta che un briciolo di
continuità, soltanto potenziale,
permane: ma tale segno spinge ad altro, non a “restaurare” il passato.
Questo punto qui è decisivo.
A.
A. Ianniello
PS. Cf.