domenica 6 maggio 2018

“Una riflessione su Marx” – duecento anni dopo –










a. Una riflessione su Marx dopo 200 anni
Qui di seguito si svolgerà, in breve, ma le questioni sono di una certa importanza – direi –, una riflessione su Marx, a 200 anni di distanza, sulla scorta di un recente articolo di M. Cacciari[1], e di una riflessione relativa all’ultimo libro di M. Tronti[2].
Come prima cosa, non condivido, affatto – come peraltro mi accade spesso –, quel che dice Cacciari all’inizio del suo articolo (citato alla nota n°1, qui sopra), e cioè che sociologi ed economisti dovrebbero tacere su Marx, a causa del fatto – cosa verissima, però – che il discorso di Marx ha una sua sostanza teologica e filosofica: non solo filosofica, ma teologica tout court. Ed è verissimo, è assolutamente verissimo che Marx abbia questo lato, non ci può esser alcun dubbio, al riguardo. Ma, ed ecco il limite, grosso, è che Marx – come peraltro tipico della sua epoca – collega i due livelli: la sua concezione, anche – anche – teologica, si esprime per mezzo dei crismi “positivisti” della sua epoca. Quindi, è impossibile che sociologi ed economisti tacciano di Marx. Forse vogliamo dire che, seppur si parli di questo livello, non possiamo sottacere il lato filosofico e teologico di Marx: in tal caso, son d’accordo invece. Può piacere o non, ma in Marx i due livelli son collegati. 
Ma ritorniamo al punto, all’articolo.
Secondo Cacciari, non è tanto l’apparato economico di critica dell’economia (politica) il punto centrale in Marx, ma, invece, l’aver fatto dell’ “Economico” la categoria fondante il punto vero. Per Marx, l’ “Economico” è come la tecnica per Heidegger, continua Cacciari.
La dimensione dell’Economico è ciò che deve dominare ogni cosa: questo è il capitalismo, per Marx, e quando Cacciari ricorda questo, ha ragione. 
Ma il limite di Marx, ed è decisivo, è che, per lui, l’Economico è la produzione. 
Dunque il lavoro produttivo diventa centrale, ed esso deve esser liberato dal profitto esercitatoci “su” da una certa minoranza. Il lavoro produttivo è frutto del cervello, ma un cervello collettivo, dice Cacciari, e di tale frutto non si deve fare necessariamente scambio, come invece obbliga il sistema capitalistico.   
Il punto è un altro, invece: che se tu, stando a dormire, accumulassi profitto (= che il capitale iniziale si accresca) avrebbe lo stesso valore, nel capitalismo, che se tu, per ottenere lo stesso profitto, te ne stessi a lavorare – tanto ma tanto “produttivamente” – dalla mattina alla sera.
Non è il modo che conta. Conta che il capitale si accresca.
Certo, nella storia ha contato ed ancora conta, che la modalità produttiva sia non solo esente, ma dominante, in se stesso, non è il punto decisivo. E infatti, i cosiddetti “servizi” oggi, di fatto, consentono un accumulo del capitale molto prima e molto più facilmente che con le vecchie modalità industriali.
Ecco perché la cosiddetta “finanziarizzazione” è, in realtà, un destino, non un accidente di percorso, e che tornare alla “buona” produzione non ha proprio alcun senso, quando, invece, tutte le “sinistre” ancora rispettabili – non parlo di quelli che sono servi del sistema – come massimo ideale hanno appunto quello di “tornare” alla “buona” epoca dei canteri di Liverpool, delle navi che solcavano i mari, all’epoca “eroica” del capitalismo, quando la classe operaia gli era ancor molto necessaria. I cantieri che erano indaffarati, gli oceani le cui rotte si aprivano, l’intera società come attraversata da una voglia di fare, produrre, costruire, scambiare: l’epoca eroica, che, senza dubbio, ha segnato l’Occidente in una parte della sua epoca (e però solo in alcune parti “geografiche” dell’Occidente stesso: ricordiamoci che il “Sud” non ne era parte se non marginale); e però, da un certo momento, tutto ciò si è inceppato, e non perché si sia fermato. Oh no: ma perché ha preso tale una velocità, da essere ingovernabile, ed è questa la causa strutturale della fine della politica.
Giusto invece che Cacciari osservi che proprio la natura contraddittoria del capitalismo è la sua forza, il fatto, cioè, che, per stare in equilibrio, deve dynàmei (per usare un termine di Marx) ricercare il punto d’equilibrio, in se stesso, però, introvabile.
Di conseguenza, la crisi fa parte del capitalismo in modo sostanziale, ed esso, continua Cacciari, procede per salti: è così. Ma i suoi “salti” hanno uno scopo ben preciso: ridurre la contraddizione, senza però potervi riuscire mai.
Attenzione però a non darlo per spacciato, a causa della sua contraddizione fondante: proprio il fatto che non riesce a risolverla, tale contraddizione, gli dà uno spazio di continua espansione e di continua resilienza, che è il modificarsi mantenendo i propri scopi.
Il capitalismo, sì, opera per il suo superamento, senza però mai potervi riuscire. Questo perché non è in grado di poter risolvere la sua contraddizione fondante, pur tentandoci, anzi essendo costretto a tentarvi, sempre. Quel che accade è che esso “riduce” la contraddizione, senza poterla eliminare. Poi, questi mezzi, sin allora utili, diventano sempre meno validi: si ha una crisi, con successivo sforzo di riduzione della contraddizione.
Per Marx la contraddizione sta nel fatto che la lotta è intrinseca nel capitalismo, anche fra i capitalisti, non solo fra classe operaia e capitalisti, lo stesso Wallerstein mantiene questa natura del capitalismo. Ma proprio questa lotta interna non poco ne ha mantenuto la forza.
Il contrario, dunque. La lotta mantiene il sistema.
E il voler eliminarne la contraddizione per mezzo della lotta non poteva che fallire.
In tal senso, che un conflitto – come lotta con un fine – sia molto meno del conflitto caotico, e cioè il nostro presente, si deve contare tra i segni positivi, ma è insufficiente.
Questo perché, come si è detto, il sistema non ha la capacità di risolvere la sua contraddizione fondante, anzi è una contraddizione ambulante, la sua natura profonda è contraddizione.
Se ne deve dunque dedurre che “qualcos’altro” debba intervenire, a tagliare “il nodo di Gordio”.        


b. Il “camaleonte” capitalismo
L’articolo di Cacciari porta – nella versione cartacea[3] – una sorta di riassunto, che recita così: “Il capitalismo è produzione continua di merci e di consumi. La forza-lavoro, cosciente della sua funzione, si fa autonoma. E scoppia la lotta di classe”, grassetto in originale.
Eh ma qui è un punto decisivo, del quale si parla nella conversazione fra Cacciari e Tronti, il cui link è nella seconda nota a pie’ pagina. Quanto era “cosciente” della sua funzione, cioè della “classe operaria”, la quale, come detto giustamente sia da Cacciari che da Tronti, non va intesa – come l’ “operaismo” volgare” – come un insieme di operai, ma come il “cervello sociale” della società (usa queste precise parole Cacciari).
E un tal gruppo era minoranza già nel periodo di massima sua espansione: era un gruppo scelto ed attivo (élite), anzi un’ “aristocrazia”, ovvero i migliori di una società, gli àristoi. Quindi mai sarebbe potuta essere una maggioranza, né la classe operaia è “democratica”, in tal senso. Si dà poi per certo che, poiché la classe operaia è dentro il sistema capitalistico, è nella migliore posizione di opporcisi. Questo, però, è stato vero solo fino ad un certo momento: e il capitalismo non è terminato dopo che la classe operaia aveva esaurito la sua funzione. Quindi, vi è dell’altro; e in quest’altro vi è il decisivo, se la vittoria decisiva il capitalismo l’ha ottenuta dopo aver fatto fuori la classe operaia, non gli operai singoli, come si è detto, senza modificare i suoi fini (la resilienza).
E tuttavia, il sistema si appresta, però, a far fuori anche questi ultimi, gli operai singoli, il più possibile, e nella misura del possibile, se fosse possibile.
In teoria, il capitalismo può star senza operai: li sostituisce con macchine. Non è altrettanto vero, però, l’opposto: un operaio senza capitale non può esistere, farebbe parte di una serie di “vecchi” legami sociali, secondo i marxisti (per quel che mi riguarda, farebbe parte di “altri” legami sociali, non di “vecchi”: lo storicismo ha impestato Marx, anche Tronti lo critica su questo punto); in altre parole, in teoria, un capitalismo senza operai, può esistere.
Anzi è lo scopo.
Tornando alla classe operaia, è chiaro il riferimento anche all’ Operaio di Jünger, e Cacciari lo dice in modo chiaro, seppur tra le righe, in quanto afferma che, per chi aveva questa concezione della classe operaia, l’interlocutore non era per niente il “progressista”, men che meno lo era il “democratico”, ma il “grande” conservatore, come Weber, o i fautori della rivoluzione conservatrice, come Jünger, per l’appunto. 
Non è casuale tutto ciò, ma nasceva invece da precise premesse teoriche.    


c. “Dove ‘Si’è sbagliato.
Se non è vero che il capitalismo ha altrettanto bisogno dell’operaio quanto l’operaio del capitalismo, dunque si può, pian piano, ma in modo crescente, fare a meno degli operai, una volta che siano stati resi dei singoli, e non più una “classe” che ha coscienza del suo ruolo. Infatti l’idea capitalistica, al limite, sta tutta nel fare a meno del lavoratore: le macchine da sole produrranno sempre di più. Ma cos’è questa “produzione”, a questo punto, ci si potrebbe chiedere: è una emulsione perenne, che non ha finalità = fine della politica = fine del contrasto, della lotta come produzione.
La produzione è, a sua volta, un mezzo, per il profitto.
Potenzialmente il profitto è solo un differenziale che si accumula. Ancor più in profondità, è il mezzo per accrescere il capitale iniziale. Il capitale non può non accrescersi: deve accrescersi. Sempre.  


d. L’ “autonomia” del “politico”.
Si fa riferimento ad un vecchio scritto (del 1978) di Cacciari[4], a dimostrazione non solo della lunga natura di questi problemi – cosiddetti “di lungo periodo” – ma pure di quel che dice Tronti nel suo intervento (citato su), cioè che gli eventi della fine del secolo scorso non sono stati, non dico metabolizzati, ma nemmeno affrontati per davvero. 
Ora però, già in quello scritto il problema, in apparenza, era quello dell’ “impolitico” – nietzscheano – sì, però anche quello dello “stato universale” del quale illo tempore già Hegel parlava.
Che “stato universale” han già, in parte, costruito?
E può esserci ordine sotto il capitalismo, nel senso di un qualcosa che, da un puto di vista più alto (politico …), dia una forma alle cose?
Non può esserci. 
Quel che può esserci è una riduzione del conflitto perturbante a favore dell’esplosione di migliaia di conflitti non produttivi: questo può esserci. 
Ma, è chiaro, che non può esistere alcuno spazio “politico”, in un “ordine” del genere.


e. Ilconflitto” e le sue ex magnifiche sorti: fine della modernità.
Il conflitto è alla base della genesi dello stato moderno, con Machiavelli, ricordato dallo stesso Tronti. 
Fa parte della teologia politica – secolarizzata – della modernità l’esaltazione del conflitto che produrrebbe, si sostiene, “avanzamento” sociale, ed anche conoscenza.
Questo è finito[5]. Finito, e le “sinistre” non se ne sono nemmeno accorte, attente com’erano ad avvicinarsi ai “nuovi” padroni, per finire come utili, ancora per poco, servitori.
Il conflitto non solo è del tutto incapace di “produrre” dissenso, ma è incapace di produrre ordine: l’ “ordine” sociale è assicurato da delle modalità non conflittuali, radicalmente non conflittuali.
Punto e non si torna indietro.
Ora ciò non significa – proprio per niente – che non vi siano conflitti: è il contrario. Di conflitti ce ne son molti, i conflitti sovrabbondano, ce n’è per tutti i gusti, ma, ed ecco il punto vero, non sono produttivi, non sono produttivi di alcunché. Ti fanno rimanere là dov’eri.
I conflitti non producono ordine.
I conflitti confermano il disordine.
In una parola, il conflitto non produce, tout court.
Il conflitto non produce più. Il conflitto è stato necessario, ma, da un certo punto in poi, non lo è stato più. Non lo è stato più da quando, come diceva tanto tempo fa Baudrillard, il modello del lavoro non è stato più quello del lavoro produttivo, ma il lavoro servizio, e cioè a prestazione. Le “sinistre” sono state fatte fuori da questo.
E qui torniamo al punto già ripetuto: la fine del lavoro produttivo come modello per il sistema capitalistico, lo si è già detto, ma, qui, si ricollega con la fine del conflitto come produzione. Oggi, per avere la produzione, non hai più bisogno del conflitto. E questo è forse una conseguenza “perversa” del capitalismo?
O è, invece, la conseguenza precisa delle sue premesse?



Andrea A. Ianniello









[1] Cf.
http://espresso.repubblica.it/visioni/2018/04/30/news/un-dio-chiamato-capitale-1.321182.
[2] “Mario Tronti e Massimo Cacciari: IL DEMONE DELLA POLITICA”, cf.
https://www.youtube.com/watch?v=lHAdRK__hDY.
Questa conversazione è molto interessante, contiene degli spunti veri.
Per esempio, l’andar oltre i limiti della ricerca marxista, in cerca della “totalità”, come una cifra di quella stagione, sempre in cerca di un “soggetto” rivoluzionario, da molto tempo introvabile però; o la cecità – il non voler vedere – la ristrutturazione in atto sin dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso da parte delle strutture politiche o sindacali del movimento operaio dell’epoca. O la giusta idea della necessità, da parte del capitalismo industriale, di liberarsi della classe operaia – che ne intaccava il consenso, la cosa essenziale cioè – modificando la sua stessa natura industriale: vero, verissimo. Ma proprio il marxismo, salvo poche eccezioni, non riuscì a vedere il cambiamento, rimanendo legato, a doppio filo, al capitalismo industriale, che è stato solo una stagione del sistema. Ovvio che anche l’attuale sistema non ha cambiato le finalità di base, sostanziali, del sistema stesso, quindi è un cambio di pelle, come una serpe, ma le basi quelle sono rimaste. Altra osservazione decisiva è la fine della società, tout court, e a livello mondiale, “globale”, ed è così.   Tra l’altro, vi è un detto di Tronti, riportato da Wikiquote, cf.
https://it.wikiquote.org/wiki/Mario_Tronti
Ed è questa: “Quando è crollato il muro di Berlino, quando si sono ammainate quelle bandiere rosse dai pennoni del Cremlino e tutti erano a ballare e a cantare nelle strade, non ci si rendeva conto che lì si concludeva una storia, che non era soltanto la storia del movimento operaio, ma era la grande storia della modernità, cioè la storia del tentativo di un soggetto razionale umano di intervenire sul proprio destino e cambiarlo. Lì finiva anche la vicenda di quella secolarizzazione dell’idea di progresso che era tipica tanto del movimento operaio quanto del capitalismo”. No, qui occorre correggere: idea di “progresso” che infaustamente il movimento operaio ha fatto propria, ed è calato con essa, ma questa crisi del cosiddetto “progresso” non ha colpito allo stesso modo il capitalismo, piccola differenza, ma decisiva. Il fatto è che a tale idea il movimento operaio dava un significato (che non fosse solo “materiale”) che non è il significato che gli dà il capitalismo: continuo miglioramento dei mezzi, dei prodotti – anche non materiali … – e delle merci.
E il capitalismo ha continuato a fornirne di queste cose … Quindi, non è la stessa cosa. Certo la modernità si è inceppata, ma il capitalismo, come sistema, è divenuto post moderno, semplice.
[3] Cf. M. Cacciari, “Un dio chiamato Capitale”, L’Espresso del 29 aprile 2018, p. 78, nel box a pie’ di pagina.
http://espresso.repubblica.it/visioni/2018/04/30/news/un-dio-chiamato-capitale-1.321182.
[4] Cf. M. Cacciari, Dialettica e critica del Politico. Saggio su Hegel, Feltrinelli, Milano 1978, cit. in D. Gentili, “Una crisi italiana. Alla radice della teoria dell'autonomia del politico”, cf.
http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/02/27/una-crisi-italiana-alla-radice-della-teoria-dellautonomia-del-politico/.





1 commento:


  1. Anche nel libro – già citato in un precedente commento – di O. ZECCHINO, “Gregorio contro Federico. Il conflitto per dettar legge”. Salerno Editrice, Roma 2018, nell’ultimo Capitolo, si oppone il papato come “gendarme del diritto naturale” (ivi, pp. 189-191) a Federico come “custode dell’autonomia del potere politico” (ivi, pp. 191-197), per venire all’ “autonomia del politico” ricordata nel post qui sopra.




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