domenica, aprile 25, 2004
CITTADINANZA GLOBALE.
Sun-tzu
dice:
“La suprema raffinatezza dell’arte
della guerra
è combattere
i piani
del nemico”.
“La suprema raffinatezza dell’arte
della guerra
è combattere
i piani
del nemico”.
Ci fu – nel
lontano (non quantitativamente parlando) 1997 – un libro di I.
Wallerstein e T. K. Hopkins: L’era della transizione. Le
traiettorie del sistema-mondo 1945-2025. Ora, tale libro […] descriveva,
insieme a tante altre cose, il destino di tutto il
sistema-mondo nato nel secolo XVI d.C., e il suo culmine come l’inizio della
sua crisi sistemica. Una “crisi sistemica” è una crisi tale per la quale l’intero
sistema non può più perdurare com’è, e deve modificarsi in un altro
sistema. Il sistema precedente finisce, cioè.
Secondo i due
autori, il culmine di tutto il sistema-mondo moderno
sono stati gli anni dal secondo dopoguerra al 1974; con lo shock petrolifero e
la fine del Gold Exchange Standard (la parità dollaro-oro, sempre del 1974:
inizia la fluttuazione della moneta di riferimento, che continua a esser tale,
il dollaro, la cui fluttuazione consente agli USA di scaricarsi dei debiti,
come sta facendo sull’Europa oggi, oppure di attrarre capitali e dunque
ri-finanziarsi).
Con quell’epoca
comincia a terminare il sempre crescente ruolo degli Stati (dall’inizio della “modernità”)
nel monopolio dell’uso della forza. Si tratta di un punto sul quale i
due autori insistono parecchio. Fino al XVI secolo il monopolio della forza non
era del solo Stato, ed è storia; così è rimasto per lungo tempo in molte parti
del mondo: il segno del nuovo corso del Giappone della metà del secolo XIX fu
il proibire l’uso delle armi ai samurai che ne avevano il monopolio, e non
erano, in quanto tali, “lo Stato” in senso moderno. Con il secondo dopoguerra
fino alla prima metà degli anni Settanta del secolo scorso (il XX) si assiste
al sempre maggior predominio in questo campo da parte degli Stati, finché la
tendenza comincia ad indebolirsi, ed oggi siamo al punto che vi sono delle vere
e proprie bande di briganti, delle bande armate, però sulla scena globale,
ed il più potente Stato moderno del mondo non riesce a garantire la sicurezza
che fino a poco tempo fa era la norma cui eravamo semplicemente abituati,
commettendo l’errore di credere che fosse la norma, mentre era l’eccezione
nella storia (l’epoca della massima potenza degli Imperi, Romano, Cinese,
Persiano, indù-buddhista avevano questa caratteristica, e la loro fine si è sempre
annunciata con la fine del monopolio nell’uso della forza).
Il loro studio
portava avanti delle argomentazioni ed individuava il “punto di non ritorno”:
quando, ad una nuova fase di espansione economica sistemica – la fine degli anni
Novanta del secolo scorso –, non fosse corrisposta la fine di una delle
tendenze di lungo periodo (dal secolo XVI) che avevano cominciato ad invertirsi
con la seconda metà degli anni Settanta (la “cerniera della modernità”) del
secolo scorso. Con la fine degli anni Novanta si è visto questo: il
sistema-mondo, tutto, entra in una fase di crisi profonda, sistemica,
e non più locale. La risposta dei decisori della fine del secolo XX fu questa:
diminuire lo stato sociale e accentrare le decisioni, cosicché il consenso
fosse facilmente ottenibile. Senza dubbio, un keynesismo intelligente può
fornire delle utili contro-armi (e per tale termine intendo: aumentare gli
stipendi o – in alternativa – distribuire i fondi per l’investimento in buoni
per il consumo: si vedrà che tutti i centri direttivi del potere mondiale si
opporranno a tali misure, per il semplice fatto che sono con i debiti alla gola
e necessitano dei fondi statali, europei e quant’altro: necessità vitale).
Ma è l’intero
sistema che si sta inceppando.
Perché? Perché
siamo al punto in cui i tagli non rimettono in moto la crescita, anzi
peggiorano le cose, tant’è che la parte riformista delle classi decisionali
attuali dice: – Ma qualcosa la si deve pur dare... – Si oppongono, però, ad un
forte trasferimento di ricchezza, l’unico mezzo per rivitalizzare la crescita,
per sfuggire alla trappola del 1929, che si sta ripresentando [lo scrivevo nel
2004 …!!]: si produce tantissimo, ma chi compra?
I consumi sono
scesi molto.
Ma, anche se si
riuscisse a rivitalizzare i consumi, sarebbe cura temporanea: è l’intero
sistema-mondo che va in uno stato “caotico”. Si è raggiunto il “punto di
ebollizione” (titolo di un film di Takeshi Kitano).
Secondo i due
autori citati, sarebbero stati gli anni 2000-2025, quelli del pieno della
crisi. E così è stato.
Ci sarebbero state
delle risposte sostanzialmente a favore dell’ulteriore accrescimento del potere
da parte dell’aristocrazia del denaro che domina il mondo (ed ecco la politica
Bush [che dire di Trump …!!]) e delle risposte a favore di una maggior
condivisione, finora mancate [manco queste cose blande ci sono state, i governi
cosiddetti “populisti” è questo che vogliono fare, cosa, più che giusta,
peraltro].
Queste ultime [le
risposte dette su], però, sarebbero state temporanee, perché il sistema tutto
necessita di un nuovo assetto. Ricordiamoci che la ‘barbarie’ è
una possibilità di nuovo assetto, che la crisi irreversibile, di nuovo, è una
possibilità di nuovo equilibrio, e particolarmente stabile:
un legno bruciato non può essere bruciato di nuovo.
Nell’ambito di
tali considerazioni sulla crisi del sistema-mondo e la fine
del monopolio dell’uso della forza, è interessante notare come la
guerra, soprattutto la guerra, stia divenendo un fatto “privato”. E’ una
significativa, molto importante, conferma della crisi degli stati. Gli USA,
oltre ad essersi ficcati in un pasticcio (ed anche l’Italia, indirettamente,
nazione i cui principali nemici sono sempre stati gli alleati più forti coi
quali usa mettersi e dai quali non sa difendersi non riuscendo ad esprimere mai
una posizione forte con gli alleati più forti: è una tara molto vecchia...), di
fatto, han costruito una nuova Somalia, “donando” agli integralisti una nazione
come l’Iraq, ma, soprattutto, dimostrando di non sapervi porre ordine,
dimostrando la debolezza, il tallone d’Achille della “nazione più forte del
mondo” [e tutto ciò, si sa, è già successo].
Tutto ciò dimostra
che il punto di caduta del mondo tardo-moderno è l’eclissi del possesso del
monopolio dell’uso della forza, da un lato “rubato” dai nemici di ogni
ordinamento statale (e qui non è proprio il caso di farsi illusioni: questi
gruppi apparentemente anti-statalisti sono degli utili sistemi di
termoregolazione cibernetica del sistema, quindi guai a chi se ne facesse
sedurre, sono cunicoli senza sbocco), dall’altro “appaltato” ai privati,
dimostrazione [del]l’incapacità di esercitare il monopolio dell’uso della
forza, monopolio che ha contraddistinto l’epoca moderna in senso pieno, epoca
dalla quale siamo usciti, epoca terminata.
C’è un
interessante vecchio libro del 1982, di Paul Virilio: Velocità
e Politica. Saggio di Dromologia.
In esso si
sostenevano più cose. Da un lato, come il predominio dell’Occidente sulla scena
del mondo sia nato dal predominio della velocità e del movimento, soprattutto
per mezzo del mare. In secondo luogo, come tutti i moti rivoluzionari si siano
di fatto accompagnati al dominio delle strade e alla discesa e all’impossessamento
da parte delle masse delle strade stesse [il consenso globale post fine anni
Settanta – inizio anni Ottanta, com’è stato costruito??, guarda caso, togliendo
le masse dalle strade, salvo manifestazioni specifiche – minime peraltro].
Di come il
rapporto tra velocità e politica fosse decisivo, ma sempre più difficile da
dominarsi, a causa della sempre maggior riduzione dello spazio di tempo,
essenziale per poter operare delle decisioni.
Per Virilio, tutto
ciò terminava in ciò che lui chiamava – all’epoca, si badi bene, ed è stato
“profetico – “La fine del proletariato”, “Una sicurezza consumata” (l’eclisse
della sicurezza nell’ossessione della sicurezza globale), ed infine, last
but not least, “Lo stato d’emergenza”.
Lui lo intravedeva
soltanto, ma oggi siamo in grado di usare il termine giusto: stato d’emergenza
globale.
Ripeto: era il
lontano 1982!
Tutta la Terra,
oggi, vive in uno stato d’emergenza...
Rispetto a tutto
ciò, è necessario riconsiderare molte cose, soprattutto non ci si può più
contentare di un ruolo di ”protesta”, ma occorre proporre. Per proporre,
occorre di nuovo focalizzarsi sulle contraddizioni che muovono il mondo, questa
volta concentrandosi non su quelle fra stati, ma su quelle sistemiche.
In altre parole: c’è
una contraddizione centrale, basilare, all’interno
del sistema attuale, oltre le diseguaglianze, un fatto strutturale?
Se sì, qual è?
Contraddizione
strutturale di base.
Ecco: è possibile
trasferire i capitali da un qualsiasi punto della Terra ad un qualsiasi altro
punto della Terra, nel rispetto di alcune convenzioni di base, ma in sostanza
senza vincoli? Sì.
E’ altrettanto
possibile trasferire gli individui allo stesso modo, con gli
stessi vincoli? No, affatto. C’è
dunque una contraddizione sostanziale, strutturale.
Il sistema
attuale, sebbene capace di aver instaurato la circolazione “libera” dei capitali, mantiene
ferma la distinzione fra circolazione di capitali e di uomini.
Ben
diversamente, dunque, dall’Impero Romano,
esso risulta incapace di proporre una cittadinanza globale,
estesa a tutta la Terra (a “tutto sotto il Cielo”, come dicono i Cinesi), ad
ogni essere umano. Ciò per motivi strutturali: terminerebbe
quello scambio ineguale che è la base del
sistema-mondo. Ecco, […] la sfida sarebbe questa: la cittadinanza globale
di “tutto
sotto il Cielo”
(Cittadinanza Celeste, Celestial Citizenship, “Civitas Cælestis”
[concetto ispirato al Mencio]), l’unica vera
soluzione allo scambio ineguale, e l’unica vera risposta al
problema della cosiddetta “immigrazione”. Se c’è una cittadinanza globale,
allora non c’è più differenza tra i “migranti” ed i
“cittadini”.
[…]
Tutto ciò mette il
dito sulla piaga, sulla contraddizione sostanziale
del tardo sistema-mondo dell’economia capitalistica, iniziato precisamente con
l’apertura dei mari nel XVI secolo e la scoperta che tutti i mari sono in
realtà uno solo, pertanto si può raggiungere qualsiasi punto della Terra, per l’appunto
per mezzo del mare, che la costeggia tutta. L’Occidente moderno ha battuto gli
ordinamenti tradizionali nel mondo rivendicando il Diritto al Mare;
e, all’interno dell’Occidente, le potenze marine hanno battuto quelle
terrestri. Finché la minoranza egoista al governo di tutto ciò, sita nel centro
del sistema dello scambio ineguale, non avesse raggiunto il dominio globale
totale: la famosa “globalizzazione”. Ottenuto questo, ecco rinascere il
particolarismo, ecco la stessa minoranza egoista dividere il mondo in “in” e “out”,
“immigrati” e “cittadini”, con mille problemi, […] insolubili […].
Questo ci fa giungere al centro del
problema.
[…] [Se è insolubile,
perché, dunque, se ne parlava, e qui
di seguito la risposta]
Qual è, allora, il
senso di tali idee? Porre
in luce il punto debole del mondo attuale, che sì è un Impero, ma, ben
diversamente da quello Romano, è incapace di
proporre una cittadinanza globale, vale a dire una vera Unità del mondo.
Ciò perché è dominato – il mondo –
dalle minoranze egoiste.
Tale situazione è
quella reale, e né estensioni dei diritti – in grave crisi come
concetto nato dalla modernità –, né il perdurare della situazione attuale
riusciranno a sciogliere il nodo. Il nodo del dominio delle minoranze egoiste è
quello decisivo. Finché il Nodo di Gordio (inverso)
non sarà stato tagliato, non ci può essere soluzione al nodo
scorsoio e fiammeggiante del mondo globalizzato.
Tale mondo è in
crisi mortale proprio a causa della globalizzazione
stessa e del suo successo.
Tale successo è distruttivo
perché costitutivamente incapace di proporre
una vera Unità, un concetto realmente unificante
[…]. […] La globalizzazione, in se stessa, ha portato, e sta portando, il mondo
alla nuova barbarie, perché è una privatizzazione totale. Si
ritorna, quindi, allo stato “patrimoniale”, ma senza né imperatore né papa, senza un
limite ideale a porre freni,
senza un’ autorità spirituale a porre delle limitazioni.
Molto peggio, dunque. Difatti, se ci si legge Adam Smith, il teorico del
liberalismo (in La Ricchezza delle Nazioni, 1776), si nota subito che,
per Smith, c’erano delle cose che non si dovevano
privatizzare, proprio quelle che il neoliberismo invece privatizza, allo scopo
di formare ciò che chiamo Stato Patrimoniale globale (SPG),
cioè il succedaneo, peggiore, dello stato
patrimoniale pre-moderno, cioè precedente all’epoca dell’apertura delle rotte
libere sui mari di tutto il mondo.
L’apertura dei
mari ha portato al dominio mondiale di una minoranza egoista.
[…] Moto globale
dei capitali e cittadinanze limitate sono una contraddizione
esiziale per il sistema-mondo.
P.S.
Se siamo di fronte ad un nuovo “shock petrolifero”, trent’anni dopo il primo (1974),
e se – seguendo Wallerstein – consideriamo il 1974 la fine della fase culmine
del sistema-mondo nato dall’epoca delle Grandi Scoperte geografiche, se ne deve
dedurre quel che segue: siamo entrati in una nuova fase sistemica, di crisi
accelerata. [Era il 2004 …!!]
Andrea A. Ianniello
Come pensi che la cittadinanza globale possa effettivamente cambiare lo stato delle cose?
RispondiEliminaOvviamente hai in mente qualcosa di fattuale, perché una cittadinanza teorica ma che conservi l'organizzazione attuale del sistema-mondo sarebbe ovviamente lettera morta. Quindi come hai in mente che debba essere in pratica questa cittadinanza globale e cosa dovrà/dovrebbe comportare?
E poi, il movimento dei "migranti" non è funzionale al mescolamento dei popoli, all'appiattimento delle culture (quella occidentale non esiste più), all'amalgama generale? E questo non conviene in ultima analisi al capitalismo stesso, che altrimenti non lo permetterebbe?
Questa estensione dei diritti alle masse in movimento non sta togliendo anche le briciole a chi aveva poco, piuttosto che intaccare la contraddizione fondamentale del capitalismo?
Ecco perché ti chiedo cosa intendi veramente con cittadinanza globale, perché da come la descrivi non è una semplice abolizione del reato di clandestinità (poi nel frattempo avvenuto).
EliminaAlla prima domanda è difficile trovare una risposta: l’idea di fondo è che questa contraddizione sostanziale del sistema della “globalizzazione” (= la piena, in realtà, realizzazione del capitalismo) **non è in grado** di rispondere al problema; ed è ovvio che non penso a cose forali, ma ad una cittadinanza che non possa consentire delle disparità di trattamento così enormi fra le parti costitutive del sistema-mondo – che oggi è in crisi gravissima. Ovvio che **non** penso alla semplice abolizione del reato di clandestinità, che sarebbe una sciocchezza. Ma di ripensare al sistema. La piena emersione di tale contraddizione consente di **ripensare** ai meccanismi fondanti sistemici: questa era la mia intenzione, ormai qualche annetto (“nanetto”, diceva qualcuno in vena di facezie) fa (fa diesis o sol o altra nota ….).
Alle polemiche giorno, personalmente non partecipo: non me ne interesso proprio.
EliminaAlla seconda domanda è ancor più complesso rispondere, a dimostrazione che qui di fronte ormai abbiamo dei “nodi” (mi ricordo sempre l’uso di tal termine da parte di Guénon ….) costitutivi e sostanziali. I “migranti” son conformi ad un determinato sistema, che ha l’interesse al rimescolamento generale (la cultura occidentale ormai essendo un fantasma), e questo è voluto dal capitalismo: vero, senz’altro, ma vero in parte, vale a dire vero “entro certi limiti”.
La chiave di volta sta sempre in questo: il sistema capitalistico si basa sullo scambio ineguale: nonostante tutto le belle fole, questa gerarchia è strutturale, anche se “chi” occupi la posizione centrale può cambiare nel corso dei secoli.
Dunque perché queste “migrazioni”?? Perché il centro si è indebolito, a causa della (molto ma molto relativa, e però in parte reale) ascesa delle classi medie nella fase neocapitalistica post secondo conflitto mondiale. Di qui la necessità di manodopera a basso costo, in attesa che i robot possano sempre più sostituire la manodopera umana. La Cina infatti su questo ha costruito il suo successo: essa però aveva in se stessa la sua manodopera a basso costo. Altrove si è dovuto **importare** tale manodopera. Ora però, al di là di un certo limite, i mercati dei paesi ex centrali non son più in grado di sostenere tale importazione, che diventa negativa per le classi più deboli dei paesi ex centrali. O, per dir ancora meglio, un certo numero di paesi centrali (per esempio, Germania) han buttato a mare altri paesi, oggi ex centrali (Italia, per fare un esempio), scaricando su di loro il problema migranti, e tenendo per sé, guarda un po’ che caso …, quelli che servono loro per far funzionare il sistema con manodopera che sia di basso costo, e tuttavia scolarizzata, istruita. Gli scassati rimangono nei paesi costitutivamente scassati (tipo Grecia), o ridivenuti tale dopo aver assaggiato “l’ebbvezza” (con “evve” moscia) di far parte – finalmente!! – dei paesi centrali, cosa che in Italia – ricordiamocene – generava gridi di giubilo, orgasmi vari, auto compiacimento a iosa …
Ma non sarà che questo modo di ridurre la contraddizione non la faccia esplodere?
E non sarà questo il senso di quanto qui sopra detto?
E che le “migrazioni” stiano togliendo alla **classi più deboli** dell’ **ex-centro sistemico** quel po’ che avevano, è altrettanto vero – nessun dubbio al riguardo.
Ma di nuovo tutto ciò è il **fenomeno**, **non è** la causa del fenomeno.
EliminaPer esempio, la recente edizione de “La Crisi del mondo moderno” di Guénon mette l’accento sul fatto che una delle modalità che Guénon previde di fine dell’Occidente moderna era la rivolta dei poveri. Questo, di solito, vien detto da un punto di vista di “destra”, che vuol salvaguardare l’ “identità” occidentale, qualunque cosa si voglia intendere con tal termine. Ricordiamoci due cosettine sgradevoli: 1) la causa di tutto l’ambaradan – di tutto!! – è, per Guénon, l’Occidente: l’Occidente; 2) per Guénon che ciò avvenga è una cosa buona – è una cosa **buona** (ed è ancor più esplicito in “Introduzione allo studio delle dottrine indù”, parti finali, pubblicato dall’Adelphi: ancor **più esplicito** - è una cosa **buona** e necessaria, per por termina alla “deviazione occidentale”. Ora, certo, lui la vedeva in anni molto lontani, le cose sono cambiate, ma non dimentichiamo che, per Guénon, la “colpa” era dell’Occidente, che aveva accettato la “tirannia” di una classe dirigente che “non poteva che portare ad una catastrofe” (per usare il suo linguaggio), **qualunque** fosse stata la forma di detta catastrofe, forma che Guénon lasciava alla libera immaginazione di ognuno. Una delle forme era questa: la rivolta degli esclusi dal Gran System.
Allora – per tornare a noi – che **senso** ha la “proposta shock”, volutamente tale, ovvio?? Quello di far **emergere** la contraddizione sostanziale.
Una tale “cittadinanza globale”, infatti, non potrà che essere sovranazionale, e di qui non si scappa. Ora: un sistema come quello attuale è in grado di poterla dare, in ciò **assolutamente** diversamente dall’antica Roma, assolutamente diversamente? No, affatto, non può.
E può continuare – “sine die” – a porre pezze o rammendi a una tale contraddizione di base, di sostanza? No, non può affatto. Ecco il senso.
Altra questioncella, innocente: se questo sistema non può, se ritorni alle nazioni son parziali, “chi” può porre un limite a tale contraddizione, che, tra l’altro, nel corso del tempo, si è andata espandendo, essendo una risposta molto parziale ad un problema sostanziale?? Questo è, oggi, il punto vero …
Proprio da questo nasceva la mia domanda, cioè che l'attuale modo di ridurre la contraddizione non la fa esplodere.
RispondiEliminaOra invece ho capito. Certo è che se l'Anticristo si facesse carico di risolverla, davvero avrebbe il mondo nel suo pugno, e a causa di un motivo fondamentalmente giusto!
Certo non si può sottovalutare Satana...
Quel che dici è giusto: è chiaro che questo modo, che ha la “modernità”, di ridurre la contraddizione fondamentale – nata dal fatto **strutturale**, che è lo scambio diseguale “per principio” – **acuisce** la contraddizione, dopo averla parzialmente ridotta (e cioè: la **sposta**, io la chiamo scherzosamente: “la pompa di scarico del capitalismo” …). La soluzione del dilemma è quella proposta da Guénon “illo tempore” – e, sia detto per inciso, del tutto malintesa dai vari “tradizionalismi” –, e cioè che, poiché la modernità “è un periodo di crisi per l’**intera** umanità” (“La Crisi del mondo moderno”, non, dunque del solo Occidente … –, essa modernità è **incapace** di risolvere i problemi nati dalla sua stessa espansione. In altri termini: non è capace di gestire la sua espansione, quando essa vada oltre un certo “limes” (e passa dunque nell’ “implosione”, avrebbe detto Baudrillard). “Ergo”, di conseguenza, qualcosa d’ “altro” deve intervenire, **posto che** non si possa avere la mera implosione – implosione che, sia detto per inciso, è precisamente quel che stiamo esperendo da una ventina d’anni e una tonnellata di danni fa –: questo “posto che” è “conditio sine qua non” del ragionamento di Guénon, sia detto, e per la terza volta (uff!!)), per inciso. La modernità è stata edificata come un “sistema chiuso”: il su frutto maturo, ancorché velenoso, è il sistema blindato dagli anni Settanta ed Ottanta del secolo scorso, che funziona col pilota automatico, sistema, tra l’altro, che ha cominciato ad andare in panne dieci anni fa esatti, e d’allora in poi ha subito varie riforme, **non** sostanziali (quella targate Obama), come ci dimostra la cronaca spiccia di questi giorni, perché, giustamente peraltro, e comprensibilmente, una ottica difensiva e di ritorno – parziale, non può esser altrimenti – ad un’ottica relativamente “nazionale” sta imponendosi, con accenti e forme anche molto differenti, nei vari paesi del mondo. L’epoca del “globalismo puro” sta passando, la cesura non è più destra/sinistra, ma globalismi puri/non globalismi. Un segno è anche la crescente attenzione sulla privacy, per fare un altro esempio.
EliminaQueste riforme, però, a loro volta, non toccano la contraddizione fondamentale, ma cercano di ridurla, per mezzo di un’ottica difensiva.
Dunque allora: “chi” taglierà il “nodo di Gordio” famoso? E “chi” ridurrà, in modo definitivo ed **irreversibile**, la contraddizione fondamentale?
Elimina****Non certo**** un “moderno”, su questo si può star certi … Ed è più facile che “un cannellone passi per la cruna del lago” (scherzo) che la modernità risolva, da se stessa, i suoi problemi … E, negli ultimi decenni – ma è fatto strutturale, non episodico (né iposodico) –, quel che si è visto, è solo il peggioramento, senza fine, dei problemi strutturali centrali. Quindi, la modernità non sa e non può risolvere, da se stessa, si suoi stessi problemi, e sta implodendo.
Ma questo “non sufficit”, e, comunque, vi è una “decisione divina”, se lasciar che il mondo imploda, e lentamente affondi nel fango, per tornare allo “stato primordiale” – cosa prevista da Baudrillard come da tanta fantascienza, non ultimo “Blade Runner” (preveggente per i tempi) – o, al contrario, una “solutio” (= uno scioglimento veritiero) “dynamica”, e qui si può solo stare a vedere. Certo si è che, considerando questi osceni ed immondi e schifosi e fangosi ed orribili vent’anni lungi di dissoluzione senza speranze, sarebbe meglio un qualcosa di più dinamico: ma, sin ora, di certo ha prevalso la via “implosiva”, prevista “illo tempore” – nel lontano fatidico 1978 (altro anno fatidico il 1994, parlo di anni che han segnato svolte **sistemiche** = il modo di funzionare del System) – da Baudrillard nel suo “All’ombra delle maggioranze silenziose”, anche se ci “Si” Augura che un cammino – finalmente!!!! – più dinamico prenda il posto del lento affondamento del vascello della modernità, modernità che, una volta passate le proverbiali Colonne d’Ercole (effigiate sur un libro di F, Bacone), non sa più ritrovare la strada per casa, per quanto talvolta, pur presa da nostalgia, ardentemente possa desiderare di ritrovarla.
NB. Che una società in “status implosiònis” possa – per ciò stesso (lo stato d’implosione) ¬ “sfuggire” all’analisi, è una deduzione sbagliata: sfugge ad un’analisi complessiva che ne tracci un modello, questo sì, è vero. Ma non vuol dire che non ci possa essere analisi. Solo che quest’ultima porterà sempre ad uno scacco: l’impossibilità di un modello complessivo, salvo rendere il modello molto ma molto duttile, agile, mutevole, “illiquidità” come ciò che studia. O dovrebbe studiare.