Vi è un’interessante
vecchia leggenda romana, la quale ricollega la statua del Marc’Aurelio, nella
Piazza del Campidoglio si Roma – statua creduta essere quella di Costantino –, con la “fine dei tempi”[1].
Inoltre, parlando della risistemazione, fatta da Michelangelo, della statua nella piazza del Campidoglio,
scriveva: “Sistemazione semplice quella di cui trattasi, ma non per questo meno
imponente e significativa. Semplice poiché, allora, tutto il lavoro si limitò
alla pavimentazione, a collocare al centro la statua equestre di Marco Aurelio
(statua reperita – si dice – in Laterano, ed a realizzare la rampa d’accesso,
collegante il piano capitolino con la sottostante piazza dell’Aracoeli.
Tutto estremamente semplice, dunque; ma non privo – come s’è accennato – di risonanze alchimiche,
come risulta da questa curiosa
leggenda popolare (leggenda diffusasi
non si sa esattamente quando, né ad
opera di chi, forse dello stesso Michelangelo): ‘si dice che l’ antica doratura, di cui si vedono tracce sul volto di Marco Aurelio, nelle pieghe del suo pallio e sulla testa del
cavallo, vada poco a poco ricomparendo, per l’ azione di agenti atmosferici su di un’ altra
massa d’oro contenuta nell’ interno; e quando la statua dell’imperatore sarà di nuovo tutta scintillante, verrà il Giudizio Universale, canterà allora, per ultimo avvertimento, la bronzea civetta che si nasconde sotto il ciuffo di peli della criniera che è tra le orecchie del cavallo’.
Leggenda curiosa ed oscura ai più, ma trasparente per chi abbia qualche nozione
d’alchimia”[2].
Come ben si sa, nella
piazza, oggi, vi è una riproduzione
della statua originale. Che pensare, allora, del fatto che la statua, “vera”,
del Marc’Aurelio, trovandosi oggi dentro i locali dei Musei Capitolini,
protetta dunque, laddove l’oro rimasto del rivestimento non può consumarsi,
impedisce che tale leggenda romana si realizzi …
Se ne può pensare quel
che si vuole …
Andrea A. Ianniello
[1]
Cf., J.
Cohen, “La leggenda della statua di Marco Aurelio in Campidoglio”, in Id., Echi
alchimici [sic] nella romanità antica, Editrice Kemi, Milano
1980, pp. 167-177.
[2]
Ivi, pp. 167-168, corsivi miei.
Che abbiamo perso un'ottimo strumento per capire a che punto della discesa siamo?
RispondiEliminaAnche questo, ma fa parte del “Kali-Yuga” che la fine del “Kali-Yuga” stesso sia nelle caligini, nelle opinioni, prive di “misurazione” ... Ora, se ricordiamo che è il raggio solare quel che consente di “misurare” ...
RispondiEliminaDue più due fa quatro.