Europa
e Prima Guerra Mondiale
“Parla da saggio
ad un ignorante ed egli dirà che hai poco senno”.
Euripide
La Prima Guerra
Mondiale segnò, forse, la vera cesura
nella “seconda fase” de “La Crisi del mondo moderno” (Guénon), perché pose
termine tanto alla cosiddetta “Belle
époque”,
quanto pure all’ordine che aveva regnato in Europa e nel mondo a seguito degli
accordi del Congresso di Vienna del 1815.
Pur periclitante, pur
decadente, pur attaccato in mille modi, l’ordine nato da quegli accordi resse sostanzialmente
un secolo. Il Congresso di Vienna aveva fatto sì che le aristocrazie
europee, anche con molte concessioni e cooptando grosse parti delle varie borghesie “nazionali”, fossero in grado di
sostenere lo sviluppo capitalistico che produsse quella che, ormai, si usa
chiamare la “prima globalizzazione”.
Quel sistema vedeva
nell’Inghilterra e nell’Europa il centro
del sistema economico e tecnico mondiali. Quel
sistema crollò con la Grande Guerra, per molte ragioni, che ripercorrere
qui sarebbe troppo lungo; tuttavia, si cercherà di delinearne, in breve,
l’essenziale, soprattutto in relazione alla trasformazione che la Grande Guerra produsse. Se crollò l’ordine
della centralità dell’Europa occidentale, pure non crollò il sistema economico
e tecnico detto “capitalismo”, che semplicemente si spostò e cominciò a
considerare l’Europa come secondaria.
La cosiddetta “Europa
‘unita’”, sinora, non è che un succedaneo,
dove le ambizioni delle nazioni più potenti (soprattutto la Germania, con la
Francia comprimaria in style Vichy)
si fanno passare per “unità”, ma non
è un “bene comune”, una vera
cittadinanza europea che si ritrova al centro, quanto piuttosto uno scimmiottare,
in modo peggiore, quel che han fatto gli Stati Uniti d’America che, giova ricordarlo, sono nati unitari.
In Europa non si riesce
ancora, dopo tanti anni, a trovare un “proprium”
veramente comune, un Nostrum, che sia
Mare o Terra poco importa, pure Aër
andrebbe bene, purché sia qualcosa di comune
davvero.
Ricordiamo che una
rilevante differenza è il ruolo della Russia, fino alla prima metà del 2015
ancora non coinvolta attivamente
nella guerra in Medio Oriente, ruolo che si è dimostrato punto di “svolta” sia
nella Prima sia nella Seconda Guerra mondiale, anche se, negli ultimi tempi, sembra ormai che la necessità di formare una “Grande Coalizione” anti-Isis/Isil abbia
spinto ad un deciso riavvicinamento fra Russia ed Usa, in vista di una “Grande
Coalizione” tanto vasta, quanto debole, ed al suo interno molto divisa.
Or dunque, quando nasce il
mondo moderno? Con Lutero. La
modernità è nata dalla religione e solo dalla religione potrà essere abbattuta. Anche se questo fatto
non è da usare come i “pazzi per Trento”, inguaribili nostalgici con
quell’atteggiamento così “tipico” di un’Europina minima – piccola piccola -
tutta ripiegata su se stessa, dove l’abusatissimo termine d’ “identità” viene
stiracchiato e preso per narcisistico auto rispecchiamento: queste “chiuse
identità” la storia non ce le tramanda, anzi, l’identità è precisamente la
caratteristica che consente di assimilare gli stimoli esterni mantenendo un
nucleo interno intatto. Un’altra osservazione: mai nel Medioevo il nazionalismo
era stato tanto esplicitamente evocato prima di Lutero, esisteva
implicitamente, ma non esplicitamente.
Tornando alla vexata quaestio dell’ “identità”, è
proprio l’assenza di un nucleo interno
che genera le risposte isteriche che vediamo in questi tempi di nuovi muri:
hanno abbattuto quello di Berlino solo per costruirne altri … ah ah. L’Histoire: quelle ironie!! Tutto si
sarebbero aspettati – dopo “l’estasi della connettività” e l’aver “fatto entrare”
senza distinzioni - né “step” - i paesi dell’Europa dell’Est - noti e storici
portatori di guai –, tutto si sarebbero aspettati fuorché avesse portato a nuovi
muri: ma stava tutto scritto dentro, sin dall’inizio, che si sarebbe tornati ai
nazionalismi, mai sedati e mai passati dalla Prima Guerra Mondiale.
Certa gente vive nei sogni, che
però spesso son incubi o si trasformano in incubi; davvero come se si abbaiasse
alla Luna, cosa diffusissima nella nostra epoca.
Per quanto decada, per quanto
“post”, siamo ancora nell’ “Autunno del moderno”. Non abbiamo davvero
superato la modernità, nonostante gli sforzi di taluni autori, come De Benoist.
Tuttavia, una diversa, ben
diversa posizione su questi temi, qui, su questo blog, è semplicemente doverosa.
Come prima osservazione, si
può partire da quel che G. Masson, in una vecchia biografia su Federico II,
così concludeva, nell’Epilogo: “Federico di Svevia Hohenstaufen morì
apparentemente sconfitto e annientato dalle potenze del suo tempo. Con lui sembrò
scomparire anche tutto ciò che aveva voluto creare: soltanto pochi castelli
sparsi sulle solitarie [un tempo, nota mia] colline pugliesi, alcune statue
della porta di Capua [ne rimane qualcosa] e il manoscritto del suo libro di
falconeria restavano a testimoniare
della grandezza del suo ideale incompiuto”.
Dopo questo passo, appena
citato, l’autrice rovina le sue giuste osservazioni – dove la Masson, commette
il grosso errore dell’anacronismo,
attribuendo a Federico II lo stato moderno: questo
è un errore molto, troppo diffuso.
E tuttavia, pur puntualizza
un punto decisivo, nelle sue frasi
successive: “L’ultimo dei grandi imperatori non
è morto, ciò per cui è vissuto è
giunto fino a noi, per cui dell’altisonante susseguirsi dei suoi titoli
[...] potremmo aggiungere: Imperatore Immortale”.
Quel che c’è di vero è l’unità, una debole, ma continua unità: il Meridione è, in effetti, un’unità specifica e
caratteristica.
Esiste allora un’effettiva
“identità meridionale” specifica?
Direi di sì.
Che cosa possiamo intendere
per “identità”? La particolarità “specifica” s’intende per “identità”: la vera
particolarità dell’Italia del Sud, rispetto al resto d’Italia, è quest’unità ed
è lo stato forte, tendenzialmente accentrato, seppur spesso non lo si poneva in
essere, quindi ecco il termine dubitativo e sfumante di “tendenzialmente” unificanti.
In effetti, sarebbe molto da dire a tal proposito, ma nessuno cui dirlo …
Occorrerebbe quindi
valorizzare l’unità come punto distintivo del Sud, a fronte di un mondo
post-moderno caratterizzato sostanzialmente da individualismo e disunità.
Il Meridione è già, per sua
natura, tendente a separarsi e dividersi, disunirsi e frammentarsi, dunque la
tendenza sua propria dominante, è un’ “altra”: ma, proprio per questo, si è
sviluppato, al suo interno, come una sorta di “bilanciamento”.
Ed è tal bilanciamento la vera, l’unica via reale, una via che sembra paradossale solo in apparenza:
come può mai essere che un posto caratterizzato da comportamenti tendenti alla
separazione ed alla disunione porti avanti l’unità …
La risposta è nella domanda:
qualora, infatti, il clima generale di un’epoca, come quella nostra presente,
porti alla disunione, quasi alla dissoluzione, il Sud affonda.
Per sopravvivere - solo per
sopravvivere - il Sud ha la necessità, vitale, di avere un contraltare che
spinga al contrario ed all’opposto della disunione, oggi predominante e
conforme ai “desiderata” dei centri “decisionali” europei.
Se tendenza dell’epoca e
quella del luogo si assommano l’una l’altra, allora è la fine. Oggi, Oggi …
Ora però: chi fondò l’unità
del Süd? I Normanni, che han portato lo style
animalistico, pur non essendone affatto
gl’inventori, infatti era già presente, di radice classica, ma loro da
radici sia orientali che steppiche: lungo discorso …
Tutte queste questioni,
ovviamente, porterebbero alla fatidica domanda: Quand’è iniziato il Medioevo?
Punto controverso, che qui si può soltanto accennare.
Per sintetizzare una materia
molto fluida (come lava …), lo style
animalistico esisteva da ben prima dei Normanni, e vi sono testimonianze anche
nel mondo classico, che si pretende lontano dal simbolismo.
Ma è chiaro che hanno portato
qui un qualcosa in più, di diverso.
Per non concludere …
Nel mondo delle “piccole
patrie” e dell’ “identitarismo militante”, dei meschini egoismi di politicanti
piccoli-piccoli, dove ogni vera identità comune ormai è sopita - chi cammina sul
sentiero dell’unità cammina sul sentiero giusto.
Vincit Ominia Veritas.
Andrea A. Ianniello