mercoledì 1 settembre 2021

“Repetita juvant” n°2. “Errori di (**assenza di°°) prospettiva”, vecchio post (i “segni” che già si vedevano, col tempo, si son solo rafforzati)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Oggi solo rotture, notalo: com’è facile rompere oggi è cosa da pazzi, bisogna muoversi come sul ghiaccio sottile, sottile (linea mobile del secondo esagramma dell’ I-Ching [Yijing]): un passo in più, e ti ritrovi in acqua …

Ma cosa significa ciò?? Significa che il mondo è tutto di acque corrosive, che reagiscono immediatamente, in modalità imprevedibili, ma sempre negative.

 

Ricordiamoci poi un altro punto – decisivo –:

I “passaggi di stato”, tutti, avvengono sempre nell’ inconoscenza. Sempre. In altre parole: non li si può descrivere con la mente … Ma: li si può esperire? Sì, certo che sì.

 

Pertanto non possiamo dire cose come “non oso immaginare ciò che sarà”, se, già oggi, vediamo segni evidentissimi d’ instabilità mentale, peraltro diffusissimi. Infatti: non possiamo immaginarcelo, è molto semplice.

Il che non significa che non possiamo viverlo!!

Vi sono cose che sono esperibili sì, ma non dicibili.

In sostanza, lo Zen insegna questo, solo che, poiché trattasi di religione, produce nuove forme: presto le forme coprono la sostanza ed anche questo diventa un “dire” senza “esperire”.

Avremo fra del tempo – elastico – un esperire senza poter dire.

Cosa davvero è una “crisi finale” vien sempre velato nelle fonti tradizionali, e non per reticenza, e non per non dire cose che potrebbero “scandalizzare”: non vi è alcuna esigenza “morale” qui. Il fatto si è che non si può dire. Vi è uno scacco metaphysico, non meramente morale o relativo alla debolezza del nostro linguaggio, relativo alla sua – del linguaggio – povertà espressiva: tutte queste seconde cose ci sono, nessun dubbio al riguardo, ma non attengono al punto nodale, al nucleo centrale della questione stessa.

 

E adesso veniamo al secondo punto.

Come non mi stanco mai di ripetere che una cosa è l’illusione cosmica e un’altra quella sociale, e che questa seconda presuppone la prima – ma non è vero l’inverso – allo stesso modo, vi è un “passaggio di stato” cosmico ed un passaggio sociale, che avviene nella società umana, cioè.

Ed è quel processo complesso variamente denominato dissoluzione, o anche implosione.

Di esso si dà “rappresentazione”? (*) No! Neanche d’esso può darsi. Ma è, chiaramente, un fenomeno più comprensibile, “mentalmente” parlando. Dell’altro invece non è possibile alcuna immagine mentale che non sia “mythica” et “symbolica”. Sed non “rationale”; il che, però, non significa per niente che sia “irrazionale”, ma che è solo “sovrarazionale”.

Tornando alla crisi sociale nella quale siamo, di tipo implosivo, dunque non comprensibile con la logica moderna, di tipo “esplosivo” – il che, a  sua volta, non significa per niente che sia “incomprensibile” tout court, ma solo che mette in scacco una passata mentalità –, tale crisi sociale, nella quale “muoviamo e siamo”, viene prima del “passaggio delle Acque” cosmiche. Ci stiamo capendo? Vien prima

E ciò significa che la crisi “sociale” deve esaurirsi.

E per poter esaurirsi, deve, prima, pienamente esprimersi. Esprimersi, in altre parole, non “a pezzi”, ma nella sua piena natura.

Deve raggiungere il suo obiettivo, il suo fine. Soltanto così esaurirà il suo compito. E questo si può ottenere solo e soltanto quanto ’o ànthrôpos tês anomìas esprimerà se stesso liberamente … sul palcoscenico della storia, storia che è agli sgoccioli, storia che è come un fiume al suo estuario

Quando il fiume sarà entrato “in finenelmare cosmico”, ecco che le “Acque” potranno essere “passate”, nel duplice senso del termine: spaziale così come temporale … 

Preme non confondere, anche qui, tra le “acque cosmiche” della “fine”, e le acque “corrosive” della e nella società, se ancora possiamo usare quest’ultimo termine, che Baudrillard, per esempio, e considerava appartenere crescentemente al passato già ai suoi tempi. Uso il termine “società” con “beneficio d’inventario”, come suol dirsi … giusto per farmi capire, insomma. Ma non dobbiamo intendere, con tal termine, le società – davvero – “tradizionali quelle “moderne”, noi essendo in società in dissoluzione. La modernità fa parte del passato, con la sue categorie di “rappresentazione” (**) oltre che di “sviluppo”. Oggi lo “sviluppo” non è altro che un simulacro che si trascina.

Ora però, dettane con chiarezza la differenza, occorre di nuovo star attenti e non andare all’eccesso contrario, perché sarebbe altrettanto errato considerare le due “acque” come completamente separate, perché ciò non è vero. Esse sono afferenti a due realtà di livello e portata ben differente, questo sì, nonché fra loro gerarchizzate – esattamente come l’illusione sociale presuppone quella cosmica, ma l’inverso non è necessariamente vero –, ma sono anche due realtà fra loro interrelate, intrecciate. Deduzione del caso: le acque corrosive sono ricollegabili a quelle “finali”, ma non coincidono affatto con queste ultime.

Allora qual n’è lo scopo? Il fine?

Le acque corrosive preparano “quel che resta della società” alle acque finali.

Detto altrimenti: ne sono una fase indispensabile, non potendo la realtà umana essere “immersa” puramente e semplicemente nelle acque “finali”: in tal caso, infatti, la realtà umana svanirebbe immediatamente.

In altre parole: in caso d’ “imbibizione” diretta, essa sparirebbe dalla faccia della Terra. E ciò non può essere, questo è un caso che non può darsi, al momento, chiaro (può darsi però in termini “assoluti”, ma non è il nostro caso, ch’è concreto e non “assoluto”). Questo – cioè che non si tratta di competa sparizione ma che vi sarà un “nuovo Cyclo” – noi lo sappiamo in base all’autorità di tutte le Scritture  tradizionali, che ci assicurano che vi sarà un ciclo futuro. Deduzione: la crisi, per quanto forte, non potrà essere totale; deduzione seconda: qualcosa della natura umana dovrà “passare” al prossimo Cyclo.

Questo è un esempio di ragionamento “tradizionale”, dove la deduzione espande delle basi già presenti, e però stando attenti a non collidere con altri aspetti del “deposito” della Tradizione stessa.

Va precisato che questo modo di ragionare, per quanto con delle similarità con quello religioso, non corrisponde puramente e semplicemente col ragionare “dogmatico” proprio delle religioni. Vi è similarità ed insieme differenza.

 

Morale della favola: davanti a noi abbiamo la crisi sociale, o di “quel che resta della società”. (***) E “non è un pranzo di gala” (****), avrebbe detto qualcuno … [Da quando fu scritto questo post le cose si sono solo accresciute, appalesate]

Quanto al “poter fare” qualcosa: solo in prossimità dell’appalesamento di quanto è ancora seminascosto si “potrà” fare “qualcosa”, non prima.

Pertanto qualsiasi azione cosiddetta “tradizionale” non è mai potuta approdare ad alcunché di significativo, anzi, spesso ha prodotto guasti tremendi (gli “evolomani”, per fare un esempio dal passato prossimo, però passato, o gli “eurasisti”, per fare un esempio del presente, o cose del genere). Vi è [qui] un’ impasse fondamentale, metafisica e cosmologica insieme.

Quanto alle religioni, non possono che seguire il mondo nel suo cammino discensivo, qualunque cosa dicano, né hanno altra chance, in effetti.

Pertanto è come l’esa. 23 dell’ “I-Ching” [Yinjing], là dove solo in prossimità dell’ unica linea yang, quella superiore, diventa possibile un “rivolgimento della Ruota” ed un’azione (“yang”, appunto) diviene infine possibile. Non prima!! 

 

 

 

Andrea A. Ianniello

 

 

 

 

(*) Cf.

http://associazione-federicoii.blogspot.com/2019/08/conversazione-con-paolo-broccoli-su-due_4.html.  

Sulla sovranità comunque avevo già scritto una complessa riflessione, cf.

http://associazione-federicoii.blogspot.com/2017/09/tre-non-brevi-osservazioni-sulla.html.

 

 

(**) Cf.

http://associazione-federicoii.blogspot.com/2019/08/conversazione-con-paolo-broccoli-su-due_4.html

 

 

(***)  Chiaro riferimento a “Quel che resta del giorno”, film del 1993. Trattasi di un film che, al di là della vicenda, ben “rappresenta” – mo’ ce vo’ – una fase di “passaggio”. Anche qui è davvero difficile dare un’idea precisa di che cosa siano questi “momenti di passaggio”, personalmente ho difficoltà nel sunteggiare qualcosa che m’è costato una vita intera per davvero afferrare. Comunque, poiché anche il sapere reca impresso, seppur in modo secondario, il sigillo della nostra comprensione, ho detto molto, qua e là, vero, in modo sparso, ma, d’altro canto, non credo avrò mai la possibilità di poter davvero trattare di tali temi con la dovizia necessaria, mentre il tempo passa, e la crisi, che ben pochi conoscono come chi scrive – che la conosce come il meccanico conosce il motore –, incalza, per cui c’è sempre meno tempo. Difficile dunque che, in una siffatta situazione, avrò mai la possibilità di trattar di questi temi “con la dovizia necessaria” … Non era destino, evidentemente. Poco male perché, poi, il problema è sempre chi sono gli interlocutori, che oggi non ci sono, né possono esserci, dato che il mondo, e in particolare l’Occidente, avanza sull’orlo del burrone nella più completa e totale incoscienza, destinata, peraltro, ad accrescersi, come sappiamo, e come ho detto qui sopra, dunque …

Un breve momento dalla sua, del film, colonna sonora, cf.

https://www.youtube.com/watch?v=uMP5U79MmDk.

 

 

(****)  Chiaro riferimento a una famosa frase.

Diamola per esteso: “La rivoluzione non è un pranzo di gala; non è un’opera letteraria, un disegno, un ricamo; no la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un’insurrezione, un atto di violenza”, Mao Tse-tung, Citazioni. Il «libretto rosso», Newton Compton editori, Roma 1994, p. 14; la frase, a sua volta, è del 1927.

Neanche le crisi sono “un pranzo di gala”, tuttavia. E, in effetti, le rivoluzioni son dei mezzi violenti per “ridurre” una crisi, mezzi oggi non più validi - perché la modernità non può auto-riformarsi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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