“Ma se
i più recenti studi tendono a
ridimensionare l’immagine classica dell’imperatore a suo agio fra uomini di
genio arabi, greci e latini ed ebrei – pur non
disconoscendogli una cultura […] superiore a quella di molti suoi
colleghi – è pur vero ch’egli tentò
di rimediare ai limiti impostigli dagli
spostamenti cui era costretto mantenendo rapporti epistolari con le maggiori
menti del secolo su temi di filosofia,
astrologia e astronomia: in particolare,
si ricorda la sua amicizia con il filosofo scozzese Michele Scoto”.
(F. Faitelli, Federico II. L’imperatore e il mito,
Giunti Gruppo Editoriale, Firenze 2000,
p. 28, corsivi miei).
“Studiosi
provenienti da ogni parte d’Europa si associarono a eruditi spagnoli – di fede
cristiana, ebraica o musulmana – per dare inizio alla grande impresa di trasferire
la scienza e la filosofia naturale dalla lingua araba a quella latina […]. Nei primi anni del secolo xiii si aggiunsero Alfredo di
Sareshel, Michele Scoto ed Ermanno il
Tedesco”.
(E. Grant, Le origini medievali della scienza moderna, Einaudi editore, Torino
2001, p. 40, corsivi miei).
“I
maggiori traduttori dall’arabo al latino furono, nel secolo xii, Gherardo da Cremona (che tradusse
la maggior parte dei libri naturali di Aristotele) e, nel secolo xiii, Michele Scoto, che tradusse il
trattato aristotelico di biologia, Gli
animali”.
(Ivi, p. 44, corsivi in originale).
“Dei trentotto commenti in arabo [di
Averroè ad Aristotele, che faceva ben tre
commenti alle opere d’Aristotele: una mera epitome, un commento breve, un
commento lungo], quindici furono
tradotti in latino nella prima metà del secolo xiii (da Michele Scoto ed altri), ed altri diciannove dall’ ebraico
in latino nel corso del secolo xvi
(i commenti di Averroè ebbero maggiore
influenza sulla tradizione aristotelica ebraica
che su quella latina). Nei suoi commenti
Averroè cercò di epurare il pensiero
di Aristotele dalle interpretazioni neoplatoniche che, a suo giudizio, distorcevano l’ autentico
pensiero dello Stagirita”.
(Ivi, p. 50, corsivi miei, mie note fra
parentesi quadre).
“E Nettuno si
vedrà in mezzo all’acque col tridente, e vedeasi Eulo colli sua venti
ravviluppare le notanti piante diradicate, miste colle immense onde. L’orizzonte,
con tutto lo emisperio, era turbo e focoso per li ricevuti vampi delle continue
saette. Vedeasi li omini e li uccelli che riempivan di sé li grandi alberi,
scoperti dalle dilatate onde, componitrici delli colli, circundatori delli gran
balatri”.
(Leonardo da Vinci, Il Diluvio, Marcos Y Marcos, Milano 1984, carattere Garamond, edizione in 1500 esemplari numerati,
senza numeri di pagina, corsivi miei; si tratta di scritti dell’ultimo periodo
di Leonardo, quello nella zona della Loira, dove riflette sempre di più sulla
potenza delle forze scatenate della natura, in particolare sul diluvio).
“Quanto sia stata esigua la rottura prodotta
dal Rinascimento formale nei confronti della tradizione medievale mitografica e
astrologica, ho
tentato di dimostrarlo nel 1909”.
(Aby Warburg, Astrologica. Saggi e appunti 1908-1929, Einaudi editore, Torino 2019, p. 123, corsivi miei).
Memento
in homine animal semper.
Ex
ungue leonem, ex spurcitia bubalum, ex dente hippopotamum.
Michele Scoto (“Micheal Scot”), cioè scozzese. Questa
sua origine celtica[1] poco è stata sottolineata, ma, in Scozia,
come in altri paesi celtici, però in Scozia in modo particolare, gli si dedicano
molte leggende.
Ricordiamoci poi ch’egli
fu amico personale dello svevo “’mperadore” siccome dicevasi al tempo,
colla “di” cioè.
Vi è stato dunque un
tempo in cui, in Occidente, le due figure “archetipe” dell’ “Imperator” e del “Magus” erano “amiche”, si trovavano,
cioè, accanto, una con l’altra: le due figure “riconciliate” per un momento, un
breve momento, nella storia d’Occidente; infatti, di seguito, ciò non si
verificò più, o non lo fece con la stessa forza, con la stessa esemplarità.
Ma in quel breve momento
sì ….
Questo è un qualcosa di
molto potente, come immagine.
Ma torniamo al tema
principale, a Michele Scoto lui meme.
“Michele Scoto […] era un
filosofo, matematico, astrologo e
traduttore assai noto. Nel 1227 Federico lo volle ai suoi servigi come
filosofo e astrologo di corte; e Michele rimase al suo fianco ben otto anni,
fino alla sua morte, sopravvenuta nel 1235, durante il secondo viaggio
dell’Imperatore in Germania. Proveniva da una nobile famiglia scozzese, aveva
studiato filosofia e matematica a Oxford e Parigi. Per oltre un decennio, fino
al 1220, era stato membro della famosa scuola di traduttori di Toledo dove
aveva tradotto dall’arabo in latino due ampie opere, che esercitarono sul
pensiero della scienze naturali del mondo occidentale un’influenza oggi neppure
immaginabile: la Spahera
dell’astronomo Alpetragio e il De animalibus,
un testo zoologico di Aristotele compendiato da Avicenna, oltre ad una serie di
commenti di Averroè ad opere aristoteliche. Prima di passare con Federico,
Michele Scoto aveva vissuto anche a Bologna ed era stato alcuni anni al
servizio della Curia. Nella cerchia degli studiosi che circondavano
l’Imperatore egli era la personalità più importante, più influente e al tempo
stesso la più enigmatica. Traduttore ed autore di testi filosofici e
naturalistici, contribuì soprattutto a
diffondere la filosofia arabo-aristotelica di Averroè; esperto anche di arti
magiche, studiva l’alchimia, interpretava gli astri e inclinava alla
ciarlataneria. Dante, nel XX Canto dell’Inferno, lo mette tra gli indovini, e
lo fa camminare sopra la testa rivolta indietro perché un tempo ‘delle magiche
frode seppe il gioco’. Ma anche Dante attribuiva alle stelle un’influenza sui
destini umani e non si discostava troppo dalle teorie di Michele Scoto. Questi
affermava di veder nei movimenti dei corpi celesti non solo le cause degli
avvenimenti ma anche i segni di essi, non diversamente da come l’insegna
davanti alla locanda avverte che vi si mesce vino. A corte Michele Scoto
compose un manuale astrologico diviso in tre parti, che ebbe grande diffusione
fino al XVI secolo: oltre ad una concezione ortodossa di Dio e dei suoi angeli,
esso conteneva una quantità di pratiche superstiziose di oscure origini
orientali. Nacquero intorno a questo mago numerose dicerie e leggende, che
coinvolsero anche la figura dell’Imperatore. In qualità di astrologo di corte,
Michele faceva gli oroscopi e ricavava dalle costellazioni celesti il momento
propizio per ogni impresa politica e personale di Federico. Si racconta che in
un giorno di particolare calura, su disposizione imperiale, egli avesse
radunato in cielo le nuvole di un temporale e provocato artificialmente la
pioggia. Michele raccomandava a Federico di chiedergli consigli importanti solo
nella fase di luna crescente. […] Si disse poi anche che Scoto, prevedendo il
modo in cui sarebbe morto, portava sempre un cappuccio di ferro: che però non
impedì che venisse ucciso dall’accidentale caduta d’una pietra. Più volte
Federico lo metteva alla prova per coglierlo in fallo. Ciò nonostante il loro
stretto rapporto indica quanto egli medesimo si piegasse all’interpretazione
delle stelle, all’alchimia e alle più oscure profezie. In questo senso Federico
era davvero figlio del suo tempo in cui, per esempio, l’astrologia e
l’astronomia non erano ancora distinte, e il vivissimo interesse per la
matematica si basava in gran parte sulla sua necessità per eseguire calcoli
astrologici”[2].
E Federico poneva molte
domande allo studioso scozzese …
Si nota quindi come
Federico, ben lungi dall’accettare le doti di Michele senza questioni, lo
mettesse spesso alla prova, senza per questo essere “scettico” in senso
moderno. Il che dimostra come si potesse in quel tempo esser attenti a questi
problema senza per questo essere dei “creduloni”, mentre nel mondo moderno ci
sono scettici o creduloni, di solito senza – o con poche – vie di mezzo. In
quel tempo, al contrario, finiva col prevalere un atteggiamento attento ed
indagatore.
Ma ora veniamo al
punto. Una leggenda celtica su
Michael Scot.
“Molte storie note sono
legate a Michael Scot, come quella del magico volo a Roma, di cui esistono
diverse versioni, inclusa una nella leggenda di Faust. La seguente si trova in Waifs and Strays in Celtic Tradition:
‘Quando la Scozia era
governata dal Papa, gli abitati erano molto ignoranti e nulla poteva essere
detto, o fatto, senza il consenso papale. Le feste di Carnevale regolavano
tutte le feste seguenti; perciò, quando si sapeva la data di Carnevale, si
potevano conoscere anche tutte le date
delle feste di quell’anno: subito dopo Martedì iniziava la Quaresima e sei
settimane dopo era Pasqua e così via fino alla fine dell’anno. Ogni anno un
uomo si recava a Roma per sapere la data del Martedì grasso ed al suo ritorno
in patria – dopo che aveva riferito la data – veniva scelto un uomo
intelligente, abile, coraggioso, prudente e ben educato che si recasse a Roma
l’anno seguente. Un anno fu scelto Michael Scot, uomo dotto e famoso; ma a
causa delle tante cose che aveva da fare egli dimenticò il suo compito fino al
giorno della Candelora (il 2 febbraio) ed ormai tutte le feste dell’anno erano
finite. Non c’era un minuto da perdere, egli si recò dalle fate che guidavano
le puledre e domandò:
“Quanto sei veloce
tu?”.
“Sono lesta come il
vento”, rispose la prima.
“Non vai bene”, disse
Michael, poi si avvicinò alla seconda: “Quanto sei veloce?”.
“Sono così veloce che
posso raggiungere il vento che mi precede” rispose.
“Neppure tu vai bene”.
La terza era veloce
come “il vento di marzo”.
“Vai quasi bene” le
disse Michael.
Arrivò poi alla quarta
e le fece la stessa domanda. “Sono veloce come il pensiero di una fanciulla tra
i suoi due innamorati”.
“Sei tu quella che
cercavo” le disse Michael “preparati in fretta”.
“Sono sempre pronta se
l’uomo è in accordo con me” rispose lei.
Partirono e mentre
stavano sorvolando il mare, la fata chiese “Cosa dicono le donne di Scozia
quando spengono il fuoco?”.
“Cavalca in nome del
tuo padrone e non badare ad altro” le rispose Michael.
“Che tu sia benedetto,
ma maledetto il tuo maestro!” disse lei.
Poi chiese di nuovo: “Cosa
dicono le madri di Scozia quando mettono a letto il primogenito e danno il
latte al neonato?”.
“Cavalca in nome del
tuo padrone e lascia stare le madri di Scozia” rispose Michael. “Impertinente
la donna che ti mise per prima il dito in bocca” disse la fata.
Michael arrivò a Roma.
Era mattina. Mandò subito al Papa un’ambasciata in cui si diceva che il
messaggero di Scozia era arrivato per sapere la data di Martedì grasso.
Il Papa arrivò nella
sala delle udienze e chiese a Michael. “Da dove vieni?”.
“Sono uno dei fedeli
figli di Scozia che vuol sapere la data di Martedì grasso, affinché non passi
la Quaresima”.
“Sei venuto un po’ in
ritardo”, gli disse il Papa.
“Più presto che potevo”
gli rispose Michael.
“Hai per caso cavalcato
su qualche montagna?”.
“Né in alto né in
basso, Santità, sempre dritto”.
“Eppure vedo della neve
sul tuo berretto”.
“Col vostro permesso, è
neve di Scozia”.
“Quale prova mi puoi
dare di ciò? Come puoi affermare d’esser venuto qui per sapere quand’è Martedì
grasso?” chiese il Papa.
“La prova è che una
delle scarpe che indossate non è vostra” disse Michael. Il Papa guardò e vide
che al piede destro aveva una scarpa da donna.
“Avrei ciò che hai
chiesto e poi te ne andrai” disse a Michael. “Il primo martedì della prima luna
di primavera è Martedì grasso”. Così Michael Scot seppe il segreto che il Papa
aveva sempre tenuto per sé; prima di lui i messaggeri erano riusciti a sapere
qual era il giorno di Martedì grasso di quell’anno, ma Michael riuscì a sapere
come il papa poteva accertarsi di quel giorno. Come Michael ritornò, la storia
non lo dice’”[3].
La conclusione davvero
è classica delle fiabe, come le “domande” particolari fatte dalle fate a Michele
Scoto, con lo scopo di metterlo alla prova: ma Michele conosce il gioco molto
bene, non si lascia intrappolare, mantenendo il controllo, ch’è la cosa più
importante nel “magismo” e che differenzia radicalmente quest’ultimo dalle cose
di “medium” e dallo “spiritismo” nelle sue varie forme, non solo quello in
Europa nel sec. XIX e all’inizio del XX, ma pure in altre parti del mondo
(Cina, Sudamerica, Caraibi, ecc.).
Il sapore “protestante”
di questa leggenda, poi (la polemica anti cattolica), ci fa capire che la forma
qui riportata è piuttosto tarda, ma il suo nucleo originale, invece, dev’essere
piuttosto antico.
Senza dubbio, le varie
vicissitudini storiche, hanno “coperto” la parte originale.
Che tuttavia traspare lo stesso, per chi sappia
vederla.
Vi sarebbe molto da
dire sul folklore celtico (la “Dama
del Lago”, i “Cavalieri dormienti” sotto
le colline[4],
per dirne solo due), mi limito qui a sottolineare come, se nell’epoca di
Shakespeare si sapeva distinguere ancora fra il “piccolo popolo” o “popolo fatato”,
e il “diavolo” – i “demònî” – nell’epoca giacobita, sotto il forte influsso dei
puritani, questa capacità si perse. Si tendeva sempre più ad identificare il
“piccolo popolo” – ambiguo, “celticamente”[5]
ambivalente – con i “demoni”, che
invece son sempre cattivi[6].
Non stupisce che, in
quel tempo, la cosiddetta “caccia alle streghe” raggiunse il suo picco, e, nel
contempo, si ebbe la vittoria del razionalismo in Europa: strano che questo sia
stato così poco sottolineato (tranne Guénon ne Il Regno della Quantità, cosa che pochi han seguito, per esempio G.
Galli, ma da un altro punto di vista[7]).
Quel che consentì il “gioco
delle tre carte” fu proprio quest’assimilazione, indebita peraltro.
Fino a quel tempo, si
sapeva ben distinguere, come dimostra Shakespeare, ed anche il Medioevo, pur
essendoci sempre – sempre – stata
l’opinione, però non dominante, che gli “esseri fatati” fossero tutti, e
indistintamente, “demoniaci”, diabolici.
Che cosa giunse a far
sì che tale idea divenisse dominante?, ecco la vera questione.
Comprender bene i
fattori culturali del cambio di mentalità è
il “‘fare’ storia” in senso reale,
pieno.
E non è semplice
affatto davvero capire questi – molteplici
– fattori per, poi, poterne individuare quello dominante, quello decisivo,
quello che ha consentito il cambio della mentalità comune. Il fattore decisivo
è quello che, come dice la parola, “decide” (“in ultima istanza”, come dice una
“frase fatta” sempre più “in voga”) un evento, una situazione. Qui “decidere”
significa: alterare un equilibrio. Una situazione persevera in equilibrio – instabile – fino al momento in
cui un fattore specifico, in un insieme di fattori, il fattore “decisivo” (mo’
ce vo’) non alteri quest’equilibrio. E qui per “alterare” s’intende
un’alterazione irreversibile, cioè
che non si può revertere, rigirare
sul proprio “vertex” e riportare alla situazione precedente. In quel tempo,
un’alterazione irreversibile della mentalità ebbe luogo, come ne abbiam visto
delle altre nel corso della storia.
La difficoltà sta nello
spiegare queste “irreversibilità”, non nello spiegare le “continuità” né le
alterazioni costanti e continuative, che, pian piano, spingono verso una “foce”,
un obiettivo. Queste due cose qui sostanzialmente non è difficile spiegarle. Le alterazioni dette “irreversibili”,
al contrario, è piuttosto difficile spiegarle: le più grosse difficoltà della
ricerca storica si hanno su ed in
relazione a questo specifico punto qui. Quella di cui s’è detto qui, davvero molto in brevissimo, è stata un’ alterazione irreversibile di una situazione, prima, in stato di relativo
equilibrio. Infatti, l’equilibrio è sempre
relativo, e su di esso si esercita in ogni caso un’azione di pressione che
tende a modificarlo, ma quest’ultima forza premente si effettua sempre in dosi
“continue” tuttavia parcellizzate, “a pezzi”, in piccole dosi. Poi ci sono le
“rotture di continuità”, soprattutto nelle mentalità, solo dopo nelle
istituzioni, poiché chiaro ed evidente si è che un’istituzione non più conforme
ad una determinata mentalità prima o poi sarà cambiata. Se troppo resisterà,
invece, correrà il rischio di andare incontro ad un “crollo”, il famoso crollo.
Il punto è, di nuovo: qual è il fattore decisivo di tali “rotture di
continuità”, ecco il punto che, ribadisco, non è affatto facile spiegare.
Ci sono, sì, è vero,
tante “spiegazioni”, che, in realtà, non sono altro se non delle “semplificazioni”,
più o meno estreme.
Noi possiamo capire –
per davvero – che cos’è (che cos’è stata)
la modernità, se e solo se afferriamo
questi cambiamenti nella mentalità comune.
Questa è un’indicazione
molto interessante, molto importante.
Ci son, poi, tanti
problemi specifici, più attinenti specificamente al cosiddetto “folklore”,
materia, in realtà, vastissima.
Anzi gigantesca, ed
oggi poco frequentata: tanto meno si frequentano i temi effettivamente
“popolari” quanto più si parla del cosiddetto “popolo” che, in realtà, è oggi
solo un pubblico.
Anzi dei pubblici: vi sono infatti più
“pubblici”, oggi.
Qui voglio solo notare
una questione di per sé interessante: quella dei cosiddetti “Changelings”, i
“Sostituti”[8], e si
legge, in una delle varie leggende al riguardo di “Dito storto”, che “La moglie
di un contadino aveva appena partorito il primo figlio; l’uomo era in giardino
e stava costruendo un recinto per gli agnelli quando udì tre colpi che provenivano dal
sottosuolo. Chiuse il recinto e si avviò lungo il prato verso il pagliaio; giuntovi
sentì una voce che gridava: ‘Ricorda il dito storto’. Sua moglie aveva un dito
storto ed egli immediatamente capì che i Grigi
Vicini stavano progettando di rapire sua moglie e suo figlio; ma sapeva
cosa fare. Corse a casa, accese una
candela, afferrò un coltello e
una Bibbia. In quel momento si levò
un gran clamore dalla stalla, allora egli mise il coltello in bocca, con la lama che sporgeva, prese in una mano la candela e nell’altra la Bibbia e si avventurò
nella stalla seguito da alcuni vicini che erano venuti a far
visita al neonato. Appena varcò la soglia,
il clamore divenne ancor più forte e gli esseri fatati fuggirono via di corsa, lasciandosi
dietro un pezzo di legno scolpito con
le fattezze di sua moglie. Egli lo
raccolse e lo portò in casa ‘L’ho preso ai Grigi
Vicini – disse – ed ora servirà a me!’ e per molti anni lo usò come ceppo
per tagliare la legna”[9].
Eh sì, i “grigi”, ecco
l’origine dei famosi “grigi”, che “rapiscono persone”, in particolare bambini,
storie antichissime: di nuovo siamo
in presenza di cose ben note, e son
solo i moderni a darne una interpretazione, in realtà, forzata, come in tante
altre cose relative a questo tema[10].
Di qui anche le storie
sulla famosa e cosiddetta “ibridazione”, che, anch’essa, è cosa che c’è sempre
stata.
Tra l’altro, anche tra
i Kurdi si pensa che i bambini con “volto d’angelo” – e cioè, fra di loro,
biondi[11]
e con gli occhi chiari – siano figli non “d’angeli”, ché tali leggende non sono state cristianizzate, ma di jinn, difatti la mescolanza fra uomini e
“jinn” è ammessa in settori non secondari del mondo islamico. Per esempio,
uomini “straordinari” (non nel senso di Gurdjieff, ma “portentosi”, che fanno
dei “portenti”), come Alessandro Magno, per intenderci, erano considerati “figli” di uomini e “jinn”, come anche,
per fare un altro esempio, lo era “Bilkìs”, la regina di Saba, personaggio
quest’ultimo, poi, molto importante nei fastosi cortei tardo gotici. Tramite la
regina di Saba e Salomone, poi, avrebbe avuto l’origine la dinastia regnante
dell’Etiopia. “Etiopia” vuol dire “volti neri”, cosa che ben poco ha a che
spartire con il colore della pelle – peraltro gli etiopi son bruni e non
“neri” – ma, come dimostrò Guénon illo
tempore, poiché questa locuzione di “volti neri” si usava pure altrove (per
esempio nell’antica Cina), ha un tutt’altro senso, alludendo al “fondo nero” –
ma non malefico – del Cosmo. Tipo
il nome dell’Egitto: “Terra Nera”, ma stavolta, però, applicato al “popolo”,
quello vero, non quello inventato di oggi, ch’è una costruzione solo “tecnica”,
nel senso che, senza tecnologia, tu non puoi avere la “massa critica” che ti
forma questo cosiddetto “popolo” – sprovvisto delle qualifiche sostanziali del
“popolo” tradizionale – che, in realtà, è, va ripetuto, solo un “pubblico”, un “insieme
‘temporaneo’ non qualificato ed amorfo”, posto assieme da un fattore coagulante
dall’ esterno: la tecnica.
Ma usiamo i termini
curdi, che son popolo parlante lingua indoeuropea – di ceppo iranico – e non semitica. Essi parlano di figli (e
figlie) di peri, le “fate” (ma guarda un po’), e di div, sì, come divus, come deva. La stessa radice.
Soltanto che, causa la
riforma di Zoroastro, gli “asura” divengon “buoni” – Ahura (= Asura) Mazdah – e i “deva” divengon “cattivi”, ed ecco i div, che son ridotti al rango dei nostri
dèi precristiani, cioè demoni. Poi,
a loro volta, i div vengono islamizzati – ed ecco che diventan i jinn –; ma – ed ecco un’ altra complicazione in questo gioco di specchi e in questa danza dei
sette veli –, di jinn ce n’è di (solo)
“buoni” e di (solo) “cattivi”, la gran parte, però, essendo “in sé” ambigui (cioè più conformi all’ effettiva natura del “mondo
intermediario”). Il folklore iraniano e quello kurdo, su tali cose, più o meno,
son vicini: parlerei qui di mondo
iranico tout court.
Per avere un’idea del
mondo “pagano” – in senso proprio – rimasto nella zona iranica del mondo, si
deve leggere un vecchio libro, dove F. Maraini fece un viaggio tra gli “ultimi
pagani” (citato in un vecchio post[12]),
quelli veri, non quelli ricostruiti “a tavolino” dai “neopagani” che di vero
“paganesimo” sanno ben poco e
vivono nelle loro costruzioni mentali, per di più “proiettando” i loro
“desiderata” sull’oggetto scelto.
Mi pare questo libro di
Maraini sia stato recentemente ripubblicato; ho consultato, invece, la vecchia
sua edizione, ma il “succo” quello è, quello rimane.
Vi sarebbe molto altro da dire, ma ben poco tempo
per farlo, per cui ci si ferma qui.
Andrea A.
Ianniello
[1] Cf. https://www.youtube.com/watch?v=fI_R9irAyCI.
Questa è una
musica – con arpa celtica – di A. Stivell
dedicata alla città di “Ys”, città
“leggendaria”, sulla quale cf. R. D’Amico, Le terre del Mito. Viaggio alla ricerca delle terre leggendarie,
Casa editrice MEB, Torino 1979, pp.
231-233. Tra l’altro, si parla di altre due città “inghiottite dal mare” nelle basse coste nordiche: un esempio di quelle basse
coste, cf.
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/2/26/Usedom_beach.JPG/800px-Usedom_beach.JPG.
Il nome suo era
quello di “Vineta” – simile a Venezia
– che si trovava nel Mar Baltico occidentale, vicino all’attuale Usedom, un’isola posta fra la Germania e la Polonia, e
Rungholt, la “Vineta” del Mar del Nord.
[2]
E. Horst, Federico II di Svevia, Rizzoli Editore, Milano 1981, pp. 185-186, corsivi in originale. In pratica, Michele Scoto
cercava di conciliare la teoria stoica degli astri come “guardiani del fato”
con quella neoplatonica, espressa da Plotino nelle Enneadi, secondo la quale gli astri non “provocano” alcunché, ma
solo “segnano” gli eventi, ne forniscono, insomma, i meri “segni”, che possono,
sì, ma questi ultimi (i “segni” e non
le cause) venir interpretati: ed ecco l’astrologia. In parole povere: gli astri
non causano niente: un cavallo è tale
perché nasce dal cavallo, è la specie
che lo fa nascer così; ma, essendo quel
cavallo nato quel determinato
momento, esso è “segnato” in certo modo, per cui è “quel” cavallo lì e non un “altro”
cavallo. Qui vi è l’origine come la giustificazione filosofica della teoria
medioevale delle signaturae. Ed è sì,
proprio così, “come l’insegna davanti alla locanda avverte che vi si mesce vino”,
proprio così funziona. Ma l’insegna non ha niente a che vedere col vino, cioè
il vino è tale perché vien fatto dall’uva, non
dagli astri celesti. Ma determinati colori e qualità di “quel vini lì,
particolare” derivano invece proprio dagli astri, secondo questa particolare Weltanschauung, parola che va scritta
con due “u”, eh.
Di Michael Scot
scrisse non solo Dante, ma pure Walter Scott, cf.
http://www.theotherpages.org/poems/canto02.html.
Un link in
inglese su Michele Scoto, cf.
http://www.esotericonline.net/group/dramatis-personae-the-prominent-occultists/forum/topics/michael-scot-1175-1234.
Lo stesso sito
ha un’immagine, ovviamente d’invenzione, un’immagine dello svevo “Imperadore” nella
sua forma d’attività preferita – la caccia col falco – quindi con un falco, cf.
Sulla relazione
tra Federico II e la falconeria, vien subito in mente il suo famoso Trattato,
appunto, sulla falconeria, sul quale vi son due link in questo blog, cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2018/10/federico-ii-enostra-intenzione-mostrare.html,
e cf.
Per chi volesse
ulteriormente approfondire, cf. E. Kantorowicz, Federico II imperatore, Garzanti Editore, Milano 1976, 1981, pp. 316-319, libro recentemente
ripubblicato e che rimane un “classico” del genere (anche se occorre vedere se,
in quest’ultima edizione, il numero di pagina corrisponde con quella vecchia
qui citata). A tal proposito, è interessante ricordare che il più noto studioso
del carisma in Italia, Cavalli, parla di Federico II, in relazione al carisma ed
anche sullo “sdoppiamento semantico” della personalità carismatica, duplice
valore (buono e cattivo insieme) che
si applicò tanto allo svevo imperatore quanto al suo nemico, papa Innocenzo IV,
cf. L. Cavalli, Carisma. La
qualità straordinaria del leader, Laterza & Figlio, Roma-Bari 1995, pp. 63-65.
In particolare,
su quest’ultimo punto cf.
Su Alpetragio,
forma latinizzata dello studioso islamico vissuto tra il XI e il XII sec., cf. https://it.wikipedia.org/wiki/Nur_al-Din_al-Bitruji.
Ancor più
approfondito, su Michele Scoto, questo link, cf.
https://www.wopc.co.uk/assets/files/scot.pdf.
[3]
K. Briggs, Fate, gnomi, folletti e altri esseri fatati, Lucarini Editore, Roma
1985, p. 294. Purtroppo tanti,
troppi, non han mai visto – né capito – il lato “faustiano” della
mentalità tedesca, né l’hanno individuato in Hitler, che pure n’era dotato
assai, soltanto perché non si dichiarava
apertamente, solo perché non si
mostrava come loro credevano si sarebbe “dovuto” mostrare … Che ingenuità!! Ma che c’entra
quest’osservazione?? C’entra, centra … perché il passo è relativo ai “Wizards”,
gli stregoni che in sé non son cattivi nel folklore celtico, ma che possono
divenirlo qualora siano influenzati dalla “mentalità faustiana” che non si
equivale meramente all’esser “stregoni”, attenzione, ma che può contaminare
questi ultimi, con pessimi risultati, peraltro. Questo per il lato “stregoni”,
ma c’è il lato “esser presi dalle ‘fate’”, sul quale cf. ivi, pp. 43-46. Il
punto è che, secondo il folklore celtico, poiché anche le creature “fatate” si
possono, sì, riprodurre – seppur con ritmi enormemente
inferiori a quelli umani – ma non
possono, poi, accudire ai piccoli nativi, spesso – secondo loro – si ricorreva
o ad un “sostituto” umano, che veniva, dunque, “rapito” (ma guarda un po’ …),
oppure si rapivano delle “badanti umane” allo scopo di fornire ai piccoli
“fatati” (o “ibridi”, a questo punto, si potrebbe “per sin pensar” …) le cure
“parentali” che i “fatati”, per loro natura (e questa è pur una “spia”
interessante sulla loro “natura” …), non son in grado di poter offrire … E qui
c’è la nota tesi – comune in tanto folklore, non soltanto quello celtico eh – secondo la quale gli esseri “fatati”
non hanno “anima” (s’intende quella “immortale”, l’anima “superiore” di
Aristotele, per capirsi). E qui si pone un libro interessante, cf. N. H. Montfaucon de Villars – G. F. Borri, Il conte di Gabalì. Ragionamento sulle Scienze Segrete, ECIG,
Genova 1986, libro apprezzato da Don
Raimondo Di Sangro, e, dunque, poiché Di Sangro era noto massone, si deve
vedere un interesse, per tali temi, da parte di quel lato della Massoneria che
non ha mai negletto il “magismo”, lato
sensu inteso.
[4]
Cf. ivi, pp. 249-249. Oltre Re Artù, anche Federico Barbarossa “dorme”
(nel Kyffhäuser, una collina di 473 m, dove, però, sulla cima, si è posto un
monumento del XIX secolo, cf.
https://it.wikipedia.org/wiki/Kyffh%C3%A4userdenkmal).
In effetti,
pochi si rendon conto che, in realtà, Federico Barbarossa sta “in persona di”
Federico II. Ed è a quest’ultimo che, in effetti, si chiedeva il “ritorno”,
pian piano confondendosi con la figura “archetipica” dell’ “Imperator”
dormiente.
[5]
Cf.
https://www.youtube.com/watch?v=w5iEyeEXk04.
[6]
Cf. K. Briggs, Fate, gnomi,
folletti e altri esseri fatati, cit., pp. 154-155 e p. 80. “Nell’Inghilterra
puritana il rapporto con gli esseri fatati – considerati diavoli minori – era
visto con gran sospetto; minor diffidenza ne aveva il popolo, mentre gli
irlandesi rendevano addirittura omaggio alle fate, pur giustificando tale atto
come una forma di protezione. Ovunque si diceva che le streghe, gli esseri
fatati e la Morte danzassero insieme il giorno di Ognissanti. Nell’Inghilterra
settentrionale le persone accusate di stregoneria affermavano di lavorare con
l’aiuto degli esseri fatati e non con quello del Diavolo. Durant Hotham, nel
1654, fu il primo a menzionare nell’introduzione al suo Life of Jacob Behemen questa particolare situazione”, ivi, p. 275, corsivi in originale.
[7]
Cf.
[8]
Cf. K. Briggs, Fate, gnomi,
folletti e altri esseri fatati, cit., pp. 49-50. Vi son altre questioni
piuttosto interessanti, come, per esempio, quelle della “Muta selvaggia” –
sotto il comando di “Herla” (o “Horla”, sì, quello di Maupassant) o di “Harlequin”,
sì Arlecchino, che, prima di
diventare una maschera comica ne “La Comedia de l’Arte”, era un demone, come
molte maschere, peraltro – e questa questione ci porta ai cani neri, cf. ivi,
p. 19. Che stavano, guarda caso, anche nella zona di Dartmoor, sì, come il “cane
dei Baskerville”, storia popolare folkloristica della Cornovaglia poi raccolta
da Conan Doyle nel suo famoso romanzo. Come sempre, i romanzieri e i narratori
han sempre raccolto a piene mani
dal folklore.
[9]
Ivi, p. 49, corsivi miei.
[10]
Cf. J. Robin, Ufo. La grande
parodia, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1984. Tra l’altro: “Parole che sembrano provenire
da una fonte sovrumana hanno un potere straordinario e sarebbe pericoloso
presumere che ancor oggi tale potere non
muova il mondo. Esso si manifesta attorno a noi nei movimenti carismatici,
nelle centinaia di sette d’un tipo o dell’altro e nei molti scritti legati agli
UFO […]. Questo materiale è ricevuto di volta in volta come una manifestazione
di Dio, come un segno di pazzia o come una forma pericolosa di devianza
sociale. Il più delle volte, le parole dell’entità, sia che affermi di
provenire dallo spazio sia che dica di rappresentare qualche defunto come la
‘zia Martha’, non fanno altro che prendere in prestito pensieri che esistono
già, magari in forma inconscia, nelle menti delle persone presenti agli
incontri. Per questo motivo, l’esposizione a simili fenomeni è pericolosa per
la salute psichica”, J. Vallée,
Il Collegio invisibile. Le scoperte di un
gruppo di scienziati riguardo all’influenza degli UFO sul genere umano,
Venexia Editrice, Roma 2017, pp. 79-80,
corsivi in originale. “Alla fine del XIX secolo, i sacerdoti cattolici
scoraggiavano le famiglie francesi a usare le tavolette medianiche per ottenere
messaggi soprannaturali dall’Aldilà. I fatti
erano innegabili e le prove di
questi fenomeni erano altrettanto buone di quelle riguardanti i dischi volanti, se non migliori. In molti casi gli effetti erano gli stessi”,
ivi, p. 80 in nota, corsivi miei.
[11]
“Alcuni esseri fatati avevano i capelli biondi […]; altri invece erano bruni
con la pelle scura. Biondi o bruni, tuttavia, attribuivano grande importanza ai capelli biondi degli uomini (era
più probabile che venisse rapito un bambino biondo piuttosto che uno bruno). La
favola de ‘La bambina bionda di Unst’ […] narra di come i Trows prendessero cura di una bella bambina bionda”, K. Briggs, Fate, gnomi, folletti e altri esseri fatati, cit., p. 138, corsivi
miei, grassetto in originale. I “Trows”,
cioè un “trow”, è la forma scozzese
del troll scandinavo. Si noti qui come il “piuttosto che” abbia un
valore avversativo, sta in vece di
“invece di”, e non congiuntivo,
come si sente sempre di più oggi.