“Il quarto [angelo] versò la sua patera
sul sole: gli fu dato di ustionare gli uomini con vampa di fuoco.
Gli uomini ne furono terribilmente
ustionati e infamarono il nome di Dio che ha il potere su queste piaghe, e non
si ravvidero per dargli gloria”.
“Ecco
pena dogliosa
che nel
cor mi abbonda,
e sparge
per li membri
sì che a
ciascun ne vien soverchia parte:
Non ho
giorno di posa
come nel
mare l’onda.
Core, che
non ti smembri?
Esci di
pena e dal corpo ti sparte.
Enzio di
Hohenstaufen”[2].
“In
effetti, Federico – pur nel corso dell’aspra lotta che, dopo la scomunica del
1239, privato ormai della preziosa assistenza d’Ermanno di Salza (morto in
quell’anno), dovette condurre contro il papato (nel quale, a Gregorio IX. Morto
nel 1241, era succeduto nel 1243 Innocenzo IV, dal 1244 per cinque anni arroccato
fuori d’Italia, a Lione) e contro le città lombarde […] – non trascurò mai la
passione per la caccia, né venne mai meno al gusto per gli svaghi di tono
orientaleggiante. Continuava a girare con la sua carovana d’animali esotici:
segnalata nel 1235 in Germania, nel 1236 a Parma, nel 1238 a Padova, nel 1245 a
Cremona […]. Aveva un falconiere arabo, Moamin, e un ciambellano musulmano,
Giovanni Mauro. Continuava a servirsi dei soldati arabi forniti da Lucera, e
aveva al suo seguito un corpo di ballo (altri lo definisce un harem) di
danzatrici e musicanti saracene, che si produssero, secondo l’ammirata
testimonianza del cronista inglese Matteo di Parigi, nella festa organizzata al
palazzo di Foggia nel 1241, in occasione della visita di Riccardo di
Cornovaglia (fratello del re Enrico III d’Inghilterra e dell’imperatrice
Isabella, terza moglie di Federico […]). Al Concilio di Lione (1245) sarà
accusato, fra l’altro, di vita sensuale e corrotta, alla maniera degl’infedeli;
e si sussurrava che il figlio naturale Federico d’Antiochia (vicario imperiale
in Toscana nel 1246) fosse nato da una sua relazione amorosa con la sorella di
al-Kâmil […]. Ma soprattutto non trascurava, anzi intensificava, quello ch’è
forse l’aspetto più insolito per un sovrano medievale e il più qualificante
della sua personalità: l’interesse per la ricerca scientifica, cui furono
chiamati a collaborare dotti arabi ed ebrei. Nel 1231 era arrivato alla sua
corte, per coadiuvare come segretario e traduttore Michele Scoto, l’ebreo
provenzale Jacob ben Anatoli.
Nel
1234 il sultano di Damasco gl’inviò, graditissimo dono, un planetario
d’argento. Nel 1235 morì Michele Scoto, il cui posto fu preso l’anno dopo da
maestro Teodoro d’Antiochia, un greco di Siria,
arrivato forse dall’Egitto o da Baghdâd, il quale, oltre a curare la
corrispondenza araba dell’imperatore, compilò
per lui un trattato d’igiene, desunto dallo pseudoaristotelico Secretum secretorum, e tradusse in
latino, durante l’assedio di Faenza, un trattato di falconeria redatto in arabo
da Moamin (Liber magistri Moamin
falconerii). Suo collaboratore fu un maestro Domenico, venuto forse dalla
Spagna, citato come matematico da Leonardo Fibonacci. Da questi interessi
scaturisce quella serie di quesiti (le cosiddette Quaestiones Sicilianae), che Federico sottopose, fra il 1237 e il
1242, a diversi dotti del mondo arabo. Ne scaturisce altresì, ed è il frutto più
personale, quel trattato De arte venandi
cum avibus cui egli attese a lungo (utilizzando il precedente scritto di
Moamin e altre fonti pazientemente raccolte, ma soprattutto la sua diretta
esperienza, contrapposta persino all’autorità d’Aristotele). L’originale
dell’opera, preziosamente illustrato, andò perduto nel 1248, quando una sortita
dei Parmigiani, mentre Federico era a caccia, distrusse il campo degli
assedianti. La più efficace sintesi dello spirito autenticamente scientifico da
cui Federico era animato è la dichiarazione da lui inserita nel prologo di
questo trattato: ‘Intentio vero nostra est manifestare in hoc libro … ea quae
sunt, sicut sunt’”[3].
Nella
Biblioteca Nazionale di Napoli vi si ritrova una copia del De Arte, si tratta di una vecchia
editio, pubblicata in Firenze, con foto d’epoca.
Alcuni
brevi passi son forse interessanti da riportarsi:
“Sebbene
il falco segua i suoi istinti, imparerà presto ad accorrere al richiamo del
padrone”[4]. “Come
già si è detto, il falconiere deve addestrare i suoi falchi a cacciare soltanto
gli uccelli che vuole lui e nel modo che a lui piace. Questo non è un compito
facile poiché è in netto contrasto con l’inclinazione naturale del rapace”[5].
Andrea A. Ianniello
[1] In Apocalisse
di Giovanni, a cura di D. Tripaldi, Carocci editore, Roma 2012, p. 75. Dopo
questi versetti, poco dopo, si ha il “passaggio
dell’Eufrate” da parte dei “re dell’Oriente”: “Il sesto angelo versò la sua
patera sul gran fiume Eufrate: il suo corso si seccò, di modo che fosse libera
la via per i re che vengono dall’Oriente”, Ap.,
16, 12, in ivi, p. 77.
[2] E. Horst,
Federico II di Svevia, Rizzoli
Editore, Milano 1981, p. 5, corsivi e maiuscoletto in originale, riportata nel bel
suo italiano medioevale. La poesia tratta della nostalgia per la terra natia da
cui si è lontani, non è poesia d’amore dunque.
“Al novero dei poeti di corte appartenevano tre membri della famiglia
comitale degli Aquino, con la quale Federico era imparentato, e
che contava tra i suoi più fedeli seguaci”, ivi,
p. 207, corsivi miei. Interessante.
[3] A. Roncaglia,
Le corti medievali in Letteratura italiana vol. 1 Il letterato e le istituzioni, Einaudi
editore, Torino 1982, pp. 146-147. In nota la traduzione: “La nostra intenzione
è di illustrare in questo libro … le cose come sono, così come sono”, ibidem.
[4] Federico
II, Arte della falconeria, Olimpia,
Firenze 1968, p. 455. “Il volo dei falchi è molto vario”, ivi, p. 458.
[5] Ivi, p. 13.
Qui terminiamo, in questa nota finale, con un passo di Horst: “Oltre
all’apporto naturalistico e alla stupefacente quantità di dati originali, il
trattato di Federico contiene anche alcune personali opinioni sull’uomo e sul
suo rapporto col mondo della natura [ed ecco perché c’interessa qui, nota mia]. Il falconiere ideale
corrisponde ‘al ritratto dell’uomo completo, quale l’Imperatore lo immaginava’:
un uomo dedito solo all’arte venatoria, alla quale subordina la fame, la sete,
persino il sonno. Tralasciando le indispensabili cognizioni pratiche, si
esigeva che possedesse una perfetta padronanza di sé, solida intelligenza,
acuta memoria, coraggio e tenacia, tutte qualità capace di farne un elemento
adatto anche a superiori servizi di Stato e lo dimostra appunto il fatto che
molti grandi funzionari imperiali si esercitarono in gioventù al duro tirocini
della falconeria. Per il falconiere – scrive Federico – ‘ogni cosa deve nascere
dall’amore che egli porterà alla sua arte’. Un’arte, così spesso egli la
definisce, intendendo con ciò la necessità e la forza di domare, con la sola
superiorità dello spirito, gli uccelli rapaci, gli animali più liberi e mobili
del creato. E’ appunto questo presupposto che rende l’arte di cacciare con gli
uccelli ‘nobilior et dignior’, più nobile e degna di altri metodi di caccia. Non
con la forza, ma solo con la sensibilità e l’ingegno l’uomo può ammaestrare i
rapace al punto di falco volare libero in cerca di preda per poi liberamente
tornare a posarsi sulla sua mano. […] E’ dunque un trionfo dello spirito
dell’uomo riuscire a trasformare la inclinazione naturale del rapace
conferendogliene una nuova; ed è questa la ragione per la quale la caccia col
falco acquista un significato che, secondo Federico, trascende il divertimento e la maestria venatoria, per assurgere ad altezza d’arte”, E. Horst, Federico II di Svevia, cit., pp. 200-201, corsivi miei. Insomma per
Federico II il falconiere è un modello possibile (per lui necessario) del funzionario di alto
livello e dello statista. Questa
parola non può, al giorno d’oggi,
essere applicata ad alcun politico
vivente. Vi sono certo dei
“politici” o, più spesso e senz’alcun dubbio, dei meri “politicanti”, mai però degli statisti. Lo statista, come il falconiere, sottopone la sua fame,
la sua sete, i suoi interessi, insomma, al dovere della costruzione dello stato
e al suo buon funzionamento. Ora, se guardiamo i nostri contemporanei, è
impossibile non farsi “panze” di risate a tal proposito …
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