In questo video vi sono Scampoli del mondo “mythico”, di prima della storia, come la “figlia di re barbari”, di cui in “Elpidio Jenco e il Giappone” - Segnalazione Volume degli ATTI - Convegno sul Giappone, Napoli 2012, seconda parte del link citato.
Il video è tratto da Bruno Coulais - Himalaya - .
Sappiamo che è arci-finita, e non ne son parte di quel mondo, ma lo capisco e mi fanno ridere i new-agers, farne parte significava esserne pronti a pagare il prezzo. Quel che fu perso non si può recuperare con il solo desiderio umano. Forse in quelle epoche, in quei luoghi, pagare quel prezzo pareva buono. Poi venne il dubbio, il logos, e il mondo mythico pian piano recedette. Fino a restringersi in quelle poche zone delle Americhe o della stessa Asia. La parola era potente, significava e muoveva, questo è il mythico, che oggi frange la coltre della storia in rari momenti, e non è il mitizzante dei mass-media, mentre la storia stessa si va inabissando come una nave fantasma, priva di guida, in paludi perse chissà dove.
“I viaggi li vedrei di due tipi fondamentali. Uno, quelli all’esterno dei grandi muri d’idee. Due, quelli con perforazione o salto dei muri d'idee ... I viaggi del secondo tipo portano sempre ad esperienze mentali e spirituali stimolanti, piene di suggestione. [...] In un viaggio del secondo tipo potrà capitare che tu resti sotto lo stesso cielo e nello stesso clima di casa (come avviene a chi passa da Salonicco ad Istanbul, o da Lahore ad Agra), può darsi che la gente non cambi notevolmente d’aspetto fisico (come scopre chi naviga, per esempio, da Trapani a Tunisi), può darsi che i sistemi di governo siano simili, può anche avvenire di parlare la medesima lingua (come nota chi vola da Mosca a Samarcanda, o chi segue una carovana da Skardu a Leh), eppure ben presto noterai qualcosa nell’aria che ti farà concludere d’aver varcato uno di quei confini tra gli uomini oltre il quale cessano le variazioni quantitative e s’instaura un salto qualitativo. (Da Paropàmiso)” Fonte: Fosco Maraini - Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà. -.
“Esclamare. ‘Adesso entro nel regno
di Cristo’, ‘Adesso sono nel regno di Allah’, ‘Eccoci nel
regno di Buddha’, non significa affatto dilettarsi di battute
umoristiche. Significa dar contezza d’alcuni fatti centrali,
nucleari, basilari delle società umane. A Roma siamo nel regno di
Cristo, a Lhasa in quello del Buddha, alla Mecca in quello d’Allah,
non perché queste diverse Persone vi risiedono come degli stragrandi
baroni dell’invisibile, ma perché l’uomo ha pervaso di queste
sue Letture del Mistero ogni aspetto d’un suo secolare e grandioso
operare civile. […] E qui avevamo passato la dogana del bosco, coi
timbri invisibili della borraccina e delle felci; eravamo nel
territorio degli dèi Cafiri! Quanto sottile poesia in questi miseri,
oscuri, moribondi dèi sopravvissuti dalle più remote catacombe del
passato, dèi incrostati ed impagliati di paure primordiali, da
speranze elementari” (F. Maraini, Gli ultimi pagani,
Red edizioni, Como 1997, pp. 135-136). Il culto era fatto con
prodotti del latte di capra, e dunque l’odore non era dei
migliori... Quanto dei nostri “animalisti” o cianciatori di
“paganesimo” davvero si rendono conto che il rito comportava
l’uccisione di animali? Che però in quelle epoche e dovunque si sia mantenuto lo scampolo di quelle mentalità, in quelle epoche il sacrificio animale aveva un altro significato, che per noi si è irrimediabilmente perso. In altre parole, quel che è cambiato è stato - fu - il significato dell’atto, alla fin fine i macelli ci sono anche oggi.
“Dirò subito che la religione dei
Cafiri è poco conosciuta. Probabilmente si trova in uno stato di
degradazione, di disfacimento finale, e si presenta quindi come una
realtà non solo complessa, ma confusa. Nella nostra breve visita ho
avuto l’impressione che i Cafiri stessi abbiano perso in gran parte
ormai il contatto con le forze spirituali della loro fede,
ripiegandosi sugli elementi d’un superstizioso magismo contadino e
pastorale. Nel quadro nebuloso di babuk, shawan, fate,
demoni santi, vaghe potenze affacciate dagli orli del nulla, vi sono
tuttavia, almeno nella Valle di Bamboret, due personalità divine che
godono d’un particolare risalto: Mahandeo e Jestak. Mahandeo ha
carattere nettamente virile e guerriero, è il protettore della
stirpe, del villaggio, della terra cafira, della caccia, delle greggi
[…]. Jestak invece ha personalità femminile, e presiede a tutto
ciò che riguarda l’abitazione, la famiglia, gli eventi biologici
della vita individuale: la gravidanza, la nascita, i bambini, la
casa, l’amore, il matrimonio, la malattia e, infine, la morte”
(ibid., p. 148).
“Atto fondamentale del culto è il
sacrificio d’animali domestici. Un tempo, nelle occasioni solenni,
s’immolavano decine e decine di buoi; le feste allora erano
spaventose ecatombi. Oggi, al massimo si sgozzano alcune povere
capre. Per compiere un sacrificio viene acceso prima di tutto un
fuoco dinnanzi al luogo dove risiede la divinità. Sulle fiamme
bruciano alcuni rami del sacro ginepro […]. Poi l’animale viene
sgozzato e il suo sangue viene gettato sull’ara, spesso insieme al
latte o al caglio. […] Ogni cerimonia religiosa importante viene
solennizzata con danze e con canti ritmati al battito di tamburo.
Come abbiamo visto, vi son due grandi feste annuali: il Chowmas,
che ha luogo al solstizio d’inverno, poco prima di Natale, e il
Jyoshi che si svolge per tre giorni in primavera, alla metà
di maggio. […] Un’idea importantissima, che appare in tutte le
manifestazioni della religione cafira, è quella di purità rituale.
Ho già ricordato gli importanti tabù che riguardano uno spazio
della cucina […]. La casa cafira, e i suoi immediati dintorni, sono
cosparsi di questi tabù, come i nostri centri cittadini sono
cosparsi di sensi unici, soste vietate e circolazioni rotatorie. Vi
sono luoghi puri e luoghi impuri, come vi sono persone in stato di
purità e altre in stato d’impurità rituale. Ogni contatto tra i
due regimi costituisce infrazione, spesso vero peccato, e richiede
sacrifici, talvolta assai costosi, perché venga ristabilito l’ordine
sacro” (ibid., pp. 149-150).
Suona familiare a qualcosa? A qualcosa che credo abbiamo sentito anche altrove...
Interessante il duplice lato del “paganesimo”, ci cui si dice ne Il tortano. Il pane benedetto nel territorio tifatino tra storia, religione e folklore, Vozza Editore, 2013, secondo breve studio per la precisione, e qui rappresentato dalla dualità di Mahandeo e Jestak.
Dico dualità, e non dualismo, perché i due - ovvero i suddetti Mahandeo e Jestak - sono complementari.
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