domenica 1 luglio 2018

Il “Capitale” (DAS KAPITAL), ovvero ….













In una recente pubblicazione – del maggio scorso –, tra l’altro giustamente, si afferma che “fino alla fine dell’Ottocento (Karl Marx, lo ricordo, morì nel 1883) l’interesse per il marxismo – fatte salve naturalmente le vicende del socialismo […] – non andò mai […] oltre l’ambito delle teorie e della storia economica”[1]. Ed è importante ricordarlo: si può dire, insomma, che Marx è ritornato nel suo alveo originale oggi. In effetti, “La terribile frattura rappresentata dalla Prima Guerra Mondiale e l’annuncio di una nuova epoca storica che sembrò implicito nella rivoluzione leninista dell’Ottobre 1917 cambiarono tutto”[2]. Per finire: “L’età d’oro dell’ engagement a sinistra degli intellettuali e della spinta egemonica del marxismo in campo culturale fu il ventennio 1935-1956”[3]. Si tratta, ormai, di qualche annetto fa … Tanto anti marxismo, che ha stagnato in Italia ben oltre i limiti, si riassume nel detto: “uccidere un uomo morto”, il massimo del coraggio …

Detto tutto ciò, veniamo alla “natura” del “Capitale”. Ribadirò qui qualcosa che si è già detto, però en passant, nei post “lunghi”, e di “orientamento”, che iniziano da una certa data di due anni fa e terminano con aprile di questo presente anno.
Dice Baudrillard – giustamente, peraltro – che il Capitale è una sfida “all’ordine simbolico delle cose”, ed è cioè qualcosa di profondamente antinaturale.
Distinguendo l’ordine dei simulacri, questo stesso autore suggerisce che la prima fase dei tempi moderni – quella rinascimental barocca – poneva un interrogativo alla “naturalità” ben più radicale dell’epoca “materialistica”, del secondo ordine dei simulacri: l’epoca di Marx, dominata dalla produzione. La nostra epoca è quella del terzo ordine, quello del codice, che recupera il “falso radicale” degli automi barocchi, inquietanti – e del magismo dell’epoca che rifletteva il gioco delle apparenze, del vero e del falso indistinguibili – con, in più, tutta la potenza diffusiva ed “uniformizzante” sviluppata nella lunga epoca del secondo ordine. Il difetto di basi di Marx è che lui scambiò questa seconda fase con il capitalismo “di per sé”, sbagliando fortemente. Era solo una “fase”, non era la “natura” del capitale, che è, per sua stessa natura, antinaturale.
E tuttavia, Marx discretamente “intravide”, pur mai traendone le deduzione che, a quel punto, s’ imponevano, quando capì – ed è una teoria “eretica”, di fronte all’economia “classica”, basata sul “principio di realtà cosiddetto – che la merce è un “fantasma”.
Ora si sa bene che Marx era figlio di un “converso”, un ebreo convertito al Cristianesimo, per ragioni d’interesse, in buona sostanza. Il che non può significare che Marx non sapesse nulla del folklore ebraico.
Nel folklore ebraico non esiste il “fantasma”, ma esiste il dybbuk, il qual è, a sua volta, un morto che “ritorna”, in una parola: un le revenant.
Il che, a sua volta, implica che: la “natura” del Capitale è l’accumulo e stoccaggio di materiale morto, che viene rimessa in circolo, ma con una finalità ben diversa da quella che avevano quando era viva quello stesso materiale. Per questo non po’ durare per sempre.
A quest’ “ordine” mondiale à rebours, a questa crescita divenuta “escrescenza”[4], deve succedere la piena evocatio di “certe” potenze del sotterra, proprio perché lo stoccaggio non può essere infinito.









Andrea A. Ianniello

















[1] Prefazione di Ernesto Galli della Loggia in Karl Marx. Vivo o morto?, a cura di A. Carioti, Storie Solferino. I libri del Corriere della Sera, n. 1, RCS Media Group, Milano 2018, p. 7.  
[2] Ivi, p. 9.  
[3] Ivi, p. 11, corsivo in originale.  
[4] Cf
J. Baudrillard, “Dalla crescita all’escrescenza” in L’Illustrazione italiana, anno III n. 2, agosto-settembre 1983











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