Le recenti
dichiarazioni dell’Istat sulla scomparsa della classe operaia e della parte
inferiore della borghesia, tranne quella impiegatizia – nelle sue varie forme -,
fan capire come certe analisi siano inerziali:
son trent’anni che si va così …! Anche,
se non soprattutto, quando sembrava –
sembrava – che “tutto andasse bene”,
ché, di solito, son sempre i momenti più pericolosi[1].
E fra tutti i paesi occidentali ed europei, quello che ha subito come un crollo
verticale, dove la fase della
globalizzazione ha inciso in una misura del tutto non paragonabile a nessun
altro, è stato l’Italia: per questo, qui, la classe media si sta liquefacendo,
per questo, qui, l’accoglimento delle “promesse” della globalizzazione vi è
stato quasi assoluto, come “senza
filtri”, come un dogma.
Tornando a noi, in una
parola: certa gente non capirà mai, non può, perché il “capire” in questione
colliderebbe troppo apertamente con delle “idee” che comunque segue: si
ritroverebbero, così, di fronte a contraddizioni non “maneggevoli”, per loro: non sia mia! Non sia mai!
Dunque torniamo al
fatto che questo è un movimento “di lungo periodo” – forse lor signori avranno,
chissà, sentito parlare della cosiddetta “storia ‘di lungo periodo’” -, rispetto
al quale le sciocchezze politiche del giorno valgono non zero, ma sottozero,
certo, si sa, questi ne devono dire una al dì, sennò l’attenzione scema; solo
che nulla cambia, di sostanziale, da lunghi trenta anni, non da ieri … bene, in
ordine al capire questo punto, si rifarà ad un vetusto textus, peraltro già noto altrove,
ed ivi da me citato[2].
“La storia moderna nel
suo insieme offre lo spettacolo di uno strano rovesciamento. Tutto comincia nel
XVIII secolo on lo slancio umanistico e filosofico dei Lumi, con la volontà della
classe politica e intellettuale (reale, rivoluzionaria o borghese, poco
importa) di socializzare la società, di strappare le popolazioni feudali al
loro modi di vita eterogeneo e selvaggio per acculturarle al progresso tecnico
e sociale, per imporre alle masse, con al forza se necessario, i benefici
effetti della modernizzazione. Attraverso il suffragio universale, la medicina,
la scuola, la pedagogia e la terapia mentale o fisica (la clinica o lo sport),
il lavoro e il capitale, tutti i poteri senza eccezione si son assegnati il compito
di strappare le masse al loro modo di vita aleatorio per convertirle alla forma
razionale e protettiva del sociale. Ciò è stato fatto a costo di resistenze
straordinarie. Per nulla sedotte da questa mutazione, le masse si sono opposte
a tutto, al lavoro, alla medicina, alla tecnica, alla sicurezza –
contrariamente a tutti i presupposti della classe politica, esse non hanno voluto
nulla di tutto ciò, in ogni caso non sono state loro a deciderlo, e la lotta è
stata lunga per convertirle – una lotta storica,
perché la storia non è soltanto quella del progresso sociale ma anche quella
della resistenza ad esso. Il successo della modernizzazione peraltro non è mai
stato altro che relativo, e se questa lotta continua dappertutto, non è per
nostalgia del passato o inerzia congenita delle popolazioni. E’ che nulla,
assolutamente nulla mai potrà provare né consacrare l’eccellenza del progresso
sociale, il quale appunto è rimasto solo quello di una certa classe politica e
intellettuale. Oggi le cose si sono invertite. Ecco che la classe politica (la
stessa, si badi, proprio quella che è riuscita a determinare la socializzazione
della società) vuole trascinare, sempre con lo stesso desiderio di fare del
bene (fuori da ogni ambizione personale) le masse in una direzione
diametralmente opposta: de-centrare, de-proteggere, de-zavorrare le strutture
sociali, rimettere ciascuno di fronte alle proprie responsabilità e a un modo
di vita aleatorio, alla gestione in prima persona delle proprie possibilità, ecc.
E, questa volta, sono le masse che non vogliono più mollare il boccone, che si
aggrappano alle conquista del sociale, che resistono a questo disimpegno
liberale o ‘neo-liberale’, alla revisione di tutto ciò a cui sono state
chiaramente acculturate. Tutto questo è perfettamente logico. […] Dopo aver
instaurato il benessere delle masse sotto il protettorato sociale dei Lumi,
dopo averle super-protette, ecco che si vuole sovra-esporle. Le masse sognavano
un salariato assicurato all’ombra del sociale, o almeno la disoccupazione
assicurata, e adesso ognun deve crearsi il proprio lavoro. Che ci costringano a
lavorare, passi – ma che ci costringano a trovare da soli il modo d’impiegare
la nostra esistenza, è il colmo! Insomma le masse no sono convinte da questa
nuova piega delle cose più di quanto lo fossero dalla precedente. Dopo che per
tanto tempo si è loro imposto il diritto alla rappresentazione e alla delega
del loro potere, ecco che si sentono dire: siete i rappresentanti di voi
stessi, decidete da soli, rendete in mano il vostro destino! Non se ne parla
neppure! Ciò che i politici, socialisti o meno, non capiscono è che una massa o
un individuo possono opporsi alla libertà, o al liberalismo, con la stessa
veemenza con cui si opporrebbero all’oppressione – perché l’essenziale è il
rifiuto del fatto che gli altri pensino per voi, elaborino per voi […]. Non c’è
mai valore assoluto in politica: la classe politica, quella che fa la storia,
rappresenta forse il progresso ‘oggettivo’ in termini di libertà, di felicità,
d’intelligenza, ma ciò non impedisce che la resistenza delle masse (di ciascuno
di noi) abbia un egual valore storico […], i contenuti in fondo non hanno
importanza - ciò che più conta è questa tensione, quest’antagonismo sempre
rinnovati. Il centro di gravità della storia non è dato tanto dalle peripezie
intrinseche della classe politica (della quale fanno parte quei professionisti del
discorso e dei Lumi che sono gli intellettuali), né dal paganesimo delle masse,
da sempre e per sempre […] impenetrabili ai Lumi, l’intensità consiste in
questo duello insolubile. Per questo la storia non può avere fine – oppure, se
la si considera nella prospettiva di uno svolgimento universale, essa
semplicemente non è mai cominciata. Se fossimo lucidi, preferiremmo questo
scontro fra potenza di mobilitazione ed egual potenza di neutralizzazione,
questa lotta ben più sorprendente di quella di classe, alla realizzazione delle
idee più belle. Ogni idea realizzata, ogni utopia realizzata diviene spaventosa
e banale […]. Scrive Adorno nei Minima
Moralia: ‘Ogni estasi preferisce infine la via della rinuncia piuttosto che
peccare contro il proprio concetto realizzandosi’. Non possiamo ammettere che
ciò vale anche per il sociale – una sorta di complicità collettiva metterebbe
tutte le sue energie a far fallire la realizzazione
del sociale per paura di alterarne il concetto e distruggerne per sempre la
speranza? Occorre quindi in definitiva rallegrarsi di questa passività, di
quest’inerzia, di quest’accecamento che dà scacco subdolamente, ironicamente […]
alle imprese delle anime belle al potere e ai paradisi della storia”[3].
Ebbene le masse il
boccone han dovuto mollarlo, del tutto, trent’anni dopo, lo si può dire senza
problema.
E la fine della sinistra è nata da due cose:
1) han pensato solo ad “aggrapparsi”,
senza capir mai, ma proprio mai –
né poi mai l’han capito, eh – la natura profonda
del cambiamento in atto, dovuto – in buona sostanza – all’emergere di un
sistema tecnico che frammentava il
corpo sociale, che oggi è soltanto polvere
di corpo non più esistente, come certificato
dalle recentissime indagini dell’Istat;
2) hanno scelto di “difendere” solo
alcune categorie dell’ex classe media e solo qualche parte residuale dell’ex
classe operaia, di nuovo non avendo capito nulla di ciò che, pure, si trovava
sotto i loro occhi, chiusi. Queste due scelte sono state prese coscientemente o
non, ecco l’unico problema che rimane da discutere, e al qual problema si può rispondere
così: le scelte sono state prese o fatte o subite solo parzialmente coscientemente, confusamente
parzialmente coscientemente, e, in gran parte, del tutto incoscientemente,
dunque il peggio possibile. Risultato: l’ estinzione totale. In una parola, molto
semplice: la “sinistra” classica era molto
legata a ciò che, molto giustamente
peraltro, Baudrillard – cogliendo un qualcosa di decisivo davvero – chiamava
“il paganesimo” delle masse. Perso questo,
la “sinistra” non poteva più esistere, non poteva che divenire residuale, non aveva
poi altra via che “spalmarsi” sulla tematica dei “diritti” e cioè diventar
cantore della “globalizzazione felice”,
come la chiamo.
Poi c’è, appunto, come
detto, la cosiddetta “sinistra” della “globalizzazione felice”, globalizzazione
felice che, ormai, fa parte del passato, essendo la “nostra” epoca quella della
“globalizzazione infelice”, la fase calante della globalizzazione
stessa. Il tutto rimane nelle mani apparenti
– poiché la sovranità reale ormai è da tempo altrove[4]
- della destra cosiddetta “moderata” o quando questa controlli, de facto,
la destra cosiddetta “estrema”, in realtà neonazionalismo e fermo restando che “destra
e sinistra” son oggi solo simulacri.
Chiaramente neppure questo neonazionalismo può risolvere alcunché, però
incanala la rabbia, su sentieri del
tutto infruttuosi. Ma non può far altro. Il tutto va, dunque, per inerzia, verso al dissolutio. Dalla fragmentatio alla dissolutio. Questo l’iter. E nulla sembra poter intervenire su ed
in questo cammino di necessità. Dietro vi è l’applicazione del logos distruttivo divenuto “spurio” (G. Colli), e poi quindi divenuto
scienza e dopo conseguentemente tecnica (G. Colli), dunque ha radici antiche.
Noi viviamo nel mondo
in cui le conseguenze di quelle decisioni prese, alla fine degli anni
Settanta e all’inizio degli Ottanta, costituiscono la realtà comune, stabilita e “normale”, da tutti accettata come la “natura delle cose”, quando, al contrario,
è il frutto di una determinata storia.
Occorrerebbe infatti
por mano ad un cambiamento d’un cammino trentennale ormai, che si è andato
rafforzando per forza d’inerzia anch’esso. Ma la prima cosa che si può dire
oggi è che questo cambiamento è
impossibile, nella realtà data,
storica, concreta, non astratta
o teorica. In teoria, infatti, sarebbe possibile, nella situazione concreta,
data, è invece impossibile.
La via d’uscita può
esser solo qualcosa che venga da un insieme esterno
al “Regno della Quantità” (Guénon) in fase di avanzata dissoluzione.
E qui si farebbe lungo il discorso … e non fattibile utilmente senza prima condividere delle premesse …
E qui si farebbe lungo il discorso … e non fattibile utilmente senza prima condividere delle premesse …
Ecco che qui, se si
vuole, si può anche porre il “complotto”, ma, come detto altrove al riguardo
del recente libro di Giannuli[5],
un “complotto” (e qui si può far
riferimento a D. Rockefeller, nella vera
“storia nascosta” della fine del XX secolo, quando la crisi sistemica fu
risolta alla fine degli anni Settanta dopo la fine del Gold Exchange Standard e la prima, grande “crisi petrolifera”) ha necessità
di una situazione favorevole al complotto stesso[6].
In caso contrario, infatti, il complotto non
avrà successo, qualsiasi cosa si
faccia per far sì che il complotto abbia successo. E le conditio sine qua non, favorevole al
complotto, complotto le cui conseguenze perdurano ancor oggi, erano lo sviluppo
della tecnica oltre un certo punto. Cosa, peraltro, avvenuta.
Attualmente però, il perdurare
delle “conseguenze” del “complotto” stesso accadono meccanicamente. Se, all’inizio, esso fu un complotto cosciente – fatto per bloccare “certe”
cose -, oggi esso è “meccanico” (in senso “gurdjieviano”[7]),
e, cosa non meno importante, vien portato avanti da gente del tutto incosciente di
quel che ha ricevuto e di ciò che sta portando avanti.
Andrea A.
Ianniello
[1]
“Un tale, famoso per la sua abilità nel salire sugli alberi, stava insegnando a
uno come arrampicarsi su una pianta per tagliarne i rami più alti, e anche
quando sembrò che costui fosse in grave pericolo non disse nulla. Solo quando,
nel discendere, fu giunto più o meno all’altezza dei tetti [delle case
giapponesi tradizionali, cioè non molto alti], gli disse: ‘Sati attento, non
far sbagli!’. Qualcuno osservò: ‘Da quell’altezza potrebbe anche saltar giù
agevolmente perché, dunque, gli avete detto così?’. ‘E’ proprio questo il punto’
rispose l’esperto. ‘Se uno ha le vertigini e si trova in pericolo su un ramo,
ha già tanta paura per conto suo che non gli dico nulla; i passi falsi si fanno
sempre quando si crede di stare in un luogo sicuro’, sebbene fosse un uomo d’umili
origini, i suoi ammonimenti erano quelli di un saggio. Così avviene nel gioco del
calcio [giapponese, il kemari]:
quando si è lanciato il pallone per un tiro difficile e si è convinti che il
successivo sarà più facile, proprio allora si sbaglia”, Kenkô, Ore d’ozio,
SE, Milano 1995, pp. 71-72.
[2]
Cf. http://ideeinoltre.blogspot.it/2014/05/andrea-ianniello-baudrillard-la.html.
[3]
J. Baudrillard, La sinistra divina, Feltrinelli, Milano 1986 (edizione francese 1985, trentun
anni fa dall’edizione italiana - trentadue dall’edizione francese originale -,
non esattamente l’altro ieri), pp. 78-81, corsivi in originale.
[4] Cf. http://associazione-federicoii.blogspot.it/2017/04/colloquio-sul-blog-tra-il-gestore-a.html.
Tra l’altro, in
relazione ad un commento in cui si faceva riferimento a Memorie di Adriano,
citato nella nota n.4 del post appena qui sopra ricordato, cf.
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/05/un-ricordo-di-g-albertazzi-dalla.html.
[5] Cf. http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/11/due-passi-da-un-recente-libro-di.html.
[6]
Cf, Il libro del Signore di Shang, Adelphi, Milano 1989, Han fei-tzu in
Introduzione di Duyvedak, citata in ivi,
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/05/shi-il-poterecircostanze-dallintro-di.html.
[7]
Il qual Gurdjieff stesso ammise, dopo aver tanto insistito sul fatto che il
mondo potevasi spiegar solo con la lotta tra le “forze coscienti” e quelle
della “meccanicità” e “dell’incoscienza”, che poteva esistere una forza
cosciente contro quella dell’evoluzione della coscienza: “‘Si può dire che vi è
una forza cosciente in lotta contro l’evoluzione
dell’umanità?’, domandai. ‘Da un certo punto di vista lo si può dire’, rispose
G. Riporto questa risposta perché sembra in contraddizione con quello che G.
aveva detto prima, che non vi erano che due forze in lotta nel mondo, la ‘coscienza’
e la ‘meccanicità’. ‘Da dove viene questa forza?’. ‘Ci vorrebbe troppo tempore darvi
una spiegazione e questo per noi non avrebbe attualmente alcun significato
pratico. Vi son due processi, talvolta chiamati ‘involutivo’ ed ‘evolutivo’. Ecco
la loro differenza: un processo involutivo comincia coscientemente nell’Assoluto,
ma allo stato seguente è già meccanico e lo diventa sempre di più. Il processo
evolutivo, al contrario, incomincia semiconsciamente, e diventa sempre più
cosciente man mano che si sviluppa. Ma a certi momenti, una certa coscienza può
apparire nel processo ‘involutivo’, sotto forma di opposizione cosciente al processo d’evoluzione [corsivi miei]. Da dove
viene questa coscienza? Dal processo evolutivo, naturalmente. Questo deve procedere senza interruzione [corsivi
miei]. Ogni arresto causa una separazione dal processo fondamentale [corsivi miei]. Questi frammenti
sparsi di coscienza che sono stati arrestati nel loro sviluppo possono anche
unirsi, e, per un certo tempo, vivere lottando contro il processo di
evoluzione. […] In luogo di una lotta contro delle forze meccaniche, può esserci,
in certi momenti, una lotta contro l’opposizione intenzionale [corsivo mio] di forze
realmente molto forti [corsivi miei], benché la loro potenza non sia realmente da paragonare con le
forze che dirigono il processo evolutivo [corsivi miei]. Queste forze avverse possono anche a volte prendere il sopravvento [corsivi
miei, ed è la nostra situazione attuale;
nota mia], e ciò perché le forze che dirigono l’evoluzione hanno una scelta di mezzi più limitata [corsivi
miei]; in altri termini, esse non possono far uso che di certi mezzi e di certi metodi
[corsivi miei]. Le forze avverse
invece non sono limitate nella scelta
dei mezzi, possono usarne diversi, anche
quelli che non apportano che un successo temporaneo,
e in fin dei conti annullano sia l’evoluzione
sia l’involuzione [corsivi miei]”, P. D. Ouspensky,
Frammenti di un insegnamento sconosciuto,
Astrolabio, Roma 1976, p. 342, corsivi in originale. In particolare, il nostro
caso – dagli anni Settanta del secolo scorso – è stato questo, quello di un
successo temporaneo – nondimeno ben
reale -, che non poteva che “annullare sia
l’evoluzione sia l’involuzione”, e cioè bloccar tutto. Tutto questo, come appena detto, non toglie proprio per nulla
che il successo è stato ben reale, che ne viviamo le conseguenze. Questo significa che le “forze avverse” (delle quali
parlano tutte le tradizioni
spirituali dell’umanità), pur non potendo compararsi con l’insieme delle forze “dirigenti”
l’ “evoluzione della coscienza”, ma: 1) esse son comunque “molto forti”, e 2) hanno raggiunto indubitabilmente
il successo, un successo temporaneo,
nessun dubbio, eppure, nonostante tutto, un successo ben reale. Tutto quel che si è andato analizzando, tutto quanto
detto – e non quest’anno soltanto, ma da molti anni -, si riassume col dire che
le “forze avverse” hanno avuto successo,
un successo temporaneo in quanto,
mancando di una base vera, il loro successo non può che portare alla
dissoluzione, e tuttavia di successo
si tratta. E né le religioni né le filosofie, men
che meno la politica che non
esiste quasi più, han potuto alcunché contro questo fatto. Un semplice stato delle cose, nemmeno riconosciuto peraltro.
Per cui, la dissoluzione sta continuando: “Se i nostri contemporanei
riuscissero, nel loro insieme, a vedere che cosa li dirige, e
verso cosa realmente tendono, il mondo moderno cesserebbe immediatamente di
esistere come tale, in quanto quel ‘raddrizzamento’, cui spesso abbiamo fatto allusione, non mancherebbe di operarsi per questo solo
fatto; ma poiché questo ‘raddrizzamento’ presuppone che si sia giunti al
punto d’arresto in cui la ‘discesa’ è interamente
compiuta, e in cui ‘la ruota cessa di
girare’ (almeno in quell’istante che
segna il passaggio da un ciclo a un altro), bisogna concludere che, fin quando questo punto non sarà
effettivamente raggiunto, queste cose
non potranno essere comprese dalla maggioranza della gente, ma soltanto dall’esiguo numero di
coloro che saranno destinati, in una
misura o un’altra, a preparare i germi
del ciclo futuro”, R. Guénon, Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi,
Adelphi, Milano 1982, p. 13, corsivi
miei. Se si considera che l’edizione originale francese di quest’ultimo libro,
appena citato, di Guénon è del 1945,
e che fu scritto in gran parte durante
la Seconda Guerra Mondiale che vide Guénon al Cairo, se ne deve dedurre che è
da un bel po’ che questo processo
si è innescato ed è da un bel po’
ch’esso continua … e continuerà “fin
quando questo punto non sarà effettivamente raggiunto” …
[Addendum (dell’ 1 giugno 2017)] Tra
l’altro, la stessa Mère notava come – se si va troppo avanti in relazione ad un
determinato contesto “sociale” – intervengano delle “forze a rallentare o bloccare,
lo ricordava in relazione ad un passo ricordato da me qualche anno fa, cf. A.
A. Ianniello, Andar Oltre … Una
riflessione generale ma sintetica su Evola, a partire dalla sua opera dadaista
in A. A. Ianniello – F. Franci, Evola dadaista. “Dada non significa nulla”, Giuseppe Vozza editore, Caserta-Casolla
2011, pp. 38-39].