Seguiamo il “decorso”
della crisi in atto (sulla quale “qualcosina” s’è già detto …[1])
…
Ora che l’Iràn ha
precisato i suoi obiettivi – Israele (non ci si dimentichi che, sin all’inizio
della Rivoluzione iraniana, quest’ultima voleva scacciare Israele dai “luoghi
santi” di Gerusalemme …) – e che il Parlamento iracheno ha votato contro la
permanenze di “eserciti ‘stranieri’” (leggi: Usa) sul suo territorio, si deve
vedere se l’attuale premier iracheno firmerà la cosa, il che davvero è molto ma
molto ma molto probabile. Nel qual caso, la palla passerà al molto divisivo Trump, divisivo sin dall’inizio, da buon populista. E quindi,
a questo punto, l’amministrazione Usa due sole scelte avrà di fronte: o rimane
o lascia (chiaramente anche nel caso del lasciare, avrà bisogno di tempo e
dunque la chiarezza della situazione si “oscurerà” in tanti piccoli dettagli
che poi, alla fine, faranno l’evento finale). In ogni caso: un quadro molto grave, ma non ancora un quadro di crisi “galoppante”: il quadro “Virilio”,
non quello “Carl Schmitt”, per
tornare al precedente post[2].
Oppure un’inedita mescolanza fra i
due quadri di riferimento, ma non
pienamente il secondo quadro (“C. Schmitt”) e cioè di crisi “galoppante” che
richiede una “presa di possesso del potere” globale ed un esautorare le
strutture statali o pseudo statali – così potremmo chiamarne molte oggi, perché
questo sono: stati falliti (Italia o
alcuni paesi del Sudamerica) o in via di
dissoluzione (buona parte del Medio Oriente, una parte del Nord Africa e
dell’Africa sub sahariana ed equatoriale) – perché, per questo, sembrerebbe ci
voglia ancora dell’altro. Ma intanto la crisi continua e spinge verso la
dissoluzione delle strutture statali e sociali. Momento al quale ancora non siamo giunti, ma è chiaro che un “gran
cassino” in M. O. vi contribuisce non poco, con il suo effetto inevitabile sull’economia,
quand’anche non così forte né così rapido come nel cosiddetto quadro “C.
Schmitt”, come lo si è detto nel post precedente, appunto.
Parliamo dunque, a
questo punto del divisivo Trump, un classico “populista”, osannato in Italia,
pur avendo danneggiato il famoso “interesse nazionale”, del quale ci si riempie
la bocca in Italia tanti pi quanto meno lo si ha chiaro in mente. In Italietta,
infatti, si fa così: si cercano delle “amicizie” che possano sostenere un preteso
“interesse nazionale” che non è altro se non l’interesse di gruppi di pressione
o di lobby varie o svaria ture ideologiche o pseudo tali. Non si fa come
altrove: si capisce bene qual sia
l’ “interesse nazionale” in quel
momento specifico, e solo dopo –
dunque, di conseguenza – si ricercano le “amicizie”, cioè, nell’agone (o nel “lagone”,
come dico per “ischerzo”) internazionale, gli “appoggi”
per cercare di perseguire quello stesso interesse (una cosa “razionale”,
dunque, non italiana, o disadatta all’Italietta …). No: prima si cercano “appoggi”
e poi si cerca di figurarsi un più o meno preteso “interesse nazionale” che,
cosa strana, è sempre conforme a determinati miopi interessi di gruppi molto
ristretti che han di fronte solo una classe medie in via di sparizione e un
popolino rincerconito ed infoiato.
Cioè: niente.
In un tal mondo
sociale, non stupisce che gli italiani abbiano una grande specialità: baciare
la mano che poi li colpirà.
Son specialisti nel campo. Così credono che non
saranno colpiti dall’ inevitabile
ceffone che, puntualmente –
davvero puntualmente –, poi, accade. E così
si son comportati con Trump.
Il quale non solo non
li ha supportati dove sarebbe stato utile (leggi: Libia), ma li ha danneggiati,
prima commercialmente e, poi, anche politicamente, perché un aumento di
tensione in M. O. è tutto fuorché nell’interesse di un paese – l’Italietta –
che sta affogato lì, nel bel mezzo del Mediterraneo, e non ne può in alcun modo
venir fuori.
Ma Trump è solo un effetto: l’ effetto del predominio dei “populismi”
cosiddetti[3].
Il populismo non è un “incidente di percorso” della
democrazia, ma il suo esito inevitabile,
una volta che le precedenti classi dirigenti abbiano fallito. Infatti, la
democrazia può aver un suo senso se e
solo se il “popolo” sceglie fra candidati
precedentemente selezionati da una classe dirigente.
Che il “popolo” scelga liberamente “da solo” è, in primis,
impossibile, e, in secundis, dannoso. Sempre.
Il “popolo” non ha la più pallida idea di cosa possa essere l’ “interesse
nazionale”, che invece dovrebbe stare a cuore alla classe dirigente, cosa, in
Italia, molto raramente avvenuta e, se del caso, solo
sporadicamente. L’Italia – dalla sua
“unità” cosiddetta – sempre ha avuto una classe dirigente molto ma molto mediocre, e un “popolaccio”, come
diceva G. Bruno.
Due occorrenze che,
purtroppo, non potevano che portarla
al fallimento che abbiamo di fronte. E che dirsi che “abbiamo tante cose belle” – non è vero:
più corretto sarrebbe dire che tali cose le abbiamo ereditato dagli stati preunitari e dall’antichità classica, e che ben poco
han fatto in tal campo dall’unità del 1861 a paragone – il 10000000000000000000000000000000000%
dei “beni culturali” mai avuti e che mai si avranno sul pianeta Terra, oppure
che siamo cuochi sopraffini (magari verissimo, ma non intacca in niente il
punto: è come dire che uno ha un cancro e però ci vede benissimo: vero ma
questo non lo cura, la malattia rimane intatta).
Dunque che Trump abbia
vinto – rappresentando non “l’America”
tout court, ma la sua “pancia”, il suo volto peggiore, che c’è sempre stato ed è maggioritario,
per questo mai avuto alcun dubbio
che sarebbe stato eletto, e tuttavia Trump non è “tutta l’America” (tu devi
pensare non a New York City o all’Università di Stanford né alla California, ma
al Middle West e al cosiddetto “Bible Belt”, allora capisci cos’è davvero “l’America”,
la Louisiana, la Georgia, il Texas, il Missouri, in parte l’Illinois, ecc. ecc.
ecc. ecc. E in questi posti uno come Trump è conforme al sistema valoriale dell’America
profonda) – che Trump abbia vinto significa questo: che la classe dirigente
americana ha fallito. Essa ha rotto il patto sociale con settori non
irrilevanti della sua classe media. L’ha rotto de facto, il che è anche peggio,
perché de jure quel patto rimane, ma
risulta falso. Genera quindi rabbia,
che va canalizzata in modo da sostenere il sistema: ed ecco Trump.
Ma – come sempre accade
quando ci si voti ad un populista (cioè ad un “demagogo”, avrebbe detto
Aristotele) – nella sua sostanza Trump è umorale, imprevedibile, soprattutto
divisivo, per natura. Egli è totalmente incapace di unire. Egli sa solo
spaccare, dividere, contrastare, cercare d’imporre la sua pretesa “volontà”,
sordo ad ogni buon consiglio, ma lesto ad accoglierne quelli peggiori, i più
luciferini o semplicemente ottusi.
Quindi dopo aver
disunito l’Europa e il fronte contro le emergenze climatiche, è passato a
disunire l’economia con la storia dei dazi, ed ora sta compiendo la sua nefasta
missione spaccando il M. O. che, poiché trattasi di zona sensibile del mondo,
dove qualunque scemenza che vi accade ha, purtroppo per noi, delle conseguenze su
tutto il mondo – mentre, ahi noi, l’inverso non
accade –.
Come ho detto: la principale grana per l’economia mondiale,
ma che crede di sostenerla però, è D. J. Trump.
Ora però: com’è potuto
succedere che un’intera classe dirigente “toppasse” così alla grande da non
riuscire a trovare candidati che avessero potuto “drenare” la rabbia e il
malcontento in canali più costruttivi, e così non spingere i “‘cattivoni’ di
Wall Street” a sostenere Trump “perché meglio che niente”, spaccando così,
però, l’unità della classe dirigente residuale dell’ “Occidente”? Ma come han
fatto ad “incartarsi” in una tale pessima
maniera da far giungere al potere un Trump, che non
può che fare la sola ed unica cosa che sa fare: spaccare,
dividere, frantumare, separare? Insomma, è “sethiano”, anche nel colore dei
capelli.
Il fenomeno è la “crisi
della rappresentanza”, ovvero dei “corpi intermedi”, o dell’ “intermediazione”,
su cui si è già detto varie volte in questo blog, ci si è soffermati ripetutamente[4].
Ma questo sposta il
punto senza rispondere alla
questione: come si è potuti giungere
a tanto.
Ed ecco la risposta:
per mezzo della globalizzazione, che
poneva in crisi le classi medie – inevitabilmente peraltro: non è mai esistita, né può esistere, una globalizzazione “buona”, ch’è stata l’ ubbia delle “sinistre”, ormai sparite appresso a questa loro illusione –. E la globalizzazione era inevitabile,
se si doveva sconfiggere il sistema
del comunismo storico (che non è quello immaginato da Marx, ma quello che c’è
stato concretamente: il dominio dello stato sull’economia, i piani quinquennali
ecc. ecc.).
Ma era inevitabile
anche il fallimento della globalizzazione stessa[5]
…
Le classi dirigenti anglosassoni sono state quelle che hanno
scatenato la globalizzazione – cioè la
massiccia applicazione della tecnica all’industria, dove il fattore “forte” è
la tecnica – per poter sconfiggere l’avversario
storico del comunismo. Siamo stati, cioè, in presenza di cammini necessitati, se lo scopo era vincere quel sistema economico concorrente, non tanto quello politico. Infatti il
sistema storico politico del “comunismo”
cosiddetto mica l’hanno sconfitto: è vero il contrario, gli stati oggi più
potenti sono quelli che hanno usato il comunismo come sistema politico, separandolo dal suo sistema economico.
E questo è stato l’effetto
del sin troppo famoso 1989[6],
ovvero il giorno in cui l’Occidente ha cominciato ad implodere credendo di
avere i suoi giorni migliori. Ma, si sa, un sistema storico, quando crede di
aver raggiunto l’apice, proprio allora fa sorgere in se stesso i primi fattori
di crisi esiziale: “la luna quando è piena comincia a calare” (detto cinese). Infatti
proprio allora l’Occidente cominciava a ripiegarsi su se stesso: il risultato
sono i populismi, che accrescono la crisi che pretendono di risolvere ma della
quale, invece, son solo i venefici prodotti.
Quindi vi è un filo necessario fra tali eventi, per cui,
oggi, è così difficile interromperlo; anzi, è, in pratica, impossibile.
La crisi continua
dunque.
La crisi matura.
Ma le azioni hanno
conseguenze. Sempre: che siano prese a mente fredda o nei fumi della rabbia,
non ha alcuna importanza quanto all’avere delle conseguenze.
Buon senso suggerirebbe
che prendere decisioni a mente fredda sia sempre il meglio, ma oggi è volere l’impossibile.
Se – di fronte all’irreparabile
– la dirigenza iraniana (per esempio avendo una bomba nucleare, eventualità che
oggi potrebbe essere meno remota che nel recente passato, grazie a Trump)
dovesse scegliere, si fermerebbe? No.
E se dovesse scegliere
Trump? Nemmeno.
E l’ha dimostrato, nei
fatti, non a chiacchiere.
Per questo tipo di
dirigenti qui, il cosiddetto “irreparabile” non può esistere: di qui si vede la
follia dei popoli, che sono i principali responsabili di tutta questa
situazione, nel mandare al potere individui del genere. E’ che non hanno freni
inibitori.
Questo tipo d’individui
non percepisce il cosiddetto “irreparabile” perché non percepisce le
conseguenze delle proprie azioni. Non puoi andare da costoro e dirgli: guarda
che, se fai questo, potrebbe succedere “l’irreparabile”, perché quel “potrebbe”
su di loro non ha la benché minima influenza. Come tutti coloro che sono
affatturati da un’ “idea fissa”, sono ingestibili. E son fatti così: non sono
in grado di cambiare né di essere cambiati.
Son
sempre i popoli ad infliggersi i loro destini avversi.
Lo sappiamo benissimo in Italia, che ha, invece, la
malattia opposta, per la quale fa sostanzialmente male a se stessa e non agli
altri; quelli appena detti fanno male agli altri e tendenzialmente non a se
stessi, anche se poi devono pagarne le conseguenze, quindi fanno male anche a
loro stessi. Alla fine, dopo aver
fatto male agli altri, però.
Allo stesso modo, l’Italia,
che non ha alcuna idea – non ha un’idea fissa, ma zero idee – del suo “interesse
nazionale”: si vive alla giornata in Italia, fra un’emergenza e un’altra (paese
pessimo) –, anche l’Italia, che fa
male a se stessa, poi alla fine fa male anche agli altri per mezzo dell’economia,
lo si è visto nel 2011 …
Tornando al punto:
ricordo sempre che il comunismo ha vinto per una rivolta organizzata, non alle
elezioni, mentre il nazismo è stato votato dalla maggioranza (relativa) del
popolo tedesco. E il fascismo in Italia ebbe il consenso, ed è indiscutibile questo.
Son
sempre i popoli ad infliggersi i loro destini avversi.
Questo è quanto.
Vi è una bella
differenza fra chi è un duro, anche cattivo, competitore, e rispetta le regole
sulla scacchiera!, e chi, se non vince, o se non si fa quel che lui crede sia
giusto, rovescia la scacchiera e fa saltare il banco! Trump e gli iraniani sono
di quest’ultima categoria e, in generale, non tutti, ma come tendenza
dominante, in M. O. si tende a far saltare il banco non appena possibile: pochi
giocano regolare. Questo gli Occidentali, tranne i populisti, e gli europei,
quando vanno da quelle parti, tendono a dimenticarlo, o a non tenerne conto
come invece si dovrebbe fare.
Cosa dedurne, da tutta
quest’ingarbugliata situazione: stare attenti ed osservare[i].
Non prendere posizione in base a quanto
verrà offerto, cercando – ma è difficile, in questi tempi di universale propaganda – di mantenere la mente libera.
Andrea A.
Ianniello
Le cose sono andate diversamente quanto a **modalità** – cioè alla **forma** degli eventi (Trump non è più presidente anche se permane una frattura con certi settori delle classi medie) –, ma **non** in quanto alla sostanza, per cui dobbiamo prepararci alla “Walpurgisnacht” cosmica …
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