domenica 12 gennaio 2020

“CHIARI AMO” al Kune “cose ‘t Ti ne” …















“«Potete fare un’insurrezione
proletaria a condizione che gli altri
diano l’ordine di non sparare,
se vi mettono davanti due battaglioni
di carri armati la rivoluzione proletaria
o niente sono la stessa cosa …»
André Malraux, Conversazioni”.
P. Virilio, Velocità e politica. Saggio di dromologia, Multhipla Edizioni, Milano 1981, p. 85, corsivi in originale, cap. intitolato: “La fine del proletariato” (era il 1981 …).


“«La sicurezza non si divide»
M. Poniatowski, 4 marzo 1976”.
Ivi, p. 103, corsivi in originale, , grassetto mio, cap. intitolato “Una sicurezza consumata”.



“«La sorpresa è l’essenza stessa
della guerra»
Sun Tse”.
Ivi, p. 113, corsivi in originale, cap. intitolato “Lo stato d’emergenza”[i].












Vorrei iniziare “ivi quivi” l’esposizione di alcuni “malintesi correnti”, che, senz’alcun dubbio, inficiano, nella “comune percezione degli eventi” (e20) – ammazza e come la piglia larga!!, e “con sicuro ‘fare siculo’” – la percezione del discorso, o della serie di “discorsetti”, sin ora fatti …
Cominciamo da una frase, contenuta in passato post[1], e tratta da All’ombra delle maggioranze silenziose di Baudrillard, libro assai opportunamente ripubblicato l’anno scorso, ma che in realtà è del lontano 1978 (!), per cui le frasi che saranno appena riportate qui di seguito sono del lontanissimo 1 9 7 8!: “Il vuoto sociale è attraversato da oggetti interstiziali e ammassi cristallini che vorticano e si aggregano in un chiaroscuro cerebrale. Questa è la massa, assemblaggio sottovuoto di particelle individuali, di rifiuti del sociale e d’impulsi mediatici: nebulosa opaca la cui densità crescente assorbe tutte le energie e i fasci luminosi circostanti, per sprofondare definitivamente sotto il proprio peso. Buco nero dove il sociale s’inabissa[2].
Ne derivano una serie di conseguenze: 1) il sociale oggi non esiste più, esso è un effetto di simulazione; 2) le “poste in gioco”, di conseguenza, non esistono più: pertanto le lotte che oggi si vedono sulla scena internazionale – di quelle nazionali non parliamo proprio, son effetto d’effetto –, non sono mai ciò che “davvero” sta succedendo. Ma una pantomima, dove si spacciano per “contrasti” cose che, al contrario, devono portate al “blocco” sistemico. Quando si dice che un certo gruppi deve “sostituire” un certo altro, non si vuol dire che debba “annullare” il primo, né si vuol dire che ci debba essere una crisi tale da render qualsiasi azione impossibile, soprattutto se “certi” gruppi hanno una precisa intenzione[3]. Sarebbe ridicolo, e contraddittorio, pretenderlo, ma è ciò che tanti, “complottisti” e non, oggi fanno. Per favore, fateci il piacere con tutte le scemenze da pseudo “lotta” e “tragico”, da delle applicazioni letterali de Il Signore degli Anelli – vi è davvero il parallelo con l’oggi, ma questo su basi ben differenti da quelle pensate da molti – perché non può esservi alcuna “tragedia” senza due poli che si contrastino davvero, ed oggi non ci sono. Senza contare che la vera Traditio è oggi in recessione – pesantissima – praticamente dappertutto, sostituita da forme “tradizionalistiche”, da succedanei o anche peggio. Fu detto, ed è inevitabile, quindi, anche qui, niente strepiti, davvero inutili, o sogni pericolosi. Oggi, dunque, nessuno si oppone, davvero, al “Lupo della fine”[ii], non vi è “dialettica” né lotta, dunque: niente “rappresentanza”[4]. Nella – e della – “fine”, in realtà, non si può darne alcuna “rappresentazione”, e Guénon ne spiegò, illo tempore, il perché: “Senza insistervi, rileveremo che il passaggio da un ciclo ad un altro, come ogni cambiamento di stato, non può compiersi che nell’oscurità. E’ questa un’altra legge importantissima, le cui applicazioni sono molteplici: un’esposizione alquanto dettagliata di essa, per ciò stesso, ci condurrebbe troppo lontano”[5]. E qui ci si limita, dunque, solo a presupporla e ad enunciarla.  

Per terminare: non ci può essere una “crisi” troppo forte che renderebbe il “piano” complicato, troppo complicato, così come non ci può essere una cosiddetta” “terza” guerra mondiale style replicamutatis mutandis – della Seconda, per le stesse ragioni: che la “dystopia” sarebbe impossibile o almeno troppo complicata.
Chiaro che tale “dystopia” è irrealizzabile pienamente, ma quel che conta davvero è l’ “intenzione” di farlo, e cioè si spaccia per “soluzione” quel che – letteralmente – porta verso la “dys-soluzione” – cioè vero la piena “implosione” (che abbiam visto solo in parte sinora), nei termini “sociologici” di Baudrillard, delle società “target[6] (e di proposito uso un termine tratto dal “marketing”, perché trattasi di “marketing” sociale, di uso di propaganda e di mezzi – non solo “corporei” … - per poter influire sulle “realtà”, sempre meno “solide”, sociali …).
Che sia pienamente irrealizzabile non significa non sarà realizzata, anzi, si stanno attrezzando per questo (col 5G, per esempio). Ma solo significa che non sarà “pienamente” realizzata, per la semplice ragione – avrebbe detto sempre Guénon – che una tale realizzazione sarebbe al di sotto “di ogni realtà corporea” … In altre parole: una piena realizzazione dell’ “implosione” sociale non sarebbe altro che la completa polverizzazione del tessuto sociale = la sparizione di un’intera società, impossibile. Di più: è necessario l’intervento anche di altro, “non proveniente dal tutto sommato limitato àmbito del ‘Regno della Quantità’”, ci avrebbe detto lo stesso Guénon … Leggi qui la storia dei cosiddetti “UFO” e quel mio vecchio post di qualche anno fa … E qui si pongono quella “strane” dichiarazioni di uno che, di queste cose, forse ne sapeva qualcosina in più di noi, forse …, cioè W. Von Braun …
Ma non precorriamo i tempi: quella è una fase ancora seguente a quella in cui siamo. Per ora resti fermo che non si vuole affatto di “abbattere” il sistema, ma che quest’ultimo sia posto sotto il controllo di “determinate” forze condizionanti il “divenire” di questo caotico e dolente, pazzo globo. Come ho detto nel precedente post[7], vi sono ragioni non indifferenti acciocché noi “si” pensi che un tal momento, dove la forza “agente” cambia, si stia verificando sotto i nostri occhi, ed ovviamente senza che la gran parte se ne accorga: ma questo è normale, scontato.
E perché mai dovrebbero accorgersene? Per iniziare sterili discussioni pubbliche, fermo restando che il cosiddetto “grande” pubblico – piccino, piccino, in realtà – non può avere le basi per comprendere tali cose? “I metodi democratici hanno i loro limiti. Si può chiedere a tutti i viaggiatori di un treno quale tipo di vagone preferiscano, ma non si può chieder loro se si debba frenare in piena corsa un treno che sta per deragliare”[8].













Andrea A. Ianniello











[2] J. Baudrillard, All’ombra della maggioranze silenziose ovvero la fine del sociale, Introduzione di D. Altobelli, Mimesis Edizioni, Milano 2019, frase posta sul retro di copertina, grassetto in originale.
[5] R. Guénon, La Crisi del mondo moderno, Edizioni Mediterranee, Roma 1972, p. 39, corsivi e grassetti miei; non a caso ne cito la vecchia edizione, non quella nuova del 2015, pessima edizione, che è stata pesantemente “evolizzata” con lo scopo di arruolaremalgré lui meme – Guénon fra i “difensori dell’Occidente” da lui pesantemente criticati proprio nel libro in esame.
Questo genere d’operazioni è ben noto, e l’opera di Guénon ne ha sofferto molto. L’ “autorevolezza” di Guénon fa gola (questo è, in realtà), ma non si è altrettanto disposti a confrontarsi con lui effettivamente, pur nelle differenze di pensiero, che invece sarebbe “cosa buona e giusta” venissero fuori. Il punto è che Guénon disprezzava i “difensori dell’Occidente”, cioè quelli che stan facendo di tutto per far sì che il populismo, in sé stesso “né di destra né di sinistra”, entri nella “destra classica”, cioè nazionalistica, dove il cosiddetto “sovranismo” andrebbe chiamato col suo vero nome: neonazionalismo. Uno può fare come crede sia, per lui, giusto, ma, se lo attribuisce a Guénon, sbaglia di grosso: quest’autore è stato tra i più strenui critici di ogni “nazionalismo”, in particolare se si prende per “tradizionale”, cioè “tradizionalista” ma non effettivamente “tradizionale”, sempre secondo l’autore qui citato. Tali distinzioni,semplici ma essenziali, andrebbero sempre tenute nel debito conto se si parla di quest’autore. Per finire, si dice che, secondo sempre Guénon, il problema sarebbe stato della falsa “tradizione”, non più della modernità, il cui “acme” avrebbe fatto parte del passato – come poi è stato – ma questo punto non viene accettato dai “tradizionalisti”, ed ecco un’altra – e profonda – ragione di differenza di prospettive di base. Di differenza radicale di visione. Quel che diceva Guénon può piacere o non, questo è chiaro, ma sta di fatto che lo scrisse.   
[8] L. D. Trotsky, Storia della Rivoluzione russa, vol. II, Oscar Mondadori Editore, Milano 1969, p. 1081. Citare Trotzky? Suvvia? Trotzky che, se avesse vinto, voleva impedire “a me” di avere due soldi in banchetta! Suvvia! Scherzi a parte davvero se Trotzky avesse vinto, non avremmo il 5G … Naturalmente, Trotzky è stato usato, usate le sue capacità di organizzatore, rivolte verso lo stato “forte”, mentre lui voleva qualcosa d’altro: ma tutta la vicenda del “comunismo” sta in questo; il suo fallimento in economia e il suo successo in termini di efficacia politica. Trotzky fu abile soprattutto nell’ “arte dell’insurrezione”, come la chiamava lui stesso, cioè su ciò che oggi è quasi impossibile. Perché? Per la tecnica … come s’è detto nella citazione all’inizio di questo post.
Sulla pratica dell’insurrezione da parte di Trotzky, cf. C. Malaparte, Tecnica del colpo di stato, Adelphi Edizioni, Milano 2011, pp. 143-162. Questo libro, condannato da Mussolini, e grazie al quale Malaparte cadde in disgrazia presso quest’ultimo (perché gli diceva chiaramente che Mussolini aveva usato una “tattica insurrezionale ‘comunista’”, cf. ivi, p. 227, cosa che, pur essendo vera, non poteva che far arrabbiare Mussolini stesso), si è dimostrato preveggente, come in questa frase, che all’epoca pareva tanto “scandalosa” ma che, dal punto di vista storico, si è rivelata del tutto esatta: “Stalin è il solo uomo di Stato europeo che abbia saputo trar profitto dalla lezione dell’ottobre 1917. Se i comunisti di tutti i paesi d’Europa debbono imparare da Trotzki l’arte d’impadronirsi del potere, i governi liberali e i democratici debbono imparare da Stalin l’arte di difendere lo Stato contro la tattica insurrezionale comunista, cioè contro la tattica di Trotzki”, ivi, p. 163, corsivi miei. E Stalin ha senz’altro avuto successo, mentre i poveri “europini” nessun successo nell’ “arte dell’insurrezione”, finché, oggi, tale insurrezione non è più possibile in alcun modo, se non in modi e con effetti assai limitati: non è possibile un’eco mondiale per un’insurrezione come fu “l’” Ottobre. Ma far capir agli ottusi politicanti occidentali che la cosiddetta “fine del comunismo” era la piena realizzazione del potenziale politico del dirigismo comunista, senza più le fastidiose stampelle – che lo indebolivano, in realtà – della “lotta di classe” e della “dittatura del proletariato”, è stato impossibile: tale gente va lasciata nella sua ignoranza e testardaggine, irrecuperabili. In democrazia proprio cambiare classe dirigente è impossibile, si sa, quindi costoro continueranno a far danni. A Putin della “lotta di classe” e della “dittatura del proletariato”, interessa zero, ma la tomba di Lenin significa che lui può decidere e cambiar tutto senza dover render conto. Per Xi Jinping la “lotta di classe” e la “dittatura del proletariato” sono relegate in un lontano futuro, inattingibile, e che – si spera – non venga mai: perché,s e venisse, il suo stesso potere dovrebbe essere ridimensionato. Va qui, per finire, osservato che il libro di Malaparte è, in realtà, stato pubblicato nel 1931, e che, tra le altre cose che ben vide, c’è quella che capì bene che Hitler non avrebbe fatto un’ “insurrezione”, ma sarebbe salito al potere legalmente (le destre possono farlo: a loro è consentito), cf. ivi, pp. 241-254. Malaparte attribuisce questo alla debolezza ed al carattere “femmineo” di Hitler (cf. ivi, pp. 255-256), “invidioso” e teatrale in altre parole – osservazione verissima ma che non tocca il punto –, e tuttavia, non fu questa la ragione, ma due fatti: 1) la tattica che voleva cattivarsi le vecchie classi dirigenti tedesche; 2) il potere d’influenzare l’opinione pubblica, un tratto estremamente “novecentesco” del nazismo e che ne costituisce la sua parte più viva, ancor oggi.   








[i] A questo punto, possiamo quindi cominciare a poter rispondere alla questione posta in precedente post, cf.
[ii] “Odino sa controllare i suoi lupi e questi gli son fedeli: hanno un ruolo ben determinato nell’ordine stabilito ai primordi del ciclo. Tuttavia Odino, dio-lupo, è anche Ulfs Bagi, il “Nemico del Lupo: questi pone fine ai suoi giorni. Fino al momento cruciale dell’attacco funesto da parte di Fenrir e dei suoi accoliti, persiste un accordo tra le differenti parti in cui il mondo consiste. […] Ma il figlio di Loki [Fenrir, il “Lupo della Fine”], divorando il ‘dio-dei-legami (dell’universo)’ [Odino, Woden o Wotan], conduce a rapida dissoluzione quest’ordine. Quando poi Odino e Fenrir muoiono, il mondo, purificato all’estremo, ritorna al punto zero [il che non significa vi ritorni “uguale” …]: ora restano, solitari, solo i germi di vita”, C. Levalois, Il simbolismo del Lupo, Arktos Oggero Edizioni, Carmagnola (TO) 1989, p. 21, corsivi miei, mie osservazioni tra parentesi quadre. insomma; “Le mascelle del lupo simbolizzano anche la porta: esse si spalancano sia per provocare l’annientamento (e questo per la materia e le forme) sia per iniziare un’ altra vita (e questo per l’ essere)”, ibid., corsivi miei.
Ecco un francobollo delle Isole Faer Oer, commemorante la morte di Odino, che vien divorato da Fenrir, cf.
“L’Ovest […] incalza provocando agonia, decomposizione e infine, […] la dissoluzione finale, l’ ultima battaglia [chiaro che cosa sia “l’ ultima ‘battaglia’”? davvero?, non è un mero confronto fra gruppi di combattenti …]. il mondo che muore è stato condannato dalla sue stesse colpe: è lui stesso a generare il lupo che lo deve divorare. La sua decadenza provoca la sua perdita, e siccome il lupo raffigura l’onda d’urto, questo decadimento porta comunque con sé l’esigenza d’un mondo nuovo”, C. Levalois, Il simbolismo del Lupo, cit., p. 22, corsivi miei, mie osservazioni tra parentesi quadre.  
















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