“«Potete fare un’insurrezione
proletaria
a condizione che gli altri
diano
l’ordine di non sparare,
se
vi mettono davanti due battaglioni
di
carri armati la rivoluzione proletaria
o
niente sono la stessa cosa …»
André Malraux, Conversazioni”.
P. Virilio, Velocità e politica. Saggio di dromologia, Multhipla Edizioni, Milano
1981, p. 85, corsivi in originale,
cap. intitolato: “La fine del proletariato” (era il 1981 …).
“«La sicurezza non si divide»
M. Poniatowski, 4 marzo
1976”.
Ivi,
p. 103, corsivi in originale, , grassetto mio, cap. intitolato “Una sicurezza
consumata”.
“«La sorpresa è l’essenza stessa
della
guerra»
Sun Tse”.
Ivi,
p. 113, corsivi in originale, cap. intitolato “Lo stato d’emergenza”[i].
Vorrei iniziare “ivi quivi” l’esposizione di alcuni “malintesi correnti”, che, senz’alcun dubbio, inficiano, nella “comune percezione degli eventi” (e20) – ammazza e come la piglia larga!!, e “con sicuro ‘fare siculo’” – la percezione del discorso, o della serie di “discorsetti”, sin ora fatti …
Cominciamo da una frase, contenuta in passato post[1],
e tratta da All’ombra delle maggioranze
silenziose di Baudrillard, libro assai opportunamente ripubblicato l’anno
scorso, ma che in realtà è del lontano 1978
(!), per cui le frasi che saranno appena riportate qui di seguito sono del lontanissimo 1 9 7 8!: “Il vuoto sociale è attraversato da oggetti
interstiziali e ammassi cristallini che vorticano e si aggregano in un
chiaroscuro cerebrale. Questa è la massa, assemblaggio sottovuoto di particelle
individuali, di rifiuti del sociale e d’impulsi mediatici: nebulosa opaca la
cui densità crescente assorbe tutte le energie e i fasci luminosi circostanti,
per sprofondare definitivamente sotto il proprio peso. Buco nero dove il
sociale s’inabissa”[2].
Ne derivano una serie
di conseguenze: 1) il sociale oggi non esiste più, esso è un effetto di simulazione; 2) le “poste in gioco”, di conseguenza, non
esistono più: pertanto le lotte che oggi si vedono sulla scena internazionale –
di quelle nazionali non parliamo proprio, son effetto d’effetto –, non sono mai
ciò che “davvero” sta succedendo. Ma una pantomima, dove si spacciano per “contrasti” cose che, al contrario,
devono portate al “blocco” sistemico. Quando si dice che un certo gruppi deve
“sostituire” un certo altro, non si vuol dire che debba “annullare” il primo,
né si vuol dire che ci debba essere una crisi tale da render qualsiasi azione
impossibile, soprattutto se “certi” gruppi hanno una precisa intenzione[3].
Sarebbe ridicolo, e contraddittorio, pretenderlo, ma è ciò che tanti,
“complottisti” e non, oggi fanno. Per
favore, fateci il piacere con tutte le scemenze da pseudo “lotta” e “tragico”, da delle applicazioni letterali de Il Signore degli Anelli – vi è davvero
il parallelo con l’oggi, ma questo su basi ben differenti da quelle pensate da
molti – perché non può esservi alcuna “tragedia” senza due poli che si
contrastino davvero, ed oggi non ci sono. Senza contare che la vera Traditio è oggi in recessione – pesantissima – praticamente
dappertutto, sostituita da forme “tradizionalistiche”, da succedanei o anche
peggio. Fu detto, ed è inevitabile,
quindi, anche qui, niente strepiti, davvero inutili, o sogni pericolosi. Oggi,
dunque, nessuno si oppone, davvero, al “Lupo della fine”[ii],
non vi è “dialettica” né lotta,
dunque: niente “rappresentanza”[4].
Nella – e della – “fine”, in realtà,
non si può darne alcuna
“rappresentazione”, e Guénon ne spiegò, illo
tempore, il perché: “Senza
insistervi, rileveremo che il
passaggio da un ciclo ad un altro, come ogni cambiamento di stato,
non
può compiersi che nell’oscurità. E’ questa un’altra legge importantissima, le cui
applicazioni sono molteplici:
un’esposizione alquanto dettagliata di essa, per ciò stesso, ci condurrebbe
troppo lontano”[5]. E qui
ci si limita, dunque, solo a presupporla e ad enunciarla.
Per terminare: non ci
può essere una “crisi” troppo forte che renderebbe il “piano” complicato,
troppo complicato, così come non ci può essere una cosiddetta” “terza” guerra
mondiale style replica – mutatis mutandis
– della Seconda, per le stesse
ragioni: che la “dystopia” sarebbe impossibile o almeno troppo complicata.
Chiaro che tale
“dystopia” è irrealizzabile pienamente, ma quel che conta davvero è
l’ “intenzione” di farlo, e cioè si spaccia
per “soluzione” quel che – letteralmente
– porta verso la “dys-soluzione” –
cioè vero la piena “implosione” (che
abbiam visto solo in parte sinora),
nei termini “sociologici” di Baudrillard, delle società “target”[6]
(e di proposito uso un termine tratto
dal “marketing”, perché trattasi di “marketing” sociale,
di uso di propaganda e di mezzi –
non solo “corporei” … - per poter influire sulle “realtà”, sempre meno “solide”, sociali …).
Che sia pienamente
irrealizzabile non significa non sarà
realizzata, anzi, si stanno attrezzando per questo (col 5G, per esempio). Ma
solo significa che non sarà “pienamente” realizzata, per la semplice ragione –
avrebbe detto sempre Guénon – che una tale realizzazione sarebbe al di sotto “di ogni realtà corporea” …
In altre parole: una piena realizzazione dell’ “implosione” sociale non sarebbe
altro che la completa polverizzazione
del tessuto sociale = la sparizione di un’intera società, impossibile. Di più: è necessario l’intervento anche di altro, “non
proveniente dal tutto sommato limitato àmbito del ‘Regno della Quantità’”, ci
avrebbe detto lo stesso Guénon … Leggi qui la storia dei cosiddetti “UFO” e
quel mio vecchio post di qualche anno fa … E qui si pongono quella “strane”
dichiarazioni di uno che, di queste cose, forse ne sapeva qualcosina in più di
noi, forse …, cioè W. Von Braun …
Ma non precorriamo i
tempi: quella è una fase ancora seguente a quella in cui siamo. Per ora resti fermo
che non si vuole affatto di “abbattere” il sistema, ma che quest’ultimo sia
posto sotto il controllo di “determinate” forze condizionanti il “divenire” di
questo caotico e dolente, pazzo globo. Come ho detto nel precedente post[7],
vi sono ragioni non indifferenti acciocché noi “si” pensi che un tal momento,
dove la forza “agente” cambia, si stia verificando sotto i nostri occhi, ed
ovviamente senza che la gran parte se ne accorga: ma questo è normale,
scontato.
E perché mai dovrebbero
accorgersene? Per iniziare sterili discussioni pubbliche, fermo restando che il
cosiddetto “grande” pubblico – piccino, piccino, in realtà – non può avere le
basi per comprendere tali cose? “I metodi democratici hanno i loro limiti. Si
può chiedere a tutti i viaggiatori di un treno quale tipo di vagone
preferiscano, ma non si può chieder loro se si debba frenare in piena corsa un
treno che sta per deragliare”[8].
Andrea A.
Ianniello
[1] Cf.
[2]
J. Baudrillard, All’ombra della maggioranze silenziose
ovvero la fine del sociale, Introduzione di D. Altobelli, Mimesis Edizioni,
Milano 2019, frase posta sul retro di copertina, grassetto in originale.
[3] Cf.
[4] Cf.
[5]
R. Guénon, La Crisi del mondo moderno, Edizioni Mediterranee, Roma 1972, p.
39, corsivi e grassetti miei; non a
caso ne cito la vecchia edizione, non quella nuova del 2015, pessima edizione, che è stata
pesantemente “evolizzata” con lo scopo di arruolare
– malgré lui meme – Guénon fra i
“difensori dell’Occidente” da lui pesantemente criticati proprio nel libro in
esame.
Questo genere
d’operazioni è ben noto, e l’opera
di Guénon ne ha sofferto molto. L’ “autorevolezza” di Guénon fa gola (questo è, in realtà), ma non si
è altrettanto disposti a confrontarsi con lui effettivamente, pur nelle differenze
di pensiero, che invece sarebbe “cosa buona e giusta” venissero fuori. Il punto
è che Guénon disprezzava i “difensori dell’Occidente”, cioè quelli che stan
facendo di tutto per far sì che il populismo, in sé stesso “né di destra né di
sinistra”, entri nella “destra classica”, cioè nazionalistica, dove il cosiddetto “sovranismo” andrebbe
chiamato col suo vero nome:
neonazionalismo. Uno può fare come crede sia, per lui, giusto, ma, se lo
attribuisce a Guénon, sbaglia di grosso: quest’autore è stato tra i più strenui
critici di ogni “nazionalismo”, in particolare se si prende per “tradizionale”,
cioè “tradizionalista” ma non
effettivamente “tradizionale”, sempre secondo l’autore qui citato. Tali
distinzioni,semplici ma essenziali, andrebbero sempre tenute nel debito conto se si parla di quest’autore. Per
finire, si dice che, secondo sempre Guénon, il problema sarebbe stato della
falsa “tradizione”, non più della modernità, il cui “acme” avrebbe fatto parte
del passato – come poi è stato – ma questo punto non viene accettato dai
“tradizionalisti”, ed ecco un’altra – e profonda – ragione di differenza di
prospettive di base. Di differenza
radicale di visione. Quel che diceva Guénon può piacere o non, questo è chiaro,
ma sta di fatto che lo scrisse.
[8]
L. D. Trotsky, Storia della Rivoluzione russa, vol. II,
Oscar Mondadori Editore, Milano 1969,
p. 1081. Citare Trotzky? Suvvia? Trotzky che, se avesse vinto, voleva impedire “a me” di avere due soldi in banchetta!
Suvvia! Scherzi a parte davvero se Trotzky avesse vinto, non avremmo il 5G …
Naturalmente, Trotzky è stato usato, usate le sue capacità di organizzatore,
rivolte verso lo stato “forte”, mentre lui voleva qualcosa d’altro: ma tutta la
vicenda del “comunismo” sta in questo; il suo fallimento in economia e il suo successo in termini di efficacia
politica. Trotzky fu abile soprattutto nell’ “arte dell’insurrezione”, come la
chiamava lui stesso, cioè su ciò che oggi è quasi impossibile. Perché? Per la tecnica … come s’è detto nella
citazione all’inizio di questo post.
Sulla pratica
dell’insurrezione da parte di Trotzky, cf.
C. Malaparte, Tecnica del colpo di stato, Adelphi Edizioni, Milano 2011, pp. 143-162. Questo libro,
condannato da Mussolini, e grazie al quale Malaparte cadde in disgrazia presso
quest’ultimo (perché gli diceva chiaramente che Mussolini aveva usato una
“tattica insurrezionale ‘comunista’”, cf.
ivi, p. 227, cosa che, pur essendo
vera, non poteva che far arrabbiare
Mussolini stesso), si è dimostrato preveggente, come in questa frase, che
all’epoca pareva tanto “scandalosa” ma che, dal punto di vista storico, si è
rivelata del tutto esatta: “Stalin è il solo uomo di Stato europeo che abbia
saputo trar profitto dalla lezione dell’ottobre 1917. Se i comunisti di tutti i
paesi d’Europa debbono imparare da Trotzki l’arte d’impadronirsi del potere, i
governi liberali e i democratici debbono imparare da Stalin l’arte di difendere
lo Stato contro la tattica insurrezionale
comunista, cioè contro la tattica di
Trotzki”, ivi, p. 163, corsivi
miei. E Stalin ha senz’altro avuto successo, mentre i poveri “europini” nessun
successo nell’ “arte dell’insurrezione”, finché, oggi, tale insurrezione non è
più possibile in alcun modo, se non in modi e con effetti assai limitati: non è
possibile un’eco mondiale per un’insurrezione come fu “l’” Ottobre. Ma far capir agli ottusi politicanti
occidentali che la cosiddetta “fine del comunismo” era la piena realizzazione
del potenziale politico del
dirigismo comunista, senza più le fastidiose stampelle – che lo indebolivano,
in realtà – della “lotta di classe” e della “dittatura del proletariato”, è
stato impossibile: tale gente va lasciata nella sua ignoranza e testardaggine,
irrecuperabili. In democrazia proprio cambiare classe dirigente è impossibile,
si sa, quindi costoro continueranno a far danni. A Putin della “lotta di
classe” e della “dittatura del proletariato”, interessa zero, ma la tomba di
Lenin significa che lui può decidere e cambiar tutto senza dover render conto.
Per Xi Jinping la “lotta di classe” e la “dittatura del proletariato” sono
relegate in un lontano futuro, inattingibile, e che – si spera – non venga mai:
perché,s e venisse, il suo stesso potere dovrebbe essere ridimensionato. Va
qui, per finire, osservato che il libro di Malaparte è, in realtà, stato
pubblicato nel 1931, e che, tra le altre
cose che ben vide, c’è quella che capì bene che Hitler non avrebbe fatto un’
“insurrezione”, ma sarebbe salito al potere legalmente (le destre possono
farlo: a loro è consentito), cf. ivi, pp. 241-254. Malaparte attribuisce
questo alla debolezza ed al carattere “femmineo” di Hitler (cf. ivi,
pp. 255-256), “invidioso” e teatrale
in altre parole – osservazione verissima ma che non tocca il punto –, e
tuttavia, non fu questa la ragione, ma due fatti: 1) la tattica che voleva
cattivarsi le vecchie classi dirigenti tedesche; 2) il potere d’influenzare
l’opinione pubblica, un tratto estremamente “novecentesco” del nazismo e
che ne costituisce la sua parte più viva,
ancor oggi.
[i]
A questo punto, possiamo quindi cominciare a poter rispondere alla questione
posta in precedente post, cf.
[ii]
“Odino sa controllare i suoi lupi e
questi gli son fedeli: hanno un ruolo ben determinato nell’ordine stabilito
ai primordi del ciclo. Tuttavia Odino, dio-lupo, è anche Ulfs Bagi, il
“Nemico del Lupo: questi pone fine ai suoi giorni. Fino al momento cruciale dell’attacco funesto da parte di Fenrir e dei
suoi accoliti, persiste un accordo
tra le differenti parti in cui il mondo
consiste. […] Ma il figlio di Loki [Fenrir,
il “Lupo della Fine”], divorando il ‘dio-dei-legami
(dell’universo)’ [Odino, Woden o Wotan], conduce a rapida dissoluzione quest’ordine. Quando poi Odino e Fenrir
muoiono, il mondo, purificato all’estremo,
ritorna al punto zero [il che non significa vi ritorni “uguale” …]: ora
restano, solitari, solo i germi di
vita”, C. Levalois, Il simbolismo del Lupo, Arktos Oggero
Edizioni, Carmagnola (TO) 1989, p. 21,
corsivi miei, mie osservazioni tra parentesi quadre. insomma; “Le mascelle del
lupo simbolizzano anche la porta: esse
si spalancano sia per provocare l’annientamento (e questo per
la materia e le forme) sia per iniziare un’ altra vita (e questo per
l’ essere)”, ibid., corsivi miei.
Ecco un francobollo
delle Isole Faer Oer, commemorante la morte di Odino, che vien divorato da
Fenrir, cf.
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d0/Faroe_stamp_436_The_Death_of_Odin.jpg
(Wikimedia Commons).
(Wikimedia Commons).
“L’Ovest […] incalza
provocando agonia, decomposizione e infine, […] la dissoluzione finale, l’ ultima
battaglia [chiaro che cosa sia “l’ ultima ‘battaglia’”? davvero?, non è un
mero confronto fra gruppi di combattenti …]. il mondo che muore è stato
condannato dalla sue stesse colpe: è lui stesso a generare il lupo che lo deve
divorare. La sua decadenza provoca la sua perdita, e siccome il lupo raffigura
l’onda d’urto, questo decadimento porta comunque con sé l’esigenza d’un mondo
nuovo”, C. Levalois, Il simbolismo del Lupo, cit., p. 22,
corsivi miei, mie osservazioni tra parentesi quadre.
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