La data del 9/11 ha un significato
particolare, per la Germania: il 9/11/’23 fu la data del tentato putsch a Monaco di Baviera, detto “della
birreria”, cui partecipò come capo Hitler, ed anche Ludendorff. Il 9/11/’89 “cadde”
– si fa per dire – il Muro di Berlino cosiddetto, ed iniziò una fase che si è
conclusa con l’introduzione dell’Euro ben ventun anni fa[1]
(l’Euro come fase di “chiusura” delle diverse possibilità, nemmeno mai concepite
però eh, perché l’ ’89 segna l’inizio del democratismo come “unico sistema” possibile,
che, poi, per fallimento della sua estensione all’est – cosa super extra iper prevedibilissima – c’ha portato dove
siamo, alla crisi della democrazia e
della rappresentanza, crisi strutturali
ed irreversibili): iniziava l’Europa come “Germaniopa”, come la chiamai anni fa[2].
Personalmente mi son
opposto a quest’ultima deriva ed all’introduzione dell’Euro, per cui son contrarissimo
anche all’uscita unilaterale caldeggiata da parte di chi affetta ora un
comportamento ragionevole, ma cui non credo. Era un “club” troppo costoso per
entravi, da parte d’un paese, sostanzialmente, esportatore (e non è questa una
delle sue minori debolezze, dell’Italia, intendo, ma tant’è, questa la realtà
dei fatti); ma uscirne unilateralmente implica il pagamento di una pesante
tassa. Diverso è se si avesse il meltdown
del sistema Euro, ma ciò non può esser provocato dall’Italia da sola, derivando
eventualmente da fatti generali, che,a attualmente, spingono invece all’accordo
ed a “transare” con le forze che stanno facendo a pezzi la vecchia oligarchia
novecentesca di “democrazia liberale” più capitalismo. E sono forze interne al sistema stesso.
Al momento, dunque, un meltdown della sola zona Euro non si sta
verificando, sebbene l’Europa – non l’Euro!! – sia in gravissima crisi politica.
Il risultato è, in
apparenza, paradossale, che, cioè, l’Euro stia meglio dell’Europa, quando tutti
starnazzano di “riforme” dell’Europa
e di farla una sorta di Federazione: sinora solo sogni e chiacchiere al vento, perché
vi son interessi fortissimi, sia
dentro l’Europa – Germania e Francia, con il corredo, la prima, dei paesotti
dell’est Europa (che, se l’Europa avesse dovuto mai essere cosa seria, mai e
poi mai sarebbero dovuto entrare ma solo essere paesi cuscinetto verso la
Russia, più che super iper prevedibilmente risalita nel rango di potenza
mondiale: solo gli europoidi se ne potevano meravigliare) in testa – si esterni:
la Russia ed oggi anche l’America. E l’Europa non ha la forza di proporsi come
potenza realmente autonoma. Quanto all’Euro, non è un male in sé stesso, ma com’è
stato fatto, si doveva scegliere una via del tutto diversa: porre assieme le
riserve auree di Germania, Francia ed Italia, rispettivamente secondo, terzo e
quarto possessore di riserve auree mondiali, dopo gli Usa, e porre ciò “a
cauzione” di un reale Euro. Gli altri, se vogliono entrarci, lo possono fare: pagando.
In tal modo avresti evitato tanti guai seguenti, anche se, ovviamente, certi
problemi che danno le aree di tasso fisso ci sarebbero sempre stati. Ma, in tal
caso, con possibilità di manovra. Una tale possibilità, tuttavia, era del tutto
impossibile – direi del tutto inconcepibile – da parte di un ceto dirigente che
è nato nella paura del comunismo, il cui collante (o collant) era l’anticomunismo, per cui l’ ’89 è stato come la
realizzazione del loro sogno, ovvero illusione. Non potevano che far quel che
hanno fatto, col risultato altrettanto inevitabile, che tuttavia li ha presi di
sorpresa e continua e continuerà nel farlo, perché il punto che non va è a
monte. Ma è impossibile – la storia ce lo dimostra – che un ceto dirigente si “reinventi
in modi sempre nuovi”, per dirla con Lee Kwan Yew. Non potevano che far questo,
l’hanno fatto ed i risultati sono altrettanto inevitabili delle premesse. Con però
la ridicolaggine della “sorpresa”
riguardo alle rinnovate ambizioni russe.
Oltre una certa data,
il “comunismo” in Russia era diventato una maschera per ambizioni del tutto “nazionali”
(soprattutto dentro al Kgb era evidente questo); dunque, dopo la fine del
comunismo, la maschera poteva cadere del tutto. E così è stato.
La grande ironia si è
che ciò è avvenuto grazie ad un ex del Kgb, fermo restando che la formazione
nei servizi segreti, di qualunque paese, condiziona la mentalità di chi vi è
stato formato per l’intera vita, piaccia o non piaccia. In altre parole: non se
n’esce mai davvero e del tutto, come mentalità,
chiaro.
Per l’Italia, invece,
cominciò un’epoca di declino crescente, che si sarebbe solo acuito, e non
sarebbe mai terminato. Si sa, l’Italia è paese di brevi ed inebrianti fase espansive,
ma di lunghe fasi di stagnazione, quasi senza fine. Si veda il sec. XVII
rispetto ai due secoli precedenti. Ma la fase negativa continuò, e a lungo, interrotta
da qualche breve fase di espansione nel sec. XVIII, fino al sec. XIX, dove,
però, l’espansione si concentrò al Nord e sacrificò, definitivamente, il Sud, la cui fase espansiva, dopo il XVIII sec.,
si ebbe solo per un breve, ubriacante periodo dopo al Seconda Guerra Mondiale, della
serie dei piccoli fenomeni espansivi di compensazione,
che, tuttavia, non intaccano la fase, ben più forte, di contrazione o
stagnazione; in Italia più stagnazione: la “stagnazione secolare”, in realtà, è
uno stato dell’animo più che solo economico. Nel presentare l’Italia, si commette
di solito un grossissimo errore di
valutazione: la stagnazione è il suo stato normale; poi, vi son brevi, effervescenti
periodi di “follia”, quando l’Italia “si prende una vacanza da sé stesso”, per
parafrasare Nietzsche. Ma la “norma” è la stagnazione, la contrazione, la
discesa, la bassa marea.
Dunque l’Italia alla
soglia – “alla sogliola”, siccome dico per i-scherzo – dell’ ’89 – lo pseudo rinnovamento. “Invece si
organizzavano bene all’interno dell’azienda i gruppi d’ispirazione
integralistica e cattolica, le mafie di potere. E poi, in definitiva, ha finito
per prevalere proprio la politica più
miope e opportunistica. Alla lunga, dopo
la crisi del petrolio, i bilanci che andavano in passivo e tutto il resto,
lei e la sua famiglia s’impaurirono e si fecero intrappolare – si pure […] con
alcuni dubbi – accodandosi al carro che gli venne presentato come vincente, ovvero quello di Kissinger e di Cuccia, con il loro progetto superiore. Ma qual era il
progetto superiore? Far prevalere l’industria
e svuotare di ogni contenuto politico l’amministrazione pubblica, ridurla a una larva. […]
L’industria italiana
non pensa a se stessa, quanto alla propria comodità.
L’industria italiana non pensa a svilupparsi ordinatamente: alla ricerca, alla
propria organizzazione, dei propri prodotti, ad un confronto aperto e leale con
il mercato, con la cultura industriale, con l’università … pensa alla propria
comodità, nel senso che esclude
queste reali ipotesi di ricerca per restare
nell’ambito dell’esercizio di comando
e basta … Produrre quel che sa produrre, vendere
quel che sa vendere … E, per restare così arretrata, ha bisogno di
tenere arretrato l’ intero paese”[3].
Con quest’enorme
debolezza l’Italia ha affrontato il post ’89; non stupisce, allora, la
stagnazione, che si evitò negli anni ’90 grazie alla crisi del ’92 che fece
abbassare il valore della valuta dunque rafforzando le esportazioni, ma senz’alcun
cambiamento sostanziale. L’Euro è stato, poi, usato solo per sostenere il
debito senz’alcuna riforma strutturale: quand’è venuta la crisi, l’Italia era
un ventre molle di fronte ad una lama tagliente. Ma la cosa più probabile, la
cosa più italiana, era il “mettere lo sporco sotto il tappeto” e non fare
alcuna riforma strutturale per la semplice ragione che tali riforme avrebbero
dovuto toccare le rendite di posizione della classe più abbiente italiana, e
della varie lobby. Cosa impossibile,
in Italia.
Per questo ero contrarissimo
all’Euro, cioè a che l’Italia vi entrasse: per le ragioni, speculari, di chi
pensava che, entrando nell’area Euro, l’Italia sarebbe stata costretta a
cambiare; ma senza guerre o catastrofi gigantesche, dico gigantesche, l’Italia
è impossibile che cambi. Quindi pretendere che, sotto l’Europa, sotto quest’Europa
di bottegai – ed è l’unica che,
oggi, ti puoi attendere – l’Italia come sotto un pungolo cambiasse, era una
totale, assoluta, completa chimera.
Per questo dicevo:
questi non cambieranno mai, perciò meglio che non entrino nell’area Euro. Dietro
questo fatto vi è stato il distillato dell’illusione delle sinistre italiane, che l’Europa fosse la
realizzazione di un piano comune, quando invece era la Germaniopa, la realizzazione
di precise ambizioni di egemonia poste in campo economico, per cui l’area Euro è come un costoso “club” di
milionari, dove uno della classe media – l’Italietta – non dev’entrare se non accumulando
una serie di soldi che gli serviranno per pagarsi le costose rette di quest’Harvard
economica. Vero che hai de vantaggi, tipo quei club che mettono a disposizione l’auto
e vari servizi, o vari sconti, ma tu non
devi credere che ciò avvenga senza pagare. Anzi, è cosa tedesca, dove il “senza
pagare” è un obbrobrio, rasenta la bestemmia, dove tutto si paga, ma con
vantaggi, in un sistema che non ha niente del classico “mo’ vediamo” italiano, “mo’
faccio e poi cambio”, “ci mettiamo d’accordo”, “vabbeh si vedrà”, “vabbuo’ un
forfettario ah” e cose simili: dove tutto ciò è obbrobrio, quasi una bestemmia.
Dove vi è tutto fuorché la mentalità mediterranea del “mettersi d’accordo”, e
non è certo un caso che, oltre l’Italia, la sola Grecia sia stata trattata
peggio: vi è una differenza di mentalità ch’è stata totalmente sottovalutata da
più parti, non solo italiane o greche. Non è dunque colpa solo d’italiani e
greci o dei centro europei, solo che chi ha una mentalità mediterranea non
doveva entrare: ma è stato attratto dai vantaggi, senza vederne altrettanto gli
svantaggi, molto “mediterraneo” anche questo …
In ogni caso, tornando
all’arretratezza italiana voluta
dall’ industria italiana, possiamo dire, oggi:
Missione compiuta (“Mission accomplished”),
e compiuta “alla grande”, la
missione di mantener piccolo il “paese”
Italia (davvero solo un “paesone”), paese che ama
rimanere piccolo, e guardare solo al proprio “particulare”, secondo la lezione
di Guicciardini, il buon conoscitore del “carattere” nazionale (o della
nazionale “assenza di carattere”), in ciò ben diversamente dall’ inguaribile sognatore Machiavelli.
L’Italia sogna d’essere
Machiavelli, ma, poi, rimane sempre Guicciardini, con gusto e partecipazione.
Sogna d’esser leone o volpe, ma poi non è nemmeno volpe, ma spesso asino, oppure topo.
A grandi discorsi
corrispondono sempre risultati minimi.
O miseri.
Quel paese dove tutto ciò,
cioè questi atteggiamenti di fondo, è una seconda natura si chiama: Italia.
Il paese dove finisce
sempre, immancabilmente, col prevalere “la politica più miope e opportunistica”;
una ricorrenza così riscorrente deve pur segnare l’emersione di una nota “caratteriale”
specifica, e sostanziale. Sennò non
sarebbe così prevalente, così ricorrentemente
prevalente.
Comunque divertentissime
le esaltazioni dell’evento che avrebbe spostato nel Centro Europa il baricentro
e lasciato sguarnita la zona Mediterranea, nella quale, ahi lei, l’Italia si
trova incastrata più che incastonata. Si tratta dell’epitome – compendio – del “carattere”
italiano: gli italiani credono in due cose, fermamente: 1) che tutto il mondo
li guardi e sia super interessatissimo a ciò che vi accade, fermo restando che
in certe cose esteriori son
davvero molto bravi, ma stop: ciò non significa star lì a pensare ad ogni cosa
che vi accada come se fosse il centro del mondo perché non lo è affatto; 2) che, chiunque sia il vincitore, essi debbano (è un obbligo) salire sul suo
carro – debbano – nella ferma convinzione
che su avranno di che guadagnarvi, cosa che, strano, raramente invece accade loro.
Fanno sempre quest’errore,
dalle cosiddette “lezioni” della storia non riuscendo mai ad imparare il bel
resto di nulla.
La ristrutturazione
sistemica degli anni ’70 ed ’80, quella che, poi, effettivamente portò alla
caduta del comunismo come sistema economico (i marxisti erano all’epoca degli
illusi totali, e non ne capirono niente), trovò in due eventi la sua scansione
temporale: il primo è quello ricordato nel passo di Volponi, la crisi del
petrolio; il secondo è la fine del “Gold Exchange Standard”[4],
che avrebbe fatto del dollaro la valuta globale, cioè quel che, un pezzo qui e
un pezzetto lì, stanno – dall’interno stesso del sistema mettendo sempre più in questione, contrastati
dai cosiddetti “sovranisti” che – ma è impossibile
lo comprendano, son come italiani che credono che tutto il mondo non abbia
meglio da fare che guardarli – non possono che portare sempre di più nella direzione
dove, a parole, dicono di voler evitare che si vada.
Andrea A.
Ianniello
[1]
Ricordiamoci che il 1998, cioè la data d’inizio della zona di cambio fisso che
in realtà l’area Euro è, fu anche l’anno
della crisi delle cosiddette “tigri” asiatiche: i due eventi son ricollegabili,
cf.
[3]
P. Volponi, La mosche del capitale. Einaudi editori, Torino 1989, pp. 138-139, corsivi miei. Proprio
così ha funzionato e, spesso, ancora funziona, la Lega essendo stata la voce di
queste forze per decenni ed ora sta per diventare l’intero paese. Ed è
altrettanto chiaro che per “intero paese” Volponi intenda solo il Nord Italia. Ma è ancor
più chiaro che, su tali basi – l’arretratezza anche del Nord – il cosiddetto
““sviluppo”” – con quattro virgolette – del Sud è chimera totale. Il cosiddetto “sviluppo del Sud” non è mai avvenuto sotto l’egemonia dell’industria
del Nord, che ha sempre
condizionato il centro del potere italiano: di
nuovo, il Nord, e non avverrà mai.
Perché potesse avvenire, difatti, sarebbe necessario un massiccio processo di ristrutturazione tecnologica nel Nord Italia,
che consentisse lo spostamento delle produzione a più basso tasso di profitto –
cosa in parte avvenuta ma di fronte ad uno scarso cambiamento del sistema del Nord
Italia – nel Sud. In alternativa, deve intervenire lo stato, che, tuttavia, è
gravato da pesanti debiti. La ristrutturazione nel Nord avrebbe significato – inevitabilmente - il passaggio delle
proprietà e l’accentramento delle stesse ovvero colpire al cuore il centro
imprenditoriale del Nord ch’è il principale vettore dei profitti italiani e
percettore di rendite accumulate, oltre che sostenitore della Lega, per cui
siamo di fronte ad un blocco sociale, al quale il meridionale, da bravo perdente
per principio, chiede qualche contributo spese, con atavico istinto italico:
salire sul carro del vincitore. Peccato che per lui ci siano solo i “due euri”, come quelli che a Napoli chiedono:
“tenete due ‘Euri’??”, al plurale (che non esiste), anzi al “prulare” come dicono alcuni, ed è cosa
da ridere. Ecco: per il meridionale ci sono i due “Euri”, che non si negano a
nessuno, “uè”, sü, vala’ … Che saranno mai due euro?? E per lui, per il meridionale,
sempre, e solo, due Euro ci saranno;
ma lui si accontenterà, in questo è bravissimo …
[4]
Cf. R. Triffin, Il sistema
monetario internazionale: ieri, oggi e domani, Einaudi editore, Torino 1973, dove qui è la data ad essere
decisiva, poiché questo libro viene pubblicato in Italia dopo la fine del Sistema Aureo nel 1971, mentre l’edizione in lingua inglese è del 1968, altra data significativa. Il sistema
del Gold Exchange Standard è stato iniziato in seguito agli accordi di Bretton
Woods del 1944 ed ha retto tutto il grande periodo di espansione post Secondo
Conflitto Mondiale. Questo sistema, entrato in crisi negli anni Settanta – per l’appunto
e come s’è già detto – doveva dar luogo al sistema della “globalizzazione”
oggi, a sua volta, in crisi, sistema della globalizzazione ch’è stato la causa
reale della fine del sistema economico comunista, fine avvenuto in est Europa
per crollo dei regimi ma, non lo si
dimentichi mai, sia in Russia che in Cina – per ragioni e con modalità ben
diverse – volontariamente da
parte delle autorità comuniste al
potere in quei paesi, classi dirigenti locali che
volevano far parte del nuovo sistema in fase di espansione. E volevano farne parte non certo per bellezza,
ma per salvare i loro paesi dall’espansionismo
americano, dove all’epoca l’America si faceva il portabandiera della globalizzazione come poi lo è diventato del cosiddetto “sovranismo”, cioè del ritorno ai nazionalismi, perché questo è, in effetti. Il libro di
Triffin discuteva, e in modo approfondito – l’ho anche citato nel post sul
cosiddetto “Dilemma di Triffin” – dell’uso delle riserve monetarie: siamo al
cuore del problema di oggi, dove, dopo la crisi del 2007-08-09, le Banche centrali,
di fatto, stan sostenendo il mercato finanziario come mai prima successo,
e in ciò ben diversamente da un
altro anniversario – ben più grande, l’evento centrale del sec. XX secondo J.
Baudrillard – il crollo dell’ottobre del ’29 alla Borsa di New York. Se questo
fiume di liquidità ha evitato il decorso del ’29 ed ha soprattutto evitato i
crolli bancari a ripetizione, per debiti, ha però abbattuto i profitti delle
banche stesse. Dalle conseguenze di quest’abbondanza di liquidità, che permette,
sì, ai debiti di “spalmarsi”, nondimeno abbatte i profitti bancari, sorge la
necessità – necessità sistemica – del
passaggio alle valute digitali, dove su ogni
transazione si può effettuare un piccolissimo profitto. Naturalmente, si parla
dell’abbattimento delle commissioni bancarie su tali transazioni come unico
modo per renderle – davvero – popolari, e, una volta rese popolari, chiaro che
le banche stesse abbasseranno i profitti per transizione, poiché il loro stesso
numero – delle transazioni – renderà grossi profitti. Ma il punto è che, come
sempre nel capitalismo, il costo iniziale non può essere accollato a chi opera
i profitti, ma dev’essere collettivizzato, cioè pagato dallo stato, dall’erario
pubblico. Se quest’ultimo accetterà di caricarsi di una parte dei costi ancora
presenti e cioè devolvere una parte dei profitti alle banche, non c’è problema
per queste ultime, finché il numero di transazioni sarà sufficiente a garantire
profitti crescenti tali da poter consentire alle banche di abbassare le
commissioni pur garantendosi un crescente profitto, crescente, che è la parola
d’ordine del capitalismo; per chi si fosse – inutilmente peraltro –
scandalizzato del fatto che i costi siano pubblici ed i profitti privati,
occorre ricordare che sempre – sempre – così è stato nel sistema detto “capitalismo”,
dove un nucleo centrale asserve a sé lo stato per i suoi fini. Qui è solo
possibile accennare a cose che si è già trattato qua e là in vari post; in
particolare sulla valuta, vi è un vecchio link, cf.
Vi è anche un
post sul “Dilemma di Triffin”, cf.
Nessun commento:
Posta un commento