sabato 2 novembre 2019

Tra l’altro, … (Aby WARBURG a “CapVa”) …











“Confrontavo una forma di credenza con l’altra e come Paracelso,
che sosteneva di aver tratto il suo sapere dalla levatrice e dal boia,
andavo scoprendo una filosofia”.
(W. B. Yeats, Magia, Adelphi Edizioni, Milano 2019, p. 158, corsivi miei).


 “[…] la celebre frase di Confucio: ‘L’uomo di cuore è affascinato dalla montagna; l’uomo di spirito si bea dell’acqua’ [Dialoghi di Confucio, VI, 21]. Ai due poli dell’universo corrispondono, quindi, i due poli della sensibilità umana”.
(F. Cheng, Il Vuoto e il Pieno. Il linguaggio pittorico cinese, Guida editori, Napoli 1989, p. 61, corsivi miei).


“Proposi anche teoremi magici, in cui ho affermato essere la magia di due sorta, delle quali l’una si fonda tutta sulla potenza dei demoni, cosa del tutto esecranda e mostruosa. L’altra non è altro, quando la si consideri bene, che perfezionamento della filosofia naturale”.
(G. Pico della Mirandola, De Hominis Dignitate. Lettera a Ermolao Barbaro, Editrice Atanòr, Roma 1986, p. 53, corsivi miei).


“Ci è magia naturale come questa delle stelle e medicina e fisica”.
(T. Campanella, Il senso della cose e la magia, Il Basilisco per la Casa Editrice F.lli Melita, Genova 1987, pp. 224, corsivi miei; si parla di una storia in Calabria, a Tropea, cf. ivi, p. 265, e della “forza vitale” ma pure del “senso” che rimane nei cadaveri, il che fa capire “alcune cose”, cf. ivi, p.253 e sgg., e p. 259 e sgg.; per Campanella, per esempio, la polvere da sparo, quand’era un procedimento nascosto, era “magica”, ma, quando è divenuta, poi, a tutti nota, non lo è più).


“L’orso non era più un dono da re, se non in alcuni testi letterari in ritardo rispetto alle usanze realmente praticate. Tra i sovrani cristiani, soltanto il re di Norvegia continuava a donare orsi bianchii, bestie eccezionali catturate sulle banchise del grande Nord. Sappiamo da un cronista che il serraglio dell’imperatore Federico II, a Palermo, ospitava un ‘orso gigantesco bianco come la neve’ (ursus albus sicut nivea magnitudinis insolitae) che gli era stato inviato dal re di Norvegia Hakon IV nel 1235, in occasione del suo matrimonio con Isabella d’Inghilterra. Un dono memorabile che eccitò la curiosità dei Palermitani per molti anni”.
(M. Pastoureau, L’orso. Storia di un re decaduto, Einaudi editore,
Torino 2008, p. 160, corsivi in originale).


La dimensione magica appartiene naturalmente al genere umano, senza bisogno di ricorrere al soprannaturale. La sua forma più sottile si manifesta nell’arte della seduzione, quando si cerca di colpire una persona […] con il linguaggio del corpo e l’intonazione della voce; l’attrazione fisica, di per sé, raramente basta. Lo stesso risultato può esser riscontrato in forma più primitiva e potente nel regno animale, là dove alcuni predatori ‘incantano’ letteralmente le proprie prede con movimenti ipnotici finché non arriva il momento di scattare all’attacco. La magia non è un relitto dei tempi bui. E’ stata e continua ad essere praticata quotidianamente da donne e uomini normali all’interno sia delle società civilizzate sia delle cosiddette ‘comunità primitive’. Tuttavia, a meno che un individuo sia esperto e abbia messo in atto un rituale cosciente in vista di uno specifico effetto, i risultati son inevitabilmente attribuiti alla fortuna, al fato, al carisma personale o a una coincidenza. La magia, nel suo significato più autentico, sta al cuore di ogni azione creativa, di ogni desiderio cui diamo realizzazione pratica, dal concepimento di un bimbo al progetto di una casa. E’ anche parte del processo grazie al quale raccogliamo le nostre energie latenti ogni volta che ci ‘mobilitiamo’ per far qualcosa di straordinario o ‘ci facciamo coraggio’ per affrontare qualcosa che temiamo. Tuttavia, per la maggior parte di noi, i desideri e i castelli in aria si dissolvono nel rapporto con la realtà perché non sappiamo come mettere a fuoco la nostra energia mentale e come sostenere l’immagine cui desideriamo dare concretezza. Al contrario, gli esperti di arti magiche rafforzano i loro desideri con l’energia vitale che occorre concentrando le proprie risorse mentali ed emotive su quello specifico obiettivo: un obiettivo che prende quindi forma nelle sfere psichiche più alte e alla fine si manifesta nel mondo materiale nella forma immaginata. Gli esperti di magia rituale ricorrono a vari effetti teatrali che li aiutano a entrare ‘nella parte’ per svolgere […] una sacra rappresentazione in cui s’identifica con la divinità incarnante lo specifico attributo che si desidera risvegliare in se stessi. Se, per esempio, si vogliono risvegliare le energie personali legate all’intuizione, si raccoglieranno elementi legati alla Luna, il coro celeste associato a quest’aspetto della personalità”.
(P. Roland, Il nazismo e l’occulto, Riverdito Edizioni,
Trento-Mattarello 2009, pp. 13-14, corsivi miei).


“L’attore rotea la testa e annuncia di parlare con la voce di un antico martire, gioca con combinazioni di lettere e numeri, e nel gioco rientrano anche sgradevoli elucubrazioni sul 1989, che sarebbe fatidico”.
(E. Zolla, Aure. I luoghi e i riti, Marsilio Editore, Venezia 1985, pp. 147, corsivi miei).


Non abbiamo più spreco possibile di tutta quest’accumulazione, non ne abbiamo più nemmeno l’uso, ne abbiamo soltanto uno scompenso, lento o brusco – poiché ogni fattore di accelerazione, di concentrazione gioca come fattore d’inerzia, ci avvicina al punto d’inerzia. Ciò che chiamiamo crisi è il presentimento di questo punto d’inerzia”. “E’ lo stesso scenario della crisi del ‘29. Ci siamo tutti dentro. La breccia aperta da quella crisi non si è mai richiusa. Essa rimane l’avvenimento fondamentale del secolo”.
(J. Baudrillard, “Dalla crescita all’escrescenza” in L’Illustrazione italiana, anno III,  n°12, agosto-settembre 1983, p. 14, p. 15, corsivi miei).


“‘Rivelare i misteri’ significa muovere i veli pur conservando la loro opacità, in modo tale che la verità possa passare attraverso di essi senza accecare. Il segreto trascendente è tenuto nascosto, eppure vien fatto trasparire attraverso il mascheramento. ‘Nec mysteria quæ non occulta’ scrisse Pico nell’  Heptaplus; oppure nel suo Commento alla canzone del Benivieni: ‘doversi le cose divine, quando pure si scrivano, sotto enigmatici velamenti e poetica dissimulazione coprire’. Come interpres secretorum, secondo le parole usate da Boccaccio a proposito di Mercurio, egli guarda verso l’alto e tocca le nubi. ‘Summus animæ ad Deum ascendentis gradus caligo dicitur atque lumen’. La saggezza più alta consiste nel sapere che la luce divina abita le nubi”.
(E. Wind, Misteri pagani nel Rinascimento, Adelphi Edizioni, Milano 1985 (collana “Gli Adelphi”, 2013), pp. 153-154, corsivi in originale).









Tra l’altro, su Pietro d’Abano[1], cf. A. Warburg, Astrologica, Einaudi editore, Torino 2019, p. 34, p. 54, p. 88.
Anche: “L’ellenismo astrologico di Pietro d’Abano, la sua magia medica e la sua astrologia divinatoria, che già ha inserito nel suo Conciliator, sopravvissero come indiscussa autorità, in particolare alla corte d’Este fino agli inizi del xvi secolo”, ivi, p. 92, corsivo in originale.
Interessanti gli appunti finali di Warburg, laddove ve n’è uno sui vari mitrei, cf. ivi, pp. 414-415. Ne son citati vari: il mitreo sul Palatino, S. Clemente a Roma, il mitreo delle Sette Sfere di Ostia, la lastra marmorea proveniente da un mitreo conservata a Dieburg, ognuno di queste località essendo accompagnata dalla sua brava noterella esplicativa da parte del commentatore. Poi si legge: “Capua”, p. 417, ma stavolta non vi è alcuna nota a pie’ pagina.
Evidentemente si dà “per scontato” che il lettore “debba” sapere a cosa ci si riferisce, ma temo proprio non sia così …
Tra l’altro, il mitreo dell’antica Capua, oggi, però, sito in S. Maria Capua Vetere (non lontano dall’anfiteatro, prima di Spartaco, e, poi, ristrutturato – e migliorato – dall’imperatore Adriano), è uno dei pochi non con la statua di Mitra, bensì con il dipinto di Mitra.
Nel mitreo vi è, sì, un piccolo bassorilievo. Cioè qualcosa di scolpito, ma è di Amore e Psiche, sì, quelli narrati da Apuleio (nelle Metamorfosi)[2]: evidentemente vi è un significato “iniziatico” a tale storia.
La zona intorno è piuttosto mal tenuta (cosa tutt’altro che sorprendente in Campania e nel Sudstàn), i posti non è che siano dei migliori, ma ciò non assolve il curatore per la dimenticanza. Il mitreo “vetero capuano” non è così noto, pur rimanendo uno dei più importanti per la detta sua particolarità. Poi dopo vien citato Leonardo, la “Battaglia di Anghiari”, cf. ivi, p. 416, correttamente identificata in nota.
Nella stessa pagina leggiamo al suo livello di glicemia, coll’annotazione: “niente sale – niente zucchero”, ibid.!, e l’allusione al viaggio di Warburg fra gli Hopi – all’epoca era cosa davvero da pochi! Sempre di nuovo Capua viene ricordata: “Aby Warburg verso Capua – Eliotropismo e trionfo della notte”, ibid. Ancora (la data è 17 maggio 1929): “Temporale con forti raffiche mentre andiamo in macchina a Capua (con l’Isotta Franchini, guida Vincenzo). Dapprima S. Domenico nella Cappella Carafa: in effetti si tratta della (incompleta) sfera d’Igino. Quindi dal custode dell’arena, più grande di 6 metri rispetto al Colosseo. Alle 3 del pomeriggio il lombrico Giosuè con le dita fasciate trascina con fatica la scala. Donne proletarie vestite con camicioni (per lo più incinte) con molti bambini dall’aspetto emaciato che girano attorno al tombino del canale di scolo come geotrupi. Una donna intuisce l’affare perché l’illuminazione elettrica ha subito un cortocircuito e quindi non funziona: porta una lampada all’acetilene e poi dell’acqua, un asciugamano e del sapone, in modo che possiamo pulirci dallo sporco dei pioli della scala. A Caserta, caffè e uova”, ivi, pp. 417-418.
“Nello Zodiaco/ Atti dei martiri dell’eliotropismo/ Mitra a Capua/ Giordano Bruno in S. Domenico/ 18 maggio 929 Napoli Hotel Excelsior”, ivi, p. 418[3].
Di qui in poi si parla di G. Bruno, con qualche puntata sempre a Capua, che pare aver interessato molto Warburg, prima di tornare a Roma, senza essersi dimenticato né di Napoli né di Nola. “Capua/ Talento tipico dell’italiano di trasformare in guadagno una inefficienza tecnica: la lampada della donna”, ivi, p. 420.





Andrea A. Ianniello











PS. Cf.









[1] “A proposito del ‘naturalismo’ leonardesco: esso è stato spesso inteso in modo troppo positivistico, all’ottocentesca: al contrario, esso è carico d’idealismo. Un errore analogo a quello che comunemente si commette interpretando il concetto rinascimentale, in arte, dell’imitazione della natura, in modo passivamente ed esteriormente riproduttivo. Si può rispondere con le parole di Leonardo: ‘il pittore disputa e gareggia con la natura’; non soggiace alla riproduzione letterale particolaristica delle apparenza di natura, ma secondo le leggi indagate in natura ricrea in pittura un microcosmo analogo al macrocosmo. Come segno del profondo idealismo che alimenta l’appassionata indagine di Leonardo sui fenomeni naturali, a conclusione del lunghissimo cammino percorso può iscriversi una frase sua, del tardo manoscritto G: ‘O speculatore delle cose, non di laldare di conoscere le cose che ordinariamente per sè [sic] medesima la natura conduce, ma rallegrati di conoscere il fine di quelle cose che son disegnate dalla mente tua’. Pervenuto a tale altezza di contemplazione egli misura tutta la bestialità e inutilità della violenza degli uomini”, Introduzione di A. M. Brizio a Leonardo da Vinci, Pensieri sull’universo, Utet, Torino 1952, a cura di Anna M. Brizio, p. 26, corsivi miei. Tra l’altro, Leonardo conosceva l’opera di Ermete: “Ermete filosafo”, ivi, p. 663; tra l’altro, si vede da queste pagine che Leonardo era sì “omo sanza lettere” – nel senso che scriveva in volgare italiano e non in latino – e però era uomo di buone, molte letture, dunque di vasta cultura. A quell’epoca “Ermete ‘filosafo’” – interessante quell’ “a” (da me posta in maiuscoletto) – poteva esser solo due cose, come identificato, in nota, dalla curatrice: “Ermete Trismegisto: sotto queste nome andavano più scritti, i cui nucleo risale all’età ellenistica, i contenuto mistico, magico, astrologico, ecc. il Solmi ritiene che Leonardo si riferisca non al Liber de postetate et sapientia Dei, tradotto dal Ficino, né [sic] al Centiloquium, d’astrologia, ma al De Alchimia, che si conservava nella biblioteca di Pavia. Tuttavia la traduzione di Ficino, comparsa a stampa nel 1471, era diffusissima, ed è più probabile che ad essa si riferisca l’appunto leonardesco”, ibid., corsivi in originale. Leonardo conosceva Leon B. Alberti ed anche Rupescissa e Pietro d’Abano, cf. ivi, p. 674. Ed anche Ruggero Bacone, cf. ivi, p. 670, in forma già stampata, il che dà qualche problema di datazione, ricordato dalla curatrice in nota. Insomma, Leonardo si poneva tra i resti del “magismo rinascimentale” cosiddetto e le avvisaglie di ciò che, poi, sarebbe divenuto la scienza moderna, avvisaglie già presenti in L. B. Alberti, e ciò è stato ricordato da Cacciari, cf. “Ripensare l’Umanesimo” (maiuscoletto in originale), Introduzione di M. Cacciari a Umanisti italiani. Pensiero e destino, Einaudi editore, Torino 2016, anche se non condivido quel che Cacciari stesso aggiunge a questo “fatto” storico, e cioè tende a ridurre il “magismo” rinascimentale a mera “preparazione” della scienza moderna: sarebbe stato il “fallimento” del movimento della “magia rinascimentale” a portare alla scienza moderna. Al contrario, come s’è accennato su questo blog, là e qua, al riguardo della “magia” – in specifico rinascimentale, ma con qualche sua “proiezione” nel XIX sec. (chi ha orecchie per udire, oda) –, quel che avviene è stata la giunzione tra il lato “malefico” della “magia” – non quella “bianca” sostenuta da Ficino, per intendersi – e il suo lato “faustiano” (peraltro non unico del Rinascimento ed iniziato, in realtà, nell’ “autunno del Medioevo”, quel XIV sec., quando, secondo Guénon, sarebbe iniziata davvero la “deviazione moderna”, chi ha orecchie per intendere, in tenda vada), e l’esigenza di espansione “tecnica” sostenuta da un Francesco Bacone, per fare esempio. La giunzione, lì è il punto … Essa quindi ha portato, ed apportato, ad inserire un elemento “sottile” in un divenire unicamente “materiale” che, se analizzato sul solo lato “materiale, sarà sempre “Miss Leading”, una (terribile) valchiria, di quelle originarie, non le “prosperose donne alte e bionde” che vengono fuori da tarde iconografie ottocentesche, nazionalistiche, mentre, in origine, le valchirie sono spiriti che svolazzano sul campo dei morti in battaglia. Infatti, “vedere” una valchiria voleva dire che stavi per morire, in battaglia, chiaro, non serenamente nel tuo letto: fra ottobre-novembre vi è la stagione dei morti, il “torrone dei morti”, i “legni santi” (i “kakìs” duri), la zucca, segno dell’ “altro mondo” (lo “sidhe” = “shee” = pr. shî), “altro mondo” – la dimensio infera, ma non necessariamente “infernale” – che si apre-chiude in questo periodo: di qui le feste che aprono il “mondo dei morti” e lo richiudono subito. Siamo d’altro canto nella stagione dello Scorpione, segno “che, da punto di vista astrologico, è il luogo dei medici. Ma poiché esso può anche significare il Sagittario, è possibile che racchiuda in sé i due segni contemporaneamente. […] Ad ogni modo i capitelli che seguono si riferiscono senza dubbio alla morte o alla malattia. Il capitello 3 corrisponde alla festa di Ognissanti e alla commemorazione dei defunti, cioè al periodo in cui il mondo cristiano è solito dedicarsi in modo particolare ai morti”, M. Schneider, Pietre che cantano, SE, Milano 2005, p. 86. Le sue idee sono state applicate a certe chiese campane nel mio libro (che contiene anche qualche altro tema) la cui copertina può vedersi in questo link, cf.
Sui morti, anche cf.
Vi sarebbero montagna di cose da dire, ma ci si ferma ivi quivi. Montagne, già … Nulla di più del trattamento delle montagne dà l’idea della “nientità” del moderno, del suo tutto ridurre a cosa tecnica: tutta questa gente che va sull’Everest come se andasse sulla riviera romagnola, o su altre cime ormai: che tristezza! Che assoluta negazione dello spirito dell’ “ascensione”! E tuttavia, che perfetta rappresentazione dell’ essenza del moderno!! Come c’è Re Mida, che tutto ciò che tocca rende oro, c’è Re M**, che tutto ciò che tocca rende m**. Il moderno è, nella sua più pura essenza, Re M**. E’ la “natura seconda” della tecnica, un “impianto” (Heidegger) estraneo posto sulla natura della e nella quale l’uomo moderno, ed ancor più postmoderno, vive, scambiandola per natura effettiva, secondo la giusta intuizione dell’antropologo De Martino, sulla quale vi è una nota di un passato post che consiglio chi, eventualmente, vi fosse interessato di ricercare in questo blog e, dopo, non meramente leggiucchiare fra mille stimoli depistanti, ma, invece, di farne oggetto di profonda riflessione. Sennò niente a nulla serve. Oggi val dunque questo: “ciò che definisce la scala della montagna simbolica per eccellenza – quello che io suggerivo di chiamare Monte Analogo – è la sua inaccessibilità con i mezzi umani ordinari. Ora, i vari Sinai, Nebo e anche Olimpo son diventati da molto tempo ciò che gli alpinisti chiamano ‘montagne da mucche’; e anche le più alte cime dell’Himalaya oggi non sono più considerate inaccessibili. Tutte queste vette hanno dunque perso la loro potenza analogica. Il simbolo ha dovuto rifugiarsi in montagne del tutto mitiche, come il Meru degli Indiani. Ma il Meru – per prendere questo simbolo – se non è più situato geograficamente, non può conservare il suo senso emozionante di via che unisce la Terra al Cielo; può ancora significare il centro o l’asse del nostro universo (talvolta si pretende che rappresenti il Sole), ma non più il mezzo dell’uomo per accedervi”, R Daumal, Il Monte Analogo in La conoscenza di Sé, Adelphi Edizioni, Milano 1972, p. 22, corsivi in originale. Vi sono, dunque, montagne ben più basse (per esempio il Picco di Adamo in Sri Lanka, di altezza 2243 m), e ben meno note, che possano fungere da “supporto” temporaneo del simbolo che, però, non è più “parlante”, non è più “situato”, il che ci dà un’idea – esatta e precisa – della “frattura symbolica” che la modernità ha instaurato, e che il “tradizionalismo”, questo similoro, non è per niente in grado di riparare, quando non si faccia, invece, latore di ben altri tradimenti, cf.
Su Rupescissa: “Giovanni di Rupescissa fu […] alchimista incerto, talché meriterebbe d’essere classificato piuttosto tra i chimici”, F. Jollivet-Castelot, Storia della scienza alchemica, Iduna Edizioni (Associazione culturale Iduna), Sesto San Giovanni (MI) 2019, p. 82, maiuscoletto in originale.
Quindi si poneva “tra” l’alchimia vera e propria e la “chimica”, mentre, per quel che riguarda Ruggero Bacone, non v’è dubbio nel suo coinvolgimento anche – fra i molti suoi studi ed interessi – nell’alchimia tout court, cf. ivi, pp. 56-61. Nondimeno, Rupescissa è citato da Fulcanelli, a riguardo dell’ atanòr, cioè il forno alchemico: cf. Fulcanelli, Le Dimore Filosofali, vol. II, Edizioni Mediterranee, Roma 1975, pp. 98-99. Per l’esattezza, al riguardo di ciò che si ritrova dentro l’ atanòr … Quest’esatta descrizione dimostra come Rupescissa (de Roquetaillade, in francese) non era propriamente un “chimico” in senso moderno, come sosteneva il citato Jollivet-Castelot, pur non essendo pienamente un “adepto” alchemico, ma ponendosi “fra” le due categorie, cosa che, in altri tempi, era molto più diffusa di oggi. “Secondo Arnaldo da Villanova e un altro adepto medievale, Giovanni di Rupescissa (detto anche de Roquetaillade), la povere di proiezione permetteva di trasformare in oro cento parti di piombo o di altri metalli inferiori”, S. Hutin, La vita quotidiana degli alchimisti nel Medioevo, RCS Libri, Milano 2018 (dall’edizione Rizzoli 2017, a sua volta da un’edizione del 1991), p. 126. Di nuovo, pienamente “adepto” non si può dire, ma nemmeno che fosse “solo” un “chimico”, quanto piuttosto uno dei tanti che si ritrovava nel mezzo. Tra l’altro, bisogna sempre sottolineare la teoria alchemica: “Metalli. […] Quando gli alchimisti parlavano dei metalli, essi non intendevano i metalli che comunemente conosciamo. I loro metalli non erano altro che differenti stati del Mercurio filosofico durante le operazioni della Grande Opera. Gli stadi o le fasi erano sette, come il numero dei Pianeti o dei sette metalli comuni e questo giustificò l’associazione tra i sette Pianeti e i metalli e l’utilizzo dei medesimi simboli per identificarli”, M. Fumagalli, Dizionario di alchimia e di chimica farmaceutica antiquaria, Edizioni Mediterranee, Roma 2000, p. 133, grassetto in originale. In breve, all’origine dei differenti metalli, in alchimia, vi è uno stesso “spirito” e sarà invece la “matrice” dove questo spirito “cade”, la sua maggiore o minore “sottigliezza” o “grossolanità” (cioè ricchezza d’ “impurità”) a far sì che sia piombo, stagno, ferro, rame, mercurio (non lo “spirito” eh, ma l’effettivo metallo), argento, oro. La tendenza della natura è sempre di passare dal piombo all’oro, ma su tempi lunghissimi. Pertanto, l’alchimista non fa certo un qualcosa di contra naturam, invece, al contrario, fa qualcosa di secundum naturam, limitandosi egli solo ad accelerare quel che comunque la natura sta compiendo, ma, repetita juvant, su ed in tempi lunghissimi. L’alchimia – in realtà – è profondamente naturale nel suo procedere (come insegnava Ludwig “F.c.h.”), ed anzi essa segue il processo della Creazione, ma in piccolo. Chiaro che tutto ciò si applichi altrettanto bene al processo di “crescita spirituale” umana individuale: anche qui, il processo generale tende a portare dal piombo all’oro ma, di nuovo, su ed in tempi lunghissimi. In una parola: in alchimia il “contra naturamnon esiste né può esistere proprio.
Su Ludwig “F.c.h.”, in realtà Ludovico Montaldo, cf.
Tra l’altro, L. Montaldo è stato autore d’uno studio su Pietro d’Abano, e qui siamo nel campo più “tra” il “magismo” e l’alchimia che solo nell’alchimia, i due campi non coincidendo affatto, checché ne pensino in tanti.
Sul “magismo”, “La magia è l’azione dell’uomo e della sua volontà su piano terrestre e sul piano non terrestre, che corrispondono all’antica convenzione ternaria dei corpi: il fisico, l’astrale e l’animico. (Gian Piero Bona – Magia sperimentale)”, F. G. Giannini, … I Figli degli dèi … GenesiCapitolo VI”, Editrice New Style, nuova edizione rivista e corretta 1997, p. 77 – grassetto in originale. Tra l’altro: “Mosè è un egiziano, non predestinato, ma solo per caso ebbe accesso ai segreti dei faraoni, li rubò e con essi fuggi? E’ una domanda che a un giovane di Los Angeles o a un postino di Parigi, oggi poco importa, ma a una certa parte dei circoli iniziatici europei, alla vigilia del nuovo secolo (1900) interessava molto, e continueranno ad avere lo stesso interesse sino ai nostri giorni”, ivi, p. 32, corsivi miei. Queste frasi, di ben venti due anni fa!!, oggi, all’oscura, tenebrosa luce degli ultimi movimenti sociali, suonano assai significative, assai proprio. Infatti, il libro, un cui passo s’è appena citato, poiché vi è una sorta di “Internazionale” nera, nella lotta – del tutto apparente – fra due “Internazionali”, quella nera (oggi stra dominante, come clima mentale, alla faccia di chi parla di “sinistra”, che non esiste più da tempo: tutto il clima mentale generale è di destra, oggi), e quella “verde” (per ora debole ancora, e unica via per la non più esistente “sinistra”, oggi, per poter solo sopravvivere, cambiando: ma lo faranno solo e soltanto se a livello internazionale cambi il clima mentale generale, l’italietta da sola valendo il due di briscola, come l’opinione pubblica peraltro). Il cambio, avvenuto, del clima mentale generale lo vedi da questo: la “sinistra” dà addosso alla “sinistra”, e la destra dà addosso alla “sinistra”, al suo simulacro: che fenomeno “normale”, eh. Si tratta, infatti, di una “coppia di spinta” verso un unico risultato: la fine dell’ordine “neoliberale”, cioè non un mero “crollo”, ma un suo superamento, con – in vista – l’obiettivo, mai pienamente raggiungibile, verso il quale, tuttavia, si tende, quello cui dà l’accesso il link a cf.
E saranno le “destre” o i “verdi” a portare a questo, ascolti chi ha una qualche maniera di poter ascoltare, ancora … Chi ha orecchie per intendere, intenda … La mentalità populista è sbagliata: il “buon” popolo e le “cattive (pseudo-)“élite” è una mentalità che acuisce quella “doxacrazia” che è la “democrazia”, “la società dell’informazione e dello spettacolo non è altro che la realizzazione radicale della doxacrazia sulla quale si regge l’Occidente [e, dopo l’ ’89 infausto, si regge tutto il mondo, con la differenza che il residuo di “Oriente” (politico) ha imparato tale lezione, ed influenza la “doxa” occidentale senza perdere la natura semi democratica, o non democratica, o di “democratura”, dei loro regimi: gli Occidentali non sanno più che pesci pigliare perché non han campito questo cambiamento strategico, fissati come sono sul cosiddetto “magnifico” ’89, cioè l’inizio della loro rovina in realtà, spacciato per “vittoria”, che ironia la storia!!], e in cui la conquista della posta in gioco, il consenso cioè dell’opinione pubblica, avviene secondo il principio supremo di Sun Tzu: vincere senza combattere [e le residuali “sinistre” socialdemocratiche han già perso, perché sono state sconfitte in questo: il raggiungere l’opinione pubbliche, che gli è contraria]”, Introduzione di A. Corneli a Sun Tzu, L’arte della guerra, Guida editori, Napoli 1989, p. 59, corsivo in originale, mie osservazioni fra parentesi quadre. Oggi, però, parlerei di “doxamania”, un’ossessione per l’opinione, cosiddetta “pubblica”, in realtà costruita e manipolata. Bernays (nipote di Freud) è stato un precursore, cf. E. L. Bernays, Propaganda. Della manipolazione dell’opinione pubblica in democrazia, Fausto Lupetti editore, Bologna 2008.
L’Italia è molto simile all’Argentina, peraltro. Sono terre di populismi, il populismo, come ho detto, non è un incidente di percorso della democrazia, ma la sua natura profonda, una volta che i patriziato”, in senso sociologico, ne perda il controllo; e perderlo è inevitabile, una volta che la tecnica di moltiplica la doxa, per l’appunto. Le cosiddette “sinistre” non hanno il consenso, la moneta di scambio della politica moderna: esse l’hanno perso, anni fa, con la caduta del “riformismo incrementale”, cf.
Semplicemente le neo rinnovate “destre” cosiddette “estreme”, che si trascinano – com’è sempre stato e sempre sarà, nella Seconda Guerra Mondiale senza Churchill l’Inghilterra avrebbe fatto una pace separata con Hitler ed oggi staremmo tutto a fare il noto saluto, il resto sono chiacchiere al vento, ma fu il caso eccezionale, l’ eccezione – le destre cosiddette “conservatrici” o “moderate” che dir si voglia, che sempre avranno l’illusione di controllare le prime venendone, invece, controllate, le neo rinnovate “destre” cosiddette “estreme” vogliono fare in Europa una “democratura”, o un sistema presidenziale à l’americaine, a seconda che, dell’Internazionale nera, siano influenzati più dal lato russo o da quello americano. Ecco tutto. Ambedue i lati di detta “Internazionale” – di proposito uso questo termine che un tempo si usava per l’Internazionale “rossa”, e c’erano strilli ogni giorno, mentre oggi c’è il consenso e qualche strillino qua e là, presto dimenticato – son solidali nell’andare contro i residui di “riformismo residuale” che si è identificato con la “sinistra” – o, come li chiamo, i “sinistrati” mentali che niente han capito per decenni –: quest’ultimo è stato il gioco delle tre carte nel quale gli ingenui “credenti” nella “democrazia” son caduti come pere secche; poi, quel riformismo è andato in crisi, strutturale, irreversibile, perché il modello del capitalismo post secondo conflitto mondiale è stato messo in crisi dal capitalismo stesso; il resto, è cosa nota, e il gioco è fatto. Era chiaro dalla crisi degli Anni Settanta (come si evinceva chiaramente dalle analisi di J. Baudrillard, nate alla fine degli anni Settanta, per l’appunto), ma non l’han mai capito né mai lo capiranno: perché sono ingenui credenti nella democrazia. Se la democrazia funziona non è per sua causa, non è perché “in sé stessa” funzioni, ma solo e soltanto perché vi  persiste un residuo di classe dirigente. Sparita quest’ultima, la democrazia non ha nessun’altra reale chance che quella di virare o in “democratura” o in “populismi”; e il populismo, in Europa, non può che essere di destra, e portare la cosiddetta destra “estrema” al comando, perché le destre moderate sempre – sempre – han tirato la volta a quelle “estreme” cosiddette, giusto per usare delle categorie profondamente “spurie”, inesatte, ma che servono a farsi capire. Questi sono i meccanismi sociali fondanti. Il resto sono chiacchiere.
[2] Cf.
http://www.iiscarducci.gov.it/file/apuleioamoreepsiche.pdf.
Per un “sunto” (scolastico) della favola, cf.
https://online.scuola.zanichelli.it/candidisoles-files/testi/6393_Candidi-Soles_Apuleio_Testo-01.pdf.   
E sulla relazione con le favole del Nord Africa (Apuleio era nordafricano), Cf.
http://www.brugnatelli.net/vermondo/didattica/napoli/2005-06_Fiabe/LaFiabaBerbera.pdf.
[3] Sul Mitraismo, in particolare a Capua, cf. “Atti” del convegno di studi La tradizione dei culti orientali nella religione romana di Età Imperiale, S.ta Maria C.V., Stampato dicembre 2010. Come fonte online, cf.
quest’ultimo link presentando delle immagini dal mitreo di Capua; e cf.
Anche il link dal libro di F. Cumont sul culto di Mitra (la “Table of Contets”, che dà subito accesso al libro online), cf.

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