“Confrontavo una forma di credenza con l’altra e come Paracelso,
che sosteneva di aver
tratto il suo sapere dalla levatrice e dal boia,
andavo
scoprendo una filosofia”.
(W. B. Yeats, Magia, Adelphi Edizioni, Milano 2019, p. 158, corsivi miei).
“[…] la celebre frase di Confucio: ‘L’uomo di cuore è affascinato dalla
montagna; l’uomo di spirito si bea dell’acqua’ [Dialoghi di Confucio, VI, 21]. Ai due poli dell’universo corrispondono, quindi, i due poli della sensibilità umana”.
(F. Cheng, Il Vuoto e il Pieno. Il linguaggio pittorico cinese, Guida editori,
Napoli 1989, p. 61, corsivi miei).
“Proposi anche teoremi
magici, in cui ho affermato essere la magia di due sorta, delle quali l’una si
fonda tutta sulla potenza dei demoni, cosa del tutto esecranda e mostruosa.
L’altra non è altro, quando la si consideri bene, che perfezionamento della filosofia naturale”.
(G. Pico della Mirandola, De Hominis Dignitate. Lettera a Ermolao
Barbaro, Editrice Atanòr, Roma 1986,
p. 53, corsivi miei).
“Ci è magia naturale come questa delle stelle e medicina e fisica”.
(T. Campanella, Il senso della cose e la magia, Il Basilisco per la Casa Editrice
F.lli Melita, Genova 1987, pp. 224,
corsivi miei; si parla di una storia in Calabria, a Tropea, cf. ivi,
p. 265, e della “forza vitale” ma pure del “senso” che rimane nei cadaveri, il
che fa capire “alcune cose”, cf. ivi, p.253 e sgg., e p. 259 e sgg.; per
Campanella, per esempio, la polvere da sparo, quand’era un procedimento nascosto,
era “magica”, ma, quando è divenuta, poi, a tutti nota, non lo è più).
“L’orso non era più un
dono da re, se non in alcuni testi letterari in ritardo rispetto alle usanze
realmente praticate. Tra i sovrani cristiani, soltanto il re di Norvegia continuava
a donare orsi bianchii, bestie
eccezionali catturate sulle banchise del grande Nord. Sappiamo da un cronista
che il serraglio dell’imperatore Federico II, a Palermo, ospitava un ‘orso
gigantesco bianco come la neve’ (ursus
albus sicut nivea magnitudinis insolitae) che gli era stato inviato dal re
di Norvegia Hakon IV nel 1235, in occasione del suo matrimonio con Isabella
d’Inghilterra. Un dono memorabile che eccitò la curiosità dei Palermitani per
molti anni”.
(M. Pastoureau, L’orso. Storia di un re decaduto, Einaudi editore,
Torino 2008, p. 160, corsivi in originale).
“La dimensione magica appartiene naturalmente al genere umano, senza bisogno di ricorrere al soprannaturale.
La sua forma più sottile si manifesta nell’arte della seduzione, quando si cerca di colpire una persona […] con il
linguaggio del corpo e l’intonazione della voce; l’attrazione fisica, di per
sé, raramente basta. Lo stesso
risultato può esser riscontrato in forma più
primitiva e potente nel regno
animale, là dove alcuni predatori ‘incantano’ letteralmente le proprie prede
con movimenti ipnotici finché non arriva il momento di scattare all’attacco. La magia non è un relitto dei tempi bui.
E’ stata e continua ad essere praticata quotidianamente da donne e uomini
normali all’interno sia delle società civilizzate sia delle cosiddette
‘comunità primitive’. Tuttavia, a meno
che un individuo sia esperto e
abbia messo in atto un rituale cosciente
in vista di uno specifico effetto, i
risultati son inevitabilmente
attribuiti alla fortuna, al fato, al carisma personale o a una coincidenza.
La magia, nel suo significato più autentico, sta al cuore di ogni azione creativa, di ogni desiderio cui diamo realizzazione pratica, dal concepimento di un bimbo al progetto di
una casa. E’ anche parte del processo grazie al quale raccogliamo le nostre
energie latenti ogni volta che ci ‘mobilitiamo’ per far qualcosa di
straordinario o ‘ci facciamo coraggio’ per affrontare qualcosa che temiamo. Tuttavia,
per la maggior parte di noi, i desideri e i castelli in aria si dissolvono nel
rapporto con la realtà perché non
sappiamo come mettere a fuoco la nostra energia mentale e come sostenere l’immagine cui desideriamo
dare concretezza. Al contrario, gli esperti di arti magiche rafforzano i loro desideri con l’energia vitale che occorre concentrando le proprie risorse mentali ed emotive su quello specifico obiettivo: un
obiettivo che prende quindi forma nelle sfere psichiche più alte e alla fine si manifesta nel mondo materiale nella
forma immaginata. Gli esperti di magia rituale ricorrono a vari effetti teatrali che li aiutano a entrare ‘nella
parte’ per svolgere […] una sacra rappresentazione
in cui s’identifica con la divinità incarnante lo specifico attributo che si desidera risvegliare in se stessi. Se, per esempio, si vogliono risvegliare
le energie personali legate all’intuizione, si raccoglieranno elementi legati
alla Luna, il coro celeste associato a quest’aspetto della personalità”.
(P. Roland, Il nazismo e l’occulto, Riverdito Edizioni,
Trento-Mattarello
2009, pp. 13-14, corsivi miei).
“L’attore rotea la
testa e annuncia di parlare con la voce di un antico martire, gioca con
combinazioni di lettere e numeri, e nel gioco rientrano anche sgradevoli elucubrazioni sul 1989, che sarebbe fatidico”.
(E. Zolla, Aure. I luoghi e i riti, Marsilio Editore, Venezia 1985, pp. 147, corsivi miei).
“Non abbiamo più spreco possibile di tutta quest’accumulazione, non ne abbiamo più nemmeno l’uso, ne
abbiamo soltanto uno scompenso, lento
o brusco – poiché ogni fattore di accelerazione, di concentrazione
gioca come fattore d’inerzia, ci avvicina al punto d’inerzia. Ciò che chiamiamo crisi è il presentimento
di questo punto d’inerzia”. “E’ lo stesso scenario della crisi del ‘29.
Ci siamo tutti dentro. La breccia aperta da quella crisi non si è
mai richiusa. Essa rimane
l’avvenimento fondamentale del secolo”.
(J. Baudrillard, “Dalla crescita
all’escrescenza” in L’Illustrazione
italiana, anno III, n°12, agosto-settembre
1983, p. 14, p. 15, corsivi miei).
“‘Rivelare i misteri’
significa muovere i veli pur conservando la loro opacità, in modo tale che la
verità possa passare attraverso di essi senza accecare. Il segreto trascendente
è tenuto nascosto, eppure vien fatto trasparire attraverso il mascheramento.
‘Nec mysteria quæ non occulta’ scrisse Pico nell’ Heptaplus;
oppure nel suo Commento alla canzone del Benivieni: ‘doversi le cose divine,
quando pure si scrivano, sotto enigmatici velamenti e poetica dissimulazione
coprire’. Come interpres secretorum,
secondo le parole usate da Boccaccio a proposito di Mercurio, egli guarda verso
l’alto e tocca le nubi. ‘Summus animæ ad Deum ascendentis gradus caligo dicitur
atque lumen’. La saggezza più alta consiste nel sapere che la luce divina abita
le nubi”.
(E. Wind, Misteri pagani nel Rinascimento, Adelphi Edizioni, Milano 1985 (collana “Gli Adelphi”, 2013), pp. 153-154, corsivi in originale).
Tra l’altro, su
Pietro d’Abano[1], cf. A. Warburg,
Astrologica, Einaudi editore, Torino
2019, p. 34, p. 54, p. 88.
Anche: “L’ellenismo
astrologico di Pietro d’Abano, la sua magia medica e la sua astrologia
divinatoria, che già ha inserito nel suo Conciliator,
sopravvissero come indiscussa autorità, in particolare alla corte d’Este fino
agli inizi del xvi secolo”, ivi, p. 92, corsivo in originale.
Interessanti gli
appunti finali di Warburg, laddove ve n’è uno sui vari mitrei, cf. ivi, pp. 414-415. Ne son citati vari: il
mitreo sul Palatino, S. Clemente a Roma, il mitreo delle Sette Sfere di Ostia,
la lastra marmorea proveniente da un mitreo conservata a Dieburg, ognuno di
queste località essendo accompagnata dalla sua brava noterella esplicativa da
parte del commentatore. Poi si legge: “Capua”, p. 417, ma stavolta non vi è alcuna nota a pie’ pagina.
Evidentemente si
dà “per scontato” che il lettore “debba” sapere a cosa ci si riferisce, ma temo
proprio non sia così …
Tra l’altro, il
mitreo dell’antica Capua, oggi, però, sito in S. Maria Capua Vetere (non
lontano dall’anfiteatro, prima di Spartaco, e, poi, ristrutturato – e
migliorato – dall’imperatore Adriano), è uno dei pochi non con la statua di Mitra, bensì con il dipinto di Mitra.
Nel mitreo vi è,
sì, un piccolo bassorilievo. Cioè qualcosa di scolpito, ma è di Amore e Psiche,
sì, quelli narrati da Apuleio (nelle Metamorfosi)[2]:
evidentemente vi è un significato “iniziatico” a tale storia.
La zona intorno
è piuttosto mal tenuta (cosa tutt’altro
che sorprendente in Campania e nel Sudstàn), i posti non è che siano dei
migliori, ma ciò non assolve il
curatore per la dimenticanza. Il mitreo “vetero capuano” non è così noto, pur
rimanendo uno dei più importanti per la detta sua particolarità. Poi dopo vien
citato Leonardo, la “Battaglia di Anghiari”, cf. ivi, p. 416,
correttamente identificata in nota.
Nella stessa
pagina leggiamo al suo livello di glicemia, coll’annotazione: “niente sale –
niente zucchero”, ibid.!, e l’allusione al viaggio di Warburg fra gli Hopi –
all’epoca era cosa davvero da pochi! Sempre di nuovo Capua viene ricordata:
“Aby Warburg verso Capua – Eliotropismo e trionfo della notte”, ibid. Ancora
(la data è 17 maggio 1929): “Temporale con forti raffiche mentre andiamo in
macchina a Capua (con l’Isotta Franchini, guida Vincenzo). Dapprima S. Domenico
nella Cappella Carafa: in effetti si tratta della (incompleta) sfera d’Igino. Quindi
dal custode dell’arena, più grande di 6 metri rispetto al Colosseo. Alle 3 del
pomeriggio il lombrico Giosuè con le dita fasciate trascina con fatica la
scala. Donne proletarie vestite con camicioni (per lo più incinte) con molti
bambini dall’aspetto emaciato che girano attorno al tombino del canale di scolo
come geotrupi. Una donna intuisce l’affare perché l’illuminazione elettrica ha
subito un cortocircuito e quindi non funziona: porta una lampada all’acetilene
e poi dell’acqua, un asciugamano e del sapone, in modo che possiamo pulirci
dallo sporco dei pioli della scala. A Caserta, caffè e uova”, ivi, pp. 417-418.
“Nello Zodiaco/
Atti dei martiri dell’eliotropismo/ Mitra a Capua/ Giordano Bruno in S.
Domenico/ 18 maggio 929 Napoli Hotel Excelsior”, ivi, p. 418[3].
Di qui in poi si
parla di G. Bruno, con qualche puntata sempre a Capua, che pare aver
interessato molto Warburg, prima di tornare a Roma, senza essersi dimenticato
né di Napoli né di Nola. “Capua/ Talento tipico dell’italiano di trasformare in
guadagno una inefficienza tecnica: la lampada della donna”, ivi, p. 420.
Andrea A.
Ianniello
PS.
Cf.
[1]
“A proposito del ‘naturalismo’ leonardesco: esso è stato spesso inteso in modo
troppo positivistico, all’ottocentesca: al contrario, esso è carico
d’idealismo. Un errore analogo a quello che comunemente si commette
interpretando il concetto rinascimentale, in arte, dell’imitazione della
natura, in modo passivamente ed esteriormente riproduttivo. Si può rispondere
con le parole di Leonardo: ‘il pittore disputa e gareggia con la natura’; non soggiace alla riproduzione letterale particolaristica delle apparenza
di natura, ma secondo le leggi indagate in natura ricrea in pittura un
microcosmo analogo al macrocosmo. Come segno del profondo idealismo che
alimenta l’appassionata indagine di Leonardo sui fenomeni naturali, a
conclusione del lunghissimo cammino percorso può iscriversi una frase sua, del
tardo manoscritto G: ‘O speculatore delle cose, non di laldare di conoscere le
cose che ordinariamente per sè [sic]
medesima la natura conduce, ma rallegrati di conoscere il fine di quelle cose
che son disegnate dalla mente tua’. Pervenuto a tale altezza di contemplazione
egli misura tutta la bestialità e inutilità della violenza degli uomini”,
Introduzione di A. M. Brizio a Leonardo
da Vinci, Pensieri sull’universo,
Utet, Torino 1952, a cura di Anna M. Brizio, p. 26, corsivi miei. Tra l’altro,
Leonardo conosceva l’opera di Ermete: “Ermete filosafo”, ivi, p. 663; tra l’altro, si vede da queste pagine che Leonardo era
sì “omo sanza lettere” – nel senso che scriveva in volgare italiano e non in latino
– e però era uomo di buone, molte
letture, dunque di vasta cultura. A quell’epoca “Ermete ‘filosafo’” – interessante quell’ “a” (da me posta in maiuscoletto) – poteva
esser solo due cose, come identificato, in nota, dalla curatrice: “Ermete
Trismegisto: sotto queste nome andavano più scritti, i cui nucleo risale
all’età ellenistica, i contenuto mistico, magico, astrologico, ecc. il Solmi
ritiene che Leonardo si riferisca non al Liber
de postetate et sapientia Dei, tradotto dal Ficino, né [sic] al Centiloquium, d’astrologia, ma al De Alchimia, che si conservava nella biblioteca di Pavia. Tuttavia
la traduzione di Ficino, comparsa a stampa nel 1471, era diffusissima, ed è più
probabile che ad essa si riferisca l’appunto leonardesco”, ibid., corsivi in originale.
Leonardo conosceva Leon B. Alberti ed anche Rupescissa e Pietro d’Abano, cf. ivi,
p. 674. Ed anche Ruggero Bacone, cf. ivi, p. 670, in forma già stampata, il
che dà qualche problema di datazione, ricordato dalla curatrice in nota.
Insomma, Leonardo si poneva tra i resti del “magismo rinascimentale” cosiddetto e le avvisaglie di ciò che, poi, sarebbe divenuto la scienza moderna, avvisaglie già presenti in L. B. Alberti, e ciò è stato
ricordato da Cacciari, cf. “Ripensare l’Umanesimo” (maiuscoletto in
originale), Introduzione di M. Cacciari a Umanisti
italiani. Pensiero e destino, Einaudi editore, Torino 2016, anche se non condivido quel che Cacciari stesso
aggiunge a questo “fatto” storico, e cioè tende a ridurre il “magismo”
rinascimentale a mera “preparazione” della scienza moderna: sarebbe stato il
“fallimento” del movimento della “magia rinascimentale” a portare alla scienza
moderna. Al contrario, come s’è accennato su questo blog, là e qua, al riguardo
della “magia” – in specifico rinascimentale, ma con qualche sua “proiezione”
nel XIX sec. (chi ha orecchie per udire, oda) –, quel che avviene è stata la
giunzione tra il lato “malefico” della “magia” – non quella “bianca” sostenuta
da Ficino, per intendersi – e il suo lato “faustiano” (peraltro non unico del
Rinascimento ed iniziato, in realtà, nell’ “autunno del Medioevo”, quel XIV
sec., quando, secondo Guénon, sarebbe iniziata davvero la “deviazione moderna”,
chi ha orecchie per intendere, in tenda vada), e l’esigenza di espansione
“tecnica” sostenuta da un Francesco Bacone, per fare esempio. La giunzione, lì
è il punto … Essa quindi ha portato, ed apportato, ad inserire un elemento
“sottile” in un divenire unicamente “materiale” che, se analizzato sul solo
lato “materiale, sarà sempre “Miss Leading”, una (terribile) valchiria, di
quelle originarie, non le “prosperose donne alte e bionde” che vengono fuori da
tarde iconografie ottocentesche,
nazionalistiche, mentre, in origine,
le valchirie sono spiriti che svolazzano sul campo dei morti in battaglia. Infatti,
“vedere” una valchiria voleva dire che stavi per morire, in battaglia, chiaro,
non serenamente nel tuo letto: fra ottobre-novembre vi è la stagione dei morti,
il “torrone dei morti”, i “legni santi” (i “kakìs” duri), la zucca, segno dell’ “altro mondo” (lo “sidhe” = “shee” =
pr. shî), “altro mondo” – la dimensio
infera, ma non necessariamente
“infernale” – che si apre-chiude in questo periodo: di qui le feste che aprono
il “mondo dei morti” e lo richiudono subito. Siamo d’altro canto nella stagione
dello Scorpione, segno “che, da punto di vista astrologico, è il luogo dei
medici. Ma poiché esso può anche significare il Sagittario, è possibile che
racchiuda in sé i due segni contemporaneamente. […] Ad ogni modo i capitelli
che seguono si riferiscono senza dubbio alla morte o alla malattia. Il
capitello 3 corrisponde alla festa di Ognissanti e alla commemorazione dei
defunti, cioè al periodo in cui il mondo cristiano è solito dedicarsi in modo
particolare ai morti”, M. Schneider,
Pietre che cantano, SE, Milano 2005, p. 86. Le sue idee sono state
applicate a certe chiese campane nel mio libro (che contiene anche qualche
altro tema) la cui copertina può vedersi in questo link, cf.
Sui morti, anche
cf.
Vi sarebbero
montagna di cose da dire, ma ci si ferma ivi quivi. Montagne, già … Nulla di
più del trattamento delle montagne dà l’idea della “nientità” del moderno, del
suo tutto ridurre a cosa tecnica: tutta questa gente che va sull’Everest come
se andasse sulla riviera romagnola, o su altre cime ormai: che tristezza! Che assoluta negazione
dello spirito dell’ “ascensione”! E tuttavia, che perfetta rappresentazione
dell’ essenza del moderno!! Come c’è
Re Mida, che tutto ciò che tocca rende oro, c’è Re M**, che tutto ciò che tocca
rende m**. Il moderno è, nella sua
più pura essenza, Re M**. E’ la
“natura seconda” della tecnica, un “impianto” (Heidegger) estraneo posto sulla
natura della e nella quale l’uomo moderno, ed ancor più
postmoderno, vive, scambiandola per natura effettiva, secondo la giusta
intuizione dell’antropologo De Martino, sulla quale vi è una nota di un passato
post che consiglio chi, eventualmente, vi fosse interessato di ricercare in
questo blog e, dopo, non meramente leggiucchiare fra mille stimoli depistanti,
ma, invece, di farne oggetto di profonda
riflessione. Sennò niente a nulla serve. Oggi val dunque questo: “ciò che
definisce la scala della montagna simbolica per eccellenza – quello che io
suggerivo di chiamare Monte Analogo – è la sua inaccessibilità con i mezzi umani ordinari. Ora, i vari Sinai, Nebo
e anche Olimpo son diventati da molto tempo ciò che gli alpinisti chiamano
‘montagne da mucche’; e anche le più alte cime dell’Himalaya oggi non sono più
considerate inaccessibili. Tutte queste vette hanno dunque perso la loro
potenza analogica. Il simbolo ha dovuto rifugiarsi in montagne del tutto
mitiche, come il Meru degli Indiani. Ma il Meru – per prendere questo simbolo –
se non è più situato geograficamente, non può conservare il suo senso
emozionante di via che unisce la Terra al
Cielo; può ancora significare il centro o l’asse del nostro universo (talvolta
si pretende che rappresenti il Sole), ma non più il mezzo dell’uomo per
accedervi”, R Daumal, Il Monte Analogo in La conoscenza di Sé, Adelphi Edizioni, Milano 1972, p. 22, corsivi in originale. Vi sono, dunque, montagne ben
più basse (per esempio il Picco di Adamo in Sri Lanka, di altezza 2243 m), e
ben meno note, che possano fungere da “supporto” temporaneo del simbolo che, però, non è più “parlante”, non è più
“situato”, il che ci dà un’idea – esatta
e precisa – della “frattura
symbolica” che la modernità ha instaurato, e che il “tradizionalismo”, questo
similoro, non è per niente in grado di riparare, quando non si faccia, invece,
latore di ben altri tradimenti, cf.
Su Rupescissa: “Giovanni di Rupescissa fu […] alchimista
incerto, talché meriterebbe d’essere classificato piuttosto tra i chimici”, F. Jollivet-Castelot, Storia della scienza alchemica, Iduna Edizioni (Associazione
culturale Iduna), Sesto San Giovanni (MI) 2019, p. 82, maiuscoletto in
originale.
Quindi si poneva
“tra” l’alchimia vera e propria e la “chimica”, mentre, per quel che riguarda
Ruggero Bacone, non v’è dubbio nel suo coinvolgimento anche – fra i molti suoi studi ed interessi – nell’alchimia tout court, cf. ivi, pp. 56-61.
Nondimeno, Rupescissa è citato da Fulcanelli,
a riguardo dell’ atanòr, cioè il
forno alchemico: cf. Fulcanelli, Le Dimore Filosofali, vol. II, Edizioni Mediterranee, Roma 1975, pp. 98-99. Per l’esattezza, al
riguardo di ciò che si ritrova dentro l’ atanòr … Quest’esatta descrizione dimostra come Rupescissa (de
Roquetaillade, in francese) non era
propriamente un “chimico” in senso moderno, come sosteneva il citato
Jollivet-Castelot, pur non essendo
pienamente un “adepto” alchemico, ma ponendosi “fra” le due categorie, cosa
che, in altri tempi, era molto più diffusa di oggi. “Secondo Arnaldo da
Villanova e un altro adepto medievale, Giovanni di Rupescissa (detto anche de
Roquetaillade), la povere di proiezione permetteva di trasformare in oro cento
parti di piombo o di altri metalli inferiori”, S. Hutin, La vita
quotidiana degli alchimisti nel Medioevo, RCS Libri, Milano 2018
(dall’edizione Rizzoli 2017, a sua volta da un’edizione del 1991), p. 126. Di nuovo, pienamente
“adepto” non si può dire, ma nemmeno che fosse “solo” un “chimico”, quanto
piuttosto uno dei tanti che si
ritrovava nel mezzo. Tra l’altro, bisogna sempre sottolineare la teoria
alchemica: “Metalli. […] Quando gli
alchimisti parlavano dei metalli, essi non intendevano i metalli che
comunemente conosciamo. I loro metalli non erano altro che differenti stati del
Mercurio filosofico durante le operazioni della Grande Opera. Gli stadi o le
fasi erano sette, come il numero dei Pianeti o dei sette metalli comuni e
questo giustificò l’associazione tra i sette Pianeti e i metalli e l’utilizzo
dei medesimi simboli per identificarli”, M. Fumagalli,
Dizionario di alchimia e di chimica
farmaceutica antiquaria, Edizioni Mediterranee, Roma 2000, p. 133,
grassetto in originale. In breve, all’origine dei differenti metalli, in alchimia, vi è uno stesso “spirito”
e sarà invece la “matrice” dove questo spirito “cade”, la sua maggiore o minore
“sottigliezza” o “grossolanità” (cioè ricchezza d’ “impurità”) a far sì che sia
piombo, stagno, ferro, rame, mercurio (non lo “spirito” eh, ma l’effettivo
metallo), argento, oro. La tendenza della natura è sempre di passare dal piombo
all’oro, ma su tempi lunghissimi.
Pertanto, l’alchimista non fa certo
un qualcosa di contra naturam,
invece, al contrario, fa qualcosa di
secundum naturam, limitandosi egli
solo ad accelerare quel che comunque la
natura sta compiendo, ma, repetita
juvant, su ed in tempi lunghissimi. L’alchimia – in
realtà – è profondamente naturale nel suo procedere (come insegnava Ludwig “F.c.h.”), ed anzi essa segue il processo della Creazione, ma in piccolo. Chiaro che tutto ciò si
applichi altrettanto bene al processo di “crescita spirituale” umana individuale:
anche qui, il processo generale tende a portare dal piombo all’oro ma, di nuovo,
su ed in tempi lunghissimi.
In una parola: in alchimia il “contra
naturam” non esiste né può esistere proprio.
Su Ludwig “F.c.h.”, in realtà Ludovico Montaldo, cf.
Tra l’altro, L.
Montaldo è stato autore d’uno studio su Pietro d’Abano, e qui siamo nel campo
più “tra” il “magismo” e l’alchimia che solo nell’alchimia, i due campi non
coincidendo affatto, checché ne pensino in tanti.
Sul “magismo”, “La magia è l’azione dell’uomo e della sua
volontà su piano terrestre e sul piano non terrestre, che corrispondono
all’antica convenzione ternaria dei corpi: il fisico, l’astrale e l’animico.
(Gian Piero Bona – Magia sperimentale)”, F. G. Giannini, … I Figli
degli dèi … Genesi “Capitolo VI”,
Editrice New Style, nuova edizione rivista e corretta 1997, p. 77 – grassetto in originale. Tra l’altro: “Mosè è un
egiziano, non predestinato, ma solo
per caso ebbe accesso ai segreti dei faraoni, li rubò e con essi fuggi? E’ una domanda che a un giovane di Los
Angeles o a un postino di Parigi, oggi poco importa, ma a una certa parte dei circoli iniziatici europei, alla vigilia del
nuovo secolo (1900) interessava
molto, e continueranno ad avere lo stesso
interesse sino ai nostri giorni”, ivi,
p. 32, corsivi miei. Queste frasi, di ben venti
due anni fa!!, oggi, all’oscura, tenebrosa luce degli ultimi movimenti
sociali, suonano assai significative,
assai proprio. Infatti, il libro, un
cui passo s’è appena citato, poiché vi è una sorta di “Internazionale” nera,
nella lotta – del tutto apparente – fra due “Internazionali”,
quella nera (oggi stra dominante,
come clima mentale, alla faccia di
chi parla di “sinistra”, che non
esiste più da tempo: tutto il clima mentale generale è di destra, oggi), e
quella “verde” (per ora debole ancora, e unica via per la non più esistente
“sinistra”, oggi, per poter solo sopravvivere, cambiando: ma lo faranno solo e
soltanto se a livello
internazionale cambi il clima mentale generale, l’italietta da sola valendo il due di briscola, come l’opinione
pubblica peraltro). Il cambio, avvenuto, del clima mentale generale lo vedi da
questo: la “sinistra” dà addosso alla “sinistra”, e la destra dà addosso alla
“sinistra”, al suo simulacro: che fenomeno “normale”, eh. Si tratta, infatti,
di una “coppia di spinta” verso un unico risultato: la fine dell’ordine
“neoliberale”, cioè non un mero
“crollo”, ma un suo superamento, con – in vista – l’obiettivo, mai pienamente raggiungibile, verso il
quale, tuttavia, si tende, quello
cui dà l’accesso il link a cf.
E saranno le
“destre” o i “verdi” a portare a questo, ascolti chi ha una qualche maniera di
poter ascoltare, ancora … Chi ha orecchie per intendere, intenda … La mentalità
populista è sbagliata: il “buon” popolo e le “cattive (pseudo-)“élite” è una
mentalità che acuisce quella “doxacrazia” che
è la “democrazia”, “la società dell’informazione e dello spettacolo non
è altro che la realizzazione radicale della doxacrazia
sulla quale si regge l’Occidente [e, dopo l’ ’89 infausto, si regge tutto il mondo, con la differenza che
il residuo di “Oriente” (politico)
ha imparato tale lezione, ed
influenza la “doxa” occidentale senza
perdere la natura semi democratica,
o non democratica, o di “democratura”, dei loro regimi: gli Occidentali
non sanno più che pesci pigliare perché non han campito questo cambiamento
strategico, fissati come sono sul cosiddetto “magnifico” ’89, cioè l’inizio
della loro rovina in realtà, spacciato per “vittoria”, che ironia la storia!!],
e in cui la conquista della posta in gioco, il consenso cioè dell’opinione
pubblica, avviene secondo il principio supremo di Sun Tzu: vincere senza
combattere [e le residuali “sinistre” socialdemocratiche han già perso, perché
sono state sconfitte in questo: il raggiungere l’opinione pubbliche, che gli è
contraria]”, Introduzione di A. Corneli a Sun
Tzu, L’arte della guerra,
Guida editori, Napoli 1989, p. 59,
corsivo in originale, mie osservazioni fra parentesi quadre. Oggi, però,
parlerei di “doxamania”, un’ossessione per l’opinione, cosiddetta “pubblica”,
in realtà costruita e manipolata.
Bernays (nipote di Freud) è stato un precursore, cf. E. L. Bernays, Propaganda. Della manipolazione
dell’opinione pubblica in democrazia, Fausto Lupetti editore, Bologna 2008.
L’Italia è molto
simile all’Argentina, peraltro. Sono terre di populismi, il populismo, come ho
detto, non è un incidente di percorso della democrazia, ma la sua natura
profonda, una volta che i patriziato”, in senso sociologico, ne perda il
controllo; e perderlo è inevitabile, una volta che la tecnica di moltiplica la doxa, per l’appunto. Le cosiddette
“sinistre” non hanno il consenso, la moneta di scambio della politica moderna:
esse l’hanno perso, anni fa, con la caduta del “riformismo incrementale”, cf.
Semplicemente le
neo rinnovate “destre” cosiddette “estreme”, che si trascinano – com’è sempre
stato e sempre sarà, nella Seconda Guerra Mondiale senza Churchill
l’Inghilterra avrebbe fatto una pace separata con Hitler ed oggi staremmo tutto
a fare il noto saluto, il resto sono chiacchiere al vento, ma fu il caso
eccezionale, l’ eccezione – le destre cosiddette “conservatrici” o “moderate”
che dir si voglia, che sempre avranno l’illusione di controllare le prime
venendone, invece, controllate, le neo rinnovate “destre” cosiddette “estreme”
vogliono fare in Europa una “democratura”, o un sistema presidenziale à l’americaine, a seconda che,
dell’Internazionale nera, siano influenzati più dal lato russo o da quello
americano. Ecco tutto. Ambedue i lati di detta “Internazionale” – di proposito
uso questo termine che un tempo si usava per l’Internazionale “rossa”, e
c’erano strilli ogni giorno, mentre oggi c’è il consenso e qualche strillino
qua e là, presto dimenticato – son solidali nell’andare contro i residui di
“riformismo residuale” che si è identificato con la “sinistra” – o, come li
chiamo, i “sinistrati” mentali che niente han capito per decenni –:
quest’ultimo è stato il gioco delle tre carte nel quale gli ingenui “credenti”
nella “democrazia” son caduti come pere
secche; poi, quel riformismo è andato in crisi, strutturale,
irreversibile, perché il modello del capitalismo post secondo conflitto
mondiale è stato messo in crisi dal
capitalismo stesso; il resto, è cosa nota, e il gioco è fatto. Era chiaro dalla crisi degli Anni Settanta
(come si evinceva chiaramente dalle analisi di J. Baudrillard, nate alla fine
degli anni Settanta, per l’appunto), ma non l’han mai capito né mai
lo capiranno: perché sono ingenui
credenti nella democrazia. Se la democrazia funziona non è per sua causa, non è perché “in sé stessa” funzioni, ma solo e
soltanto perché vi persiste un residuo di classe dirigente. Sparita
quest’ultima, la democrazia non ha nessun’altra reale chance che quella di virare o in “democratura” o in “populismi”; e
il populismo, in Europa, non può che essere di destra, e portare la cosiddetta
destra “estrema” al comando, perché le destre moderate sempre – sempre – han tirato la volta a quelle
“estreme” cosiddette, giusto per usare delle categorie profondamente “spurie”, inesatte, ma che servono a
farsi capire. Questi sono i meccanismi sociali fondanti. Il resto sono
chiacchiere.
[2] Cf.
http://www.iiscarducci.gov.it/file/apuleioamoreepsiche.pdf.
Per un “sunto”
(scolastico) della favola, cf.
https://online.scuola.zanichelli.it/candidisoles-files/testi/6393_Candidi-Soles_Apuleio_Testo-01.pdf.
E sulla
relazione con le favole del Nord Africa (Apuleio era nordafricano), Cf.
http://www.brugnatelli.net/vermondo/didattica/napoli/2005-06_Fiabe/LaFiabaBerbera.pdf.
[3]
Sul Mitraismo, in particolare a Capua, cf.
“Atti” del convegno di studi La
tradizione dei culti orientali nella religione romana di Età Imperiale,
S.ta Maria C.V., Stampato dicembre 2010. Come fonte online, cf.
quest’ultimo
link presentando delle immagini dal mitreo di Capua; e cf.
Anche il link
dal libro di F. Cumont sul culto di Mitra (la “Table of Contets”, che dà subito
accesso al libro online), cf.
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