venerdì 3 gennaio 2025

RIPROPOSIZIONE 3 (da l’hanno scorzo) – Riferimenti e “paralleli” – vari, 1 (“ARMILUS”) … “‘PILASTRO’ È [un] NOME DEL DIO SHIVA” …

 

[IL “LIVYATÀN” – “MOSTRO” considerato di “genere femminile” ma il nome, al contrario, è di “‘genere’ maschile”, mentre **IL** BEHEMÒTH è considerato di genere “maschile” ma IL NOME, al contrario, è di genere femminile, peraltro anche PLURALE! CHE VUOL DIRE? Che delle realtà – tanto divine che demoniache – NON SI può predicarne il “genere”! Cioè il GENERE NON ESISTE in queste “cose”]

 

 

CAPITOLO LX

Béhemoth e Léviathan [grafia alla francese]. (Interpolazione)

(Il cielo vien scosso. Michele manda un angelo a rassicurare Enoch).

E Michele mi disse: perché la visione di queste cose ti turba? Sino a questo giorno è stato il tempo della sua misericordia, ed egli è stato misericordioso e lento alla collera verso coloro che abitano l’arida [la terra, cioè, detta “l’arida”]. Ma quando verrà il giorno, e la potenza e il castigo e il giudizio di giustizia, per coloro che rinnegano il giudizio di giustizia e per coloro che non considerano il suo nome, e questo giorno è stato prestabilito: alleanza per gli eletti, ma tribunale per i peccatori.

Ora i due mostri son stati separati per tal giorno: uno, femmina, di nome Léviathan”.

La Bibbia Apocrifa, a cura di P. Bonsirven, Introduzione di D. Rops, Ed. Massimo, Milano gennaio 1982 (edizione originale: gennaio 1962), p. 47 (dal: IL LIBRO DI ENOCH), corsivi in originale, miei osservazioni tra parentesi quadre.

 

E allora … comincerà a rivelarsi il Messia. E a sua luogo sarà rivelato Béhemoth [scritto alla francese] e Leviathan salirà dal mare — entrambi mostri immensi che ho creato il quinto giorno della creazione e o conservato per allora: ed allora serviranno di nutrimento ai superstiti”.

Ivi, p. 257 (dal SECONDO LIBRO DI BARUCH), miei osservazioni tra parentesi quadre.

 

 

(RIFERIMENTI e PARALLELI – nella “Kabbalah–, riferimenti ANCHE d’origine INDÙ)

 

È Dio stesso a descrivere […] la portentosa apparizione del Leviatano. In un ampio passo del libro di Giobbe il Signore sfida il protagonista a misurarsi con la forza immane di un mostro acquatico, re di tutte le belve feroci (Giobb. 41.26). […] Sebbene si muova nell’acqua, il Leviatano si presenta dunque come un’apparizione luminosa, che sprizza fiamme e fuoco […]. In questo passo, il drago primordiale – che la più tarda esegesi ha talora identificato col coccodrillo [animale del SETH EGIZIO …!] – simboleggia il divario incolmabile [NOTA BENE] che separa l’uomo dalla forza numinosa della natura”, G. BUSI, Simboli del pensiero ebraico, Einaudi editore, Torino 1999, p. 150, corsivi in originale, mie osservazioni fra parentesi quadre.

Nella letteratura postbiblica, alla rappresentazione della caduta del primo Tempio, si aggiunse quella del secondo Santuario, incendiato dai Romani nel 70. I due eventi furono accomunati in una sola realtà simbolica, giacché, secondo la tradizione, avrebbero avuto luogo – a distanza di sei secoli – nel medesimo giorno, il 9 del mese di Av [in nota si dice che Giuseppe Flavio dava un’ ALTRA data; COME CHE SIA, di solito, il 9 del mese di Av – che però è una data mobile, poiché il calendario ebraico (come quello arabo) è “lunare” – viene identificato con il 29 luglio], data che aveva, per i maestri ebrei, la forza d’un prodigio infausto [si diceva che il Leviatano si “smuovesse” e “si agitasse” proprio in tale data …]. L’abbattimento dei due Templi [due … ci si rifletta su] – per il quale fu solitamente usato hurban, un vocabolo che indica, nell’ebraico postbiblico, la ‘distruzione’ – divenne così un evento epocale, il cui valore storico s’intrecciava con uno scardinamento [= “togliere i cardini” dalla porta … del Cosmo!] della continuità stessa della vicenda umana. Secondo la haggadah, […] tale distruzione poteva paragonarsi alla cacciata del primo uomo dal giardino di Eden e, anzi, Dio avrebbe mostrato ad Adamo, in quel momento, il destino futuro dei Santuari: ‘Cacciò dunque l’uomo (Gen. 3.24), vale a dire che gli mostrò la distruzione del Tempio’. Accanto a questi echi leggendari della distruzione concreta dei Templi di Gerusalemme, nella letteratura d’età tardoantica comparve anche l’idea di una vera e propria decostruzione cosmica”, ivi, pp. 96-97, corsivi in originale, grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre.

Anche in altre scritture sacre, dall’ Avestā zoroastriano agli inni vedici dell’India antica, il palazzo del mondo, che s’innalza su colonne celate nel sottosuolo [NB] ed eleva i suoi pilastri immateriali nei cieli, suscita una domanda: ‘Questo io ti chiedo, dimmi chiaramente, o Ahurā: chi regge la terra di sotto e il cielo di sopra? Chi sostiene le acque e le piante?’, è per esempio il quesito che pone l’autore del componimento avestico per avere conferma della propria fede. Nella speculazione vedica, il misterioso sostegno del cosmo giunge invece a fondersi con la divinità stessa che, nel proprio corpo mistico, supporta tutto il reale: ‘Quello nel qual è la terra ed è collocato lo spazio tra la terra e il cielo, dove si trovan fissati il fuoco, la luna, il cielo e il vento [Vāyu, famosa divinità vedica e, dopo, indù], questo sostegno dell’universo, dimmi qual è mai … ’. in quest’ultimo passo, tratto da uno degl’inni più intensamente mistici dell’ Atharva-Veda, il concetto di pilastro cosmico pare fortemente metaforizzato: la colonna non è più un inerte elemento del palazzo del mondo, ma ha assunto tratti personali e antropizzati (‘sulle cui membra …’), diventando una sorta di sostegno animato dell’esistente”, ivi, pp. 13-14, corsivi in originale, grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre.

Vi si legge, tra l’altro, in nota: “‘Pilastro’ è nome del dio Shiva”, ivi, p. 14, grassetti miei.

 

Ma veniamo, dunque, ad “Armilus”.

Le varie tradizioni sulla fine dei tempi, che compaiono in maniera frammentaria nella letteratura tardoantica, furono organizzate in una struttura narrativa dall’autore del Sefer Zerubbavel (Il libro di Zorobabele), vissuto probabilmente in area bizantina tra la fine del VI e gl’inizi del VII secolo. Lo scritto, assai breve, racconta una visione nella quale il biblico Zorobabele e l’angelo Meţaţron rivelano al protagonista la successione delle fasi messianiche, contraddistinte da una lotta epocale dei due messia d’Israele [la “questione dei due messia” che si ritrova pure negli scritti di Qumrân, per esempio] contro Armilus, figlio di Satana e di una statua femminile di pietra [la “questione delle statue ‘animate’” produsse – nelle “leggende” – anche quest’esito qui]. A un tempo imperatore e demone, Armilus – il cui nome pare la trasposizione semitica di Romolus – riunifica dapprima il mondo intero sotto il dominio di Roma e riesce ad uccidere il messia figlio di Giuseppe [uno dei due messia, identificato da qualcuno con Gesù, “figlio di Giuseppe”], che l’aveva affrontato a Gerusalemme [“echi” evangelici della storia di Gesù, ma, è chiaro, trasposti]. Solo a questo punto si manifesta [NB], nella città santa [Gerusalemme cioè!, idem], Menachem ben ’Ammi’el, il messia regale, che era restato nascosto, assieme alla propria madre Hefşivah, fin dai tempi di Davide [di nuovo: “echi” evangelici della storia di Gesù, ma, è chiaro, trasposti]. Dopo una serie di peripezie [ovvio!], e dopo aver convinto i dotti d’Israele della veridicità della propria missione [= appoggio della religione “ufficiale”, punto molto significativo, che si “riconnette” alla questione del katèchôn … ma guarda un po’, ma guarda …], Menachem riesce infine ad aver ragione di Armilus e del suo esercito [Armilus ha, dunque, un “esercito”!], ed entra in Gerusalemme [si noti bene, di nuovo: “trasposizione” della vicenda di Gesù, però: à rebours …], ripristinandoci il servizio nel Tempio [il sogno di tanti, vero; e tuttavia nel Cristianesimo è l’ Anticristo che usa tal “ripristino” per propri scopi; ed inoltre: il parallelo fra l’ “A.” ed “Armilus” è chiaro ed evidente, poiché anche “Armilus” è “figlio di Satana”, qualunque cosa si voglia intender con quest’espressione (quella di: “figlio di Satana”, cioè), qualunque!]”, ivi, p. 193, corsivi in originale, grassetti miei.

 

Il “Prete Gianni” in ambito ebraico.

436. Ho cercato informazioni circa il fiume Sabbaţyon: quanto avete sentito dalle vostre parti è lo stesso che ho sentito qui, né al faccenda mi è chiara, giacché ho udito da chi aveva a sua volta udito. Ho comunque potuto appurare e so con certezza che in qualche lontana regione vi è il regno del Prete Gianni, un paese di monti assai alti e di colline, che si estende per circa dieci giorni di cammino: risiedono forse là alcuni israeliti, che hanno al loro capo cinque principi o re [(in nota) finte: ‘Ovadyah Yare da Berynoro, Iggeròt Ereş Yiśra’el, ed Artom  e David cit., p. 91]”, ivi, p. 603, corsivi in originale.

@i

 

 

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2024/05/riferimenti-e-paralleli-vari-1-ed.html

[cancellato]

 

 

 

 

 

2 commenti:

  1. Dopo aver detto – in un vecchio post poi passato sull’altro blog “gemello” – che cosa NON È l’ “apocalysse”, vedremo di vedere (“Deo juvante”) che cos’è “davvero” l’ “apocalysse”, che “scherzoser” nomo: “la poca lisse” ché ce n’è pochissimo desta “lisse” … ah ah, invece di lisi, uff! Ce n’è sin troppo!

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  2. Crisi COSMICA e NON solo umana e ci viltà, mi raccomndando: sennò perdiamo di vista il nocciciolo del punto, il “quid” che a Shakespeare piaceva chiamar l’ “hic” – diciamo il “ciò” –, diciamo l’ “hoc” della situazione o/e dei problemi, …
    Mira comando **non** e/o ma o/e cioè oè cioè o è o/e non è …
    (Sto gi-u-ocando colle par-u-ole, misi per doni, essenza droni di sorta! La -u- vetusta ed desueta, ma sì l'assi dica, siam desueti!)










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