“L’artista non imita nulla: ritrova qualcosa nel passato”.
G. COLLI, Dopo Nietzsche, Adelphi Edizioni, Milano 1979 (1974), p. 113.
“L’arte ricupera dunque una prospettiva che precede quella dell’individuazione. […] Quelle rappresentazioni primarie son ricordi dell’immediato, sono attimi, dove cadono tutte le condizioni astratte”.
Ivi, p. 115, grassetti miei.
“Gli epiteti d’Apollo: ‘che scaglia, colpisce , lontano, da lontano’, ‘che agisce da lontano’, alludono ad un’azione indiretta – mediata dalla freccia – differita, a distanza. […] Ma il dardo è simbolo della parola, che nell’oracolo e nell’enigma appare come sfida mortale; più tardi l’arma d’Apollo, affinandosi, si mostrerà nella connessione delle parole, nel logos”.
Ivi, p. 43, corsivo in originale, grassetto mio[1].
“E un altro iniziato a questi misteri, Empedocle, così parla di Apollo come divinità suprema, spogliata d’ogni somiglianza umana: ‘apparve soltanto un cuore sacro e indicibile, che con veloci pensieri frecciando si slancia attraverso il mondo intero’. I dardi di Apollo sono i pensieri!”.
Ivi, p. 45, grassetti miei[2].
“Gli Indiani e i greci non concedevano vera realtà all’individuo.
I discorsi orfici sull’ ‘anima’ alludono ad un archetipo pre-individuale, nonostante che certe intemperanze essoteriche di Platone abbiano contribuito ad intorbidare le acque. Su questo punto è meglio consultar Empedocle”.
Ivi, p. 109, grassetti miei.
“La grandezza, il bhūman, si scopre nel sé, nel cardine interiore della vita”.
Ivi, p. 100, corsivo in originale, grassetti miei.
“Come il suo vicino, l’ unicorno, l’elefante simboleggia la forza, la castità, e […], inoltre, il Sole avvolto da nubi bianche. Il suo corrispettivo è l’uccello Garuda, che suol portare per aria l’elefante, la tartaruga o il serpente. […]
La natura di quest’animale è rivelata molto chiaramente per mezzo degli astri che si collocano all’interno dello spazio occupato dall’uccello. Il becco si trova al posto dell’aquila di mare (zona si-fa, oceano). Il suo collo corrisponde al cigno; sul petto si colloca il drago e la sua coda di serpente termina nello stesso punto dove si trova l’ idra.
Garuda si pone fra re e si/fa, fra il giorno e la notte, come i pavoni con testa di cigno e coda di serpente descritti a pagina 68”.
M. SCHNEIDER, Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche, Rusconi Libri, Milano 1986, p. 212, corsivi in originale, grassetti miei[3]. L’ “Idra” … A buon intenditor …
“Quando il quarto calante (= si, vecchiaia) è entrato nel fa, dove il **drago rosso** lo divora, comincia l’epoca della Luna nuova”.
Ivi, p. 213, corsivi in originale, grassetti miei.
Il “DRAGO ROSSO” … Come in Ap. 12,3 …
“Il tamburo della casella 4, cioè il Capricorno, entrando nel cerchio solare (fa) forma una [UNO] svastica. Di conseguenza, la [LO] svastica sulla base a forma di X dev’essere il segno mistico del solstizio d’inverno.
Nelle culture megalitiche si vede speso, accanto a questo segno, il disegno d’un paio d’occhi, i quali devono corrispondere al solstizio d’estate. Questi occhi son formati dal tamburo del Cancro (casella 10) dentro il cerchio solare. Il segno zodiacale del Pesce corrisponde al tamburo si (casella 1). Le forme del Sole in Ariete e in Toro sembrano unire le corna con il tamburo circolare: l’Ariete è rappresentato con il disco fra le corna; il Toro, dalle corna poste sopra il cerchio. Dal Sole in Scorpione risulta la [lo] svastica curva. Il cerchio del fa corrisponde al Leone”.
Ivi, pp. 216-217, corsivi in originale, grassetti miei.
“Una simile compenetrazione di animali si trova in un evangelario armeno del XII secolo. Un pavone, o una specie di gazza, è attraversato da un serpente.
Quest’animale occupa il posto del leone, dato che gli altri tre (aquila, bue e e pavone) son presenti”.
Ivi, p. 105, grassetto mio.
“Con quest’interpretazione dei dati acustici siamo giunti al centro della religione megalitica. Tutto viene dalla pietra e tutto torna alla pietra. Il ritmo che conduce questo processo continuo è un ritmo acustico. Nel centro della montagna di pietra, si trovano i Gemelli, nei quali si confondono il suono e l’eco, tesi e antitesi.
L’idea dei gemelli riappare in quasi tutte le relazioni fra il cielo e la terra. […]
Siccome la Luna è il simbolo della vita umana, il quarto crescente e quello calante, ossia la Luna nuova e la Luna piena, son considerati anch’essi come gemelli. Così pure la Luna nasce sulla montagna e passa per un oggetto di pietra”.
Ivi, pp. 226-227, corsivi e grassetti miei[4].
“La zona fa-do (Luna nuova e quarto crescente) è il luogo classico della lotta degli dèi contro i draghi e della vittoria delle forze costruttive sulle forze di distruzione. Quattro arcieri sembrano vigilare affinché non sia invertito l’ordine imposto dagli dèi. […] Tale scena, con i suoi animali solari e lunari così chiaramente interpretata da C. Hentze, sottolinea il carattere di sacrificio, inerente a tutte le relazioni fra il cielo e la terra, il cui simbolo più espressivo è la freccia”.
Ivi, p. 242, corsivi in originale, grassetti miei.
“Il Khaibit, o Khabbit, o Sheut, o Shayt.
È l’ Ombra, di colore nero, presente sempre in ogni essere umano. All’opposto del Ka, che tende a conservare tutte le caratteristiche positive, è l’emanazione di tutti gli aspetti negativi, le forme-pensiero emanate a causa dell’essersi troppo soffermati durante la vita sulla rabbia, sull’ira, sulla frustrazione, sull’invidia, sulla superbia, sulla paura, sull’avidità, sugli attaccamenti, etc.
È il collegamento tra il corpo e gli elementi incorporei dell’individuo, la parte più vicina al mondo fisico dopo il corpo materiale [Nota Bene].
[Tale “parte” si è quella:] Responsabile delle manifestazioni “spiritiche””.
A. ORLANDI, Genius familiaris, Genius loci, egreggori e forme pensiero, Stamperia del Valentino, Napoli 2019, p. 15, corsivi in originale, grassetti miei, miei commenti fra parentesi quadre[5] [6].
Questa “parte” si è quella che si scatenerà – infine – “IN FINE” Cyclo …[7]
“Nostra intenzione è far conoscere […] le cose che sono, come sono”. FEDERICO II DI SVEVIA, De Arte venandi cum avibus, Editori Laterza. Roma-Bari 2000, p. 5, grasset-
ti miei.
“Tutto viene dalla pietra e tutto torna alla pietra” dice Schneider qui su …
È VERO.
Ma bisogna saper ascoltare “il suono senza suono” …
Un suono che non si ascolta solo con le orecchie …!
Cf.
https://www.academia.edu/145070176/_A0_Artichelo_modificato_con_le_foto_2_autore_foto_detto_nel_paper_?source=swp_share
[NB. Il link si scarica SOLO se si entra su academia.org]
Il sottotitolo del paper è il seguente:
“Si tratta di una riflessione sulle figure zoomorfe della cattedrale di Salerno, Atrio ivi compreso. Chiaramente, riflessione *NON* esaustiva. [foto di E. De Maio] Il discorso andrebbe amplificato, ma qui - “per sì dir” - vi è il minimo”.
Fonte del libro citato nel paper:
cf. https://www.vozza-editore.it/p/pietre-che-cantano/
Vi sarebbe – anche qui – da dirsi molto di più e rimane fermo che pure lo stesso Schneider sosteneva che molte cose DEI – e NEI – suoi studi dovevano essere riviste, certe corrispondenze sono accertate:
“Terminiamo questo studio non senza una certa apprensione, perché avvertiamo perfettamente che la presente opera non può essere che un modesto saggio e un primo abbozzo diretto a ricostruire una filosofia e una scienza della Natura, e insieme tutta una teoria cosmica musicale […] Tuttavia, ogni lettore un po’ versato nella materia conosce la grande uniformità delle credenza mistiche, specialmente in relazione agli animali [simbolici, chiaro]. Sebbene varino gli aspetti esterni e possa esser sostituito un animale determinato da un altro secondo le condizioni zoogeografiche, sussiste l’ingranaggio delle idee […]. Malgrado tante deficienze ci siamo decisi a pubblicare queste pagine, perché crediamo che le loro idee fondamentali [NB] potranno essere di qualche utilità. La conoscenza della Natura di queste culture doveva essere per forza considerevole […] Ma, per il momento, dobbiamo limitarci a presentare il loro aspetto storico [NB]. Speriamo di poter tornare a trattare il problema nel folklore e nell’arte medievale europea [NB], dato che le cattedrali medioevali, come gli antichi menhir [NB], toccano con i loro pinnacoli l’ ‘oceano azzurro’ e dispiegano le loro piattaforme verso il firmamento. Propagandosi dalla terra oltre la loro realizzazione materiale, i loro ritmi incarnati tagliati nella pietra si trasformano in ritmi azzurri e ampliano il numero delle voci nella fuga […] cantata dai ritmi del firmamento e dell’acqua [si sa della “relazione” fra delle determinate costruzioni e il flusso dell’acqua, palese o – soprattutto – nascosto che sia]. Quando le nostre cattedrali [quelle fatte secondo certi criteri, chiaro, non quelle attuali] – questi alti organi di pietra – realizzano il gioco con le leggi della gravitazione della Natura, si materializza il contrappunto azzurro fra il cielo e la terra [NB]. Con il ritmo che si slancia dalla terra al cielo fanno risuonare le preghiere [che “non funzionano” – come TUTTI SANNO – se non molto ma molto ma molto rarissimamente, ma perché? perché mancano della “VOCE GIUSTA” …!]; risuona la lode di Dio quando i ritmi azzurri del cielo invadono la materia terrestre [NB], dato che, sempre che il ritmo puro appaia sulla terra [NB!]
CANTANO LE PIETRE”, M. SCHNEIDER, Gli animali simbolici, cit., pp. 350-351, corsivo in originale, grassetti miei, miei osservazioni fra parentesi quadre.
Vorrei qui segnalar che il bello si è che questi simboli – per quanto dimenticati siano – son lì, stan qui, di fronte a noi, semplicemente non visti … ed ognuno può vederli …
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[1] “Eppure la maschera, questo simbolo legato così intrinsecamente al culto di Dioniso, significa proprio il contrario, cioè l’ infrazione del principium individuationis”, ivi, p. 109, corsivi in originale, grassetti miei.
[2] “Il simbolo dello specchio, attribuito dalla tradizione orfica a Dioniso, dà al dio un significato metafisico che Nietzsche non riuscì a districare. Guardandosi allo specchio, il dio vede il mondo come propria immagine. Il mondo è dunque una visione, la sua natura è soltanto conoscenza. Il rapporto tra Dioniso e il mondo è quello tra la vita divina, indicibile, e il suo riflesso. Quest’ultimo non offre la riproduzione d’un volto, ma l’infinita molteplicità di creature e corpi celesti”, ivi, p. 195. A. Orlandi – citato di seguito – è autore d’un testo che pone AL CENTRO lo specchio di Dioniso, per l’appunto, e cioè proprio quel “simbolo” che Nietzsche non decrittò e sottovalutò – come disse Colli –, più non ritornandoci su.
[3] Cf. ivi, pp. 103-104. Quante cose abbiamo sotto gli occhi … che non vediamo …! Sull’idra: “I serpenti a destra della rana corrisponderebbero all’ idra […] dell’astrolabio”, ivi, p. 322, corsivo e grassetto miei.
[4] “Abbiam parlato della sovrapposizione mistica di tre piani nei chiostri catalani, nei quali si poté vedere un piano animale corrispondente ai suoni musicali [il piano al e sul quale noi si rimane in questo “pezzo” così come nel mio testo Pietre che cantano], un piano cosmico che indicava i punti cardinali ed il tempo [Nb], e un terzo piano che commentava il testo dell’inno [quello più difficile da dimostrarsi è questo]. Per identificare le posizioni mistiche dei tamburi vedici, applicheremo non solo il metodo di etnografia comparata e di documentazione storica, ma anche questa teoria dei tre piani agli inni del Rigveda. I primi studiosi di mitologia indoariana ebbero già a notare la presenza di due piani: il piano del racconto dei fatti visibili e concreti esposti nel mito, e il piano cosmico, cioè l’interpretazione filosofica del mito [Nb]. Oldenburg e de Gubernatis poterono appurare che tutto il rituale vedico era un’azione analoga al processo cosmico: le vacche sono le nubi; il toro simboleggia il tuono e il lampo; il carro del cielo, il Rigveda. Qual può essere il terzo piano che corrisponde a questi due piani già noti? [Nb …]”, ivi, p. 359, corsivi in originale, mie osservazioni fra parentesi quadre. La risposta la darà lo stesso Schneider proprio nel corso del suo testo, soprattutto nell’Appendice II, dedicata allo studio del rito vedico. I piani son tre: quello rituale – appunto –, quello cosmico, e quello dello “strumento” vale a dire il “senso” simbolico degli strumenti usati nel rito vedico stesso. Per esempio, le “vacche” vediche non sono che i tamburi – d’un genere particolare (alcuni dei quali – DOPO – ricollegati a Shiva) –, e poi, a loro volta, ricollegate (le cosiddette “vacche” vediche, che son ritmi per Schneider) ai CARRI (sempre vedici) e, tra i carri, vi è anche il carrus navalis, dal quale, secondo Cattabiani, deriverebbe il “carnevale”, il “carro” (car) navale, appunto … Il discorso ci porterebbe lontano, peraltro lo stesso Schneider sottolineava che la sua ricerca era in fieri, e molte cose **dovevano essere** – necessariamente – riviste, pur essendo vere le relazioni di fondo. Sottoscrivo. Se il rito non è condotto con i giusti “strumenti” – simbolicamente “vivificati” – rimane sterile, anche se fatto “formalmente” bene, in modo corretto. Manca “la voce giusta” come avrebber detto gli antichi Egizi, e tutto resta senza effetto. Per NON CONCLUDERE:
“La sillaba Om (= aum) costituisce il suono fondamentale dell’universo”, ivi, p. 386, corsivi in originale, grassetti miei. Le componenti sono: “la vocale a [è] quella di Agni, u quella di Vayu, m quella del Sole e la risonanza quella di Varuna”, ibid., corsivi in originale. POCHI notano la “RISONANZA del suono m” …
[5] A proposito di “egreggori” nella storia: “Tra gli esoteristi che hanno condiviso questa visione delle forze che operano nella storia possiamo sicuramente annoverare René Guénon (cfr. ad esempio Le Règne de la Quantité et les Signes du Temps)”, ivi, pp. 48-49, nota a pie’ pagina, corsivi in originale. Quest’ultimo testo di Guénon, pubblicato all’inizio degli anni Ottanta dall’Adelphi, è – in edizione originale – del 1945 … ottant’anni fa!
Sia qui ripetuto quanto PIÙ VOLTE si è detto altrove, anche nei commenti: UNA COSA è l’ “esoterismo”, ed un’ ALTRA cosa è l’ “occultismo” il quale, a sua volta, è UNA PARTE dell’ “esoterismo”, ma NON coincide affatto con l’ “esoterismo”. È la parte delle – cosiddette! – “scienze occulte” che, un tempo, erano scienza tout court ma, con lo sviluppo della modernità e della scienza QUANTITATIVA, questo genere di conoscenze – che un tempo era LA “PARTE” INFERIORE dell’ “esoterismo” stesso – tale “parte” si è trovata sguarnita, ed è poi, dunque, stata “riscoperta” dall’inizio del **XIX** secolo, dopo l’inizio della cosiddetta “egittomania” – dopo il viaggio di Napoleone in Egitto, cioè –, per poi rafforzarsi, non poco, con le opere di E. Lévi, che han diffuso quest’orientamento. In parte, F. Bardon pure vi contribuì, ma iniziò troppo presto. Inoltre, la sua opera è mal scritta e non ben fatta, mentre Lévi sapeva scrivere: questo può fare la differenza. E la fece la differenza …!
Ed intervennero, poi, sia lo spiritismo sia la Blavatskij. Poi venne l’inizio E la PRIMA METÀ del XX secolo – cioè l’epoca di “gran fulgore” dell’ “occultismo” –, e di essa il nazismo ne fu l’ “effetto” INDIRETTO, solo – chiaramente! – INDIRETTO.
Chiaramente sia l’alchimia sia il “magismo” son oggi posti nell’ “occultismo” ma così non era un tempo, per esempio. È importante sottolinearlo. Sulla differenza tra l’alchimia e la “magia” – o, per meglio dire: “magismo”! –, cf. A. A. IANNIELLO, Alcune note di uno scritto apocrifo di Tommaso d’Aquino sull’alchimia, Giuseppe Vozza editore, Caserta-Casolla 2011. E cosa ci sta sulla copertina …? (Ripetuto tre volte: questa è la “traduzione alchemica” però d’un simbolo ben precedente, le cui origini Schneider ben ricostruisce, cioè in un tempo antico antico …)
[6] Un carenza di prospettiva, nel libro, è questa: “L’immaginazione umana ha da sempre popolato montagne, boschi, campagne, laghi, fiumi, vallate, alberi, burroni, di creature invisibili dotate di poteri magici, che vegliano da secoli sui quei luoghi. Ninfe, Satiri, Coboldi, Elfi, Fate e Gnomi sono stati i protagonisti d’innumerevoli fiabe e leggende, tramandate di generazione in generazione e narrate accanto al fuoco durante l’inverno o, nelle stagioni più miti, sotto il cielo stellato. Gli antichi Romani disponevano di una vera e propria tassonomia di queste creature invisibili, in particolare per ciò che riguarda le Ninfe”, ivi, p. 39, nota a pie’ pagina. Qui non discuto che gli antichi Romani disponessero “di una vera e propria tassonomia di queste creature invisibili”! Non discuto questo punto, ma ma quello su “l’immaginazione umana”! Se intendiamo, per tal termine, una “costruzione fantasmatica” basata solo sull’ “immaginazione” dei popoli, siamo in errore! Le cose non stanno proprio così … Ciò però conferma del fatto che i moderni tendono a “corporeizzar” tutto perché per loro conta solo l’ “immagine” d’una cosa, eppure tu devi pur corporeizzare una cosa per poterla vedere! Sennonché – come, tra l’altro, dimostra il fenomeno “Ufo” (cosiddetto) –, una cosa sono le cose “come sono” ed altra cosa – ben altra – si è come tali “cose” **appaiono** e cioè in forme **profondamente condizionate** dal tempo in cui si vedono tali “cose” cosiddette, oltre che dall’aspetto culturale proprio ad ogni epoca, e civiltà o nazione che sia. No che, quindi, non sono immagini affatto! Ma l’immagine “si” COSTRUISCE per (mezzo di) QUESTO COMPLESSO DI “COSE” APPENA DETTO; tuttavia, rimangono forze **esterne** alla psiche umana, ancorché NON “rappresentabili ‘come tali’” o “di per sé stesse” – che dir si voglia – … Quel che i “moderni” – per abitudini mentali (e suggestioni ***intrinseche*** introiettate, **strutturali** – non possono accettare sono proprio le origini “esterne” (di tali forze) alla psiche … “tali forze” sono dette “sottili” – O ANCHE “astrali” – proprio a causa di tali origini “esterne alla psiche” umana …
Vi sarebbe molto dirsi su vari punti di tal breve, agile – ma denso – libretto. Una sola qui si vuol notare, tuttavia, poiché inerente al tema trattato: ferma restando la sua critica – giustissima – alla Massoneria, si parla proprio dell’incomprensione – anche deviazione! – dei simboli in ivi, p. 72. Qui la questione dei simboli “fermati sulla pietra” si pone come un sorta d’argine rispetto a tale – gravissima – deriva. Scomponiamo il problema: il primo punto è l’alterazione, gravissima come s’è detto; tuttavia, secondo punto, anche senza quest’ultima!, **già** si era prodotto un distacco forte con i simboli stessi. Essi non “parlano” ai nostri contemporanei ormai da tanto e tanto tempo! Ma son sempre lì tuttavia … quindi non si deve andar lontano: son sempre stati lì – non visti – e chiedono l’ascolto più ancora che la visione.
Nelle cattedrali – “fermato” sulla pietra (e dentro la pietra!) – dorme un suono. Mai pensato che nella Terra stessa – così come in ogni cosa – “dorma” questo suono? … Questo dà soltanto una pallidissima idea della vastità che si apre in base a questo – mini minimo – scenario … E un giorno – assai lontano! – si sveglierà il suono che dorme nella Terra stessa …! Ne siam lontani, certo, ed oggi – sì – ci attende il risveglio d’un “suono” MENO VASTO – sì –, però altrettanto sconvolgente …
“[42] Che Amleto rimanga legato è chiaro: egli sostiene il Mulino cosmico, cioè la Rota Mundi, ormai prossima ad esser quadrata, prossima a fermarsi, liberando quelle forze che, per tanto tempo, sostennero la Rota, il Mulino. Ed il Suono delle Origines verrà liberato.
Come dice il poeta John Dryden (citato ne Il Mulino di Amleto [di von Dechend e Santillana, Adelphi Edizioni, Milano 2000 (ed. originale 1983]), dopo aver parlato della Voce Divina che accordò il Kosmos al suo nascere, parlando della fine del Kosmos in questione: “So when the last and dreadful hour/ This crumbling Pageant shall devour,/ The TRUMPET shall be heard on high,/ The Dead shall live, the Living die,/ and MUSICK shall untune the sky” (da: A song for St. Cecilia’s Day, 1687; “Musick” è la vecchia grafia). Cioè: “Così, quando l’ultima ora terribile/ divorerà questa scena cadente,/ in alto si udrà la TROMBA,/ vivranno i morti, morranno i vivi/ e la MUSICA discorderà il cielo”; si noti l’inversione tipica della fine del ciclo, che si conclude così: “The dead shall live, the Living die”. E’ il Suono che si libererà che farà “crollare” i cieli, modificando le posizioni stellari e zodiacali [NB], sinché si vedrà “un nuovo cielo ed una nuova terra”, come dice l’Apocalypsis.
La natura centrale del suono è stata sottolineata da Guénon, ed è chiaro che, nell’evento finale del ciclo, del quale il Corano dà le immagini più “lampeggianti” e folgoranti, il suono “originale” verrà liberato. “Questo ci conduce ai problemi relativi alla genesi del mondo. Studiando la mitologia delle civiltà antiche, si constata uno stretto legame tra il simbolo ed il processo creativo. La tradizione brahmanica, ad esempio, parla di un suono primordiale (il brâhman) che, costituendo il primo sacrificio, è inteso come il primo atto creatore. Questo sacrificio sonoro primordiale, che si situa nell’elemento chiamato Akasha [NB] e la cui natura è inudibile, si manifesta soltanto dopo la nascita dell’elemento aria [Mânava Dharma Shastra, I, 20 e 75-78]” (M. Schneider: Il Significato della musica, Rusconi 1981, p. 97).” (Libro Firfis, I, 42)”.
La GRANDE DISCORDANZA, dunque, che ci attende …
A – quindi – BUON INTENDITOR …
[7] Sulla forma serpentina di dette “deità” (Lari, Penati e – soprattutto – Mani) – cf. ivi, pp. 37-38.
[8] Questo punto qui “fa la differenza” – NELLO SPECIFICO – con la “fine” del “Grande Anno” precedente al presente Grande Anno. In poche parole: non sarà come “la fine di Atlantide” per dirla in breve. Sempre per: “CHI HA ORECCHIE PER” …
[9] “È noto che in ‘nubi luminose’ si abbia un’espressione tecnica per designare la divinità la cui apparizione è sempre misteriosa […]; nella discesa dell’Adamo celeste, il Vangelo degli egiziani dice: ‘Poi da quel luogo apparve la grande nube luminosa, cioè la forza viva, la Madre dei santi incorruttibili … essa generò colui del quale pronunciò il nome, dicendo: “tu sei uno, tu sei uno … ea ea ea”’”, Le Apocalissi gnostiche, Adelphi Edizioni, Milano 1987, nota finale 75, p. 100, corsivi in originale, grassetti miei. “La forza del piccolo Jao […] e l’anima del profeta Elia sono unite nel corpo di Giovanni Battista. […] Visto che voi non capivate ch’io mi riferivo all’anima d’Elia […] unita a Giovanni Battista, mi rivolsi a voi con un linguaggio chiaro”, Pistis Sophia, a cura di L. Moraldi, Adelphi Edizioni, Milano 1999, p. 46. “Non sia confuso, poiché t’ho invocato; siano confusi gli empi e si volgano verso l’Amente”, ivi, p. 97. L’ “Amente” – cioè Amenti – è l’ “altro mondo” degli Egizi antichi – in sé ambiguo (con qualcosa dello “shee” dei Celti” cioè ambivalente –, dopo il processo di cristianizzazione, è – ovviamente – divenuto soltanto un ricettacolo di demoni …