“Ho indossato la corazza trapunta di cuoio; ho impugnato stretta la sciabola; ho messo sulla corda la freccia incavata; son pronto a battermi fino alla morte contro gli Uduyt Merkiti […]. Che il fratello maggiore Toghril Khan monti a cavallo e venga, davanti al Burkan Kaldun, a unirsi all’«anda» Temucin.
Storia segreta dei Mongoli”.
M. Hoàng, Gengis Khan, Garzanti editore, Milano 1992, p. 91, corsivi in originale.
“Gengis Khan fu grande, ma, se vogliamo, la nostra guardia municipale è ancor più grande”.
G. I. Gurdjieff, Incontri con uomini straordinari, Adelphi Editore, Milano 1977, p. 77, corsivi in originale. Questo è uno fra i detti del padre di Gurdjieff (un cantore di poemi antichi, che ricordava ancora, a memoria, le strofe sul diluvio, simili al Gilgamesh), che lui ricorda: questo detto ci fa capire la natura del consenso, ci riflettano gli occidentali (se ancora possono …), a chi han dato il loro consenso, continuano a darlo, e, senz’alcun dubbio, continueranno a darlo …
[Scritto nel 2020 – cinque anni fa – e, nel frattempo, nessuna ragione di cambiamento si è palesata …]
“«Per me, non v’è alcun dubbio: fra tutte le cause delle anomalie esistenti nella civiltà contemporanea, la più evidente, quella che occupa il posto predominante, è proprio questa letteratura giornalistica, per l’azione demoralizzante e perniciosa che esercita sullo psichismo degli uomini. Peraltro son profondamente stupito che nessun ‘detentore del potere’ se ne sia mai accorto, e che ogni Stato consacri più della metà del proprio bilancio al mantenimento della polizia, delle carceri, dei municipi, delle chiese, degli ospedali ecc … e che paghi innumerevoli funzionari, preti, medici, agenti della polizia segreta, procuratori, agenti della propaganda ecc … tutto ciò con l’unico scopo di salvaguardare l’integrità fisica e morale dei suoi cittadini, senza spendere un sol centesimo né intraprendere una qualsiasi azione per distruggere fino alle radici questa causa evidente di ogni genere di crimini e di malintesi»”.
Ivi, p. 57, corsivi miei.
“La miccia che accese uno dei roghi più immani entro cui bruciarono civiltà e culture fra le più grandi del mondo, fu poca cosa, e forse prese ad ardere proprio perché era di là e di fuori dal contesto stesso di queste civiltà e culture”.
G. Mandel, Gengis Khan. Il conquistatore oceanico, SugarCo Edizioni, Milano 1979, p. 143, corsivi miei.
Questo per rispondere a chi dice: ma com’è possibile che un piccolo virus abbia potuto mettere in ginocchio un gigante come il sistema tecnologico attuale; fatevene una ragione: Size does not matter …
«I turchi sapevano tirare con l’arco, avevano frecce normali e frecce sibilanti, armature, spade.
Le loro armature erano decorate con un motivo in rilievo e sui loro vessilli spiccava una testa di lupo del coloro dell’oro. Le guardie del corpo del re erano chiamate “fuli”, cioè “lupi”, in segno di omaggio verso l’animale al quale il popolo dei turchi deve le proprie origini.
Libro dei Zhou, i turchi».
Jiang Rong, Il totem del lupo, Mondadori Editore, Milano 2006, p. 107, corsivi in originale.
«Che cosa succede se l’uccellino non canta?
Oda Nobunaga ordina: “Uccidetelo!”.
Hideyoshi dice: “Fate in modo che abbia voglia di cantare”.
Tokugawa Ieyasu dispone: “Aspettate”».
A. Fieschi, La maschera del Samurai, Edizioni Mediterranee, Roma 2009, p. 60, corsivi in originale.
“Secondo il dizionario Shouwen (200 d.C.), delle 369 specie di rettili con scaglie (come pesci, serpenti, lucertole) il capo il drago; ha in sé il potere della trasformazione e il dono di rendersi visibile o invisibile a proprio piacere. In primavera sale in cielo, e in autunno si nasconde nella acque più profonde. All’equinozio d’autunno si copre di fango, e riemerge solo in primavera. In questo modo annuncia il ritorno delle energie della natura”.
M. Sotgiu, La coda del Drago. Vita di Deng Xiaoping, Baldini&Castoldi, Milano 1994, p. 9, corsivi miei, citazione in esergo.
La coda del Drago è Cauda Draconis, uno dei due Nodi della Luna, il Nodo Sud … quello che “viene dal passato” e che ha una grande potenza, ed è anche una figura geomantica molto forte ancorché negativa …
Le strutture sociali e politiche si sono dimostrate molto deboli, quasi sull’orlo dell’implosione. Esse sono pericolanti, oscillano paurosamente, e c’è chi sogna di epoche passate. Questo ricorda quella vecchia canzone: “Sweet dreams are made of this …” (canzone degli Eurhythmics). Naturalmente, i sistemi EX comunisti – NON comunisti, **EX** comunisti, sia BEN CHIARO: oggi non esiste comunismo ed oggi non esiste fascismo; ci possono esser dei regimi **para** comunisti o **para** fascisti, ma siamo in un altro secolo e la storia NON si ripete –, i regimi EX comunisti si son dimostrati più “reattivi” delle soporifere (o comatose) democrazie; ma questo NON significa che abbiano “LA soluzione”, significa solo che sono MENO AVANTI sulla via dell’implosione, tutto qui. Qua in occidente c’è stato **il narcisismo post ’89** che ha picchiato duro: “siamo i meglio”, abbiamo raggiunto uno “stato” dove gli “altri” – per loro degli emeriti cretini – non possono che, al massimo, cercare d’imitarci, ma proprio al massimo poiché “siamo i meglio” … ed abbiamo visto! Intanto …
“L’uomo civilizzato non crede nella realtà, crede nel credere” (F. Lauvret). E questo è ancor più vero per “il più civilizzato” dei “civilizzati”: l’uomo post moderno occidentale. E finché sarà così, finché SI CREDERÀ DEL CREDERE, non nella realtà, la realtà farà “maramao” all’uomo moderno che impazzirà sempre più nel render “perfetto” quel sistema tecnico che mai potrà diventarlo, la realtà quindi gli farà, di nuovo, “maramao” – e sarà qualche particolare, sarà qualche “possibile” cui non si era pensato, infatti è chiaro che sia impossibile pensare ad ogni eventualità, ma c’è sempre il rischio –, ed è precisamente questo, la debolezza del “gigante” della tecnica, ch’è venuta fuori.
E si immergono ancor più nel “tecnottimismo” digitale spinto per dimenticare la – per loro – “terrifica” visione …
Non tutti si son così suicidati allo stesso modo nel mondo, per lo meno non nella stessa entità, in Europina c’è stato il suicidio di una civiltà, nil sub sole novum, eh.
@i
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2020/03/30-anni-fa.html
[cancellato]
Ho parlato di “usanze della steppa”, fra cui c’è il culto del cranio, sì, lo stesso degli Sciti (popolo indoeuropeo iranico), che continuava tra i mongoli e i popoli turchi, ed è riportato tra i Longobardi (popolo indoeuropeo germanico), il caso di Alboino è famoso in Italia. Perché quello della steppa non è un ethnos, ma è un modo di vita, che si è mantenuto per i secoli, ed è stato praticato da popoli anche molto diversi tra loro. Ed è un “modo di vita” che si è portato con sé una determinata mentalità ben specifica, con credenze caratteristiche, ben caratterizzate. Ma queste sono cose che gli europei hanno difficoltà enormi a capire, allora diciamo “fattore ‘X’”, vi è il fattore “X” … Il nome “Temucin”, simile a “Timur” (ferro) – come Timur-i-lenk, Timur lo zoppo: Tamerlano – allude al (suo) mestiere di fabbro: il ferro e il suo simbolismo … E qui si può rimandare al testo di M. Eliade, Fabbri ed alchimisti.
Per lui non contava il “partito”, per lui contava la natura umana …
Un link, cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2020/03/ma-tutte-le-belle-frasi.html.
«“L’umanità non regredisce e neppure evolve. Ciò che ci sembra essere progresso o evoluzione non è che una parziale modificazione che può essere immediatamente controbilanciata da una corrispondente modificazione nella direzione opposta. L’umanità, come il resto della vita organica, esiste sulla terra per le necessità e gli scopi propri alla terra. Ed essa è esattamente ciò che dev’essere per rispondere ai bisogni della terra al momento attuale. Solo un pensiero così teorico e così separato dai fatti come il pensiero europeo moderno, poteva concepire che un’evoluzione dell’uomo fosse possibile indipendentemente dalla natura che lo circonda, oppure considerare l’evoluzione dell’uomo come una graduale conquista della natura. Questo è assolutamente impossibile. Che egli viva, muoia, evolva o degeneri , l’uomo serve egualmente le finalità della natura o, piuttosto, la natura si serve allo stesso modo, sebbene forse per differenti scopi, dei prodotti sia dell’evoluzione che della degenerazione. L’umanità, considerata come un tutto, non può mai sfuggire alla natura [ed è questa pretesa che oggi si è scontrata con la realtà], poiché l’uomo agisce in conformità agli scopi della natura, anche quando lotta contro di essa. L’evoluzione di grandi masse umane è opposta alle finalità della natura, mentre quella di una piccola percentuale di uomini può essere in accordo con tali finalità”», P. D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio Editore, Roma 1976, p. 46, corsivi in originale, miei commenti fra parentesi quadre.
In effetti, non solo lo “spirito” di Jamuqa aleggia, ma quello di Gengis Khan ancor più, il primo protegge il secondo e il secondo la Mongolia: “Il decesso di Gengis Khan fu reso pubblico solo quando il corteo funebre giunse presso il grande accampamento imperiale vicino alle sorgenti del Kerülen. «Al che le spoglie mortali del Conquistatore vennero via via deposte all’interno dei vari ordos – vale a dire i palazzi di feltro – delle sue spose principali; lì su invito di Tolui, i principi, le principesse di sangue e i capi militari accorsero da ogni angolo dell’immenso impero per rendergli l’ultimo omaggio con lunghe lamentazioni. Coloro che venivano dalle contrade più distanti non giunsero a destinazione che tre mesi dopo». Lassù, da qualche parte, nella foresta … Allorché il «compianto» fu terminato, quando tutti i Mongoli ebbero sfilato davanti al feretro di colui che aveva regalato loro «l’impero del mondo», Gengis Khan fu sepolto. Aveva scelto lui stesso il luogo, sul fianco di una delle alture che formano il massiccio del Burqan-qaldun, l’attuale Kentei. Era la montagna sacra degli antichi Mongoli, quella che, nei giorni difficili della giovinezza dell’eroe, gli aveva salvato la vita offrendogli riparo nella sua boscaglia impenetrabile, quella dove lui, prima di ogni scelta importante, nei momenti decisivi della vita, era andato ad invocare il dio supremo dei Mongoli, l’Eterno Cielo Azzurro – divinità che risiede sulle cime tra le sacre fonti. Da lì sgorgavano «i Tre Fiumi» (Onon, Kerülen e Tula) che bagnavano la prateria ancestrale. «Un giorno, mentre era a caccia in quei paraggi, Gengis Khan si era steso a riposare sotto il fogliame di un grande albero isolato. Lì sostò qualche istante, come perso in un sogno ad occhi aperti, e alzandosi dichiarò che alla sua morte desiderava esser sepolto sotto quelle fronde». Dopo il funerale il luogo divenne tabù e si lasciò che la foresta lo ricoprisse fino a nasconderlo completamente. L’albero sotto cui l’eroe aveva scelto di riposare finì per confondersi tra gli altri, e oggi nessuno sarebbe in grado di ritrovarlo. E sotto quel manto di cedri, abeti e larici che il Conquistatore dorme il suo ultimo sonno. Da una parte, verso il Grande Nord, si allargano le distese sconfinate della taiga siberiana, la foresta impenetrabile, i due terzi dell’anno intrappolata nella neve e nel gelo. Dall’altra parte, a meridione, la steppa mongola srotola all’infinito le sue terre ondulate che in primavera si ricoprono di tutti i fiori della prateria ma che, procedendo verso sud, si perdono nel deserto senza fine del Gobi. Nei cieli, sfrecciando da una zona all’altra in un battito d’ali, l’aquila nera dagli occhi dorati, sovrana del cielo mongolo, emblema della carriera dell’Eroe, la cui corsa si era dipanata dalle foreste del Baikal all’Indo, dalle steppe dell’Aral ala Grande Pianura cinese. Altri conquistatori dormiranno sonni costantemente turbati dalle folle accorse sulle loro tombe a interrogare il segreto del loro destino. Lui invece riposa lassù, ignorato da tutti, protetto e celato da quella terra mongola che l’ha voluto per sé e con la quale è ormai una cosa sola”, R. Grousset, Il conquistatore del mondo, cit., pp. 327-329, maiuscoletti e corsivi in originale, grassetti miei.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2018/08/una-interessante-dystopia-proxima.html.
Dunque non è finita, per niente: siamo solo alla parte finale della parte iniziale della “crisi finale” della “fine del Kali-Yuga”. Quella in cui, proprio perché il mondo sfugge ad una (sedicente) “Terza” Guerra mondiale (nel senso di una proiezione delle vicende della Seconda Guerra mondiale sulle vicende attuali, perché, se ci possono essere delle analogie tra la “terza guerra mondiale” però “a pezzi” ed eventi passati, le analogie ci sono con la Prima Guerra mondiale, non certo con la Seconda), il sistema s’inceppa. Non nel senso che si ferma, tuttavia. A livello minore, “sociologico” e non “cosmico”, la temperie attuale alcuni l’han vista “in tempi non sospetti”, come suol dirsi, cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2019/04/il-crollo-delle-democrazie.html.
La data di quest’ultimo post era … esattamente sei anni fa! Le democrazie si stanno svuotando.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2018/08/in-attesa-di-peste-terremoti-eccetera.html.
Lo scopo è, cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2018/08/una-interessante-dystopia-proxima.html.
Fatevene una ragione, non siamo in grado di “evitare” questo: siamo in grado di prepararci, di pensare “oltre” questo momento, d’inserirlo in un quadro più vasto che ci farà comprendere come non possa che fallire. Scusate s’è poco. Nessuno è in grado di offrire queste tre cosettine, oggi. Ma, per fare queste tre cose, c’è un pagamento da effettuare, prima … Voglio dire: non sono cose a costo zero. Devi cambiare il tuo modo di pensare cosa tutt’altro che facile, nel concreto della situazione attuale, non certo “a tavolino”, dove siamo tutti bravi: “Parlare di tori non è lo stesso che stare nell’arena”, dice un proverbio spagnolo … Il mio proverbio preferito nella vecchia community, chiusa nel 2008. Se qualcuno ha un po’ di buon senso, ancora, deve dunque fare due più due fa quattro: il “R. A.” è questa distopia, che non può che fallire, che sarà portata però avanti dall’unione con la “condivisione” … ed il “‘vangelo’ della ‘condivisione’” NON potrà NON avere un brillante futuro prossimo a fronte di problemi giganteschi, che la tecnica non potrà che render ancor più irrisolvibili nel mentre che sembri risolverli: sembri …