sabato 6 marzo 2021

Recensione a: L. Sangalli, “L’Arte dello spettatore: L’essere umano nell’incontro con l’opera d’arte”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Recensione del libro di:

L. Sangalli, L’Arte dello spettatore: L’essere umano nell’incontro con l’opera d’arte, Amazon 2021 (1 marzo 2021), link cf.

https://www.amazon.it/LArte-dello-spettatore-Lessere-nellincontro/dp/B08XY43SDV/.

 

 

 

 

Si vede che sono riflessioni che l’autore ha “covato” da tempo: l’opera d’arte come “sottomondo” creato che chiama alla “sospensione del giudizio” e, dunque, pare come l’opera del demiurgo, opera del demiurgo che la mente umana accetta come fosse “la” realtà quando, al contrario, è una costruzione (costruzione cosmica, tuttavia); l’intuizione che nasce dalla sospensione del giudizio, l’ “epochè” (la quale a sua volta è precisamente l’operazione della sospensione del giudizio); l’io che s’identifica con il “pensare”, quando l’io non è affatto tale, cioè io solo “pensare” (ad esempio, il “cogito” di Cartesio [*]), e, last but not least, l’arte come possibilità di liberazione dalla schiavitù, o servitù, del (al) filtro spazio temporale che “asserve” l’ “io” profondo, io profondo che non è affatto l’io superficiale, quest’ultimo identificantesi con la mente e il desiderio-forma, col nama e il rupa, il “corpo” del desiderio venendo detto, più precisamente, il kamarupa.

Mi pare tutto ciò si evinca con grande chiarezza. Peraltro ben strutturato e legato da un filo chiaro.

 

Personalmente, come osservazione, direi questo: ciò di cui l’autore parla, in particolare seguendo Grotowski [**], tra l’altro, è la rappresentazione che lascia sempre sussistere una differenza fra l’ “io” e la “cosa” rappresentata, con possibilità di “identificazione“ dell’ “io” nel mondo creato dall’artista - il “subcreatore” chiamava Tolkien l’artista [***] -, cosicché lo spettatore, guardando lo spettacolo, sia spinto a guardare sé, il “guardarsi” che è lo Specchio di Dioniso, ma non quello di Narciso, punto decisivo. Non a caso “lo Specchio di Dioniso” venne ricordato da G. Colli in relazione agli scritti di F. Nietzsche ed anche alle incomprensioni che lo stesso Nietzsche dimostrò del teatro greco, pur nella sua certa comprensione, invece, del “meccanismo” fondamentale: cioè che il teatro greco faceva riferimento ai Misteri greci. (Questo legame fra teatro e “Mysteria” è precisamente il messaggio centrale, infatti, de La nascita della tragedia, di Nietzsche).

Ora tutto ciò, questo rispecchiarsi che dovrebbe generare consapevolezza, si evince bene, nel testo, ma il punto centrale del nostro presente, oggi, è che noi siam passati da un mondo dominato dalla rappresentazione - che lascia(va) sussistere una “distanza” fra l’ “io” e ciò che si rappresenta - e la simulazione, l’immagine, auto referenziale, dove l’ “io” non ha distanza dalla cosa, né percepisce la distanza, men che meno la ricerca, una volta che si sia, come dire, “accostumato” e, aggiungerei, “adagiato” nel mondo dove domina la simulazione, simulazione che lo spettatore prende come “il” mondo.

Di conseguenza, in detto sistema, l’ “io” non può esser fatto “tornare in sé” [****], che poi - il “ritorno a sé stessi” - è la Magna Clavis di tutto ciò che è “tradizionale” in senso proprio (quello di Guénon, non nel senso alterato di oggi, “l’identità”, il “ritroviamoci” ed altre amenità “hyper borghesi”, come le chiamo), ed iniziatico in senso stretto.

L’identificazione che la simulazione “propizia” - “simulacrum” = immagine - ha qualcosa di diabolico, manca il secondo effetto; cioè da “ciò che si vede” (la “rappresentazione”, appunto) andar verso il “tornare in sé”, ecco il “secondo effetto”, e tal secondo effetto manca nella simulazione [*****]. Manca perché la simulazione tende ad occupare tutto: essa non lascia spazio: essa è, in altre parole, auto referenziale, mentre la rappresentazione - per definizione - rappresenta un “altro” finché, al suo culmine, rappresenta “l’ Altropar excellence, che, tra l’altro, dovrebbe essere lo scopo della vera Arte, con la maiuscola. Dell’Arte l’artigianato è una parte: l’autore distingue giustamente, più volte, le due cose, ma un vero artigianato rimane sempre centrale. Difatti, l’autore li distingue, ma non li separa: questo è un passaggio cardine del suo testo.

Un artista è anche, prima, un artigiano, “arti-Giano”, bifronte come il dio antico ... In altre parole: se il vero artista è - sempre - anche un artigiano, l’inverso non è sempre vero, invece.

La vera Arte in realtà è “Il” mondo che “Si” attua hic et nunc, è la “subcreazione” che segue “la” Creazione, che, cioè, rappresenta - va sottolineato - la Creazione in un piccolo cosmo (microcosmo) creato, microcosmo che, a sua volta, è “temporalizzato”, ha cioè inizio e fine, però apre uno squarcio nella trama delle apparenze, facendo vedere “ciò che sta oltre” (le nuvole); detto altrimenti: le nuvole si squarciano. In altre prole, così facendo, esse (le apparenze) rivelano la luce che le illumina e che, però, esse velano: per questo l’Arte vera può portare oltre la Creazione, rimanendo nel, e partendo dal mondo della Creazione. Non è “ascesi” ma è “ponte”.

Mi pare l’autore lumeggi tutto ciò bene.

 

Nell’epoca della simulazione, l’epoca delle immagini che si riferiscono solo a sé stesse, autonomizzate come in una “magia nera” (Baudrillard) che è anche “il delitto perfetto” [******] - “l’auto referenzialità totale”, la chiamo, il sogno (incubo) della “digitalizzazione totale” che, ormai, è succeduta definitivamente alla “mobilitazione globale” (Jünger), vintage e novecentesca -, in quest’epoca riportare al centro la natura creativa della rappresentazione non è senza senso. Guardando lo spettacolo lo spettatore si guarda dentro. Questo è il punto decisivo. Guardando una simulazione - sempre più precisa e “realistica” (dunque sempre più falsa) - del cosiddetto “reale”, al contrario, lo spettatore si allontana sempre più da sé stesso, per perdersi nell’immagine, cioè nella simulazione. Tanto più egli crederà che ‘immagina sia vera, tanto più cadrà nel falso. Una logica davvero “diabolica”, direi ...

Possibilmente lo spettatore “ritorna in sé”, dunque, in una rappresentazione tanto più quest’ultima - “symbolicamente” - si rifà dunque al più vasto tutto del qual tenta di essere “micro-cosmo”, mentre l’ “anti-magia” della “simulazione” spinge alla “perdita del sé” nella cangiante, solo apparentemente “libera” e “fluttuante” (ma oh quanto ferrea!, oh quanto necessitante!) “mutazione” (genetica) della totale identificazione col mondo simulato. Mondo che, alla fine, prende - di fatto - il posto del mondo “ex” reale ...

Ringraziamo l’autore per le interessanti considerazioni cui può condurre il suo libro.

 

 

Andrea A. Ianniello

 

 

 

 

 

[*] Cartesio è stato tra coloro i quali più han contribuito - senza, naturalmente, aver “provocato” - alla scissura che avrebbe condotto all’evocazione delle forze dalla dimensione inferiore. (Non ancora “infera”, perché “infera” è altra cosa ... tutti questi “lovecraftiani”, amanti del cosiddetto genere “horror” e cose simili, tutti questi della cosiddetta “lunatic fringe”, non fanno che confonder l’inferiore con l’infero; certo che c’è qualche legame, ma che grosso errore confonderli, peggio ancora: identificarli!, il mondo può degenerare quanto vuole, le società implodere senza fine, ma ciò non è, ipso facto, l’ “evocazione” delle forze realmente infere ... va detto, tutto ciò, a chiare lettere: che orribile epoca, quella della “fine”, dove non combattono le spade, ma i foderi, dove le immagini delle cose sono più forti delle cose stesse, l’epoca dei fantasmi e, come amo spesso dire, “fan più danno i fantasmi delle cose stesse”.)

 

[**] X. Grotowski, Per un Teatro povero, Bulzoni Editore, Roma 1970.

 

[***] J. R. R. Tolkien, Albero e Foglia, Rusconi Editore, Milano 1976 (seconda ed. 1988), cap. “Sulle fiabe”, che meriterebbe un commento più lungo, ma qui lo si cita solo per l’espressione di “subcreatore” riferita all’uomo tout court. Queste sono le “premiate” storiche edizioni Rusconi d’un tempo.  

 

[****] Parlando di al-Fârâbî, e del suo testo Gemme della sapienza, un noto studioso di filosofia islamica scriveva: “E’ possibile [...] constatare che la terminologia del sufismo si trova un po’ dappertutto nell’opera di Fârâbî; inoltre, anche al di fuori delle Gemme troviamo un testo che riecheggia il famoso racconto dell’estasi plotiniana nel libro della Teologia («Sovente, destandomi a me stesso ...»)”, H. Corbin, Storia della filosofia islamica, Adelphi Editore, Milano 1973, I. Dalle origini alla morte di Averroè, p. 165, corsivi in originale. La frase di al-Fârâbî, citata da Corbin, è una perifrasi dell’estasi di Plotino come descritta nell’apocrifo di Aristotele intitolato Teologia (“detta di Aristotele”, per l’appunto, peraltro un testo molto apprezzato in tutto il Medioevo ed anche dallo stesso Federico II d Svevia ...). 

“Risvegliarsi a sé stessi” è una cosa grande, quel “risveglio”, quasi una “seconda nascita”, e non sono queste cose per “uomini contemporanei” ... L’uomo contemporaneo, in effetti, non ha proprio alcun interesse alla consapevolezza: l’uomo contemporaneo parla, il mondo “è” (presunto essere) la sua “parola”, cioè la sua opinione, la sua doxa, sì, quella che tanto Platone detestava ... Noi viviamo, infatti, nel mondo della “doxacrazia”, dove domina l’opinione (almeno in apparenza: poi, può venire “la voce del padrone” e ... strano!, tutti in riga!) divenuta “doxamania”, come la chiamo ... Se tu “credi” - o sei indotto a credere, ma, non avendo alcun “filtro”, per te quell’induzione “è” la “realtà - se tu “credi” che la tua opinione sia il mondo, ergo stai vivendo in una “immagine” del mondo stesso, e cioè un’immagine che oggi non può essere che digitale, dunque agente come tale in un sistema di per sé autonomo: tutto ciò si chiama simulazione ... Video ergo (non) sum ... Ma la fede, in realtà, è un’ altra cosa. In linea generale: non capirà mai la filosofia antica, come quella medioevale o le filosofie orientali, anche quelle “negative” (perché partono dallo stesso assunto di base), chi deduce il “sum”, cioè l’essere, da una qualsiasi altra cosa, che sia il “cogito” cartesiano, o la “vita” nietzschiana, o il “video” del narcisismo contemporaneo, poiché l’essere non è una categoria “deducibile” (neanche dalle tasse ...!), mentre tutte le altre “categorie” possono essere “dedotte” dall’essere.

Il “risveglio” è - sempre - un “destarsi” dal sonno” ...

 

[*****] Rimando alle riflessioni di J. Baudrillard a tal proposito, ancor oggi mal intese. O del tutto non intese ...

 

[******] Cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2021/03/il-cosiddetto-reset_45.html,

laddove - in tal link - si parla di chi usa l’espressione di “delitto perfetto” (Baudrillard) in relazione al cosiddetto “Reset”, quando le due cose non c’entrano affattoIn ogni caso: al tema della simulazione si è dedicati molti post nel blog.

Massima incomprensione si vede oggi di tali cambiamenti - peraltro già successi - proprio dai sedicenti “alternativi”, che si chiamino “sovranisti”, “complottisti”, “negazionisti” o altri “isti” di qualsiasi genere: sono delle sigle, alla fin fine, ognuna ribadendo la vecchiezza suppurante, polverosa, libresca, delle loro visioni sostanzialmente novecentesche: il Novecento è finito. Per sempre.

La potenza della tecnica ha reclamato alla fine del sec. XIX il dominio del globo; e l’ha ottenuto alla fine del sec. XX. Il XXI è figlio del XX, per quanto tenti di voler tornare al XIX. Piuttosto, mi concentrerei sulle “falle” del mondo hyper tecnologico (evidenziatesi nel corso della pandemia), mondo che però continua nel perseguire la via della “digitalizzazione totale”, cioè il “nuovo” (si fa per dire ..., non è “nuovo” affatto!) totalitarismo da XXI secolo, ben diverso da quelli del sec. XX e che non può analizzarsi meramente proiettando le categorie del secolo passato, il quale - va ribadito - ha dato contributi notevoli all’analisi di quanto allora era proprio agli inizi, ma tali contributi non son stati davvero recepiti. E continuano a non esserlo, il che non è grave, ma è peggio. Di qui l’attardarsi - ma pure questo è simulazione (It’s simulation baby!) - al “voler uccidere un uomo morto”, come dice la famosa frase ...

 

 

 

 

 

PS. 1 Spieghiamo bene qui perché la simulazione solo in apparenza è “libera”, quando la “grancassa” dice che siamo nel mondo più “libero” che ci sia mai stato e che ci sarà mai. Siamo in una simulazione di libertà perché tutto funziona con un codice, peraltro artificiale, dunque chi ha il comando sul codice ha il comando su tutto. E nessuno può alterare il codice stesso, basato sull’ “identità”, cioè non più A>B>C, ..., ecc., ecc., ma: A = A.

 

PS. 2 Lo “Specchio di Dioniso”. In primo luogo, sul soggetto: “Non è il soggetto che crea la realtà. non è il cogito a creare il sum, perché ogni rappresentazione contiene il soggetto, ma non è creata dal soggetto”, G. Colli, La ragione errabonda (Quaderni postumi), Adelphi Edizioni, Milano 1982, p. 355, corsivi in originale. Ed ecco perché, nel mondo moderno, tutto viene “psicologizzato” e “soggettivizzato”, il “soggetto”, poi, identificandosi - del tutto proditoriamente, peraltro, perché il “cogito” cartesiano conservava degli aspetti non individualistici, con l’individuo “liberale” cosiddetto, ha dato luogo al mondo delle masse, paradosso del tutto - e solo - apparente: si giunge così al narcisismo ed all’ “infodemia” della “doxamania” contemporanea; ed ecco perché, oggi, non riescono proprio a capire che cosa sia l’autonomizzarsi delle simulazioni (digitali, e qui rimando a quanto scritto, e da me citato, di J. Baudrillard: “prendono per vero” un mondo costruito, di qui la totale incomprensione di cosa sia davvero “il delitto perfetto”, di cui parlava, tanti e tanti anni fa, Baudrillard). Per loro sono tutte cose “psicologiche”, gli è del tutto estranea l’idea di forze autonomizzantesi, ma ciò a causa del punto di partenza errato: che le rappresentazioni sino unicamente soggettive: non è così.

Venendo, poi, precisamente allo “Specchio di Dioniso”, di cui parla Colli nel testo appena citato: “Il mondo che si offre ai nostri occhi quello che tocchiamo e quello che pensiamo, è rappresentazione, come da Parmenide (e dalle antiche Upanishad) in poi ha compreso ogni filosofo serio. Su questo si può tagliar corto. Ma il mondo è rappresentazione in quanto viene subordinato alla categoria della relazione [...]. Poiché la rappresentazione non ha sostanza, è una semplice relazione, un rapporto fluttuante tra due termini — [...] soggetto e oggetto — di volta in volta mutevoli, [...] come appunto si addice alla definizione aristotelica di relazione, per cui ciò che in una rappresentazione è soggetto diventa oggetto in un’altra. Se vogliamo considerare il mondo come sostanza, [...] dovremo cercare qualcosa [...] di cui è sostanza. In tal caso il mondo è sostanza in senso categoriale, che esprime qualcosa di sottratto alla sensazione e al pensiero. In generale, il mondo, come sostanza, è un’ espressione di qualcosa d’ignoto. Il mondo quale noi vediamo è ciò che esprime l’essere di qualcosa di nascosto”, ivi, pp. 428-429, corsivi in originale. Il primo “contatto” con la cosa è lo “Specchio di Dioniso”, appunto: “In origine il primo nesso, quello tra contatto e ricordo primitivo, è lo specchio di Dioniso, o primevo legame di giuoco o necessità”, ivi, p. 426. Si tratta, secondo Colli, della prima alternativa: il gioco (dei dadi, “Dioniso gioca dunque a dadi”) o la necessità, cioè gli scacchi, per esempio. Ancora, parlando dei simboli orfici, originari, antichi, di Dioniso, oltre ai “dadi, che accennano ancor al giuoco, come principio metafisico”, ivi, p. 413, Colli giunge a parlare del “simbolo essenziale, lo specchio. Guardandosi in esso, Dioniso si vede moltiplicato. Il mondo dell’apparenza non sorge per una creazione, ma per un mutamento di prospettiva. Lo stesso Dioniso universale, unitario, appare a se stesso come molteplice, come moltiplicato all’infinito. Prima che la filosofia cominci a parlare, in Grecia già appare il suo risultato teoretico più essenziale: il mondo che vediamo attorno a noi si rivela come puro rispecchiamento, cioè come rappresentazione”, ibidem, corsivi miei. Gli scacchi sono il gioco della necessità che prende il sopravvento sulla “libertà” cioè sul “gioco”, secondo Colli. A tal proposito, cf. T. Burckhardt, “La volontà e il destino nel gioco degli scacchi”, in L’Illustrazione Italiana nuova serie, anno 1 n. 2, dic. 1981 - genn. 1982, pp. 90-92.

Per riassumere, la rappresentazione, in realtà, è quindi un rispecchiamento, e l’arte vera è tale quando consente allo spettatore un tal processo di rispecchiamento. La simulazione, invece, non consente alcun processo di rispecchiamento, ma solo di proiezione dell’immagine (cioè del “simulacro”) e di proiezione indefinita. Questa detta “immagine-simulacro” non rispecchia lo spettatore: rispecchia l’immagine! Sta tutto qui il punto vero. Il punto decisivo. Che la simulazione possa dunque avere un ruolo “liberante” conta fra le allucinazioni pure, trattasi anch’essa d’una immagine. Falsa, ed ecco il falso radicale, quanto l’immagine - autoreferenziale - si mostra come “vera”. Si pretende come vera ...

 

PS. 3 Voglio qui sempre ricordare, di Baudrillard, due brevi, ma fondamentali, testi: 1) All’ombra delle maggioranza silenziose o la fine del sociale (1978, ma ripubblicato, assai opportunamente, nel 2019, e vi è una recensione parziale su questo blog): 2) Dimenticare Foucault (a mia notizia non ripubblicato ma dello stra lontano 1977!, tuttavia rientrato paradossalmente in attualità con la pandemia, e citato stavolta non precisamente, ma qua e là, sparso, in qualche vecchio post, oltre che negli scritti nel (primo) lockdown oggi non più presenti su questo blog).   

 

 

 

4 commenti:

  1. Errata Corridge: qui sopra, la nota [**], dove va corretto J. Grotowski, e **non** X. Grotowski, segnalo quest’errore di battitura, dove “J.” sta per: Jerzy.
    Per la completezza: Jerzy Marian Grotowski.

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  2. Allora L. Sangalli, “UNO” (2014), cf.
    https://vimeo.com/196858075

    Anche ID., “Finis Gloriæ Mundi” (2012), cf.
    https://vimeo.com/195198494

    Ho collaborato ai testi in ambedue i filmati.






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  3. Inoltre una parte del testo qui sopra recensito può leggersi online, cf.
    https://www.academia.edu/45625070/LArte_dello_spettatore_Indice_Premessa_e_Parte_1_






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    1. Anche cf.
      https://www.academia.edu/39988588/Pasolini_e_lo_sguardo_del_Poeta_Uno_studio_sul_film_Che_cosa_sono_le_nuvole_1968_






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