Si è svolta ieri, nel Bar La
Chimera (di Caserta), il ricordo dei 790 anni della Crociata di Federico II,
sulla quale vi è stato un precedente – breve – post.
Son intervenuti: Enzo de Rosa, coordinatore dell’associazione Liberalibri,
ormai al venticinquesimo anno d’attività; poi A. Ianniello, A. Omaggio, P.
Broccoli. Son seguite, alla fine, domande ed osservazioni conclusive.
Il coordinatore
dell’associazione Liberalibri iniziava ponendo il problema e ricordando che la
Crociata di Federico II, la VI Crociata, si svolse senza spargimenti di sangue;
ha, poi, ricordato il professor Matteucig, dell’Università Federico II
(Napoli), che, essendo di confessione ortodossa e d’origine greca, “sentiva”
molto la problematica in questione. L’intervento si chiudeva con una domanda:
come può un evento di ben 790 anni fa aver dell’interesse per noi, oggi.
Seguiva l’intervento di
chi scrive, introduttivo. Avevo deciso di dividere in tre parti la mia breve allocuzione, solo e soltanto
introduttoria.
La
Crociata (dello “scomunicato”). In primo luogo, cerchiamo di
comprendere il contesto in cui
avvenne la Crociata, iniziata – formalmente parlando – nella festa di San
Pietro e Paolo del 1228, appunto, come ricordato, ben settecento novant’anni fa.
Ho ricordato la promessa, che fece Federico secondo al predecessore di Gregorio
IX, il Papa che lo scomunicò, e cioè ad Onorio III, di portare avanti una
Crociata, e il suo svicolare o non prenderne le dovute conseguenze, per molti
motivi, sui quali non mi sono diffuso.
Quando però, poi,
Federico II, essendo stato scomunicato, decide comunque di portare avanti la
Crociata lo fa, di fatto, senza l’avallo papale: ed ecco il problema! Di qui tutte le deduzioni: Federico II non era
contro l’idea di Crociata, dato che, oltre a fondare l’Ordine Teutonico, egli
iniziò il drang nach osten – certo,
senza sapere che poi ci sarebbe stata la Prussia!, ma ciò rimane – né si può chiamare una Crociata “pacifista”, piuttosto meglio
sarebbe dirla “diplomatica”, ma è altro
problema. No, non si può proiettare il presente nel passato. Il problema, il
nocciolo era proprio chi dovesse indire la Crociata, il problema era l’origine,
il problema era – sempre, la sovranità, e chi dovesse “dettar legge”,
come recita il sottotitolo di un recente libro, cui rimando chi fosse
interessato ad approfondire (un blog non può che esser una serie di “flash” o
solo salvarsi del materiale, altrimenti perduto). Ho poi ricordato, brevemente,
con una serie di flash ed esempi pratici che cosa fosse il dominio feudale,
quali le differenza stesse che aveva Federico nel comportarsi nel Regno di
Sicilia ed in Germania, che una cosa era l’esser Rex Germaniae ed altro Imperator
dei Romani, incoronato a Roma dal Papa stesso. Tutte cose magari ben note ai
cultori o specialisti di questi temi, non altrettanto
Federico
II (e
la modernità). Altro anacronismo è quello di aver voluto fare di Federico II un
antesignano dello stato “laico” o “rinascimentale”, anacronismo riflesso delle
lotte ottocentesche contro la Chiesa cattolica; sia detto en passant: tra l’altro,
lo stato “rinascimentale” tutto era fuorché “laico” come s’intenderebbe oggi.
come sempre, si proietta il presente nel passato,. certo, alcune radici sono
nel passato, ma da quelle radici non era detto necessariamente ci potesse
essere un solo sviluppo o esito. Ho poi ricordato che il dominio “temporale”
della Chiesa, inteso come Stato della Chiesa, fosse quasi una necessitò per
quest’ultima, per lo meno in una certa epoca, qualsiasi ne fosse stato poi l’esito
in un’epoca seguente. E che comunque il problema era la sovranità, in un mondo dove il
potere poteva venire solo da Dio. Non vi poteva esser il “potere dal basso”,
dal “popolo”, attribuire pensieri del genere a Federico II è semplicemente
risibile. Tra l’altro, mai e poi lo svevo “’mperadore” si sognava, ma nei suoi
sogni più remoti, di rimettere in questione l’autorità papale, per lui assolutamente
legittima. Il punto era che l’origine
del potere anche dell’Imperatore era da Dio: questo era l’oggetto del contendere, cosa che ho sottolineato più
volte nella maniera più – spero –
incisiva, per non cadere nei soliti errori della modernità, nella solita proiezione
del presente nel passato, che oblia la differenza di epoca. Gli uomini del
passato, soprattutto di ben quasi ottocento anni fa, non ragionavano come gli
uomini di oggi: questo è un semplice fatto, di cui prendere atto.
L’
“Imperium”. Dietro vi è il gran problema, quella “divisione
al vertice”, così caratteristica, ed unica, della Cristianità medioevale, per
cui l’Imperatore derivava il suo potere da Dio ed anche il Papa, e che il Papa,
sì, aveva un qualcosa in più, però – anche secondo Dante (nel De Monarchia)
– se aggiungeva qualcosa, non era la
causa dell’ origine di quel potere,
che, poi, era l’oggetto vero della contesa
fra Papa ed Imperatore.
Sullo stato moderno:
una particolarità di Federico II fu, senza dubbio, il chiamare una parte delle
borghesie locali – per esempio, a Capua Pier delle Vigne
- nella gestione della cosa pubblica generale, fuori dal “borgo” di loro
competenza, ma ciò, di nuovo, è
ben lungi dallo stato “laico” ottocentesco, sia per la semplice ragione che non est potestas nisi a Deo, detto
paolino,
ed è la ragione che allontana in modo
decisivo Federico II dalla “nostra” epoca presente, quella della crisi della democrazia e della rappresentazione; sia perché, se
mai Federico II fu precursore, non lo fu certo dello stato “laico” bensì dei
quello della prima metà dei tempi moderni, il sistema signoril-feudale che seguì
a quello feudale-curtense.
Ha fatto seguito l’intervento
di A. Omaggio, che si diffondeva sul concetto di Crociata, seguendo l’ultima
storiografia, revisionista in senso buono (historia
semper revidenda), per cui l’ “eccezionalità” della VI Crociata forse nasce
dalla proiezione di un concetto posteriore di Crociata, che ha tentato
di unificare fenomeni differenti. La “crociata” non è il jihad, infatti:
l’idea nasce dal pellegrinaggio per, poi, diventare pellegrinaggio armato e “crociata” vera e propria, e
questo in mille sfumature diverse, neanche uguali per ogni Crociata: per
esempio, la IV Crociata vide in Costantinopoli il “nemico” quasi più che nell’ “islamico”,
allora forse la dicotomia “cristiano versus
islamico” non è poi così adatta a render conto del fenomeno nella sua variegata
manifestazione. In questo, non si può che esser d’accordo con lui. Il legame di
Federico II con il mondo islamico derivava dal passato normanno, in sostanza,
forse in altre parti d’Europa esso era di scandalo, ma non nel mondo
mediterraneo. Tale legame non implicava proprio nulla dal punto di vista
religioso, esso era più culturale che religioso. Federico II non fu mai un “cripto
islamico”, insomma, e su questo non gli si può dare che ragione.
Ha ricordato tanto S.
Tommaso che S. Agostino, ma, soprattutto,
il De laude novae militiae ad milites
Templi di San Bernardo di Chiaravalle,
dove si parla del fatto che è bene liberare l’Europa di tanta gente che faceva
solo turbolenza e portava una guerricciola continua: erano soprattutto i figli
cadetti delle famiglie aristocratiche esclusi dall’asse ereditario, secondo il
sistema feudale franco che privilegiava il primo nato. Sia detto solo en passant,
ma il sistema longobardo, che seguiva il diritto consuetudinario germanico,
divideva in parti eguali i feudi e le eredità, in questo provocando solo lotte
intestine senza fine.
Per finire, l’intervento
di Paolo Broccoli, che ripartiva proprio da queste osservazioni di Omaggio,
sottolineando come alle Crociate partecipassero anche i regnanti, e cioè che,
da fenomeno d’origine legato ai pellegrinaggi, divenne l’espansione dell’Europa,
da non dimenticare, aggiunge, che quella è l’epoca della “nascita degli stati ‘nazionali’”,
tra l’altro. Inoltre, il processo della Crociata continuò sino a Lepanto, e
siamo in un’epoca in cui le borghesie erano state integrate negli ordini
monarchici, anche questo va contro le interpretazioni più note.
Inoltre la figura dell’
“islamico” era ben nota nel Mediterraneo, che riusciva ad esser un “mare di civiltà”
molto più di oggi, senza contare la koinè
che aveva l’Europa cristiana dell’epoca con il mondo islamico dal punto di
vista filosofico e tecnico, ma non
da quello religioso. Piuttosto, fu Lepanto a segnare una spaccatura, piuttosto
la modernità segnò una divergenza, dal punto di vista storico, e le tendenze “integraliste”
non sono che delle risposte alla modernità che aveva reso marginale il mondo
islamico. Risposta caotica e confusa, però, cui fa da sponda un’Europa del tutto
incapace di sapere chi è, quindi anche la diplomazia oggi ha dei limiti
fortissimi, sia interni all’Europa e all’Occidente, “se si può ancora chiamare
così” aggiunge Broccoli, sia nel mondo islamico, frantumato in mille rivoli, per
cui manca un interlocutore, nel senso che ce ne son troppi e confusi. Due mondi
in stato di crisi profondissima
cercano una interlocuzione che non esiste: per questo il Mediterraneo è mare di
divisione ben più oggi che all’epoca
di Federico II, ed ecco il legame col presente che chiedeva Enzo de Rosa all’inizio.
L’Europa, com’è oggi, è
del tutto incapace di proporre
delle vie, anche diplomatiche, di risoluzione del problema del Vicino e Medio
Oriente, ha poi aggiunto Broccoli.
Tutto ciò si unisce
alla crisi della democrazia come modello, ben più profonda di qualsiasi cosa di
simile si sia vista in passato.
Su questo, Paolo
Broccoli è stato chiarissimo: la sovranità – ha giustamente ricordato che su
questo tema fra noi si è dibattuto spesse volte, sul blog le tracce (anche
quest’incontro, dietro aveva questo tema) – la sovranità “dal basso” e “dal
popolo” è “una pura formalità”, per riecheggiare un titolo di noto film. Non può
esser che così, la sovranità dal basso è pura teoria, altro che la sovranità
dall’alto, e lotte intestine su questo tema, che poi era l’oggetto vero del
contendere, come da me spiegato su, e non
certo la lotta fra uno stato “nazionale” – magari “germanico” – che sarebbe
stato quello di Federico II, contro un “universalismo” papale. Al contrario,
ribadisco, quel che accade fu che la “lotta al vertice”, fra i due universalismi,
aprì lo spazio per i particolarismi di regni, dinastie, città libere, ed iniziò
così la Grande Espansione dell’Europa, oggi al
termine. Questo lo ribadisco io:
quell’epoca, quell’espansione è finita. Per
sempre. Se ne “faccino” una ragione, se possono, lor signori.
Vi erano, poi, una
serie di domande, di obiezioni, ed anche delle osservazioni.
Ne ricordiamo una: relativa
al “popolo” e alla democrazia che dovrebbe poi esser “diretta” e senza
intermediazioni. Tra l’altro, molto significativo di un “clima” mentale che sia
venuta fuori questa domanda.
I corpi intermedi, e la
loro centralità, sono stati ricordati sia da Broccoli che da Omaggio. Infatti,
la crisi della democrazia nasce dalla fine di questa intermediazione, che è la “rappresentanza”
(sulla cui crisi s’è detto varie volte in questo blog). Paolo Broccoli
specificava ancor più la cosa: oggi è l’individuo al centro, non vi son limiti,
questo fa da supporto alla dominanza dell’economia come unico sistema di
riferimento. Insomma, è l’individuo über
alles, come amo dire. Su questa via, è chiaro che può esserci solo la dissoluzione del legame sociale,
aggiungerei io.
Per finire, Enzo de
Rosa chiedeva delle conclusioni, per tornare allo stimolo iniziale: che significato
possano avere per noi, oggi, queste cose.
Qui l’ordine di
risposta era diverso: ha iniziato Omaggio e poi Paolo Broccoli, traendo spunto
da una domanda sulla storia della Chiesa, se cioè avesse potuto essere diversa,
ambedue trovandosi d’accordo, seppur da due versanti diversi, sul fatto che la
storia prende atto di quanto avvenuto, ed è questo il punto decisivo, comunque
sia successo. La cosa importante si è che in ogni caso essa generi conseguenze,
aggiungeva Omaggio, che quindi ogni evento del presente in ogni caso si
comprenda come ricollegato, come conseguenza, voluta
o non voluta!!, con quanto accaduto
nel passato: ecco il punto, da ricordarsi in modo particolare nella “nostra”
epoca, che si pretende auto-cefala ed auto-generata, nata dal cervello di Giove
come Minerva, quando così non è affatto.
Paolo Broccoli
aggiungeva il riferimento a Machiavelli che, quando leggeva i Classici, si
vestiva nel suo modo migliore, e diceva di sperare di essere alla loro altezza,
cioè d’imparare da loro, a risolvere, però, i problemi del presente. Insomma,
ad avere la loro stessa grandezza, ma non ripetendo pedissequamente, invece applicando
la loro lezione ai tempi in cui si vive.
Terminava chi scrive,
e, dopo essersi dichiarato d’accordo con ambedue i relatori precedenti,
riportavo il focus al tema principale. Qual è la specificità della VI Crociata,
non certo l’esser contro l’idea di Crociata, men che meno il “pacifismo”, e
fermo restando che l’oggetto della contesa era ben altro, un oggetto difficile
a far comprendere nei “nostri” tempi.
La specificità, a mio
avviso, sta in questo: che per la prima volta, facendo un accordo diplomatico
all’ interno di una Crociata, “l’altro”
vien riconosciuto politicamente,
attenzione non culturalmente, che
questo (come ricordato da Broccoli su) già c’era, il riconoscimento culturale
già c’era. Ma “l’altro” come un soggetto politico col quale discutere, in una
Crociata che aveva fra gli scopi di sconfiggere o almeno scacciare quel nemico
con modalità di guerra e non diplomatiche, davvero è una particolarità, purché
non si trasformi Federico II in un alfiere del “dialogo” interreligioso, che è
una cosa del Novecento.
Comunque una interessante
pagina: dopo più di settecento anni,
Federico II fa ancora parlare di sé …
PS.
Qui Dugin
– e il “sovranismo” alias il risorto
(mai morto) nazionalismo – vale a
dire la negazione dell’universalismo
medioevale, pur quest’ultimo essendo minato,
come s’è detto, dal conflitto “al vertice” fra i due universalismi, attenzione:
universalismi, quello del Papato e
quello dell’Impero.
Per ora, solo alcune
annotazioni brevi. Segnalando gli errori di Dugin: il “mito rinascimentale”
riferito all’Italia – nulla di più lontano dall’Italia così com’è –, oppure
l’enfasi sulla “cultura” (e qui rivale la stessa osservazione detta sul “mito
rinascimentale”). Tra l’altro, fa parte della cultura russa il mito della
“forza” (riferito alla Russia, ovvio); Putin ha capito che questo era il punto:
la fine del sistema comunista comportava un indebolimento della Russia che ogni
buon “russo della strada” trova detestabile, “a pelle”: lui l’ha capito, ed ha
sempre più messo l’accento sulla forza, con il ritorno di consenso che ha implicato.
Ma che una cosa del genere sia “liberante” l’Europa è chimerico, significa non
aver capito nulla dell’Europa e sostituire i paraocchi ideologici alla realtà
storica. Tra l’altro, la tesi che una Russia forte avrebbe spinto l’Europa a
mutare **non è** di Dugin: è di Nietzsche. Ma storicamente ha fallito, fallirà
di nuovo.
Ma veniamo al punto,
senza scantonare. In primo luogo, che l’Europa possa riscoprire il suo ruolo
indipendente implicherebbe una mutazione culturale che non solo è lontana mille
miglia dall’Europa, ma che non può avvenire sotto l’egida dei vari nazionalismi
o “sovranismi”, semplice nuovo nome di una ben vecchia conoscenza. I
nazionalismi non possono che dividere l’Europa, mentre uniscono la Russia, o la
Cina. Vi è, dunque, un qualcosa di diverso.
Qualsiasi unità
d’Europa può venire **solo e soltanto se** avviene sotto l’egida dell’
“Imperium”, ma ognuno può vedere che una cosa del genere sarebbe oggi
difficilissima, che una cosa del genere farebbe – né potrebbe far altro che –
esclamare: “Hic sunt Dracones” ….
Andrea A.
Ianniello
http://www.linkiesta.it/it/article/2018/06/23/alexander-dugin-litalia-e-linizio-della-grande-rivoluzione-populista-c/38539/.